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1.1Veggio 'l mio campo rilevar le ciglia,
1.2di rughe empiendo anzi il suo dì la fronte,
1.3in atto d'uom ch'assai si meraviglia;
1.4il mio Campo gentil, che al sacro fonte
1.5hanno dianzi guidato le ben nate
1.6nove sorelle del Parnaso monte;
1.7udendo pur ch'in questa nova etate
1.8ch'invesca tra i piacer gli animi nostri
1.9e gli svia dal camin di libertate,
1.10non, com'io soglio, d'amorosi inchiostri
1.11tinga le carte e co' sospiri accenda,
1.12ma satireggi e gli altrui falli mostri;
1.13e ch'al novello stil più non intenda,
1.14cantand'i pastoral ruvidi detti,
1.15ond'al gran Rosso mio tributo renda.
1.16Sento il Rivola ancor, di quanti eletti
1.17spirti visser giammai casto e sincero,
1.18poco lodar che quinci gloria aspetti,
1.19come colui che 'l buon giudizio vero
1.20ha drizzato in aprir le strade chiuse
1.21le quai prima calcò Socrate intero;
1.22né soffrir può ch'un uom contra l'altro use
1.23la lingua o lo stil armi: ma, s'ei mira
1.24più dentro, non tem'io che non mi scuse.
1.25Negli anni corsi, come quel cui tira
1.26disio di fama e per gli altrui paesi
1.27spron e freno d'onor spigne e raggira,
1.28vist'ho diverse genti, uditi e intesi
1.29mille stolti vulgar detti e parole,
1.30mille strani pensier ne l'alme accesi;
1.31non vidi però mai che chi ben cole
1.32le dolci d'amistà divine leggi
1.33schernito sia, com'uom semplice suole.
1.34Mi vien da molti detto: — Il corso reggi
1.35di tua vita assai men che saggiamente:
1.36questi tuoi modi, or via, ché non correggi?
1.37Tu sei d'amici amar troppo fervente
1.38e ne l'utile altrui perdi te stesso:
1.39ritrova omai la tua smarrita mente.
1.40Questi tuo' amici i quai lungi e da presso
1.41ami ed adori come cosa santa,
1.42miser! ti son di grave danno espresso.
1.43Svelt'è d'amor ogni tenace pianta,
1.44s'alcuna mostrò mai le verdi fronde,
1.45né vive più quella tua fede tanta:
1.46non tenér questo stil, ché non risponde
1.47altrui voler al tuo; deh, muta usanza
1.48e cerca viver più moderno altronde;
1.49appoggia al tronco d'òr la tua speranza,
1.50pensa a te solo e tien te stesso caro;
1.51con tutto il tuo poter denari avanza.
1.52Damon e Pizia e gli altri a paro a paro
1.53che nodo d'amistà ristretti tenne,
1.54benché 'l numero sia piccolo e raro,
1.55fûro al tempo beato, allor che venne
1.56spessa pioggia dal ciel d'oro e d'argento,
1.57e de' poeti favolose penne. —
1.58Io che ciò ascolto e che 'l bel lume spento
1.59veggio d'ogni valor, come potrei
1.60non disfogar il gran dolor ch' io sento?
1.61Voi mi potreste dir: — Non però déi,
1.62se ben chiudi alto duol, dannoso scorno
1.63a quei recar fra' quai nudrito sei. —
1.64Gli è ver, ma stimo che faran soggiorno
1.65nel vostro seno, ov'io le sacro e chiudo,
1.66l'irate rime mie; sicché a dir torno.
1.67O prima bella età che fusti scudo
1.68contro i colpi de' vizi, or de' tuo' onori
1.69si ride il volgo vil, d'ogni ben nudo,
1.70le cui speranze e li cui sconci amori,
1.71senza punto mirar che fin ne segua,
1.72riposte son nel ragunar tesori.
1.73Qui tutti alzano il cor, né cosa adegua,
1.74per mirabil che sia, gl'ingordi loro
1.75macri desii, co' quai non han mai tregua:
1.76dicano i forsennati ampio ristoro
1.77d'ogni affanno ritrar 'n un volger d'occhi
1.78nel desiato fiammeggiar de l'oro;
1.79sovra cui par ch'ognor nèttare fiocchi,
1.80s'il gustan col mirar, ma ognuno stassi
1.81a vezzeggiarlo e non è più ch' il tocchi.
1.82Muover si vede servilmente i passi
1.83a quest'e a quel per saper quando e come
1.84fra la Francia e l'Imperio accordo fassi;
1.85non perché in pregio il bel gradito nome
1.86di pace appo lor sia, ma perché stanno
1.87oppressi da dolenti e gravi some,
1.88perciò che se le cose indietro vanno
1.89di Fiandra e de la Francia, ne la corte
1.90non squarcian drappi e poche pompe fanno;
1.91si scorge altri portar le guance smorte,
1.92tutti affannati e sbigottiti starsi
1.93a guisa di chi scherme con la morte;
1.94s'odon di lor follia, di sé lagnarsi,
1.95che fûr poco avveduti a mercar sete,
1.96ora che i cambi son, se fûr mai, scarsi.
1.97O del trist'oro scellerata sete,
1.98quanto hai tu di vigor ne' petti umani,
1.99che tutti affondi i pensier belli in Lete!
1.100Tu fai per lidi perigliosi e strani
1.101girar le genti e solcar l'onde salse
1.102nel maggior verno con diletti vani.
1.103Quanti, sollo io, cui già più d'onor calse,
1.104soggioghi a servitù ritrosa e molta!
1.105Mille nascon da te vil opre e false;
1.106per te, crudele, è sottosopra volta
1.107più d'una terra, e per te spesso il figlio
1.108al suo padre pietoso ha vita tolta.
1.109Ma di ciò gli altri; e 'l mio parlar ripiglio.
1.110Se avarizia vi punge e lega i sensi
1.111e vi pon di voi stessi in gran periglio,
1.112almen, colmo d'amor, tacito pensi
1.113al comun ben chi dee né a furar vegni
1.114nel sommo seggio con gli spirti accensi:
1.115dico a voi che godete i nostri regni,
1.116tolti pur or da coltivar terreno,
1.117per abbassar i pellegrini ingegni:
1.118se forza d'auro in man v'ha posto il freno,
1.119non lassate cader nel fango questa
1.120candida libertà né venir meno;
1.121non divorate ognor con sì molesta,
1.122ardente brama i nostri dolci frutti,
1.123schivi del tutto d'ogni impresa onesta.
1.124A quei di Sparta i dolorosi lutti
1.125predisse Apollo, i quai per gran desio
1.126e fame di arricchir furon distrutti;
1.127Ponzio si dolse assai del destin rio,
1.128e che tra voi non venne, mentre corse
1.129Roma assetata ad ogni aurato rio,
1.130mentre ch'in uso quetamente scòrse
1.131di lor senza alcun fren questo e quel dono
1.132ch'a più lodato fin poscia si torse.
1.133Che parl'io, se chi dee non ode il suono?
1.134Mi par sentir chi sorridendo dica:
1.135— Col mio poco saper, pregiato sono;
1.136voi no, gente a virtù devota, amica,
1.137che, rivolgendo ognor l'antiche carte,
1.138sol ombra e fumo asciutto vi nutrìca:
1.139io tengo pur la più sublime parte
1.140del bel governo e veggio che non sale
1.141a tant'onor chi segue Apollo e Marte;
1.142a voi l'ingegno consumar che vale,
1.143se nel consiglio io fo sol con un cenno
1.144fondata opinion labile e frale?
1.145Ciascun, per oro aver, faria gran senno
1.146tentar l'imprese non oneste e dure
1.147i ricchi sempre ogni lor voglia fenno:
1.148l'oro apparecchia strane, alte venture
1.149e seco porta sì tranquilla gioia,
1.150che tutte sgombra le spinose cure. —
1.151Chilon, odi tu ciò, cui tanto annoia
1.152vergognoso guadagno? Io provo un solo
1.153vivo conforto fra cotanta noia:
1.154che di qui prender vo' spedito volo;
1.155né con gli occhi vedrò quel che m'addoglia
1.156sì ch'a l'aura vital quasi m'involo;
1.157non vedrò lacrimar l'alta lor doglia
1.158a le povere genti meschinelle,
1.159né maledir la lor mal presa spoglia,
1.160né con le strida batter ne le stelle
1.161le vedov'orbe ed i pupilli afflitti,
1.162che non han chi per lor sorga o favelle.
1.163Vedi il testor, a cui son interditti
1.164i sudor propri, ond'ei s'acquista vita
1.165portare in fronte i suoi dolori scritti;
1.166e gemer la famiglia sbigottita
1.167de l'artigian, le cui fatiche tiene
1.168chi per più ricco e largo il volgo addita;
1.169e 'l villan scalzo e scinto che sen viene
1.170con suon di man, rodendo assenzio e tòsco,
1.171a narrar al dottor l'aspre sue pene,
1.172ch'a viva forza il campo, il prato o 'l bosco
1.173gli ha tolto il cittadino e lo minaccia
1.174di morte o bando o di rio carcer fosco.
1.175Queste, ch'ognuno a più potere abbraccia,
1.176opre ingiuste spuntar come mal germe
1.177d'ora in ora veggiam, benché ne spiaccia.
1.178Uopo ben fôra che tornasse ferme
1.179vostra medica man, che valse tanto,
1.180le vostre piaghe e l'altrui voglie inferme:
1.181voi già col buon consiglio utile e santo
1.182mostraste, quasi un sol, la vostra luce
1.183e fra i più conti riportaste il vanto;
1.184ch'or sì caldo desio mi sprona e induce
1.185far le carte gioir di vostra gloria,
1.186la qual chiara da un polo a l'altro luce,
1.187ch'in tra due si travaglia la memoria,
1.188sorpresa da sì nobile soggetto,
1.189se compier dee la cominciata storia:
1.190ché sete, se miriam fisso e perfetto,
1.191d'ogni antica virtù riposto seme,
1.192limpido e vivo fonte d'intelletto;
1.193ma per sempre sfiorir la verde speme
1.194di quei che dolce caritade accesa
1.195de la misera patria ingombra e preme,
1.196vi ritraeste da la dura impresa;
1.197e fu ben dritto, poi che 'n voci e 'n marmi
1.198s'ode e legge che 'l buon riceve offesa.
1.199Qui son le note scritte in brevi carmi
1.200che gli Efesei, Ermodor discacciando,
1.201osaron dir, come aver letto parmi.
1.202E però vado anch'io pur desiando
1.203d'allontanarmi e gir (chil crederia?)
1.204con servitute libertà cangiando;
1.205benché ripreso dai gran saggi sia,
1.206teneri più di me che di lor fama,
1.207ch'io entri caldamente in frenesia;
1.208e sento dir: — Chi ti sospinge e chiama
1.209a provar le miserie di fortuna,
1.210quando più ognun ti prezza, onora ed ama?
1.211Di ragion non hai in te favilla alcuna
1.212lasciar cotant'onor, sì bello stato
1.213e i tesor ch'in pochi anni si raguna,
1.214per servir a signor crudel o ingrato
1.215e fra lunghi disagi e requie breve
1.216sempre col pan aver malvagio piato. —
1.217Ma veramente a me fôra più lieve
1.218menar in Libia, in Scizia i miei verdi anni
1.219sott'empio giogo, faticoso e greve,
1.220che qui posar, dove celati inganni
1.221vivono a gara ed ogni fede è morta,
1.222dove mill'Arghi son negli altrui danni;
1.223dove, pallida il volto e gli occhi torta,
1.224velenosa la lingua e 'l petto, rode
1.225se stessa Invidia e noia ad altri porta,
1.226che tanto divien lieta e tanto gode
1.227quant'altri nel martìr morendo vive,
1.228pigra ne l'altrui ben, ne l'altrui lode;
1.229dove colui ch'a le marine rive
1.230l'umido armento di Nettuno pasce,
1.231sovra Nereo stimato e l'altre dive,
1.232in varie tempre si trasforma e nasce
1.233in fiamma, in tigre, in lupo empio rapace,
1.234ch'impese a quercia le sue spoglie lasce;
1.235dove a chi men chiarir la lite spiace,
1.236che 'l mal Tiresia ai due celesti aperse,
1.237che di trama sottil l'orsoio face.
1.238Chi sa in maniere più dolci e diverse
1.239cocer la lepre e 'l bel pavone occhiuto
1.240ed aguzzar l'altrui voglie disperse;
1.241chi sa che senza lume esser tenuto
1.242vuol in piccola gabbia il nottolano,
1.243costui saggio si crede e molto acuto;
1.244chi sa come Loppeglia ed Orbicciano
1.245stilla più di Gignan liquor soave
1.246né per lunga stagion diventa vano;
1.247chi sa che più dolcezza il muggin have
1.248quando la luna biancheggiando cresce
1.249e che la tinca esser vuol gialla e grave;
1.250chi al tòtano, a la triglia, ad ogni pesce
1.251mette l'anguilla d'acqua viva innanzi
1.252e ne' conviti la trapone e mesce;
1.253chi i ghiotti cibi e sconosciuti innanzi
1.254con l'ingegno ritrova, a me pur pare
1.255ch'ei sol gran premio d'ogni onor s'avanzi.
1.256Se 'l prova Apizio, che famose e chiare
1.257fa tra questi monton dagli aurei velli
1.258l'alte sue lodi d'ogni lode avare,
1.259e vuol che in lui l'antico rinovelli,
1.260per far del ventre, onde va grave e tardo,
1.261goder le fère e gl'importuni augelli.
1.262Quest'i segreti bei senza riguardo
1.263c' hanno Venere e Bacco, aperti mostra,
1.264ch'a pensarvi per lui di vergogna ardo.
1.265Dir non pavento ancor chi in sogno giostra
1.266co' gli animai, col bel ministro vago
1.267di Giove. Ah eterna infamia a l'età nostra!
1.268Io sarei di narrar sue colpe vago
1.269e d'altri assai; ma, perché selva sfrondo
1.270folta e infinita, omai stanco m'appago.
1.271Sovvienmi ancor che voi, ch'a più giocondo
1.272viver correste, già per lunga prova
1.273sapete che virtù qui giace al fondo.
1.274Tanto noi dunque più bel disio muova
1.275e dal trito camin del vulgo errante
1.276fuggiam per via ch'oggi agli sciocchi è nuova;
1.277risplenda il ver, vostra mercé, né ammante
1.278l'anime pure e belle oscuro velo;
1.279basso pensier non ci si pari innante;
1.280purghiam le menti e solleviamle al cielo
1.281sì che schernir possiam le nebbie e i venti,
1.282chiusi in vil corpo a provar caldo e gelo.
1.283A fatti illustri e valorosi intenti,
1.284onde vien gloria, liberiam noi stessi
1.285dal cieco oblio de le future genti:
1.286chi col saver, pei lunghi studi e spessi,
1.287se quel vero Signor nel cui governo
1.288fûr i casi del ciel sempre rimessi,
1.289tolt'abbia il nato o pur l'esempio eterno
1.290in fabbricar questo terrestre peso,
1.291e qual l'addusse in ciò voler interno;
1.292altri col ricercar se solo inteso
1.293sia ben quel che gli è onesto e se virtute
1.294basti a bear chi del suo amore è preso,
1.295con lo spiar se stesso, e, conosciute
1.296quante ha l'animo forze alte e divine,
1.297procacciarsi speranza di salute;
1.298quel col difender da crudei rapine
1.299e ricovrar con penne e con la lingua
1.300le genti afflitte al riposato fine;
1.301questo col contemplar, nasca o s'estingua
1.302Arturo, che procella o vento ha seco
1.303e che spazio l'un ciel l'altro distingua;
1.304chi seguendo il famoso, ardente greco
1.305che, di Troia cantando e del suo Ulisse,
1.306il lume di virtù ne mostrò cieco;
1.307chi la coppia gentil ch'ornato scrisse
1.308sì ch'al latino stil die' sommi fregi,
1.309e dava anco maggior, ma corto visse;
1.310dico di que' duo spirti altèri, egregi,
1.311che l'un Tibreno e l'altro il Mincio onora,
1.312né ben s'intende ancor qual più s'appregi
1.313E lasciam gli altri errar dal dritto fuora,
1.314non certi mai come soave spire
1.315ne' caldi affanni un'amichevol òra;
1.316lasciamli pur bramar con folle ardire
1.317quant'oro il Gange, il Tago, il Tebro mena,
1.318ed essi stessi in preda al lor desire;
1.319e, vista de' vizi empi un'orma a pena,
1.320l'altra segnar dal voler cieco spinti,
1.321mentre han coscienza per lor ferma pena;
1.322coi cori insidiosi e i volti finti
1.323sugger il sangue al poverel meschino,
1.324di tumido livor dentro e fuor tinti;
1.325godersi il mondo e il lor dolce destino
1.326tra pensier lenti e tra gonfiate piume,
1.327e vivande condir, notar nel vino:
1.328vana turba volgar, ch'il vero lume
1.329hai per negletto e 'l falso intenta vedi,
1.330e, posto in bando ogni gentil costume,
1.331al torto oprar sol vaneggiando credi.
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