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PROLOGO AI «SUPPOSITI» DI LUDOVICO ARIOSTO

1.1Non son queste le stelle, ond' aureo il cielo
1.2risplende a quei che mai non vider morte?
1.3non è questa la terra ov' ha sì vario
1.4l' imperio il sol, ch' or la rinfiora, or l' arde?
1.5E non è questo il mondo, ov' io mi vissi
1.6uom già di carne e d' ossa? Or non son io
1.7in fra le pompe di superba scena?
1.8Deh! qual pietà, qual nume onnipotente
1.9sue grazie oggi in me versa, oggi in me spiega
1.10sue meraviglie? Io che a dormir fui tratto
1.11il ferreo sonno de la morte, or gli occhi
1.12pur riapro a la luce: io spirto ignudo
1.13riedo oggi a respirar l' aure vitali,
1.14pur rivestito il fral de 'l terreo manto,
1.15e a riveder de la mia patria cara,
1.16accolto in bel teatro, il popol grato.
1.17Quanto lunga stagion fra l' ombre avvolto
1.18io mi sia stato, i' non saprei ridirvi,
1.19ché là, ov' io vivo, non si contan gli anni.
1.20Ma dirò quand' io vissi; indi a voi noto
1.21fia quanto ha scorso il sol da ch' io mi scinsi
1.22de la gonna mortal, ch' oggi ho ripresa:
1.23grazie ch' a pochi il ciel largo destina.
1.24Vissi a Ippolito Estense, e fu mio zelo
1.25d' arder a 'l nume suo face di gloria
1.26con vivo inchiostro. I' son quel che cantai:
1.27"Le donne, i cavalier, l' arme e gli amori";
1.28quel ch' ordii anco i comici bisbigli,
1.29ond' oggi è a voi promesso onesto riso.
1.30Ch' io mi morissi, e quale, è a voi palese;
1.31ma che di me si fesse, e a quale stato
1.32morendo io rinascessi, uom che qui viva
1.33non puote avere inteso: or io dirollo,
1.34e dirò come a la presenza vostra
1.35ritornato mi sia, ed a che venni.
1.36Né ora tem' io già che 'l sermon lungo
1.37sia per noiarvi, perch' io so che messo
1.38non vien più desiato a voi mortali,
1.39di quel che di là viene, ond' io ne vegno.
1.40Luogo è ne l' altro mondo, ov' uom qui morto
1.41vive novella vita, e ha nome Eliso:
1.42così lo nominò la prisca etate.
1.43Siede presso a un castel, che Dite è detto,
1.44torreggiante di fuoco e d' alti mostri;
1.45ma com' è quel ripien d' aspro e di tristo,
1.46così questo è d' ameno e di soave.
1.47Quivi perpetuo un zefiro inzaffira
1.48le piagge, e su 'l smeraldo intesse l' ostro
1.49di bei fioretti, ch' or di gelo imperla
1.50ne l' alba, ora a' gran dì scioglie in odore;
1.51corron di latte i ruscelletti vaghi,
1.52e stilla il mel dagli elci e dagli olivi:
1.53campo di gioia, se non quanto accende
1.54infinito desio de 'l paradiso,
1.55e 'n questa afflizïon l' anime offende.
1.56Tutti convengon qui d' ogni paese
1.57quei che vivendo in pregio ebber le Muse,
1.58e l' oprar dritto che natura addita;
1.59ma quei che furo innanti a 'l cristianesmo,
1.60per non partirne mai (tal libra in lance
1.61la divina giustizia il merto e 'l danno),
1.62quei ch' adorar debitamente Dio,
1.63qui l' alme impure purgano ed infette
1.64da 'l sensüale affetto, ma da poi
1.65fian richiamate a la celeste reggia:
1.66e di questi cotai son io medesmo.
1.67Qui pur pensosi, a passi lenti e gravi
1.68van quei grandi ch' a 'l vero ebber gl' ingegni;
1.69Aristotele il primo, e 'l divin mastro
1.70de la scuola superna, i' dico Plato
1.71con tutta la sua schiera, e con mill' altre
1.72che 'l furor letterato in alto eresse.
1.73Qui cinti d' arme gli spiriti magni,
1.74onde rimbomban sì Micene e Roma,
1.75Achille, Agamennon, Cesare e Scipio,
1.76van trionfanti, ed han seco, o Ferrara,
1.77non men di ferro e di valore armati,
1.78de' tuoi Ercoli e Alfonsi. Or io mi stava
1.79l' alte schiere ammirando in grembo ai fiori,
1.80quando udii dirmi da invisibil voce:
1.81– Oggi in teatro augusto i salsi motti
1.82conditi da tua Musa, e le sciocchezze,
1.83le frodi e i popolari accorgimenti
1.84debbon udirsi: ivi in regal corona
1.85d' eroi s' asside il glorioso Alfonso,
1.86pieno di deità gli atti e l' aspetto,
1.87qual Giove in fra i suoi divi. In nobil coro
1.88di caste ninfe amorosette e care,
1.89la sua Giunone ha seco; intanto attende
1.90come scaltro risuoni e come piaccia,
1.91tocca da dotta man, comica cetra.
1.92Tu va; ben degna è sì mirabil scena
1.93di mirabil messaggio, e primo parla. –
1.94Tacque; ed io, ratto in men che non balena,
1.95qui mi condussi, e non so per qual calle;
1.96or dirò il comandato e dirò breve.
1.97Le scïenze, figliuole de la mente,
1.98vivon soggette a le medesme leggi,
1.99che natura ha prescritte a' figli suoi:
1.100come nasce, fiorisce, invecchia e muore
1.101l' abete, il pin, la quercia ed il cipresso,
1.102così queste han sua vice. Fu la scena
1.103infante a' primi tempi, e giovin poi
1.104fessi e matrona; or è canuta e vecchia.
1.105Ben quai medici accorti, che previsto
1.106lunge il letargo, han rimedi che 'n fasce
1.107l' uccidan, e spess' anco anzi che nasca,
1.108tra gran saggi, avvertendo il fatal corso
1.109de 'l poetar di scena, a preservargli,
1.110se non da morte, almen da presta morte,
1.111con gran senno, arte dotta, in brevi carte
1.112strinsero in immutabili precetti.
1.113E certo il lor pensier veniva intero,
1.114ma l' ignoranza s' è tanto ingegnata,
1.115ch' i saggi avvertimenti ha torti e guasti;
1.116onde più ratto il buon comico iambo
1.117è invecchiato e caduto in vil dispregio;
1.118così ha gran mal picciol' licenza a lato!
1.119Fu concesso il partirsi da 'l severo
1.120de le leggi prescritte a la poetica,
1.121quanto chiedeva l' uso de l' etati:
1.122qui s' è fermato il punto; e non s' è visto
1.123che varia il pomo or frondi, or frutti, or fiori,
1.124seguendo la stagion, ma sempre è pomo,
1.125non mai o fico, o pero, od aspro sorbo.
1.126Or s' è trascorso sì, che le commedie
1.127più commedie non son, ma ciance inteste
1.128a trar da' plebei cori infame riso,
1.129indegne de l' orecchie cittadine
1.130non che de le magnanime e regali.
1.131Io parlo per ver dire,
1.132non per odio d' altrui, né per disdegno,
1.133né perch' io stimi la favola mia
1.134esser de le perfette; là, ov' io vivo,
1.135non vive odio o disdegno, ed è ognun fatto
1.136giusto conoscitor de' suoi difetti.
1.137Forse, s' or vergar carte e oprare inchiostro
1.138mi si desse, alcun neo le purgherei,
1.139se ben che non precetti imaginati
1.140seguì mia Musa, ma gl' interi e saldi;
1.141e s' ivi errò, qual' uom spira e non erra?
1.142Or questa, ch' io vivendo, a 'l primo Alfonso
1.143composi e posi in sontüosa scena,
1.144e i ha nome, invitto sire,
1.145sacran novellamente a 'l vostro nome
1.146devoti questi spiriti sublimi,
1.147onde qui s' orna l' Academia vostra.
1.148Voi gradite il buon zelo e la lor fede;
1.149là vien chi me accomiata; ed io ritorno,
1.150sì come fu il destino, a l' ombre elisie.
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