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1.1Signor curato, mi son pure accorto,
1.2e l'ho sentito del sicuro a dire,
1.3che, s'io non fossi vivo, sare' morto;
2.1e che, se noi abbiamo da spedire
2.2qualche nostro affaruzzo di presente,
2.3bisogna farlo prima di morire;
3.1perchè m'ha detto ancor di molta gente,
3.2che quando un uomo ha tirato le calze,
3.3e' non c'è modo di far più niente.
4.1Però conviene ch'io mi sbracci e scalze,
4.2e ch'io venga con quattro miei versacci
4.3a trovarvi costì fra queste balze.
5.1E intanto ch'io son vivo e fuor d'impacci,
5.2meni le mani come i berrettai,
5.3e ch'io faccia ben presto e ch'io mi spacci,
6.1prima che tornin più fitti che mai,
6.2e mi vengano sopra difilato,
6.3e m'empiano d'un fregolo di guai.
7.1Perchè, se voi lo sapeste il mio stato,
7.2parrìa ch'io vi contassi delle baie,
7.3e vi direi il ver, signor curato.
8.1Ma queste ciarle sieno le sezzaie:
8.2ne parleremo poi, quando non ci abbia
8.3dell'altre cose più gioconde e gaie.
9.1E perch'io paio un gufo in una gabbia,
9.2o in su la gruccia a far rider gli uccelli,
9.3mi rincresce scoprirmi, e monto in rabbia.
10.1Intanto io vi ringrazio di que' belli
10.2saluti, che di spesso voi mi fate,
10.3or per bocca di questi ed or di quelli.
11.1Ma certo, signor caro, v'ingannate
11.2a tenermi per un virtuosaccio,
11.3a darmi quelle lodi sperticate;
12.1ch'io veramente sono un suggettaccio
12.2che studio solamente il Pecorone,
12.3e in altre cose non vaglio uno straccio.
13.1Io sono, verbigrazia, un compagnone
13.2che mi piace di ridere e gracchiare
13.3co' miei amici in conversazione.
14.1Io non mi curo molto di studiare,
14.2perchè mi dicon che chi studia troppo
14.3va a rischio di morire o d'impazzare.
15.1Io, che vi corro, come di galoppo,
15.2verso la casa di Monna Pazzia,
15.3per Dio che vi cadrei senz'altro intoppo.
16.1E poi perchè volete ch'io mi dia
16.2allo studiar, ch'or non si stima un'acca,
16.3e sol si stima la poltroneria?
17.1E dappoi che la nuca ti si stracca
17.2in sur i libri, infine a capo d'anno
17.3tu fai l'avanzo che facea 'l Cibacca.
18.1Togliamoci, signor, da questo inganno
18.2di volere studiar fino alla morte,
18.3e mandiamogli i libri al lor malanno.
19.1Oggi co' libri non si fa più sorte;
19.2non è più 'l tempo che Berta filava;
19.3e le genti dabbene sono morte.
20.1Non è più 'l tempo che si regalava
20.2di scudacci lampanti e di fiorini
20.3un sonettuzzo che finisse in “ava”.
21.1Adesso se ne van sbrici e meschini
21.2involti dentro a un piccolo tabarro
21.3i poeti ch'un tempo eran divini:
22.1e forz'è che uno spirito bizzarro
22.2si pasca sol di fumo e invano aspetti
22.3di pigliare la lepre con il carro.
23.1Oh sieno delle volte benedetti
23.2più di millanta color ch'hanno il mondo
23.3dentro a' loro preteriti perfetti!
24.1E fra questi voi siete, il mio giocondo
24.2signor curato, il quale non avete
24.3adesso d'altri un bisognino al mondo;
25.1e vi godete la vostra quiete,
25.2e mangiate, e beete, e poi dormite,
25.3quando n'avete voglia, e che potete.
26.1Voi ne farete pur delle stampite
26.2in su quel chitarrone alto e sonoro
26.3che potrebbe trar l'anime da Dite.
27.1E sempre intorno il leggiadretto coro
27.2avrete delle Muse, che lontane
27.3se ne stan dagli strepiti del fòro:
28.1e scriverete con ambe le mane
28.2in prosa e in versi roba sì squisita,
28.3da mangiarsela tutta senza pane,
29.1e leccarsene ancor l'ugne e le dita.
29.2Oimè che versi, oimè che dolci prose,
29.3oimè che roba, corpo di mia vita!
30.1Quand'io ci vo pensando a queste cose,
30.2mi sdilinquisce dentro al petto il core,
30.3come s'io fossi in mezzo a un pa' di spose,
31.1e ch'ambedue mi amassono d'amore,
31.2e facesson tra loro a chi più bene
31.3mi vuole, e 'l dimostrassono di fuore.
32.1La parità qui non ci calza bene:
32.2ma io l'ho detta pe un verbigrazia,
32.3per una cosa che in bocca mi viene.
33.1Che non credeste, già, per mia digrazia,
33.2ch'io me le andassi così nominando,
33.3perchè le donne mi fossero in grazia:
34.1ch'io vi giuro per la spada d'Orlando
34.2e per lo 'ncanto di madonna Tessa,
34.3ch'io le vorre' vedere tutte in bando.
35.1Ma sta quistion lasciamola soppressa,
35.2acciò, col dire, scorger non mi faccia;
35.3perchè tal burla che poi si confessa.
36.1Io vo scrivendo giù questa cosaccia,
36.2senza considerar quel ch'io mi faccio
36.3e ci do drento a forza delle braccia.
37.1E voi direte: — Guata cervellaccio,
37.2che non sa nè men e' quel che si dica,
37.3che vuol far del saccente, ed è un babaccio.
38.1E forse monterete in sulla bica
38.2ch'io v'assordi con questi noncovelle
38.3e direte: — Oh che 'l ciel ti maledica!
39.1Ma, poter della luna e delle stelle!
39.2chi cercherebbe di tenere a segno
39.3un cervel ch'abbia in capo le girelle?
40.1Orsù, frenate un micolin lo sdegno,
40.2e lasciate ch'io empia questo vano
40.3ch'io non v'aggiungo, se mi dessi un regno.
41.1Se vedeste il signor prete. . . . . . . .
41.2il quale sta a . . . . . . . . . ed è mio zio,
41.3fategli da mia parte un baciamano.
42.1E ditegli ch'io son vivo ancor io
42.2e ch'e' farebbe il meglio a ricordarsi
42.3alcuna volta un po' del fatto mio;
43.1e ch'ei farebbe bene a dimostrarsi
43.2che non sol di parole ei m'è parente:
43.3ma e' dirà che i tempi sono scarsi.
44.1E intanto che mi cade nella mente,
44.2vi raccomando ancora quel vanerello
44.3dell'Antognin che si farà valente.
45.1Egli è un ragazzo virtuoso e bello;
45.2ma s'ho a dirla propio spiattellata,
45.3egli è un po' leggerino di cervello.
46.1Bisogna fargli una buona lavata;
46.2ch'io vi prometto da quell'uom che sono
46.3che non gli sarà mica una sassata.
47.1Egli ha portato giù dal cielo in dono
47.2un grande ingegno, e se 'l coltiverà,
47.3certo ch'ei si farà molto più buono.
48.1Convien dirgli che s'e' non studierà
48.2la logica, sportel d'ogni scienza,
48.3ch'egli non saprà mai quel che dirà:
49.1e s'e' non pianterà buona semenza,
49.2che delle frutte ne ricorrà poche,
49.3come gl'insegnerà la sperienza.
50.1Ma sento che gridate: — O quid est hoche?
50.2Saprò ben dir, senza che tu m'insegni:
50.3Hanno a menare i paperi a ber l'oche? —
51.1Per questo io pianto qui d'Ercole i segni,
51.2e dico: — Non plus ultra, o Musa mia,
51.3chè gli uditori ne son pregni pregni: —
52.1e sono stiavo di Vossignoria.
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