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1.1Inestinguibil sete mi sperona
1.2a volgere il desio e la mia mente
1.3in ver il sacro fonte de Elicona.
1.4E la mia Musa in me tanto è potente,
1.5che un pensier meco sempre mai ragiona
1.6sì come secretario suo prudente,
1.7qual dice spesso a me: – Fregoso, scrive,
1.8ché questo è quel che dopo morte vive –.
2.1Da' suoi recordi allor resto sì acceso
2.2che tutto al fin mi par consunto in vano
2.3il prezïoso tempo in altro speso.
2.4Così con quel calor la penna in mano,
2.5mosso dal mio fatale influsso, ho preso,
2.6per scrivere con stile umile e piano
2.7un mio concetto, il quale in mezzo il core
2.8con la sua mano già gli impresse Amore.
3.1Era nel tempo quando Filomena
3.2su' verdi rami dolcemente plora,
3.3che se ricorda di sua antiqua pena,
3.4e Zefiro con la sua vaga Flora
3.5il bel tempo sereno a noi rimena,
3.6e che ogni cosa viva se innamora,
3.7e virtù piove da l'aurate corna
3.8del Bue celeste, che la terra adorna,
4.1quando in un bel verzer de arbori adorno
4.2prendea sedendo un placido reposo,
4.3sì come cacciator che a mezzo giorno
4.4cerca per reposare un loco ombroso,
4.5ch'ha il dardo in mano e al col gli pende il corno,
4.6e i cani intorno a lui sul prato erboso
4.7giacen tallora, ansando il grato affanno
4.8che a seguitar la fiera sofferto hanno.
5.1Così giacean fra fior vermigli e bianchi
5.2inante a' piedi mei doi cagnoletti
5.3per longa caccia forse allora stanchi.
5.4Vero è che eran de corpo piccioletti,
5.5ma in l'opre magni, generosi e franchi.
5.6Non fece mai Natura i più perfetti.
5.7Questi erano il mio spasso e il mio piacere,
5.8il terror furno questi de le fiere.
6.1Questi già gli ebbe molto grati Amore;
6.2Pensier l'un nome avea, l'altro Desio;
6.3rosso era come un foco il lor colore,
6.4più bella coppia mai più non vidi io,
6.5tal che la magna dea del casto core
6.6arebbe avuto invidia al stato mio,
6.7ché quanto in suo esercizio è l'om più degno,
6.8si è superato, tanto ha maggior sdegno.
7.1O Musa, o Diva mia, poi che a te piace
7.2temperar la mia penna a nove imprese,
7.3manda nel petto mio tranquilla pace;
7.4poi dimmi da qual bosco o qual paese
7.5venne la Cerva candida e fugace
7.6qual questi mei bracchetti così accese
7.7a seguir lei con tanto estremo ardore
7.8per darla in preda al caro lor signore.
8.1Eran l'erbette rugiadose ancora
8.2e tutte di cristal parean coperte;
8.3in orïente la purpurea Aurora
8.4le fenestre del celo aveva aperte
8.5con la man che Titon vecchio inamora;
8.6e già mostrava a noi le cose certe
8.7il chiaro Febo, e in su le cime loro
8.8a gli arbori parean le fronde de oro.
9.1E già gli augelli con suo dolce accento
9.2salutavano il giorno, e già i destreri
9.3d'Apollo più veloci assai che 'l vento
9.4il ciel montavan rapidi e leggeri,
9.5quando io mi mossi non con passo lento
9.6con questi doi mei piccioli lamieri:
9.7lor da catena sciolti, io da ogni cura,
9.8esplorando le selve e la pianura.
10.1Gran pezzo avendo già cercato in vano
10.2il bel paese né trovato mai
10.3fiera selvaggia in così largo piano,
10.4maraviglioso e sazio sì restai
10.5ch'io me revolsi a la sinistra mano
10.6e per fuggir del sole i caldi rai,
10.7in un fiorito prato intrai vicino,
10.8d'arbori cinto a guisa di giardino.
11.1In mezzo gli era un chiaro fonte vivo,
11.2del qual ne fu maestra la Natura,
11.3da cui nasceva un piccioletto rivo
11.4con l'onda chiara, tremolante e pura.
11.5Fondo arenoso avea di fango privo,
11.6con ambe sponde ornate di verdura;
11.7parean col mormorar dir le fresche acque:
11.8– Vener qui, lassa, col suo Adone giacque –.
12.1Così invitato dal mormorio leve
12.2dil chiaro e fresco e limpido ruscello,
12.3cui grata voce mi parea dir: – Beve –,
12.4presi reposo in questo loco bello
12.5e con quella acqua fredda come neve,
12.6sedendo sotto un florido arboscello,
12.7posto al prato il mio dardo e alcuna rete,
12.8a i cani e a me scacciai l'ardente sete.
13.1Un grato vento per le verdi fronde
13.2soavemente sibilava alquanto
13.3e respondeva al strepito de l'onde,
13.4quale armonia a me grata era tanto
13.5che sopra a l'erbe tenere e gioconde
13.6io mi posi a giacer, posta da canto
13.7ogni altra cura, e con la sua famiglia
13.8Morfeo venne a me con gravi ciglia.
14.1E per le membra placida quïete
14.2me infuse sì soavemente ch'io
14.3restai come chi beve a l'onde letê
14.4e tutte l'opre sue pone in oblio.
14.5Ecco la Cerva, per scacciar la sete,
14.6venir di passo in ver il fresco rio;
14.7ma poi che al prato vidde me giacere,
14.8in paurosa fuga cangiò il bere.
15.1Indi partendo timida e leggera,
15.2poi che da me fu delongata un poco,
15.3fermossi a riguardar con fronte altiera
15.4come tenesse i cani e me da gioco;
15.5ma lor vedendo quella bella fiera,
15.6se accesen ambi come ardente foco
15.7e con ansiose voci me destorno,
15.8e per seguirla in piedi ambi levorno.
16.1Io me stimai felice cacciatore
16.2vedendo quella Cerva bianca e pura;
16.3però levato in piè con batticore,
16.4trepido tutto e pieno di paura
16.5de non aver di quella preda onore,
16.6perché so che la caccia è sol ventura,
16.7con i mei cani la seguiva ascoso,
16.8per fin che intrata fu nel bosco ombroso.
17.1Tacito e solo, e pauroso e lieto,
17.2tesi le reti mie con diligenza
17.3a certo passo e loco più secreto;
17.4da poi che ascosa fu da mia presenza,
17.5ambi li cani mei gli lasciai drieto,
17.6e seguendola lor con gran veemenza
17.7e con voci dolenti sì la strinsero,
17.8che in una de le reti mie la spinsero.
18.1Ahi lasso, ché per mio maggior tormento
18.2in l'infelice laccio invilupossi
18.3e via passollo come proprio vento,
18.4e subito da quello alontanossi.
18.5E io che stava tacito e attento,
18.6veloce in ver la preda allor mi mossi
18.7credendola secura avere in mano,
18.8ma il creder mio fu allor fallace e vano.
19.1Vedèstu mai, lettor, il fanciulletto
19.2gettar certi sonagli gonfi e vani
19.3con la cannucia da fenestra o tetto,
19.4e il pazzo sotto con aperte mani
19.5aspettar quelli con un gran diletto,
19.6e poi gli trova al fin essere inani?
19.7Così aspettando questa fiera intento,
19.8mi trovai con le man piene di vento.
20.1Io la credea trovar nel laccio avolta,
20.2lasso! ch'io n'ebbi troppo grave scorno
20.3vedendola fugir leggera e sciolta.
20.4Così pensoso, posi a bocca il corno
20.5e cominciai sonare a la recolta.
20.6Ahimè, ché i cani mei non me ascoltorno,
20.7ma via passando con furore immenso
20.8la seguirno in un bosco ombroso e denso.
21.1Da longe alternamente ambi gli udiva,
21.2e affannato e di reaverli incerto,
21.3con leve corso e gridi li seguiva.
21.4E longo tempo avendo già sofferto
21.5gran pena, e che già più non gli sentiva,
21.6e per non esser del paese esperto,
21.7fermaimi in una via tutto pensoso,
21.8ché 'l sole in occidente era già ascoso.
22.1E dicea meco ragionando: – Ahi lasso,
22.2quanto pazzo è colui che piacer prende
22.3nel qual la pena sia maggior che 'l spasso!
22.4Quanto il breve piacer d'oggi me offende!
22.5Vedo ch'ho speso in vano ogni mio passo.
22.6Ahimè, ché l'esperienza mi reprende
22.7e fa cognoscer qual frutto riceve
22.8chi segue uno animal selvaggio e leve.
23.1Non doveva prezzar tanto una fiera,
23.2ch'io non prezzassi più mia vita assai.
23.3Ben doveva saper se era leggera
23.4e che tenuta non l'arebon mai
23.5mie reti, ché animal per lor non era.
23.6Sì vinto dal suspetto io son, che ormai
23.7ogni arboscello un fiero lupo parmi
23.8o più crudo animal per lacerarmi.
24.1De la mia temeraria impresa aspetto
24.2recever conveniente pagamento,
24.3e or è il primo questo gran suspetto,
24.4qual m'empie il core di mortal spavento,
24.5né ancor son gionto al sanguinoso effetto.
24.6Deh, fussi stato a sciogliervi più lento
24.7e prima ben considerato il fine,
24.8ch'or non sarei fra queste acute spine!
25.1Io sarei fuor di questa selva oscura,
25.2se sciolti io non ve avessi da catena
25.3e di voi e di me più avuto cura.
25.4Il mio appetito e il vostro ardir mi mena
25.5forse in ver morte paventosa e dura.
25.6Poi che seguirvi (ahimè!) non ho più lena,
25.7vostra ostinata impresa ormai lasciate
25.8e a la mia voce e al corno retornate.
26.1Natura è pur de fido cagnoletto
26.2ritornar volontieri al suo signore,
26.3e a me che tanto tempo in vano aspetto,
26.4de far retorno non gli vene in core.
26.5Ah, influsso mio crudele e maledetto,
26.6che per mio affanno e per maggior dolore
26.7a questi cani mei dai tanto ardire,
26.8che fine a morte la voran seguire!
27.1Ah, male esperto! ben dovea sapere
27.2che ogni eccellente e generoso cane
27.3segue con più fervor le magne fiere
27.4e che la Cerva qual vidi stamane
27.5boschi passato avria, colli e rivere,
27.6fuggendo in selve solitarie e strane,
27.7e sempre i cani mei l'avrian seguita
27.8disposti averla o ver perder la vita –.
28.1De mia salute e dil camino incerto,
28.2col corpo lasso e travagliato core
28.3per l'affanno che 'l giorno avea sofferto,
28.4elessi di montar per mio migliore
28.5sopra a un patente faggio ombroso e erto,
28.6che in quella selva piena di terrore
28.7poco anzi per mio albergo aveva eletto,
28.8per fuggir de le fiere il gran suspetto.
29.1Così deposto il mio pongente dardo
29.2e retirato indrieto alquanti passi,
29.3per correre a salir poi più gagliardo,
29.4a certi rami io mi attaccai più bassi;
29.5e s– salito, mentre intorno io guardo,
29.6sopra d'un corno de eminenti sassi
29.7vidi apparer un lume e non lontano,
29.8che portato parea da mortal mano.
30.1Così pien di speranza e timoroso,
30.2fiso quel chiaro lume io rimirava
30.3come fra rami e rami augello ascoso,
30.4e con la mente mia così parlava:
30.5– Deggio descender questo tronco ombroso?
30.6Deh, non! Se gente fia malvaggia e prava,
30.7forse mi spogliarà o darammi morte:
30.8donque meglio è star qui tacito e forte.
31.1E s'io non scendo e ch'io cadesse a terra,
31.2vinto dal sonno in questa oscura notte?
31.3Ahimè, le fiere che 'l gran bosco serra
31.4mi stracciaranno in qualche strane grotte.
31.5Freddo, fame e timor poi mi fan guerra
31.6e ho dal caminar le membra rotte.
31.7Temo non sia possibil di salvarme,
31.8però fia meglio a la ventura darme.
32.1Forse sarà pastor benigno e pio,
32.2a cui rencrescerà mia iniqua sorte
32.3e porgerà soccorso al caso mio;
32.4e se pur fia latron superbo e forte,
32.5ben sarà irrazional crudele e rio,
32.6poi che me arà spogliato, a darmi morte.
32.7E se pur moro, arò questo conforto,
32.8ch'io sarò almen per man de omini morto,
33.1e non d'artigli de animal cruento,
33.2e non da fame o sete o da paura,
33.3e non d'afflato de notturno vento;
33.4non mi sarà negato sepultura,
33.5ché de mia morte forse arà spavento
33.6e getterammi in qualche fossa oscura.
33.7Sì che, ogni modo, voglio gridar forte,
33.8venga che venir vuol, soccorso o morte –.
34.1– O tu qualunque sei su l'alto sasso –,
34.2forte gridai, – che porti il lume in mano,
34.3dègnate, prego, de calare al basso,
34.4sii che tu vogli, o spirto o corpo umano.
34.5Vieni e adiuta uno infelice e lasso
34.6uno infelice cacciatore insano,
34.7insano a seguitar la fiera tanto,
34.8che 'l suo piacer se gli è rivolto in pianto.
35.1Non consentir che in questa selva ombrosa
35.2sia da rapaci fiere lacerato.
35.3Tra'me di questa valle paventosa,
35.4ch'io non sarò del bon soccorso ingrato.
35.5Se l'opra tua mi prestarai pietosa,
35.6ancor sarai di tal pietà laudato.
35.7Non son selvaggio, ben che in selva io sia,
35.8ch'io non sappi che cosa è cortesia –.
36.1Al fin de le parole alta resposta
36.2fece una voce e disse: – O cacciatore,
36.3aspetta fin ch'io scenda giù la costa;
36.4ferma l'animo tuo, fa lieto core,
36.5ché la salute tua non è discosta –.
36.6Così calar allor vidi el splendore,
36.7né potea chi 'l portasse veder certo,
36.8ché 'l resto da la notte era coperto.
37.1Non fu men grato a me quel lume chiaro,
37.2poi che 'l grazioso suo parlar intesi,
37.3che sia la tramontana al marinaro;
37.4però da l'arbor prestamente io scesi,
37.5ponendo fine a quel mio pianto amaro.
37.6Né men conforto de la luce presi,
37.7che 'l bon nochier di quella suol pigliare
37.8che in gran tempesta in su l'antenna appare.
38.1A pena del ramoso tronco sceso
38.2era, che gionse dove io lo aspettava,
38.3con man ripar facendo al lume acceso,
38.4per un poco di vento che soffiava.
38.5Ma poi ch io l'ebbi in viso ben compreso,
38.6ogni timor da me si allontanava
38.7e ne lo aspetto suo molto grazioso
38.8compresi mia salute e mio reposo.
39.1Dopo molte accoglienze mutue e grate,
39.2guidommi in cima al suo pogetto ameno
39.3con tanto amore e tanta caritate
39.4ch'io nol saprei narrar, lettore, a pieno:
39.5non mi parve in selve esser, ma in cittate,
39.6tanto era di civil costumi pieno,
39.7ché dove abita un om preclaro e degno,
39.8fa una città col suo eccellente ingegno.
40.1Questo era sacerdote de la diva
40.2che 'l Gorgon porta e in man l'asta pongente,
40.3che fu inventrice de la santa oliva:
40.4Eubulo era chiamato da la gente,
40.5e spesso a questo loco alcun veniva
40.6solo per visitar questo om prudente
40.7e consigliarse de alcun novo caso,
40.8ché di sapienza e carità fu vaso.
41.1Ilare ne lo aspetto era il vecchione,
41.2faceto e grave, e probità nel volto
41.3mostrava tutto privo de ambizione;
41.4sempre diceva il ver libero e sciolto
41.5al caro amico suo senza fizione,
41.6e era al culto de la dea sì vòlto
41.7che in la sua santa solitaria cella
41.8già spesse volte ragionò con quella.
42.1Così in l'umil sua casa me introdusse
42.2Eubul con grato viso e lieto core,
42.3e come stato suo germano io fusse,
42.4secondo il loco mi faceva onore.
42.5– O felice pensier, il qual me indusse
42.6ad esser de la Cerva cacciatore,
42.7ché se ella non pigliai nei lacci tesi,
42.8almen questa amicizia santa io presi.
43.1Or chi dirà che con suo nume eterno
43.2l'instabile Fortuna non sia quella
43.3che d'ogni mortal cosa abbia il governo?
43.4Ahimè, quanto oggi a me stata è ribella!
43.5E or, se 'l ver dal falso ben discerno,
43.6me mostra la sua faccia dolce e bella.
43.7Quanta è quella sentenza santa e vera:
43.8– La vita il fine e il dì loda la sera –.
44.1Non credea in questa casa solitaria
44.2gionger già mai, anzi mi tenni morto,
44.3vedendomi Fortuna sì contraria,
44.4e or son gionto in un securo porto.
44.5Quanta è l'umana sorte incerta e varia!
44.6Poco è piangea che 'l ciel mi facea torto,
44.7e or sono in un loco capitato,
44.8quale a me non potrebbe esser più grato –.
45.1Così parlando, a la sua pura mensa
45.2seder mi fece l'ospite mio degno
45.3e di quel ch'ebbe con carità immensa
45.4mi ministrava in chiaro vetro e legno.
45.5O candido lettor mio caro, pensa,
45.6(come credo) se hai lume alcun de ingegno,
45.7che fummi tal cenar così iocondo,
45.8quanto altro mai da poi ch'io nacqui al mondo.
46.1Grato restauro al corpo e a la mia mente
46.2sporse ad un tempo il placido convito,
46.3tal che gran gaudio ancora il mio cor sente;
46.4e pria che da seder fussi partito,
46.5mostrommi il iusto vecchio apertamente
46.6che sia il seguir un vano suo appetito,
46.7sì che tal frutti in la mia vita mai
46.8al fin d'altro convivio io non gustai.
47.1Al fin di quella sobria e santa cena
47.2Eubul con quello amor che ha il patre al figlio,
47.3come de lo error mio portasse pena,
47.4incominciò con assai mesto ciglio
47.5e disse: – O ignari, che furor vi mena,
47.6o vani cacciator senza consiglio,
47.7a spendere il prezioso tempo e breve
47.8seguendo uno animal fugace e leve?
48.1Se quante fiere in questo bosco stanno
48.2tutte in un giorno preda tua facesti
48.3e quante mai fra selve abitaranno
48.4dimme che gloria mai ne acquistaresti.
48.5A che durar sì vano e longo affanno?
48.6Ahimè, figliolo, consumar dovresti
48.7questa vita mortale in megliore uso,
48.8per non restar dal tempo al fin deluso.
49.1Prende esercizio virtüoso, il quale
49.2sia forte scudo a la Fortuna avversa
49.3quando ferir ti vuol col duro strale.
49.4Se da tempesta in mar fusse dispersa
49.5la tua ricchezza, tua virtù sia tale
49.6che non resti con quella almen summersa;
49.7e, nudo, abbi tesoro di tal sorte
49.8che a pena tôr tel possa l'empia morte.
50.1Vari diletti sono infra gli umani:
50.2a cui la corte, a chi seguire Amore,
50.3a chi fiere cacciar piace con cani,
50.4a chi ricchezza e a chi ambizione e onore,
50.5chi el mondo peragrar per lochi strani:
50.6felice è quel che eleger sa il megliore
50.7e sempre abbia in memoria senettute,
50.8qual consolar convien con la virtute.
51.1Quel che in vani piacer sua giovenezza
51.2e il tempo suo trapassa in giochi e in festa,
51.3come tranquilla puote aver vecchiezza
51.4giongendo ne la età grave e modesta
51.5e aver la mente a voluttate avezza?
51.6Ahimè, ché la memoria lo molesta,
51.7ché recordarsi de i piacer passati
51.8stimuli al cor gli sono avenenati.
52.1Qual doglia pensi senta dentro il core
52.2quel che già cortegian fu sì prestante
52.3e di sua vita ha trapassato il fiore,
52.4e vede tanti a lui passare inante
52.5sfoggiati e vaghi e pieni di valore,
52.6debil essendo, frigido e pesante?
52.7Se di virtute allor si trova privo,
52.8non credi ch'abbia in odio l'esser vivo?
53.1Levagli il tempo quella leggiadria
53.2e quella agilità che 'l facea grato
53.3a ogni signore e in ogni compagnia;
53.4e propriamente è come un vaso ornato,
53.5che legno è dentro e fuor par che oro sia:
53.6se di quello ornamento è poi privato,
53.7più non si stima e sì sua sorte muta
53.8che ognun come vil cosa lo refiuta.
54.1E quel che già ne l'amoroso gioco
54.2ne la sua verde età fu sì felice
54.3e gionge a la vecchiezza a poco a poco,
54.4né più a fogge amorose intender lice
54.5e giaccio ha il corpo e l'appetito foco,
54.6come credi che stia questo infelice,
54.7se avvien che veda giovenetti amanti
54.8con dame in festa floridi e gallanti?
55.1Il desio vive in lui, morto è il potere:
55.2sente l'ardente pena che dà Amore,
55.3ma più gustar da poi non può il piacere;
55.4fa come infermo suol pien di langore,
55.5che un frutto tiene in man sol per vedere
55.6e per diletto prender de l'odore,
55.7ma poi se 'l gusta, nocegli sì forte,
55.8che spesso a quel piacer succede morte.
56.1Ricchezza in senettù, ambizione e onore
56.2riposo a molti pare e gran diletto,
56.3ma crede a me che han seco assai dolore.
56.4E poi quale è sì privo de intelletto,
56.5che non sappi che 'l vecchio in breve more,
56.6avendo il corpo da molti anni infetto?
56.7De non goderle longo tempo è certo,
56.8sì che in mezzo al piacer gran duol ha inserto.
57.1Negar non so che 'l peragrar la terra
57.2laude non sia e gran satisfazione
57.3e prattico l'om faccia in pace e in guerra
57.4e grato a conversar fra le persone;
57.5ma chi alcun vizio nel suo petto serra,
57.6raro lo lascia per cangiar regione,
57.7anzi è vizio tallor di tal natura
57.8che lo accompagna fin in sepultura.
58.1Ma chi vita modesta e virtüosa
58.2in la sua gioventù menar soleva,
58.3già non gli par vecchiezza poi noiosa;
58.4se in verde età da vizio se astineva,
58.5gli era quella astinenza faticosa,
58.6ma tal fatica senettù glie leva
58.7e de appetiti estingue il grande ardore,
58.8che in mille parti glie abruggiava il core.
59.1La età senil, se sia senza passione
59.2de sfrenati desii, è un leve peso
59.3da tolerar, ma la persüasione
59.4fa che 'l vero da noi non è compreso,
59.5e però l'omo più da la opinione
59.6che da la veritate è spesso offeso:
59.7ché essendo senettù degna e modesta,
59.8l'opinion fa aparerla amara e infesta.
60.1Questa è la età prudente e moderata,
60.2questa è quïeta e di esperienza piena,
60.3savia e d'ogni van desio purgata,
60.4e carca par de intolerabil pena
60.5a chi lascivia sempre mai fu grata.
60.6Ma chi sua vita sobria e casta mena
60.7in la florida età de iuventute,
60.8raro aver suole inferma senettute.
61.1Lascivo vecchio mai non ha riposo,
61.2ché infetto ha il senil corpo e ancor la mente;
61.3sempre d'altrui piacer è invidïoso
61.4e fa come stallon fra le iumente
61.5che è bolso e antiquo e nondimen focoso;
61.6così se de Amor questo parlar sente,
61.7lasciva fiamma lo arde e lo divora,
61.8ché in secco legno il foco più lavora.
62.1E poi corroso da una interna cura,
62.2incomincia a pensare il vecchio insano
62.3se dopo morte l'alma eterna dura,
62.4che fine allora avea tenuto vano;
62.5e però sempre ha una mortal paura
62.6pensando sopra al viver suo profano,
62.7vicino essendo omai a l'ora estrema,
62.8de la qual ogni uman paventa e trema.
63.1Questo sudar glie fa troppo la fronte,
63.2vorrebbe lo infelice voluntieri
63.3che nulla fusse e il gioco andasse a monte:
63.4così da questi ambigüi pensieri
63.5sempre ha de affanni in mezzo il cor un fonte
63.6e mille dardi venenosi e fieri;
63.7se sente poi un minimo dolore,
63.8più pena assai che 'l duol gli dà il timore.
64.1Però, figliol, se arai virtute amica,
64.2che al ciel estolle l'anima immortale,
64.3farai come far dicon la formica,
64.4che in la vecchiezza sua suol metter le ale,
64.5e volarai a quella patria antica,
64.6dove salir non può chi vive male,
64.7e in eterno lì sarai felice,
64.8né maggior ben di quel sperar ne lice –.
65.1Con umil voce e con demesso volto
65.2io glie resposi: – O patre de onor degno,
65.3il tuo santo precetto in me può molto,
65.4ma per chiarir il mio dubioso ingegno,
65.5che forse in ignoranza sta sepolto,
65.6dirotti il mio parer, non lo abbi a sdegno,
65.7né chiamar temerario il parlar mio,
65.8ché sol per imparar questo dico io.
66.1Teco farò come chi un grato odore
66.2vuol trar de alcuna cosa e che l'accende,
66.3e per la gran virtù di quello ardore,
66.4soave spirto a' circostanti rende;
66.5così accendendo anch'io tuo santo core,
66.6non già con foco material, che offende,
66.7ma con le mie parole adesso un poco,
66.8renderà grato odor per ogni loco.
67.1Io dico, patre mio, che con sapienza
67.2creato il tutto fu, come si vede,
67.3da la divina eterna providenza,
67.4ben che gli è alcun che a caso il tutto crede.
67.5Essendo adonque il ver questa sentenza,
67.6che da summo saper tutto procede,
67.7chi vuol dir altramente, è certo insano,
67.8che Dio e Natura faccian cosa in vano.
68.1In la mente divina o di Natura
68.2fur pria le Idee, che mai fusse creato
68.3in questo mondo alcuna creatura;
68.4così fu poi ogni animal formato
68.5e il naturale istinto con gran cura
68.6qual seguir debbe, a ognun di lor fu dato;
68.7e credo chi negasse quel ch'io dico,
68.8non seria a veritate vero amico.
69.1Se non avesse le sagaci nare,
69.2s'el non fusse fidel, goloso e fiero,
69.3e solicito in caccia e nel latrare,
69.4s'el non fusse con coda lusinghero,
69.5né sapesse con lingua medicare,
69.6chi can dicesse, non direbbe il vero.
69.7Se questi effetti con la forma stanno,
69.8del vero cane uno individuo fanno.
70.1E ben che quella età prima tenella
70.2di tali operazion par esser priva,
70.3latentemente son però con quella,
70.4ché quando poi alcun vivente arriva
70.5ne la più verde età florida e bella,
70.6qual foco occulto allor se accende e aviva
70.7e cognoscer fa poi de ogni animale
70.8quale è suo istinto e corso naturale;
71.1se non, Natura e quel gran Fabro eterno
71.2fatto averiano in van l'operazione,
71.3per qual uno animal da l'altro io scerno.
71.4E però se l'è ver questa opinione,
71.5chi creò il mondo e ha di quel governo,
71.6con sapienza infinita e con ragione
71.7facesse il tutto e mai non può fallire,
71.8suo istinto ogni animal convien seguire.
72.1Tutte le età di noi miseri umani
72.2vengon con suoi costumi e suoi piaceri:
72.3sono i fanciulli simplicetti e vani,
72.4vòlti a le noci e suoi desii leggeri;
72.5crescendo poi desian cavalli e cani;
72.6facili al vizio e per sciochezza altieri,
72.7e ogni reprension tanto gli offende
72.8che son nimici a ognun che li reprende.
73.1Florida gioventù tutta amorosa,
73.2tutta galante e tutta legiadria,
73.3balli e canti desia sopra ogni cosa;
73.4sempre quasi ha lascivia in compagnia
73.5e prodiga è dil tempo e perigliosa,
73.6e ogni monte gli par piana via,
73.7e raro da' mortali è cognosciuta,
73.8per fine a tanto che non è perduta.
74.1E così poi ne la virile etate
74.2se suol cangiar pensier, cangiar desio,
74.3e quelle cose quale allor fur grate
74.4in l'altra età le pone poi in oblio
74.5e aspirar comincia a dignitate,
74.6a ricchezza, e tenerla per suo dio.
74.7Vien senettù, de la qual ditto è assai,
74.8quale il passato lauda sempre mai.
75.1Chiunque i costumi d'ogni età non sente
75.2(chi più, chi men, come sua complessione
75.3lo induce), o patre, credo veramente
75.4chiamar om non si possa con ragione;
75.5né ancora la Natura lo consente,
75.6che a ogni animal dato ha la sua passione,
75.7e ogni fatica contra quella è inane,
75.8ché l'om convien che faccia cose umane.
76.1Omo son nato e i natural costumi
76.2de la mia gioventù seguir conviene:
76.3s'io seguo fiere per le selve e dumi
76.4con can latranti e delettevol pene,
76.5e adoro in terra doi fulgenti lumi,
76.6che son mie stelle e mio celeste bene,
76.7obedisco a Natura, e errar non credo
76.8s'io godo quello che da lei possedo.
77.1Come per pioggia, o nebia, o vento, o sciutto,
77.2da l'arbor verde cascherà tallora,
77.3che in vista par maturo, acerbo frutto,
77.4così interviene spesso a quello ancora,
77.5che in l'opre e in viso è vecchio e in la età putto,
77.6né può durar: convien che in breve mora;
77.7e pigra gioventù che è senza amore,
77.8è come inutil fior che è senza odore.
78.1E se astinente un più de l'altro pare,
78.2patre, non è maravigliosa cosa,
78.3perché la complession questo fa fare,
78.4secondo che è imbecilla o vigorosa.
78.5A la venerea fiamma non può ostare
78.6chi ha complession sanguigna e amorosa,
78.7come colui chi l'ha frigida e tarda,
78.8ché l'un par giaccio e l'altro par sempre arda –.
79.1– Ahimè, figliol –, disse ei, – che è quel ch'io sento?
79.2Lassa questa opinion vana epicura,
79.3causa de infamia eterna e di tormento.
79.4Se Dio (sì come hai detto) e la Natura
79.5creorno il tutto, il che ancor io consento,
79.6con infinita providenza e cura,
79.7creato in vano arian in noi ragione,
79.8secondo la tua falsa conclusione.
80.1Se non sapesse la virtù dal vizio
80.2discerner l'om, ragion che valerebbe?
80.3Che valerebbe il natural iudizio?
80.4Ogni virtute al mondo in van sarebbe.
80.5Se appetito facesse quel offizio
80.6che la ragion maestra in noi far debbe,
80.7non poterebbe uno eccellente core
80.8aver nel mondo il meritato onore;
81.1saria destrutto il vivere modesto,
81.2non meritaria biasmo il cor profano,
81.3né laude ancora il virtüoso e onesto.
81.4Guarda a quel che sarebbe il stato umano,
81.5quanto il gran Giove mancarebbe in questo,
81.6se a quel ch'ha il fren de gli appetiti in mano
81.7fusse di gloria eguale e di mercede
81.8uno che in voluttate ogni ben crede.
82.1E poi la complession, sì come hai detto,
82.2non fa l'omo astinente, o figliol mio,
82.3ma un cor modesto dentro a un casto petto.
82.4Non vedi spesso uno om malvaggio e rio,
82.5se avvien talor che sia da alcun corretto,
82.6li vizi suoi mandar presto in oblio?
82.7Non hai già inteso che la nutritura
82.8per l'uso si converte poi in natura?
83.1Non vedi la Ragion, per far diffesa
83.2contra la Voluttà, che è tanto grata,
83.3per vincere con lei la dura impresa,
83.4di Pazïenza e Astinenza armata,
83.5di Virtù in man portar la face accesa?
83.6Con molte altre arme ancora preparata,
83.7e oltra le arme, de animo sì forte
83.8che, pria che perder, spesso elegge morte.
84.1Dil che infiniti esempli potrei darte,
84.2e se leger tu vòi, ne troverai
84.3piene le antique e le moderne carte;
84.4ma questo solo basteratti assai,
84.5che Ippolito straziato a parte a parte
84.6da' cavalli esser vòlse, pria che mai
84.7consentire al furor de la matregna,
84.8perché Ragione a i suoi far così insegna –.
85.1– Chi potria mai, o di sapienza pieno,
85.2responder –, dissi, – a gli argumenti santi,
85.3che escono fuora del tuo casto seno?
85.4Chiaro sapeva certamente inanti
85.5che frutti aria produtto il tuo terreno
85.6più assai soavi ch'altri e più prestanti,
85.7ma fatto ho teco come chi uva preme,
85.8che da ogni canto dolce liquor geme.
86.1Ché se con mie parole ho pur premuto
86.2l'animo tuo e in qualche parte offeso,
86.3sì soave liquor ne è fuor venuto
86.4che del grave error mio fia contrapeso;
86.5perché se io fusse stato teco muto,
86.6tuo saggio argumentar non seria inteso,
86.7qual succo sparge sì salubre e grato
86.8che più d'un cor sarà da quel purgato.
87.1Sanar quasi è impossibil in una ora
87.2membro che sia molt'anni stato infetto;
87.3dubito che impossibile sia ancora
87.4mei van desii sì presto trar del petto.
87.5Da bon villan farò, che ben lavora
87.6campo a felce, o gramegna, o spin sugetto,
87.7che 'l purga e lo reconcia a poco a poco
87.8col rastro, con la zappa o ver col foco.
88.1Così con tuoi precetti e santo lume
88.2de la sapienza tua, mio infetto core
88.3si purgarà d'ogni suo mal costume,
88.4e se ora pur mio giovenil errore
88.5a i mei vani desii aggionge piume
88.6e fammi seguir fiere e il ceco Amore,
88.7frutto in me ancor faran le tue parole
88.8come novella pianta in giardin suole –.
89.1Mentre ch'io ragionava, al fin gionto era
89.2il chiaro lume di quel bel candelo
89.3in su la mensa posto quella sera;
89.4e già la luna alzata a mezzo il celo
89.5luce faceva a ogni notturna fiera,
89.6emula quasi del signor di Delo;
89.7però, silenzio imposto al parlar mio,
89.8Eubulo a reposarse andava e io.
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