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1.1Corre 'l sesto anno, s'al contar non fallo,
1.2Scotto, che a far più chiaro il vostro nome,
1.3dal re chiamato, andaste in Portogallo:
2.1e fra me stesso ripensando come
2.2sì lungo tempo in lacrimare ho speso,
2.3io mi sento arricciar tutte le chiome.
3.1Quel dì che vi partiste, il sol conteso
3.2ne fu da la sorella, e quel dì fue
3.3da più bel lume il mio intelletto offeso:
4.1patiro eclisse in un giorno ambidue,
4.2ma Febo un'ora e l'intelletto mio
4.3ben cinque anni smarrì le forze sue.
5.1Dunque, se tardi scrivo, è sol perch'io
5.2in così cieco e tenebroso stato,
5.3gli amici posi e me stesso in oblio:
6.1ma se muto con voi sin qui son stato,
6.2da troppo affanno oppresso, io ricompenso
6.3con lunga istoria il mio tacer passato.
7.1Dirò qual fosse il mio bel foco e penso
7.2poter parlar con voi liberamente,
7.3ch'ancor voi foste in simil fiamme accenso;
8.1e Licorida il sa, che fu possente
8.2farvi smarrir tutti gli spirti un giorno
8.3ad un sol motto più che stral pungente.
9.1Quel vi trasse a Bologna illustre scorno
9.2ad imparar ciò che Ulpiano insegna,
9.3e dotto e saggio fêste a noi ritorno;
10.1indi colui che in Lusitania regna,
10.2seco vi volse e fa col saper vostro
10.3la scuola di Coimbria assai più degna.
11.1Ma riserbando a più purgato inchiostro
11.2le vostre lodi, torno a le mie pene,
11.3ch'altrove scritte e ne la fronte mostro:
12.1voi, come a l'amicizia si conviene,
12.2ben mi sarete d'un sospir cortese,
12.3se questo suon tant'oltre a voi ne viene.
13.1Io dico che quel giorno Amor mi prese,
13.2che nel vostro partir sì lunga schiera
13.3a farvi scorta insino al Tebro scese.
14.1Su la riva del fiume in quel punto era
14.2gentil garzone di bellezze conte,
14.3che si sedea su l'erba in vista altiera:
15.1le costui dolci parolette pronte
15.2fùr le mie reti e le maniere accorte
15.3che con voi tenne nel varcar del ponte.
16.1L'avea bene io le sue fattezze scorte
16.2altre fiate, ma quel giorno fôro
16.3che mi strinsero al cor nodo sì forte:
17.1la bocca, gli occhi, il fronte e 'l bel lavoro
17.2del crin vinceva (e son nel mio dir parco)
17.3rubin, perle, zaffiri, avorio ed oro.
18.1Porti Giove lo strale e Febo l'arco,
18.2Marte lo scudo, e quel bel volto miri
18.3e fugga poi, se può, di lacci scarco.
19.1O mio folle desio, tu pur mi tiri
19.2a ricordar quel volto, oimè! da cui
19.3non ebbi mai se non guerra e martìri!
20.1Ah che fu meglio lacrimar per lui
20.2che gioir per qualunque, e la bellezza
20.3sua riverir che posseder l'altrui!
21.1E s'egli sempre t'ha sprezzato e sprezza
21.2a la tua indegnitate il tutto ascrivi,
21.3non a sua crudeltà né a sua durezza;
22.1e se par che i tuoi passi ancòra schivi,
22.2tu da lungi l'inchina e con lo spirto
22.3sempre l'adora e di lui parla e scrivi.
23.1Di' come al crine inanellato ed irto
23.2in quel giorno tessea Venere e Flora
23.3qual ghirlanda di rose e qual di mirto;
24.1di' come il biondo suo vince e scolora
24.2l'ambra, il topazio, l'oro e qual somiglia
24.3che nel ciel pinge al suo partir l'aurora;
25.1de la fronte il sereno e de le ciglia
25.2il sottil arco e 'l ben locato naso,
25.3che stupir fanno altrui di maraviglia.
26.1Ma qual musa di Cinto o di Parnaso
26.2scende a parlar de le due chiare stelle
26.3che fùr del viver mio l'orto e l'occaso?
27.1Il ciel non vide mai luci sì belle:
27.2qui pose Amor l'insegne e: — Queste — disse —
27.3sieno i miei lacci, i dardi e le facelle. —
28.1Vidi, tenendo in lor mie luci fisse,
28.2versar gioia, dolcezza e grazia e quanto
28.3ne le tre suore il Fiorentino scrisse:
29.1quel non so che divino e da lui tanto
29.2e dagli altri accennato e non espresso,
29.3si scorgea chiaro in quel bel lume santo;
30.1e, se non era il batter gli occhi spesso,
30.2tanto splendor mirando, io sarei morto,
30.3da soverchia dolcezza il core oppresso.
31.1Paradiso terreno e celeste orto
31.2dirò le guance, dove eterno aprile
31.3tra rose e gigli siede a suo diporto;
32.1corallo, avorio o cosa altra simile
32.2de la sua bocca al bel vermiglio, al bianco,
32.3ed al parlar non giunge alcuno stile;
33.1né ritrar posso col mio dir già stanco
33.2e le mani e le braccia e 'l petto e 'l collo,
33.3le gambe e i piedi e l'uno e l'altro fianco.
34.1Nudo il bel corpo s'alcun mai mirollo,
34.2sembra la dea che 'l Vatican vagheggia
34.3in vivo marmo col suo chiaro Apollo.
35.1O fermi gli occhi o giri, o vada o seggia,
35.2o parli o taccia, o sia pensoso o lieto,
35.3di grazia Pito e Pasitea pareggia.
36.1Col ciglio, che può far tranquillo e queto
36.2il mar, quando è più irato, a me si volse.
36.3affabile, benigno e mansueto;
37.1e fra cinqu'altri che in disparte accolse,
37.2io fui pel sesto al bel numero eletto,
37.3come Fortuna, Amore e 'l Destin volse.
38.1Così, fuggendo 'l sole, a noi fêr letto
38.2sotto grat'ombre, fresch'erbette e nove
38.3e sino a sera stemmo in quel diletto.
39.1Io non potea rivolger gli occhi altrove
39.2che nel bel viso e contemplava intento
39.3quei divini occhi da far arder Giove:
40.1vedea l'erba fiorir, fermarsi 'l vento,
40.2pur che movesse piede o braccio o mano
40.3e gli rideva intorno ogni elemento:
41.1mi sembrava celeste e non umano
41.2il riso, il canto, il suon de la favella
41.3e d'ogni indegnità sempre lontano.
42.1Sicilia ancor di Galatea favella;
42.2ma simile a costui mai non vedremo,
42.3e l'età prisca venga e la novella.
43.1Non discoperse mai vela né remo
43.2del vostro re sotto 'l più ardente clima
43.3sì novo antropofago o polifemo,
44.1che non avesse l'amorosa lima
44.2sentita al muover di sì dolci rai
44.3e giù deposta ogni fierezza prima.
45.1Era di maggio e gli uccelletti gai
45.2ragionavan d'amore e l'erbe e l'acque:
45.3qual maraviglia poi s'io m'invescai?
46.1Quanto poi vidi dopo lui mi spiacque:
46.2ma, com'egli s'accorse, ebbe più a schivo
46.3la vista mia ch'a me la sua non piacque;
47.1e me n'andai d'ogni sua grazia privo,
47.2ed era di mercé chiamar già roco,
47.3per lungo spazio ognor fra morto e vivo.
48.1o sentia consumarmi a poco a poco
48.2né sapea disamar né trovar modo
48.3che non prendesse ogni mio male a gioco;
49.1alfin, come pur d'Ifi infelice odo
49.2con altro laccio, se maggior paura
49.3non m'affrenava, avria troncato 'l nodo.
50.1Io godea sol per furto e per ventura
50.2la disiata vista e i cari accenti,
50.3né più chiedea la mia voglia alta e pura:
51.1convien ch'io formi tutt'il giorno e tenti
51.2nove chimere e nove imprese e cange
51.3vari costumi e luoghi e varie genti.
52.1Crispo allora, nostr'Argo, il duol che m'ange
52.2vede e me spinge a custodire 'l gregge
52.3nel sasso che Sentino arrota e frange.
53.1O infortunata mandra, a te pon legge
53.2un miser servo, e chi de' sensi è fuore
53.3le pecorelle tue governa e regge!
54.1Non per assenzia scema il cieco ardore;
54.2valli profonde cerco, erte pendici;
54.3ma sempre al fianco io mi ritrovo Amore.
55.1Oh quante volte i miei lumi infelici
55.2lacrimando volgea verso quel cielo
55.3che più ricopre i nostri colli aprici!
56.1Squarciato alfin d'ogni rispetto il velo,
56.2torno bramoso a riveder quel volto
56.3ch'al cor mi fisse 'l velenoso telo.
57.1Veggio i begli occhi e le parole ascolto:
57.2tanto ciascun per me travaglia e prega
57.3ch'io son da lui benignamente accolto;
58.1e compartir talor meco non niega
58.2suoi dolci spassi e boscarecci studi
58.3e, come a fido, ogni pensier mi spiega;
59.1ed io gli scopro i miei candidi e nudi
59.2senza alcun neo; ma contra un cor maligno
59.3non valsero al mio scampo elmi né scudi,
60.1Un ch'era dentro corvo e di fuor cigno
60.2ed al suo nome avea contrari effetti
60.3e ne la lingua il tòsco e 'n bocca il ghigno,
61.1semina in quel cor puro odi e sospetti,
61.2e mi son in un'ora, oimè! ritolti
61.3tutti gli onesti miei dolci diletti.
62.1Né, perché egli sia poi da molti e molti
62.2prieghi costretto, sì de l'odio scema,
62.3ch'un sol detto mi porga o che m'ascolti.
63.1Or, qual fusse 'l dolor, l'angoscia estrema
63.2che di tal privazione 'l cor sentiva,
63.3la memoria sen fugge e la man trema
64.1né sostien che più oltre in carte io scriva.
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