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1.1La grolia di quel sir ch'è tanto altero,
1.2che m'arse in ghiaccio e aghiacciommi in foco,
1.3ch'a rimembrare ancor mi struggo e pèro,
2.1i' canterò il suo amoroso gioco,
2.2ben ch'a sodisfare a mio accetto
2.3ogni caldo parlar me saria poco;
3.1però, chi ben mira allo 'ntelletto
3.2nostra eloquenzia retro non pò ire,
3.3ma ombra trae del divino concetto.
4.1Addunque, acciò ch'i possa me seguire,
4.2i' priego Amor, di cui canto e dico,
4.3che come ha fatto mo' aggi a ferire.
5.1Fèri e 'nfiamma Appollo tuo antico
5.2come ma' festi, ché m'aggi a spirare,
5.3sicché nel canto a lui mi facci amico.
6.1Il suo valor si convien mo' raggiare
6.2come mai fé colla sua santa lira.
6.3e le suo Muse ancor dien seguitare.
7.1O leggiadra su' amante, che disira
7.2e mai non abbandona quell'amore,
7.3che tanto caldo in sua mente spira,
8.1i' prïego che 'nduchi esto signore
8.2a ispirarmi per que' baci santi,
8.3che 'nfiammâr l'alma e fan fuggire 'l core!
9.1I' pur penso sempre quanti amanti
9.2e quanto sète voi caro tesoro
9.3e quanto sète nel disir costanti.
10.1O lucente donna, il suo lavoro
10.2a te lo raccomando quando vieni
10.3nelle suo braccia e sciogli il suo crin d'oro!
11.1A te la raccomando per quel riso
11.2e per que' labbri vermigli e vezzosi
11.3che fàn cogli tuo succi un paradiso,
12.1e pe' vostri sospir tanto amorosi
12.2e pel vostro abbracciare e pel riprezzo,
12.3che fanno, tremolando, i cor gioiosi,
13.1e pel sudor che fate tra voi in mezzo,
13.2or fra 'l chiar viso, or fra le chiome bionde,
13.3quando si strugge amore al caldo rezzo.
14.1Già non ti chieggo, Apollo, di tuo fronde;
14.2già non ti chieggo l'arco né faretra,
14.3neanche Elicona con sue onde,
15.1ma la mie mente sol di te impetra
15.2che dia e proceda col tuo gran valore,
15.3se tua virtù giammai da me si aretra.
16.1I' sì ten priego pel caldo d'amore
16.2ch'a Danne avesti, tua leggiadra amanza,
16.3e per lo suo giovinile sprendore.
17.1I' so pur che tuo amore ogn'altro avanza;
17.2e ben seppe Cassandra il ricco dono:
17.3come divina fu la tua possanza!
18.1O Minerva mie dolze, a questo tono
18.2priego che spiri, sì ch'aggi vittoria
18.3per virtù data all'amoroso sòno!
19.1O sagre, o sante Muse, di mie groria
19.2aiutate il mio dir chiedere in versi
19.3sì fatti che sien degni di memoria!
20.1Ogni car cosa de' sempre dolersi,
20.2cercare e sudar per le sue calle;
20.3ma ch'io non sia al buon voler dispersi!
21.1Solo e pensoso in una chiusa valle
21.2men già a lenti passi lungo un rio,
21.3che discendea dalle sue alte spalle.
22.1E sopra i caldi amori el penser mio
22.2lo rivolgea con lagrime e sospiri
22.3e cominciaron dolce e van disio.
23.1«O Motor — dissi — degli etterni giri,
23.2come può alma amata non amare,
23.3e, se non ama, qua' son suo martiri?
24.1Or non so che mi dire o che mi fare,
24.2i' ho in odio me stesso e amo e bramo
24.3quel che m'aiuta sempre a consumare.
25.1S'Amor non è, ove soccorso chiamo?
25.2Ma pur, s'egli è, non mi vuole udire;
25.3d'un velen dolze più vivendo affamo.
26.1I' chiamo vita e vo dietro al morire
26.2e merzé chieggo a drago, tiro od orso,
26.3e sì vana speranza m'ha a nodrire».
27.1Quando meno aspettava alcun soccorso,
27.2e io vidi raggiar per la foresta,
27.3sicché per istupor n'ho il cor rimorso.
28.1Mille faville vidi con gran festa
28.2intorno a uno spirto sfavillare,
28.3e nel raggiar non facea mica resta.
29.1E io, che fiso istava a riguardare
29.2quella vaga possanza che lustrava
29.3sicché la selva paria foco fare,
30.1vedeva quella che già spirava,
30.2ma sì lontana la sua voce m'era
30.3che mia virtù tremante non gustava.
31.1Ma, quando fui più presso a quella schiera,
31.2mille spirti vid'io coll'ale d'oro
31.3e con dolce disio far di se spera.
32.1I pini, e faggi, gli alberi e l'alloro,
32.2l'erbe, e fioretti, le campagne e' sassi
32.3lustravan forte più ch'altro tesoro.
33.1E io, che dubitava mover passi
33.2per lo sommo sprendor che sì lucente
33.3infiammò mie virtù e' saldi massi,
34.1«Miserere!» chiamai tostanamente;
34.2ma quel prenze gentil di quegli spirti
34.3lasciò il cantar, che fea cotanto ardente
35.1e disse: «O tu che vai fra' pini e mirti,
35.2non temere, anzi accheta il tuo dolore,
35.3e mira queste chiome e' capelli irti,
36.1mira gli spirti de' raggi d'amore!
36.2Di te m'incresce, perch'a noi fedele
36.3se' stato sempre nel fermo valore;
37.1voglio addolcirti con amaro mèle
37.2tu hai gustato nel mio dolce regno
37.3per quella che t'ha stretto sì crudele.
38.1Vieni e consegui tuo infiammato segno:
38.2io t'indurrò in lato sì vezzoso
38.3che d'ogni grolia lì ti farai degno».
39.1E io, ch'attento udia il glorioso,
39.2presi speranza non dover morire
39.3del mio disio, che m'ha fatto angoscioso.
40.1Po' dissi: «O trïunfante e sagro sire,
40.2merzé i' rendo alla vostra pietade,
40.3c'ha fatta tanta grazia al mio martire!
41.1I' son disposto alla vostra biltade
41.2seguitare e voler quel ch'a vui piace,
41.3e con piacer salire ogn'erte e strade».
42.1Per la man mi prendea, ivi una face
42.2di foco avea e disse: «Oh quanto Dido
42.3questa infiammò nell'amor mio verace!»
43.1Allor conobbi ben ch'era Cupido.
43.2L'arco avea seco e le saette d'oro,
43.3che, quanto veggo ne sia, ne glorio e rido.
43.4E «Su!» mi disse poi senza dimoro,
44.1«giamo e prendiamo la via per lo bosco
44.2con questi spirti in mezzo qui fra loro».
44.3Non era quello andar crudo né fosco,
45.1anzi era vago per l'erbetta verde,
45.2né sì dolce valle omai cognosco.
45.3I' sì mirai ove l'erba più inverde,
46.1e vidi avanti a me un bel castello,
46.2ch'ogn'altro per bellezza a quel si perde.
46.3Mormora dalle coste un fiumicello,
47.1che la pianura riga e quel circonde,
47.2e la rivera tutta infresca quello.
47.3Ivi, mirando, vedea le chiare onde,
48.1vedea lo edificio tanto altero
48.2e dentro pini, mirti, fiori e fronde.
48.3«Omè, giàn dentro tosto a quel ch'i spero;
49.1il tempo è vago e con piacer lo spiro».
49.2Ed e' rispose: «Mo' ben gusti il vero;
49.3deh, non tardian, ché questo è chiar disiro!»
50.1Già rilucea il prenze delle stelle
50.2per lo nostro orizzonte con quel Tauro,
50.3ch'adduce Zeffir colle cose belle;
51.1e le suo chiome, che mostran fil d'auro,
51.2già riscaldava Castor e Poluce
51.3che tiene il cielo il suo ricco tesauro,
52.1sicché quel segno, con che più riluce,
52.2si rallegrava nel suo alto punto
52.3dovere aver la sfolgorante luce,
53.1quando col trïunfante sir fu' giunto
53.2appiè dell'edifizio tanto vago,
53.3che nuovamente m'ha d'amor compunto.
54.1E io, che riguardai, vid'uno immago
54.2con sottil arte sopra a quella porta,
54.3ch'è a mirabilia ogn'intelletto pago.
55.1«Quivi Amor regna quand'altrove è morta»
55.2erale scritto lì presso dal viso
55.3che par lo spiri l'immagine accorta.
56.1Sì vaga e ricca mostra nel suo viso
56.2che mai altro tesor s'apprezzeria,
56.3e di vaghezza assembra un paradiso.
57.1D'oro era tutta l'immagin giulìa,
57.2salvo che' piè parean carbone spento,
57.3onde amiraimi in mia fantasia.
58.1E poi ch'a ben mirarla non fui lento,
58.2rubini, perle, zaffini e topazi
58.3vedea sopra suo chiome sparse al vento.
59.1«O tu, che 'n nostra gola non ti sazi
59.2— disse Cupido allor quando mirava —,
59.3giàn dentro, e mirerai i grandi spazi!»
60.1Entramo dentro a quella, che raggiava
60.2in giovinil presenza; è con faretra
60.3pien di fin oro l'arco che portava.
61.1Lasciamo; il mio disio vie più s'impetra
61.2in quella dolce groria con quel foco,
61.3il qual più fuggo da me più s'arretra.
62.1Inanzi mi vedea a poco a poco
62.2ridere una pianura in vaghi fiori,
62.3ch'è leggiadre fontane in ogni loco.
63.1Il giallo, il verde, il rosso, i santi odori,
63.2gli ermellini, e conigli, e vaghi vai,
63.3i rucelletti, l'erbe, gli sprendori
64.1faceano il santo loco, ch'io trovai,
64.2arder d'amore, ov'io nel dolce rezzo
64.3isfavillar vedea i santi mai.
65.1Quiv'era ninfe e giovinetti in mezzo;
65.2Pirramo e Tisbe nell'età fiorita
65.3parieno, e 'l bel Narcisso in tal fu sezzo.
66.1In questa selva, che quiv'era sita,
66.2vidi le gregge innamorate e belle
66.3un paradiso far di questa vita.
67.1Quivi abbracciar vedea le donzelle,
67.2sospirare e baciare i giovinetti
67.3e morder nel bel sen le lor mammelle.
68.1Tai sopra 'l verde con molti diletti
68.2cantavan canzonette innamorate,
68.3tenendo le lor guance fra' lor petti.
69.1Altr'erano al ballar tutte infiammate:
69.2chi sollazzava tra gigli e viole,
69.3e tal le chiome d'oro scapigliate,
70.1qual ride e tal si cruccia con parole
70.2e poi con un baciar han fatto pace;
70.3chi scherza, e tal che all'amor si duole.
71.1Altr'era ch'all'amor par ben verace,
71.2perché rapìa il suo sommo disio,
71.3se voltolando fra l'erbette giace.
72.1Il tempo vago e 'l ciel tutto zaffiro
72.2e gli uselletti in su le verdi fronde
72.3facieno un paradiso più ch'Empiro.
73.1Nitide, fresche, dolci e leggiadre onde
73.2d'una parte di quella foresta
73.3vediesi, ch'un bel rio sì la circonde.
74.1Ahi, quanta ricca e trïonfabil festa
74.2vedea, che dillo giammai non potria,
74.3né 'mmaginare alcun dentro a suo testa!
75.1I' vidi apresso una fonte giulìa,
75.2ch'era formata di fine alabastro;
75.3le sponde eran be' gradi ch'ella avia.
76.1E sopra quelle sponde cerchia un nastro
76.2di fin oro, zaffini e dïamanti,
76.3che a pur seren iscintillò mai astro.
77.1E com' facièno i compassi davanti,
77.2e spiritelli parton le tarsie,
77.3raggiono in foco, parien vivi santi.
78.1D'otto facce formate è tale effie,
78.2una colonna d'oro per suo centro
78.3facea quelle facce sì giulìe;
79.1e in mezzo ognuna — ch'io, vago, impetro —
79.2eran fieri animali in bel tesoro
79.3ornati tutti intorno, fuori e dentro.
80.1'N sulla colonna, ch'io v'ho detto, d'oro
80.2otto lïoni istanno in vaga vista,
80.3che verson acque giù in quel lavoro;
81.1sopra lor dosso giace un'altra lista
81.2di foglie di smeraldo tanto fino,
81.3ch'ogn'altro verde perdeva la vista.
82.1Vener tagliata v'è su d'un rubino,
82.2di perle coronata, co' suo figli
82.3intorno, per quell'aire cilestrino.
83.1Fiori, rose, vïole e freschi gigli
83.2uscivan del fogliame di smeraldo,
83.3qual eran gigli bianchi e tai vermigli.
84.1Quivi scherzar con amoroso caldo
84.2vedea i giovinetti e le fantine
84.3col colore allegro, dilettato e baldo.
85.1O dolce Muse, o sante divine,
85.2e tu, Uterpe mia, tanto a me cara,
85.3lustrate un poco il mio dir quine!
86.1Calïope, sarâmi tu avara?
86.2Fa' ch'io abbia solo una favilla
86.3del tuo valore, che gentil core apara!
87.1Odi lettor, che, co mia pupilla,
87.2i' vidi e senti' nel dolze foco
87.3che gentil donna infiamma e scentilla
88.1e udirai un amoroso gioco.
88.2«O giovinetti, o pulzellette belle,
88.3o Lisa, o Tancia, o Vïola, o Rubino,
88.4facciàno un giuoco qui tra questi fiori!
88.5Chiamate Gigi, Papi e Dïamante,
88.6che fien con noi! O giovinette snelle,
88.7le guance e le mammelle
88.8ci bacerà ogni fedele amante!
88.9Troppo penate; deh, siate qui avante,
88.10ché c'è sì bello l'aire cilestrino!
88.11Le chiome d'oro fino
88.12ognun s'attrezzi e leghi a onda a onda
88.13con leggiadra fronda;
88.14ciascuna lustrerrà chiari sprendori,
88.15e co' divini ardori
88.16— lieto dicea Smeraldo —
88.17con amoroso caldo,
88.18che pergon vostre chiome di fin oro,
88.19bene istia questo coro.
88.20O dolze compagnia,
88.21quant'è vaga e giulìa!
88.22lo vo' stare con voi a questo gioco».
88.23Dice Fiammetta: «Odi, per dio, un poco:
88.24istia turato a chi toccherà il nome.
88.25I' nel nome di Giove
88.26cominciaria». «Come?
88.27non dir così; va' via!
88.28El toccherebb'a me, che l'ho appostato».
88.29Rubin, che l'è dallato,
88.30dice or oltre: «I' vo' cominciar io».
88.31Ridendo con piacere e con disio,
88.32voglioso, innamorato cominciòe;
88.33onde l'ultimo nove a lui toccòe.
89.1Patti facieno i gentil giovinetti:
89.2ogni amorosa e vaga pulzelletta
89.3ch'ognun s'asconda per quella foresta,
89.4sicché Rubin non vegga, il gentil sire.
89.5«Chi prima è trovato, i patti eletti,
89.6sopra il dosso a sé asetti
89.7si porti lui; alla fonte aggi a gire.
89.8I' sì mi turo: ognun s'abbi a partire»
89.9Rubin dicea, e tolse un velo a Stella;
89.10levòl da stia mammella.
90.1Turossi il viso e le suo chiome bionde.
90.2Chi là, chi qua s'asconde;
90.3chi sollazzando e ridendo fa festa;
90.4chi grilland'ha in suo testa;
90.5chi si tuffa tra' mai;
90.6chi del sol fugge e rai;
90.7altra l'abraccia con suo van desio;
90.8tal dice: «O drudo mio,
90.9stiamo fra questi gigli.
90.10Oh, tu mi mordi e pigli;
90.11ma i' non fo, anzi ti bacio il viso.
90.12Or fatti là e acqueta il tuo riso»;
90.13«I' nol farò, se tu non baci el mio».
90.14«Ohimè, Iddio!
90.15orsù, tu tanto peni!
90.16Accosta in qua le reni».
90.17«Ecco ch'i 'l fo, non mi succiar la gola».
90.18«Non muover più parola,
90.19anzi istà cheta e mostra tua bocchina».
90.20«Omè, eccol che vien; lassa, rapina!»
90.21«Or cheta, anima mia, deh, lascial dire
90.22e fatti in qua, ché tu mi fai morire!»
91.1Rubin voglioso si giva vagando
91.2per vedere o sentir qualche fanciulla,
91.3or qua or là volgendo il suo bel viso
91.4com'uom che per amor si strana e fugge,
91.5e fra se stesso forte immaginando,
91.6dicendo: «Oimè, quando
91.7troverò i' colei che 'l cor mi strugge?
91.8So ch'essa per mia doglia sì mi fugge;
91.9forse con altro amante si trastulla».
91.10Così pensoso, nulla
91.11vedìa o sentìa in alcun loco.
91.12Questo amoroso foco
91.13l'avea agghiacciato, e 'l suo core anciso
91.14spirò in un bel viso,
91.15mentre ched e' mirava.
91.16Quando presto voltava,
91.17vide in un cespo di rose e vïole
91.18Tancia, che parea un sole.
91.19Nell'alzar del suo viso chiedìa:
91.20«Oimè, anima mia,
91.21tu se' pur dessa quella che m'ancide».
91.22E ella lieta, guardandol, sorride:
91.23e' sì la prese in su' labri vermigli;
91.24succiava fra que' gigli.
91.25E ella, fra que' fiori,
91.26stretta sentì gli ardori,
91.27che 'nfiamma cischedun c'ha gentil core.
91.28Or pensa quanto ardore
91.29mostrano in quel punto quegli amanti!
91.30Lor baci, lor sospiri e lor sembianti
91.31i' nol potrei né altri mai ridire,
91.32ma per dolcezza credetti finire.
92.1Abbracciati si stan con gioco e festa
92.2fra' freschi fiori, su per l'erba verde
92.3lor membra distendien chiare e lattate
92.4e dilicate più che fine avoro.
92.5Tancia, vestita di seta ricca vesta,
92.6a sfibbiarla fu presta
92.7infino alla cintura, ch'avea d'oro.
92.8Rubin tutto baciava il bel tesoro,
92.9sicché in foco d'amor s'infiamma e 'nverde;
92.10quivi nïente perde
92.11di suo disio, anzi la morde e stringe;
92.12tutto il sen le dipinge
92.13di be' rossor, succiando sue biltate.
92.14«Omè, aggi pietate:
92.15tu mordi a guisa d'orso!»
92.16«Tu non hai alcun morso».
92.17«Non dir così». Rubin le rispondia:
92.18«Tu m'hai in tua balìa».
92.19«I' non farò più che ti sia in piacere».
92.20«Deh, fa' quel ch'è dovere,
92.21se non che 'l tuo bocchin morderò ogn'otta.
92.22I' son contento, ma questa tua cotta
92.23m'ha la gamba impacciata; falla in sue!»
92.24Allor vidi amendue
92.25nudi di vestimenti,
92.26«Tu mordi!» «Tu ne menti!»
92.27«Ma sì, fai. Deh, non mi far morire!»
92.28«Lascia esta coscia gire
92.29fra le tue tanto canide e vezzose.
92.30Or ecco dolci e morbidette cose»
92.31e' dicea; mormorando il dolze foco,
92.32e gustaron d'amor l'ultimo gioco.
93.1L'altre fanciulle e gentil giovinetti,
93.2ch'eran nascosi per gli folti mai,
93.3maravigliârsi che niente udïèno;
93.4onde Lisa più rea si discoperse.
93.5Mirando, vide quegli amanti stretti
93.6co' lor canidi petti;
93.7onde per gelosia più non soferse:
93.8subito per dolor suo bocca aperse
93.9e disse: «Ah, ladro! è questo amor che m'hai?
93.10Certo tu non n'arai
93.11di mie persona più piacer né grolia».
93.12Tancia, che sì la innodia,
93.13disse: «Sta' su, o signor mio sereno».
93.14Tramortito in sul seno
93.15Rubin tenea il viso,
93.16ch'era diviso
93.17di questo mondo per gloria e dolcezza.
93.18«O dolce mia bellezza,
93.19deh, ista' su, perché no' siàn veduti».
93.20Com'uon che' sensi muti
93.21sì si sentì, e disse: «Anima mia,
93.22tu mi se' paradiso, vita iddia.
93.23Di far ciò che ti piace i' son contento».
93.24E tosto e' non fu lento:
93.25rizzossi in piè con lei.
93.26Baciârsi quegli iddei
93.27ben mille volte, poi che ritti furon.
93.28Tutti gridan, ch'eran venuti quivi.
93.29«Che è?» disson giulivi.
93.30«Come che è? Mirate: i vostri seni
93.31di segni e vostre gole èn tutti pieni».
93.32«I' non so che voi dite; i' ho costei
93.33— Rubin dicea — e mie debito vorrei.
94.1Mio debito vorrei» con lieta faccia
94.2Rubin dicea all'amorosa schiera;
94.3ma 'ntorno a lui motteggiando ridièno,
94.4e egli a lei disse: «Or fall'omai».
94.5Ella il capo crollò ed ella abraccia,
94.6dicendo: «Ognuno il saccia
94.7ch'i' son pur tuo e non d'altri giammai»,
94.8baciando la suo gola e gli occhi gai.
94.9M'ella stette isdegnando un poco altera.
94.10«Ahi, dolce mia guerriera
94.11guardami un poco e non mi avere a ugge!
94.12Che è quel che mi strugge?
94.13Amor che 'l cor m'impetra, e vengo meno;
94.14non ci vale alcun freno.
94.15anzi avampo in ghiaccio
94.16e questo laccio
94.17i' non isciolgo, anzi l'attreccio e annodo».
94.18«Deh, odi quel ch'i' odo?
94.19— ridendo dicev'ella — Egli è impazzato!»
94.20Poi sì l'ebbe abbracciato
94.21con un sogghigno a guisa di scherana.
94.22«Deh, giànne tosto, giànne alla fontana
94.23— dicea Fiammetta — a sollazzar fra l'onde!»
94.24Poi il braccio circonde
94.25al collo a Dïamante,
94.26dicendo: «I' ho il mio amante;
94.27ognun si prenda il suo come gli piace».
94.28Or pensa quanta pace
94.29era nel trïonfar di questo coro:
94.30chi scherza, chi si scio' le trezze d'oro,
94.31tal canta e chi sospira e gìa ballando.
94.32Questo ricco tesoro
94.33tutto vid'io; e gîrsi sollazzando.
95.1Dopo la gloria del giuoco amoroso,
95.2ch'i' senti' e gustai nel dolze regno,
95.3là ov'alma gentil ha 'l cor gioioso,
96.1volsesi a me il duca, che mio tegno,
96.2con lieto volto e disse: «Qui non tona
96.3voce di pianto né ritroso ingegno;
97.1qui giovinezza suo desire sprona,
97.2qui lieto cor s'infïamma e disira,
97.3qui cortesia, qui la vita buona.
98.1Or pensi chi d'amore in lei no spira
98.2quanta groria trapassa oziosa e lenta,
98.3spregïando natura e chi 'l ver mira!
99.1Deh, pensa un poc'a lei sia spenta
99.2la sua bellezza e mirare gli specchi,
99.3ch'or nel suo groriare iddea diventa:
100.1aragli in ugge, perché dagli orecchi
100.2perder vedransi i cape' che fùr d'oro,
100.3mostrando allo canuto i vanni vecchi;
101.1piangerassi perduto tal tesoro,
101.2vedrà de' sua begli occhi il lume spento,
101.3rancioso e vizzo il pulito avoro;
102.1vedrà lo spiro suo fiatoso e lento,
102.2che ora ispira cennamomo odore
102.3coll'angelica voce all'aura e 'l vento.
103.1Che giova adunche aver sommo sprendore
103.2d'infinita bellezza e leggiadria
103.3a donna che non gusti il dolze amore?
104.1Tal si trapassa piena di follia
104.2la lieta giovinezza, e non sa quanto
104.3sian dolci i baci di vita giulìa;
105.1altra si perde il giuvinile ammanto
105.2con un vil core, e struggesi sperando
105.3di giorno in giorno, e vecchia resta in pianto;
106.1altre, con fantasia imaginando
106.2d'avere il cielo, passano i dolci anni:
106.3po' veglie e crespe piangon sospirando.
107.1Deh, spartite da voi i folli affanni,
107.2prendete frutto dell'età fiorita
107.3e poi le beffe non arete e' danni!
108.1Ognun lieto usi la sua chiara vita
108.2e piacer prenda secondo l'etade;
108.3e quest'è sapïenza che v'invita.
109.1Se donna tutta di somma biltade
109.2dotata sia, non usando ufizio
109.3di sua natura nella umanitade,
110.1pensi ciascun che lei si può dir vizio,
110.2perché di vaga donna divien pietra,
110.3d'umanità lasciando il suo innizio.
111.1Non sia madonna dunque che s'arretra
111.2al bene amar chi lei disia e brama,
111.3e concordando sì ben suona cetra!
112.1Che c'è più ricco che vedere in dama
112.2innamorato cor di gentilezza,
112.3che ogn'altra vertù retro si chiama?»
113.1Queste parole da quella bellezza,
113.2che m'arde il core, i' sì senti' spirare,
113.3e poi sì mi prendea per sua larghezza,
114.1e disse: «Muovi e passi e non tardare;
114.2mira ver là al palazzo gioioso,
114.3ché nuovo gioco tu potrai mirare!»
115.1I' mi rivolsi tutto grolïoso
115.2e vidi più di mille be' corsieri
115.3apparecchiati, e ciascun ben voglioso.
116.1Con ciascun era valletti e scudieri
116.2in su' palafren canidi e lattati,
116.3e par guidargli ciascun volentieri;
117.1egli erano in ricchezza sì addobbati
117.2ch'arien tolto la vista al gran tesauro
117.3degli orti d'Ansüero sì pregiati.
118.1La metà tutta si raggiava in auro
118.2in lor divisa spirite' di perle,
118.3di seta verde più di fronda in lauro.
119.1Quest'eran ricche gioie sì a vederle
119.2che 'nnamorar facieno i marmi e' sassi
119.3pure a pensar; dunque, ah, sì presso averle!
120.1L'altra metà insino a terra a' passi
120.2di seta bianca più che latte o neve
120.3era coverta, come a ciascun fassi.
121.1Spiriti di rubin, volando leve,
121.2tutti occupavan la canida vesta
121.3sì gentilmente ch'a dir fora greve.
122.1Qual par che rida e qual s'abbraccia in festa,
122.2qual volando parìa arder d'amore
122.3e incoronat'ha ognun suo bionda testa.
123.1Sonagliere d'or fin con isprendore
123.2porgien, che quando il cielo è più sereno
123.3non raggiò stella sì, né più valore.
124.1Oltre passando e rimirando appieno,
124.2i' vidi i giovinetti e le fantine
124.3sollazzare e baciar la gola e 'l seno.
125.1A' lor vestir mostravansi divine
125.2nella guisa c'ho detto; i giovinetti
125.3con lor parieno stelle matutine.
126.1Quivi eran suoni con tanti diletti:
126.2molti danzavan pien di leggiadria
126.3con suon di cennamelle e di trombetti.
127.1Sopra a lor chioma ricciata e giulìa,
127.2ridea grillanda di perla in figura
127.3di rose e gigli, ch'ognun mostra iddia.
128.1Standosi tutti in questa lieta cura,
128.2damigelle gentil senti' parlare
128.3con voce dolce, angelica e pura.
129.1Odi, per dio, quel ch'è bene aspirare.
130.1«A caval, a caval, dolze brigata,
130.2però che 'l tempo fugge!
130.3Ch'avendo il tempo, aspettando si perde».
130.4Detto così, senti' stormeggiare
130.5d'infiniti stormenti, che mi strugge
130.6il cor per un disio che or m'inverde,
130.7uscir vedergli fuor nel campo verde,
130.8chiamando lor valletti e iscudieri,
130.9Perin, Vezzin, Dueri.
130.10«Suona trombetta tua omai a raccolta!»
130.11Traràn, traràn: e traea gente molta.
130.12Chi grida e tal dimanda suo signore,
130.13l'altro sospigne e passa borbottando.
130.14«Ahi, ragazaglia!» con altero core
130.15dicean duo giovinetti, sé assettando
130.16su' lor corsieri, e lor valletti intorno.
130.17Ridea il cielo perché raggia il giorno,
130.18ridea la prateria,
130.19ridea l'aere benigno pien di sòno.
130.20«Orsù, orsù brigata sì giulìa,
130.21sanza romor! — ciascuno
130.22dir i' sentia — O giovinetta accorta,
130.23un bastone in man porta!
130.24Ognun faccia scostare
130.25per potersi assettare in su' cavagli».
130.26Un gridò: «Dagli, dagli a quel poltrone!»
130.27Quella ch'avea il bastone
130.28corse e percosse e disse: «Che hai fatto?»
130.29«Lassal gir, ch'egli è matto!»
130.30un altro disse, che l'ha conosciuto.
130.31«Non l'arebbe saputo?
130.32Ridendo egli ha parlato».
130.33«Sì — disse quegli — secondo mi pare».
130.34Ella, ridendo, più oltre ebbe a 'ndare.
130.35E quasi ognuno era già assettato
130.36per poter cavalcare,
130.37tutti con cor gentile innamorato.
131.1Ogni schiera per sé colla suo guida
131.2si trasse dall'un lato,
131.3prendendo ciascheduno un dardo in mano.
131.4Ciaschedun nel suo cor ben par che rida,
131.5tanto è ricco e addobbato
131.6ch'un paradiso pare il verde piano.
131.7Appresso qui, e non troppo lontano,
131.8infra due pini posta era chintana
131.9gentile e non villana,
131.10d'un cerchietto di perle per grillanda.
131.11L'una brigata ch'è dall'una banda,
131.12cominciò un drappel su per lo prato
131.13e a giucar co' lor cavagli e dardi.
131.14Giovane e bello col viso rosato,
131.15isnello e destro più che leonpardi,
131.16guidava questa bianca compagnia;
131.17quell'altra verde sì ricca e giulìa
131.18un altro giovinetto,
131.19che creatura par di paradiso.
131.20Veggendo giovinezza triünfare,
131.21tutti già a cerchiare
131.22si avien la campagna,
131.23la candida compagna stormeggiando;
131.24pifferi gìan sonando e trombettini
131.25tronano: Trini, trini!
131.26Tamburi ancor grande istormo feno:
131.27Bubbù, per quel sereno,
131.28sì ch'ognun mostra festa quanto puote.
131.29Or pensa dolci note,
131.30quanti sospir d'amore,
131.31quanti dolci disiri in lor concetto,
131.32ch'andar facieno a ciascheduno i cori,
131.33gustando tal diletto
131.34a rimirar ne' visi gli sprendori!
132.1Po' ch'era l'una e l'altra compagnia,
132.2preson sommo diletto
132.3inghirlandare il prato a lor piacere,
132.4standosi tutti in vita giulìa.
132.5L'uno e l'altro valletto,
132.6che guidavan la festa in lor dovere,
132.7volsono inverso i pini il lor vedere,
132.8in salti sollazzando i lor cavagli;
132.9è stormo di sonagli,
132.10che triünfar farièno il paradiso.
132.11Qual poi s'assetta e chi si to' dal viso
132.12le chiome bionde, che mostran fil d'oro,
132.13forbendosi il sudor leggiadramente.
132.14Poi, assettato l'uno e l'altro coro,
132.15i' senti' dire: «O giovane ridente,
132.16corri gentile e fiero alla ghirlanda!
132.17Comincia te, ch'Amor sì tel comanda».
132.18Sanza dire o tardare
132.19presta si mosse e fuggì come vento;
132.20il dardo suo ben seppe inghirlandare,
132.21onde gran grida senza restamento
132.22sì si levâr fra la lieta brigata.
132.23Ghirlanda alta assettata
132.24si fé sanza indugiare.
132.25Gentil poi a spronar ebbe il cavallo,
132.26e già non corse in fallo quella volta.
132.27Ridea la gente molta:
132.28a gara ciaschedun correr volìa,
132.29ciascuna più giulia
132.30correndo per lo prato fïorito
132.31sanza pregare o 'nvito.
132.32Ognun corre e festeggia,
132.33l'aer sonando per diversi suoni,
132.34mostrando quivi Amore i suo campioni.
132.35Tal ride e canta, sollazza e vagheggia,
132.36d'Amor chieggendo i doni
132.37a chi lieto ode, ma 'l viso rosseggia.
133.1Sollazzando così con lieto core,
133.2Ginevra prestamente
133.3molti chiamò della vaga brigata,
133.4e disse: «Voi, Gentil, cui arde Amore,
133.5ascoltate al presente,
133.6ch'appetto vo' rompiate una fïata».
133.7Gran copia di bigordi apparecchiata
133.8da' lor valletti fu; vaghi e giulìi,
133.9mostran servire a dii,
133.10tanti, presti, puliti e volentieri.
133.11Dice Ginevra: «O Luigi, o Rinieri,
133.12correte insieme per amor di Tulla,
133.13e Allessandro e Berto per Elèna».
133.14Or che più dire vo' vi? Ogni fanciulla
133.15quel dolze vagheggiare in vita mena,
133.16ché cominciar lo stormo a mano a mano.
133.17Qual rompe e qual correa pel verde piano;
133.18tal s'apparecchia e ride
133.19e, pien d'amor, pensa furarsi un'amanza;
133.20altri fé mossa, che 'l compagno il vide
133.21accennare e trillar ver lui la lanza,
133.22sì che per forza poi incontro volaro.
133.23Quivi nessuno avaro
133.24in correre e spezzare;
133.25i bigordi piegâr ne' lor corsieri.
133.26Ahi, quanti colpi fier lì fùr pel prato!
133.27Allessandro infiammato
133.28d'Elena bella, ch'a sé presso avia,
133.29corse e sì la rapia
133.30e 'l viso le mettea infra 'l suo seno;
133.31bacia il collo sereno,
133.32per lo prato fuggendo
133.33verso il palazzo, infiammando d'amore.
133.34L'altre fanciulle e donzel con ardore
133.35cominciaro a gridar, tutti ridendo,
133.36e a' più arde il core,
133.37cenni d'amor l'uno all'altro faccendo.
134.1Poi che poté ciascuno il suo pensero
134.2libero dimostrare,
134.3ognun baciò e abbracciò suo amante.
134.4Non fu madonna di cor tanto altero,
134.5né fredda a 'nnamorare,
134.6o cruda o dura più che dïamante,
134.7che que' be' visi colle trecce sante,
134.8le parole, e sospiri, e baci e 'l riso,
134.9trionfa in paradiso,
134.10nolle infiammasser più che tizzo in foco.
134.11Per dio, pensate un poco a questo gioco
134.12con lor dolce mammelle, ch'a 'nfiammarmi
134.13piccole e sode sono nel colore.
134.14Omè, che mi si strugge e arde il core,
134.15pensando quel ch'i' dico,
134.16non ch'a vedere o gustar la dolcezza!
134.17Ah, quanto è folle e a se stesso nimico
134.18chi compiacer non usa giovinezza,
134.19ch'a pentersi nïente val da drieto!
134.20Di tenerezza invetro,
134.21veggendo come il tempo
134.22fugge troppo per tempo co' dolci anni.
134.23Vengonne poi gli affanni a gran giornata;
134.24però è vita beata
134.25a chi d'amor conosce la sua gloria.
134.26Io gustai tal vettoria,
134.27che, se ridilla potesson mia versi,
134.28non so cuor sì perversi,
134.29o sì gelati o crudi,
134.30ch'umil non fussono ad amorare.
134.31Or che più dir? Ch'ognun ch'era di fore
134.32del bel palazzo, infiammati con drudi,
134.33trovârsi in dolce ardore,
134.34l'uno in braccio dell'altro lieti e nudi.
135.1«Vieni e consegui meco in questa gloria;
135.2dispice!» disse il vago e a me si volse
135.3con alma, ch'è in letizia tutta in gloria.
136.1I' conseguì come gli piacque e volse,
136.2e gimo dietro all'edifizio altero,
136.3dove spirto gentil mai non si dolse.
137.1I' gìa mirando appiè, a dirti il vero;
137.2mia lingua nol potrebbe mai ridire
137.3ciò ch'io vidi e come e quel che fêro,
138.1quanto più tu che leggi o stai a udire;
138.2pensa là dove Amore a perfezione
138.3a tempo e loco ogni cosa ha a ordire.
139.1Non tiepido pensier v'è in ragione,
139.2non freddo core ozïoso e lento,
139.3non tema, non pensier di riprensione.
140.1Quivi è i solazzi, quivi è ardimento,
140.2quivi è l'air benigno pien di riso,
140.3quivi sospir d'amore e buon talento;
141.1quivi le trezze d'or raggiano el viso
141.2di ciascuna donzella innamorata,
141.3ch'i' per me non so altro paradiso.
142.1Una infra l'altre in piè si fu levata,
142.2da poi ch'ebbe baciato un giovinetto,
142.3che 'nfra le braccia la tenea serrata,
143.1e disse: «Su, facciamo un rigoletto!»
144.1Non dopo molto spazio
144.2in un pratel fiorito,
144.3dov'era mille uselletti in sulle fronde,
144.4con gradi d'un topazio,
144.5di perle e d'or guernito,
144.6ch'una chiara fontana sì circonde,
144.7vidi venire all'onde
144.8giovinetti e fantine
144.9a fare un ballo tondo,
144.10lieto, ricco e giocondo.
144.11Non parien cose umane, anzi divine;
144.12ond'io stavo a vedere
144.13fuor di me quasi pel sommo piacere
145.1scender de' rami
145.2una pioggia di fiori:
145.3parien perle, zaffini e dïamanti.
145.4«Dov'è quel che tanto ami
145.5e per lui senti ardori?»
145.6dicea l'una coll'altra quivi avanti.
145.7Lustrano i raggi santi,
145.8ride l'aere sereno
145.9per lor dolze parlare,
145.10ridere e sollazzare.
145.11Tal fugge e duolsi c'ha duo uomini in seno,
145.12poi volta e si mordìa
145.13le mani e 'l volto di chi la tenìa.
146.1Io, che attento stava
146.2a veder quelle stelle,
146.3che rotando sen van pel dolze rezzo,
146.4fiso sì le mirava
146.5più ch'altre cose belle;
146.6e senti' dire a una ch'era in mezzo:
146.7«Vedi ch'io ti tramezzo,
146.8e presta tu non canti.
146.9Orsù, non indugiare!»
146.10Presta volle cantare
146.11per non perder colui ch'avea davanti,
146.12e cantò sì vezzosa
146.13ch'ogn'alma cruda diverria piatosa.
147.1Le parole e 'l suo dire
147.2mostra quant'è gran pena
147.3in amar cosa che da lei si fugge.
147.4Ben saria il me' morire
147.5ch'essere in tal catena,
147.6dove segno d'amore il cor ti strugge,
147.7e por la pianta all'ugge,
147.8che sì consuma amore.
147.9Ahi, quanto gran peccato
147.10fa chi è amato
147.11non amar chi l'ama di bon core!
147.12«Omè, merzé i' chiamo
147.13a chi fedele e puro servir bramo!»
148.1Poi che 'l pietoso sòno
148.2ebbe lieta finito,
148.3mosse vezzosa reverentemente
148.4e disse: «A te la dono,
148.5Ermellina, a partito
148.6che canti tu, come suo', dolcemente».
148.7E ella similmente
148.8con reverenzia bella,
148.9dicendo: «É villania
148.10disdir cosa che sia
148.11amor di gentil donna o di donzella:
148.12io canterò a onore
148.13d'ogni fedele amante e gentil core».
149.1Voce chiara e soave
149.2da sua bocca amorosa,
149.3che moveria ad amar gelida pietra,
149.4tosto mosse, né avara
149.5mostrò in alcuna cosa
149.6che gentil dama si scosti o s'arretra.
149.7«Omai chi 'l cor no spetra
149.8ad amar chi 'l disira,
149.9bassilisco istimare
149.10si può, ,
149.11ch'ancide co' suoi occhi quando mira.
149.12Ma poi, in lor vecchiezza,
149.13piangon mal conosciuta giovinezza».
150.1Ciò che ella dicea
150.2nell'amoroso tono
150.3si è mostrar quanta grolia han due amanti,
150.4ch'abbin vista giulìa
150.5e faccin di sé dono,
150.6ch'Amor di lor trïunfando si vanti.
150.7O dolci baci santi,
150.8o tremoli sospiri,
150.9o dolce mormorare
150.10amoroso abbracciare,
150.11quando l'un l'altro dice: «Or che pur miri?»
150.12«Miro i begli occhi e il riso»,
150.13mettendo poi fra le mammelle il viso.
151.1«Non più, non più...» dicea
151.2diviso d'esto mondo.
151.3L'anima mia ridea,
151.4e lo spirto giocondo
151.5più no' spirava per la gran vittoria.
151.6Sospesa è la memoria
151.7per lo intelletto fiso.
151.8Deh, fugga addunque Amore
151.9chi non ha gentil core,
151.10perché non merta aver quel paradiso!
151.11Io per me il vo' seguire,
151.12sperando un po' pietà anzi il morire.
152.1Dopo infinito sollazzare e canto
152.2d'esto infiammato core,
152.3Amor contento fé ciascun di loro.
153.1Chi potria la ineffabile dolcezza
153.2ridir che io gustai col vago duca,
153.3che m'incende e avampa in sua bellezza?
154.1Non Anfïone sua eloquenza adduca,
154.2che chiuse Tebe, non d'Orfeo sua cetra,
154.3che 'ndarno soneria come che luca.
155.1Non qui le Piche più dure che pietra
155.2a tencionar con quelle nove dive
155.3c'hanno la cetra, l'arco e 'l d'or faretra
156.1del sacro Appollo. O iddie mie giulive,
156.2sanza voi spirar non posso verso:
156.3deh, non abbiate mie parole a schive,
157.1ché certo sono non è cuor sì acerbo,
157.2pur ch'io canti con voi in leggiadria
157.3non della terra mia, che pur riserbo
158.1d'un dïamante sculta in fantasia,
158.2che tosto non divenghi umil piatoso,
158.3udendo i baci di vita giulìa!
159.1O quanti dolci sono a' cor gioiosi
159.2coll'abbracciar che si fanno gli amanti,
159.3quando il disio è tutto grolïoso,
160.1ch'i' non ne stimeria tutti esser santi
160.2gli abbracciari, e sospiri, e baci e' risi
160.3de' drudi fermi e nel disir costanti!
161.1Ah, quanti poi ne rimangon derisi,
161.2quando seguir vorrieno il dolce vampo,
161.3nell'età che arrancia e chiari visi!
162.1Sicché, se 'l lor tormento non ha scampo,
162.2mertevolmente portano i martiri.
162.3E io, ch'ancor m'incendo e mi divampo,
163.1ho sentito dolersi in ta' sospiri
163.2tal che vaga e leggiadra spregia amore
163.3ver degno amante co' fermi disiri.
164.1E, poi che fu fuggito il suo sprendore,
164.2toccolle un po' Cupido il cor superbo
164.3per vendicar la 'nvidia del suo errore;
165.1sicché il disio ancora sì acerbo
165.2la féa sanza ragione straboccare,
165.3infiammando in opra, in vista e in verbo.
166.1E quello amante ch'ell'ha a disïare
166.2in odio sì l'avia e più in suo nome,
166.3non che con lei intender sollazzare.
167.1Ahi, vendetta giusta! Perché come
167.2fusti in costei, ch'arrabbiò sospirando,
167.3non s'ha a chi non gusta il dolce pome?
168.1O quant'è folle chi va immaginando
168.2con vaghe fantasie venir beata
168.3fuggendo Amore e lui avere in bando!
169.1O come tosto vedrassi ingannata,
169.2per lo penter non vi fia riparo,
169.3anzi vie più ne verrà disperata!
170.1Nessuno a amare fia dunque avaro,
170.2anzi considri questa lieta vista
170.3e 'l tempo dolze come ricco e caro.
171.1I', fermo a riguardar l'età fiorita
171.2fra quelle verdi frondi, gigli e fiori,
171.3là dove ogni dolcezza è ben gradita,
172.1isfavillar vedia mille sprendori
172.2per leggiadro boschetto, e mormorare
172.3giovinetti e donzelle in dolci ardori.
173.1Presto a quel prenze, che vuol grolïare
173.2ogn'uon che 'l segue, mi rivolsi e dissi:
173.3«Che gente è questa sento sollazzare?»
174.1Lieto mirommi e disse: «I passi fissi
174.2omai terreno in questa prima etate».
174.3Ma pur con lui un po' più oltre missi
175.1fra 'l verde bosco di tutta biltate,
175.2che 'mprender nol potrien le forze mie,
175.3tant'ha ricchezza e tanta nobiltate.
176.1I' vidi mille damigelle iddie
176.2sì ne' costumi, sì nel sollazzare,
176.3con mille be' sembianti e cortesie,
177.1e mille visi ridere e raggiare
177.2d'angioletti con lor tanto gentili
177.3che lingua o penna nol potria mostrare;
178.1chi con sembianti piatosi e umìli,
178.2tremolando suo voce per dolcezza,
178.3chieder merzé pur con atti civili
179.1a sua leggiadra manza; e chi vaghezza
179.2vagheggia e canta, e chi vagheggia e ride
179.3il suo drudo leggiadro in tenerezza.
180.1Quinci ciascuno amante si confide
180.2in suo disio, e qui trïunfa Amore,
180.3libero e lieto più che mai si vide.
181.1Ordunque, pensi chi s'inghiaccia il core
181.2o impetri suo testa d'un dïaspro,
181.3nel qual s'inganna e si trapassa Amore,
182.1quanto Amor le può ancora essere aspro,
182.2pur che le iscaldi un poco il freddo petto,
182.3quando dir si püote: or più m'innaspro!
183.1Vadan le stolte col lor van concetto
183.2a prendere i dolci anni in lor vecchiezza,
183.3dov'era il frutto come fu il diletto!
184.1Natura certo, quando fa bellezza,
184.2la 'nduce sol perché t'inganni Amore
184.3nel senso e nello spirto per salvezza
185.1di nostra spezie, però che 'l valore,
185.2che nello ingetto vago tira i sensi,
185.3è forte sprone a mantener l'ardore
186.1nel gran disio, infra gl'incendi immensi,
186.2perché più pronti sieno al generare
186.3simile a noi. Che fia omai che pensi
187.1tu, vaga donna, che vuoi trapassare
187.2sanza gustare il frutto di natura,
187.3che, come chiaro vedi, t'ha a beffare?
188.1Ma chi vuol si rimanghi fredda e dura,
188.2ché chi non segue Amor non merta laude,
188.3né mai diletto in lei persegue e dura.
189.1Tutte l'alme gentili istanno salde,
189.2enfiammate d'amor fin che 'l pensero
189.3libero è in lor, e che vita si scalde.
190.1I', pur per me, mi specchio nel mio altero
190.2duca per ben gustare il dolze regno;
190.3pensi ciascuno omai s'i' canto il vero.
191.1Quand'io penso alle stolte, i' mi disdegno:
191.2più non vo' dire omai nel vaneggiare
191.3lor tanto folle, e occupar mie 'ngegno.
192.1Standomi tutto fiso a riguardare,
192.2un gran riso senti' a noi lontano,
192.3non però molto, con dolce mormorare.
193.1Presto mi volsi pel ridente piano
193.2e fra 'l boschetto vidi gli angioletti
193.3tener ciascun la sua 'manza per mano.
194.1Ma' non si vide amorosi ugelletti
194.2in ischiere isgombrar l'ardor del core,
194.3che muove il cielo, i divini intelletti,
195.1che par che canti ognuno: «Amore, Amore!»,
195.2come facea questa schiera giulìa,
195.3e mormorando innarra ognun suo ardore.
196.1Ahi, come innebria mie fantasia
196.2nell'udir lor parlar tanto gentile,
196.3che, mentre il penso, fa l'alma iddia!
197.1Una dicea in atto assai umìle
197.2a un leggiadro e gentil giovinetto,
197.3che parea rosa fra 'l maggio e l'aprile:
198.1«Deh, per dio, apri a me il tuo accetto!
198.2Cantasti tu giammai innamorato
198.3rime d'amor a muoverti a diletto?»
199.1E quel gentil, ch'era fresco e rosato,
199.2con un riso soave e con isguardo
199.3che 'nfiammeria d'amor ghiaccio impetrato,
200.1le disse: «Sì; ma perché ben mio dardo
200.2tu chiar conosca come passa l'alma,
200.3i' tel dirò sanza nessun riguardo.
201.1Tu sai che porto l'amorosa salma
201.2carcata per la via di questa ladra,
201.3che 'l cor rubato m'ha, tiello in sua palma;
202.1i' dico qui di Gostanza leggiadra».
202.2Ella sorrise e disse: «Tu vaneggi
202.3com'uon che finge la perduta istrada».
203.1«Ahi, lasso a me! dirai ch'i' non vagheggi
203.2sempre il tuo viso, tanto gentil cosa,
203.3che l'occhio del bel ciel tu lo pareggi?
204.1or ti dirò mia ballata amorosa:
204.2La pulzelletta gentile e vezzosa,
204.3co' suoi costumi e bellezza del cielo,
205.1che chi la vede sì se ne innamora,
205.2tien la mie mente altera e grolïosa,
205.3ma in ora in ora un amoroso gelo
206.1tutto m'infiamma, e 'l sol lei adora.
206.2Il disio e la pena ognor m'accora,
206.3veggendomi diviso
207.1da lei mirar, ch'è 'l mio paradiso».
208.1Po' ch'i' vidi quello amoroso gioco
208.2di quel leggiadro e dilettevol canto,
208.3che fu agli amanti lieto e ricco loco,
209.1senti' ciascun ladarne e darne vanto
209.2al dicitor cotanto innamorato;
209.3e dopo il ragionare insieme alquanto,
210.1udi', ridente, un giovan ch'era allato
210.2a una sì leggiadra creatura
210.3che più bel viso mai non fu formato,
211.1e disse: «Lasso me! L'alma mia pura
211.2infiammat'è d'amor, tutta fervente,
211.3che de' durare infin che l'alma dura,
212.1i' dico d'una Cosa sì lucente
212.2più ch'altra damigella al mondo sola,
212.3e non pur mio giudicio veramente.
213.1O come ancise a me l'altra parola
213.2che 'nanzi alla canzon tu sì pregiasti,
213.3soma a mie spalle più che ampia mola,
214.1quando Cosa gentil tu nominasti!
214.2che se non fusse poi il canto chiaro
214.3dove il tuo amor perfetto dichiarasti,
215.1i' dico: Udite, compagno mie caro,
215.2i' dubitava forte di mia manza
215.3ch'a te non fusse tal piacere amaro;
216.1ma poi m'accorsi ch'ell'era Gostanza,
216.2rimaso umìle, tutto lieto e giulìo
216.3ogni mie spirto con brava isperanza.
217.1El tuo cantar l'amor mio non è vivo,
217.2ché d'altra innamorato in questo loco;
217.3per quel gentile oggetto, onde 'l derivo,
218.1i' senti' un paragon pel vivo foco
218.2che 'nfiamma la 'nfelice anima mia,
218.3che tosto dichi, e nel rider sì poco».
219.1Dir ciò senti' altra dama giulìa,
219.2ch'attenta istava su per l'erba verde,
219.3ferma e costante men sua fantasia.
220.1Tosto rispose e disse: «Più si vede
220.2il piacer del cantar ne' caldi visi,
220.3dove nota d'amor già non si perde.
221.1I' canterò in forma un po' divisi
221.2duo canti, ma in sustanza è quasi sola
221.3questa mia iddia, co' crin nell'oro intrisi.
222.1Udite omai l'ardente mia parola:
222.2o quant'è gentil cosa, ardente e bella,
222.3giovani, esser costante
223.1e seguir d'esta iddea l'orme sue sante!
224.1I' non credo che tanta gentil Cosa,
224.2altera e bella, candida e pulita,
224.3mai il sol vedessi; onde è l'alma smarrita:
224.4per dolcezza d'amor non trova vita.
224.5Or, s'ella fosse un poco a me pietosa,
224.6i' sanerei la mia mortal ferita,
224.7che spesso ispesso alla morte m'invita,
224.8quand'ell'è tutta da mie vita ascosa.
225.1I' la seguo e adoro col mio core
225.2questa rosa leggiadra;
225.3sempre disio sanza triegua un'ora,
225.4e io non veggo in lei ardere amore.
225.5Ma però questa strada
225.6lasciar non deggio, posto ch'io ne mora.
225.7Sua infinita bellezza il mondo onora,
225.8ch'è cosa trïunfante;
225.9onde: piatà, piatà al fermo amante!
226.1Ma, quando veggo il suo leggiadro sguardo,
226.2avampa il core una dolcezza diva,
226.3isfavillando amor nell'alma lieta;
227.1sicché felice in foco e 'n ghiaccio i' ardo.
227.2O buon destino, o benigna pianeta,
227.3quando opri ch'i' mi specchi in questa diva!»
228.1Così pens'io, e sì di riso in pianto
228.2men gìa col tempo di letizia pieno,
228.3ch'udia quanto amore e grolia ha vanto.
229.1Subito che 'l cantar si venne meno,
229.2ognun ridea in suo atto gentile:
229.3è pien di fior il capo, il petto e 'l seno.
230.1Sì benigno aere mai non ebbe Tile,
230.2né si fiorita fu né pien di fronde,
230.3e mancheria a dirlo ogni istile.
231.1Mentre tra' fiori e le fontane e l'onde
231.2i' rimirava, senti' un fracasso
231.3e gridar: «Piglia, piglia pria s'asconde!»
232.1I' mi volsi, e vidi un che già lasso
232.2venìa fuggendo, e ridea tanto forte
232.3che la velocità toglieva il passo.
233.1E dietro a lui duo damigelle accorte
233.2il seguitavan per quella foresta,
233.3che fa d'Amor leggiadra e ricca corte.
234.1«O quanta vaga e trïunfabil festa
234.2— disse Cupido a me, che stava attento
234.3di sapere o lor voglia o lor molesta —,
235.1tu sì n'arai, e rimarrai contento!
235.2Raguarda qui: ne viene il giovinetto
235.3che fugge avanti, ma non per pavento».
236.1Presto venuto, quel gentil valletto
236.2gittossi in mezzo della vaga ischiera,
236.3e tutto istanco fé dell'erba letto.
237.1Le damigelle, ciascuna lieta e altera,
237.2addosso presto a lui sì si gittaro
237.3e non tenêrsi pel loco in che era,
238.1e quivi insieme sì si voltolaro
238.2e' si iscotea, e ella il tenea forte,
238.3tanto che l'altre a ciò preson riparo,
239.1dicendo: «O che spiacere, o che ria sorte
239.2è vostra lite, ditecene il vero
239.3per cortesia, deh, fatecene accorte!»
240.1«E' ci ha rubato con parlare altero».
240.2Più oltre non dice, o che, né come
240.3la vaga pulzelletta al cor sincero.
241.1«Tu che m'odi, ha' tu di ladro nome?»
241.2Presto risponde alla domanda lieta:
241.3«Tosto iscarcate me di queste some.
242.1I' vi dirò con voce più quïeta
242.2quel c'ho rubato, perché, come e quando
242.3e perché ciaschedun d'esta mel vieta».
243.1Quel lieto cor disse: «Esto dimando:
243.2ch'assai giusto è preso». Le donzelle
243.3liberaro quel forte, ancora ansando.
244.1Elle dicon, le due leggiadre stelle:
244.2«Deh, quanto fa gran mal chi parla cosa
244.3che 'ngiuri altrui per piacere o novella!»
245.1Il giovan disse: «Certo e' non ha cosa,
245.2e vostra fiamma anzi è ben nota assai
245.3a ciaschedun d'esta vita amorosa.
246.1Però cantar vogliate i vostri lai
246.2in piacer di voi stessi e sì d'Amore
246.3e sì di questi giovanetti gai».
247.1Po' si rivolse a que' che con ardore
247.2d'udire stavan tutti attenti e cheti,
247.3e disse: «Prima ch'io apri lo mio core,
248.1licenza vo' da questi spirti lieti,
248.2vaghi e gentili più che crïatura,
248.3e d'Amor dilacciati alle sue reti».
249.1Elle, sghignando con lor vista pura,
249.2sì dice: «Non cianciare omai, ch'è tempo:
249.3rendici il nostro, e faccene sicura
250.1della fé data non è agual tempo;
250.2e poi ne dirai quanto a te piace,
250.3licenza avendo dirne in ogni tempo!»
251.1«Deh, vogliate cantar l'ardente face
251.2e far chiaro costoro come stesti
251.3— rispose loro — in gloria e 'n tanta pace,
252.1quando con vago canto mi dicesti
252.2tu del parlar che facesti al tuo amante:
252.3e tu quel che dal tuo tu ricevesti?
253.1I' sì rubai con un disio costante
253.2e filice in amor quanto innumano,
253.3dove si leggon queste note sante».
254.1E tosto sì mostrò a mano a mano
254.2quel che dicea a loro esser vero,
254.3sicché ciascun ne rimase certano.
255.1Quel che l'udîr sembiante dolce fêro
255.2alle donzelle con umìl parlare,
255.3ch'arrossat'eran pel parlar sincero.
256.1«Deh, non vogliat'a questi essere avaro
256.2a ridir vostra grolia e vostra laude,
256.3ché dirlo a voi debb'esser sempre caro,
257.1perch'io veggo che 'n voi tanto si scalde
257.2fama d'amore e tanta gentilezza:
257.3di fare a voi piacere il cor ne scalde.
258.1I' farò più per dar bene allegrezza
258.2ch'io canterò sonando una vïola,
258.3quanto infiammato son d'altrui bellezza».
259.1Sì le rispose; e questa meco sola
259.2il simil si farà, cantando quello
259.3che ricevea da quel che 'l cor le 'nvola.
260.1«Però fate che questo tanto fello
260.2quel c'ha rubato presto a noi ne renda,
260.3ché dovute non rimangan con ello».
261.1E quel ladro gentil, che ciò intende,
261.2presto rende quant'era addimandato
261.3e, per udir cantar, tutto s'incende.
262.1Ciascun che venìa intorno e dallato
262.2seder si ponea lieto e attento,
262.3per udir quel bel canto innamorato.
263.1E così cominciò col cor contento:
264.1«O gentil creature di quel cielo,
264.2dove Venere rota il suo crin d'oro,
264.3per cui è fedito d'amoroso telo
264.4ogni gentil dal vostro santo coro,
264.5i' mi trovo in tale ardente gelo
264.6ch'è mestier soccorriate al mio lavoro
264.7a cantar cosa che 'nfiammi d'amore
264.8il mio gentile e tanto bel signore!
265.1I' ho eletto te, idol mie vago,
265.2tanto leggiadro e pien di gentil cosa:
265.3quando ti miro ogni mie senso appago.
265.4Perché tuo vita è molto grolïosa
265.5da te seguire e Amor mai mi spago;
265.6e però non tener tuo vista ascosa
265.7a chi t'ama e adora, segue e brama,
265.8grolïa, esalta e pur te sì ama.
266.1I' sì mi ispecchio nel tuo gentil viso,
266.2dove mie gloria ha lucenti occhi lieti;
266.3i' sì mi specchio nel leggiadro riso,
266.4per cui i mie sensi istanno tutti cheti.
266.5Specchiomi nel parlar di paradiso,
266.6che tu fai col par, onde m'asseti
266.7d'un amor che 'n te piove gentilezza,
266.8onestà, leggiadria, somma bellezza,
266.9la chioma fresca intorno a quella fronte,
266.10le vaghe ciglia sì leggiadre e conte».
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