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1.1Non men che chiaro, fui maraviglioso
1.2dil dotto ragionar di Filareto
1.3per Apuan dil caso suo amoroso.
1.4E avvenga che per natural decreto
1.5il gioven core abbia il senile esoso,
1.6nondimen, fuor de l'uso consüeto,
1.7fecemi con la sua dottrina piano
1.8che era indutta Mirina amare Apuano.
2.1Però gli dissi: – Certo un core egreggio
2.2non può fallire, Apuan, che la Mirina
2.3non avesse e portasse in terra il preggio
2.4d'ogni altra ninfa vaga e peregrina,
2.5poi che te solo de l'uman colleggio
2.6ha eletto e cognosciuto tua dottrina,
2.7e in lei son risonate tue parole
2.8come cetra con cetra unison suole.
3.1E se l'è il ver che già la effigie umana
3.2(come dice lo angelico Platone)
3.3di simiglianza fusse assai lontana
3.4a questa nostra, e fussen le persone,
3.5maschio e femina, un corpo e mente sana,
3.6da Dio create in tutta perfezione,
3.7però l'omo in superbia si levasse
3.8e Dio per questo poi gli seperasse,
4.1tengo per certo, e ognuno il giuraria,
4.2che del nostro Apuan Mirina cara
4.3l'altra mitate veramente sia –.
4.4Unde Apuan con fronte ilare e chiara
4.5mi rengraziava de l'arguzia mia.
4.6E poi per mano ne l'ornata e rara
4.7stanza menommi, e ne la sala amena
4.8era apparata dilettevol cena.
5.1Sedendo a questo placido convito,
5.2a me vòlto Apuano così disse:
5.3– Fregoso, l'ordin vedi qui fornito
5.4del convivare, come già alcun scrisse,
5.5che a far che un bel convivio sia compito,
5.6el numer di tre o nove glie supplisse
5.7de gli assettati, e se più son, confonde,
5.8ché 'l numer bene in sé non corresponde.
6.1Perché il tre le tre Grazie rappresenta,
6.2le nove Muse il nove, come ho letto,
6.3sì che prego tua voglia sia contenta
6.4di non guastare il numero perfetto,
6.5poi che par nostra stella lo consenta
6.6di star con noi in questo bel ricetto,
6.7ché sempre ne sarai qual fratel caro,
6.8e Dio gode del numero non paro.
7.1E così noi del numero ternario
7.2come fa il cielo goderemmo insieme.
7.3Non sia, ti prego, al mio voler contrario,
7.4poi che quasi una sorte ambidoi preme,
7.5come hai detto, e fra noi poco è il ciel vario –.
7.6E io a lui: – Per fin che l'ore estreme
7.7giongan de la mia vita, esser tuo voglio,
7.8e or non poter star teco mi doglio –.
8.1Ma pur tre giorni nel castel prestante
8.2stetti con tanta pace e contentezza,
8.3che lingua umana a dir non è bastante
8.4lo amor, la carità, domestichezza
8.5che a me mostrôr quelle persone sante.
8.6E aveva mia mente così avezza
8.7al parlar dotto e sua quïeta vita
8.8che molto io lacrimai ne la partita.
9.1Nel dimandare a questi poi licenza,
9.2piansero meco e io con lor piangeva,
9.3e fecero al partir mio resistenza.
9.4Poi che essergli sì grata io cognosceva
9.5la mia conversazion, la mia presenza,
9.6in breve ritornar gli prometteva;
9.7e perché non sapeva ben la via,
9.8mi derno un fido servo in compagnia.
10.1La via dico de andare al casto regno
10.2di quella dea che ha tanto esoso Amore,
10.3e di riaver usar vòlsi ogni ingegno
10.4i cani mei, che sì me eran nel core.
10.5Però montato sopra un picciol legno
10.6io sol con quel gentil suo servitore,
10.7navigammo a seconda per il fiume,
10.8come il burchiello avesse avuto piume.
11.1E perché caminava senza remo
11.2la barchetta veloce giù a seconda,
11.3tenendo in man lui solamente il temo,
11.4sedendo io in mezzo l'una e l'altra sponda
11.5gli dissi: – Oppresso son da un sonno estremo;
11.6dicesi che una compagnia gioconda
11.7ogni tediosa via fa parer breve,
11.8però scacciam parlando il sonno greve –.
12.1E ello a me: – Certo era in gran pensiero,
12.2però fantasticando io stava queto.
12.3Di quel che in mente avea, ti dirò il vero.
12.4Pensava sul parlar di Filareto,
12.5qual teco ebbe l'altrier nel bel verzero,
12.6che di dubi il mio cor tutto ha repleto.
12.7E ben che nulla in me dottrina sia,
12.8se ascolti, ti dirò mia fantasia.
13.1Dico così, che ognuno è saturnino,
13.2Fregoso mio, quando gli manca il vitto;
13.3donque letizia vien dal pane e 'l vino
13.4e non dal cielo, come alcuni han scritto.
13.5Non è omo sì lieto e peregrino
13.6che, mancandogli il pan, non paia afflitto
13.7e sempre al cor non abbia estrema doglia,
13.8sia il genio suo di qual stella si voglia.
14.1Sia pur de la più eletta complessione,
14.2che più piace, sanguigna o d'altra sorte,
14.3patendo fame, faccio conclusione,
14.4sempre gli vederai le guance smorte.
14.5E tengo quasi ferma opinïone
14.6letizia e duolo il cibo seco porte,
14.7ché se vedi alcun grasso e rubicondo,
14.8il vino è il genio suo che 'l fa giocondo.
15.1Veduto ho mille volte in vita mia
15.2alcun che pare un santo al naturale,
15.3se avvien che vada dentro a l'ostaria,
15.4uscirne poi di fuor tutto marziale.
15.5Questo non credo già sua stella sia,
15.6anzi credo più presto sia il boccale
15.7che l'abbia così presto trasmutato,
15.8e il novo influsso nel suo petto dato.
16.1E sarà tanto di furore acceso,
16.2che per quel tallor forse sarà occiso.
16.3Che questo influsso sia dal ciel disceso,
16.4qui non tel saprei dire a l'improviso,
16.5perché mi pare un caso di gran peso –.
16.6Non potei far ch'io non movesse il riso
16.7sentendo astrologia sì rara e nova,
16.8che un'altra forse tal non si retrova.
17.1– Tu ridi, Filerèmo, ascolta un poco.
17.2Non vedi per mangiar calde vivande
17.3in noi accenderse il venereo foco?
17.4Ché chi bevesse l'acqua e mangiar giande,
17.5non arebbe il venereo influsso loco
17.6sopra a noi, qual tallor par poi sì grande.
17.7Donque lo influsso in noi vien molte volte
17.8per le cose che sono in cibo tolte.
18.1Se per cibi la vita si mantiene,
18.2forza è da' cibi lo intelletto prenda
18.3la nostra vita, che gli pensa bene.
18.4Quale è donque colui che non comprenda,
18.5che quello ingegno, quale in ognun viene,
18.6da terra nasca e non dal ciel descenda?
18.7Io non arei potuto mai tacere,
18.8ch'io non ti avesse ditto il mio parere –.
19.1E io resposi a lui: – Guarda da frati
19.2la tua persona, e le pazzie non dire;
19.3in mari non intrar profondi e lati,
19.4ché non hai remi da poterne uscire.
19.5Ma ti perdono adesso i toi peccati,
19.6ché siamo in barca e or non puoi fallire:
19.7se in altro loco questa cetra soni,
19.8una mitra ti vedo di cartoni.
20.1Saturnin non è ognun che è mal contento,
20.2che non è per natura, ma accidente.
20.3Le meretrici nel suo mal convento
20.4tutte Vener non han per ascendente.
20.5Il saturnino vero pensamento
20.6relligioso fa l'om, grave e sapiente,
20.7e Vener, che è nel ciel di tre Grazie una,
20.8graziosa sempre dà la sua fortuna –.
21.1E poi suggionsi: – Vai, qual ceco, a tasto;
21.2lascia questo pensier, fa quel che io dico,
21.3ché questo ragionar non è tuo pasto.
21.4Io te consiglio come fido amico:
21.5guarda non sia dal foco in cener guasto.
21.6Guàrdate molto ben, ch'io tel replìco.
21.7Però pigliamo altro sogetto lieto,
21.8di questo sarai chiar da Filareto.
22.1Dimmi, ti prego, se amoroso foco
22.2te ha acceso al core alcuna villanella,
22.3però che parmi conveniente loco
22.4a simil fiamma quella stanza bella.
22.5Voi stati in ozio, anzi pur tutti in gioco,
22.6il qual de la venerea facella
22.7è nutrimento; e ornato sì ti vedo:
22.8che non sia alquanto tocco, io non tel credo –.
23.1E ello a me: – Se 'l mio patron sovrano
23.2(come inteso hai) è ancor de Amor sogetto,
23.3quantunque abbia il suo capo alquanto cano,
23.4vecchio non già, ma ne la età provetto,
23.5e io qual sono qui giovene e sano
23.6non albergarò Amor dentro al mio petto?
23.7Poi che arse, Apuan fu sempre più polito
23.8e come Fenice è reingiovenito.
24.1In quella stanza mai non si ragiona
24.2salvo di lettre, amore o de la caccia;
24.3credilo a me, che non gli sta persona
24.4che gentil esercizio alcun non faccia:
24.5qual de la cetra, qual di lira sona,
24.6fin a colui il qual la casa spaccia
24.7sì dolcemente tocca la sua piva,
24.8che pare il sono il quale Argo addormiva.
25.1Questo fa Amore, e se vedessi un giorno
25.2ballar mia ninfa al suon tanto leggera,
25.3che quasi il vento ne averebbe scorno,
25.4e con qual vaga e angelica maniera
25.5girando invilupparsi i panni a torno,
25.6– Mi maraviglio che costui non pera –,
25.7diresti, – e a quel ballo i circostanti
25.8di fiamma non diventin tutti quanti –.
26.1Or pensa poi di me quel che esser deve,
26.2ch'io l'ho per mano e son propinquo al foco,
26.3che in le Alpi accenderia la fredda neve;
26.4e quello immenso ardore a me par gioco,
26.5ché Amore ogni gran mal fa parere leve.
26.6Allora ogni altro bene io stimo poco,
26.7perché per mano aver mi par di certo
26.8quanto di bono al mondo ha il cielo offerto –.
27.1– Dimmi, Ergotele mio, se di bon core
27.2l'ami –, gli dissi, – perché vedo spesso
27.3in lo amoroso nome grande errore;
27.4però che questo amor, qual se usa adesso,
27.5odio più vero si può dir che amore –.
27.6E ello a me: – Più l'amo che me stesso,
27.7e giuro che mia fiamma è di tal sorte,
27.8che ognor per lei esponereimi a morte –.
28.1E io a lui: – Vorèstu che Fortuna
28.2Esaltasse costei in tanta altezza,
28.3che non gli bisognasse cosa alcuna?
28.4E fusse più estimata sua bellezza
28.5che de altra donna sia sotto la luna?
28.6Poi così bella e in così gran ricchezza
28.7fusse nel mondo de una tanta fama
28.8de ogni virtù, quanto alcuna altra dama? –.
29.1– Oh –, disse allor, – sì magna io non vorei
29.2che fusse, ché di me non cureria:
29.3eguale a tanta altezza io non sarei,
29.4né estimarebbe servitute mia.
29.5Fregoso mio, io farei ben per lei
29.6quello che forse alcun nol crederia;
29.7e sua vergogna arei sì in dispiacere,
29.8quanto altro affanno io potesse avere –.
30.1– È questo il vero amore? –, io glie resposi,
30.2– Vedi che l'ami sol per tuo diletto,
30.3come fanno i vulgar cori amorosi.
30.4Se avessi vero amor dentro al tuo petto,
30.5sua bona sorte e gli atti virtüosi
30.6e ogni altro suo bene aresti acetto;
30.7ché se lo amante vive ne l'amata,
30.8deve ogni sua felicità aver grata.
31.1Donque per cara e dolce tua consorte
31.2ché non la prendi, se ti piace tanto?
31.3Così la goderai fine a la morte
31.4e sempre arai il suo bel viso a canto –.
31.5Respose ello: – Non vuol mia iniqua sorte,
31.6qual lei e me da poi terrebbe in pianto.
31.7Se a sostentar me solo ho gran fatica,
31.8saria mia vita poi con lei mendica –
32.1– Se un altro per te intrasse in questa impresa,
32.2Ergotele, averèstu doglia estrema? –.
32.3Disse ello allora: – Il ciel maggiore offesa
32.4non potria farme e che il mio cor più prema.
32.5Questo grave pensier tanto mi pesa,
32.6che ogni mia vena e ogni mio membro trema,
32.7pensando sopra lo infelice giorno,
32.8nel qual debb'io vedere un tanto scorno –.
33.1– Donque non l'ami? – – Io l'amo, e con più affetto
33.2che Orfeo la sua, e molto più che quello
33.3che al fonte si cacciò la spada in petto.
33.4E poi che siamo intrati in parlar bello,
33.5delibero scoprirti un mio concetto,
33.6qual gran tempo ho nel core e nel cervello,
33.7e però voglio adesso interrogarte
33.8qual opra meglio: o la Natura o l'Arte –.
34.1– Indubitatamente la Natura –,
34.2io glie resposi, – e tanto quella eccede,
34.3quanto fa l'omo vivo la pittura –.
34.4– Donque –, disse ei, – una sincera fede
34.5e un naturale amor molto più dura
34.6che il fatto ad arte, qual da un – sì – procede,
34.7da un – sì – che in matrimonio ha tanta forza,
34.8qual gli uman liga e spesso ad amar sforza.
35.1E come palma è il generoso core,
35.2la qual fa contra il peso resistenza.
35.3E però spesse volte quello amore
35.4a molti fatto par con vïolenza,
35.5a i quali poi convertesi in dolore;
35.6ma quel che fa Natura ha più veemenza,
35.7sì come ne le tortore si vede
35.8servare intera l'amorosa fede.
36.1A che donque il dur nodo coniugale,
36.2se io l'amo molto più che la mia vita
36.3d'un vero amor sincero e naturale
36.4e seco l'alma mia sta sempre unita?
36.5Se mi sforzasse alcun, gli vorei male,
36.6e contra forza ognun che può se aita.
36.7Ma ad adorar mia dea me induce il cielo
36.8e Amor col suo fatale e aureo telo –.
37.1– Dimmi, Ergotele mio, se diventasse
37.2la tua ninfa gentil tanto deforme,
37.3quanto altra che qua intorno si trovasse,
37.4ardendo seguirèstu le sue orme?
37.5Credi tu che 'l tuo cor più l'adorasse,
37.6essendo contrafatta e tanto enorme?
37.7Io il credo, e giurarei per cosa vera,
37.8l'aresti a noia come una megera –.
38.1Restò Ergotele allor tutto confuso,
38.2pensando la risposta sua dubiosa
38.3che far dovea per non restar deluso,
38.4e al fin disse: – Certo è strana cosa
38.5volersi alcun condure in campo chiuso
38.6a combatter senza arme, e vergognosa
38.7ha la vittoria chi con quel contende,
38.8se armato come lui non si defende.
39.1Da la Natura hai l'arme e da accidente,
39.2e io, perché sol gli ho da la Natura,
39.3ben cognoscea ch'io restarei perdente,
39.4ché hai l'asta in mano e duplice armatura,
39.5non essendo io armato parimente,
39.6ché la dottrina mai non fu mia cura.
39.7A pena e con fatica io leggo e scrivo,
39.8sì che tu vinci armato un de arme privo.
40.1Che l'amo io il so; quel ch'io facesse allora
40.2se sì deforme fusse, io nol so dire
40.3e di saperlo ancor non mi curo ora.
40.4Tu potrai a tuo modo a me arguire,
40.5ma dal mio petto mai non trarai fuora
40.6lo amoroso e ardente mio desire.
40.7E chi per ragion lassa la esperienza,
40.8mostra certo signal di gran demenza –.
41.1Finito che ebbe la resposta arguta
41.2il gentil servo, io mossi allora il riso,
41.3al qual stretta la briglia avea tenuta.
41.4Vòlto ver lui con amichevol viso:
41.5– Tanta prontezza io non arei creduta –,
41.6dissi, – come in te ho visto a l'improviso,
41.7in omo che qua intorno si retrove,
41.8se fatto io non ne avesse ora le prove.
42.1E qui ti lascio la mia fede in pegno,
42.2che pensar non arei potuto mai
42.3fusse in te stato sì sublime ingegno.
42.4Ma poi che come perso errando vai
42.5per sentier torto in lo amoroso regno,
42.6su dritta via da me posto sarai,
42.7pur che 'l tempo servir ne possa un poco,
42.8prima che noi giongamo al casto loco.
43.1Ragionando l'altrier col tuo Apuano
43.2sotto l'ombrosa toppia essendo soli,
43.3ogni secreto suo mi fece piano
43.4de le sue pene e amorosi duoli
43.5e ogni caso suo felice o strano,
43.6perché naturalmente par consuoli
43.7l'un l'altro amico aprirgli il suo concetto,
43.8come a me fece, che mi aprì il suo petto.
44.1E questo tema ragionando prese,
44.2che due Venere al mondo esser dicea,
44.3l'una celeste che dal ciel discese,
44.4l'altra terrena e esser vulgar dea.
44.5E da lui mi fu fatto ancor palese
44.6come ognuna di queste un figlio avea,
44.7quali ambidoi Amore eran chiamati,
44.8de arco e sagitte e ardente face armati.
45.1Di questi Amori, col suo stral pongente
45.2quel che da la vulgar Venere è nato
45.3trafigge il core a ogni animal che sente;
45.4e perché di lascivia fu creato,
45.5lasciva fiamma con sua face ardente
45.6getta nei cori, e il suo magno stato
45.7ogni cosa mortale in sé comprende,
45.8e d'un caldo desio il tutto accende.
46.1Circa cose terrene il suo potere
46.2se estende, come chiaro puoi comprendere,
46.3e in noi prende singular piacere
46.4con ceco foco le medolle accendere.
46.5E però chiaramente puoi vedere
46.6che qual si lascia da sua face offendere,
46.7Ergotele mio caro, acceso ha il core
46.8da oscura fiamma e da vulgare ardore.
47.1Di questo il tuo Apuan meco si duolse,
47.2che gli avea fatto troppo grave offesa,
47.3quando col strale in mezzo il cor gli colse
47.4in la sua prima giovenile impresa,
47.5che quasi in cener tutto si resciolse
47.6de vile e oscuro incendio avendo accesa
47.7ogni sua vena e il petto giovenile,
47.8che ora arde in fiamma lucida e gentile.
48.1Questo è l'arcier che gioventù travaglia
48.2più ch'altro, e il noveletto incauto petto
48.3il fraudolento a suo piacer bersaglia,
48.4sì come avviene a simplice augelletto
48.5che novamente fuor del nido saglia,
48.6il qual securo e senza alcun suspetto
48.7cantando sopra verdi rami aspetta,
48.8fin che a suo modo il balestrier saetta.
49.1Questo fu quel che te trafisse il core,
49.2Ergotele mio car, come ho compreso;
49.3questo fu quel che 'l smisurato ardore
49.4in el tuo petto ha vulgarmente acceso.
49.5Se fussi tocco da quell'altro Amore,
49.6il quale infra gli uman dal cielo è sceso,
49.7certo a me fatto altre resposte aresti,
49.8che quelle che poco anzi mi facesti.
50.1Quel con divina vampa il cor ne accende
50.2e cosa corruttibile e mortale
50.3nel suo felice stato non comprende;
50.4la piaga che in noi fa col sacro strale,
50.5purga l'animo nostro e non lo offende
50.6e fuor ne trae ogni terreno male,
50.7e in la sua fiamma ogni alma peregrina
50.8come oro in la fornace si raffina.
51.1Da l'uno e l'altro Amor fu Apuan ferito
51.2per la Mirina, come vedi chiaro.
51.3Ragione ambidoi strali e lo appetito
51.4temprati avean de liquor dolce e amaro;
51.5però l'un fuor del cor gli è presto uscito,
51.6l'altro è remasto, quel celeste e raro,
51.7e ne l'anima fitto tanto forte,
51.8che trarlo fuora ancor nol potrà morte.
52.1Se cognoscesti la bellezza vera
52.2de la tua ninfa, come il tuo Apuano,
52.3che l'alma or ama sol de la sua fiera,
52.4non solo il vago petto o bianca mano
52.5o le guance rosate e fronte altiera,
52.6l'augusto aspetto e molto più che umano,
52.7ma l'anima gentil, candida e pura
52.8sempre amaresti, perché sempre dura.
53.1Non vedi che da causa corruttibile
53.2nasce il tuo amore, e però poi lo effetto
53.3incorrotto restar non è possibile.
53.4Tu ami solo il suo leggiadro aspetto,
53.5quale è cosa terrena e putrescibile,
53.6e a quel che ha chiuso dentro il bianco petto
53.7non hai risguardo, e è parte megliore
53.8che infra gli umani sia e mai non more.
54.1E se mirata con più acuto lume
54.2l'avesti e il terren velo penetrato
54.3e ne l'animo ogni abito e costume
54.4de la tua amante ben considerato,
54.5il stral che in cor te intrò fine a le piume,
54.6forse sì in dentro non saria passato;
54.7ma tu solo la scorza li mirasti,
54.8né col giudizio tuo più avanti intrasti.
55.1Oh quanti son, che sol la vaga effigie
55.2aman de la sua donna, e l'alma poi
55.3un spirto par de le paludi stigie!
55.4Per questo quanto mal nasce fra noi!
55.5Piglia lo esempio da le genti frigie,
55.6Elena a' quai con i bei lumi soi
55.7fece come far suole il Can celeste:
55.8ben che sia chiara stella, influe peste –.
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