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La fabula di Narciso del Mozarello da Ghazolo mantuano

Fabula di Narciso

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1.1Non visto in altri mai foco d' amore,
1.2forse oltra le confin dil naturale,
1.3ch' accese un di se stesso in tal furore
1.4qual già non so se unquanco altro mortale,
1.5sol perché ei fu di amor disprezzatore,
1.6che lo condusse in doloroso male,
1.7intendo di narrar: or gli è deùto,
1.8o sacre Muse, aver il vostro aiuto.
2.1Lassa tu, donque, il fonte Pegasèo,
2.2Erato bella, amica di Cupìdo,
2.3mentre canto le forze d' esto deo
2.4che nel petto di altrui suol farse nido.
2.5Né disprezzate il stil mio basso e reo,
2.6nel qual molto però non mi confido:
2.7ma tutti gli altri ancor non son Maroni,
2.8ben che l' arbor di Apollo gli incoroni.
3.1Omero esser non può ciascun poeta
3.2coronato di l' arbor sempre verde,
3.3ché poca gente aggiunge a quella mèta,
3.4né·lla corona sua più se rinverde;
3.5però ragion è ben che 'l lauro mieta
3.6meglio chi versi soi sciocchi disperde:
3.7sì che non vi sdegnate, o sacre Muse,
3.8poi ch' ancor a peggiori andar seti use.
4.1Guida mia barca tu, Venere santa,
4.2nata in mar, giunta a·tterra, al cielo ascesa,
4.3ché, poi che 'l tuo valor per me si canta,
4.4onesto è ben che venghi in mia difesa,
4.5avendo in me con esso tutta quanta
4.6di sì vago disir l' anima accesa,
4.7che altro non penso sol che al tuo valore
4.8e la gran forza dil tuo figlio Amore.
5.1Forse, se non recusi esser laudata
5.2da così rozzo e poco ornato stile,
5.3fia la tua gloria ancor più celebrata
5.4elevando a più prezzo il mio dir vile:
5.5ché l'alma, a dir di te tanto infiammata,
5.6tien dal subietto un abito gentile,
5.7tal che ancor spero mi coronarai
5.8de lo arbor verde di che acceso me hai.
6.1Accendesti un dì quel che or per me si ama,
6.2e ben pòi dir: — Per lui tutta refulgo —,
6.3ché quel bramando che or da me si brama
6.4ed essaltando il nome ch' io divulgo,
6.5fu roco forse pria con poca fama,
6.6mormorator di corti, un om dil vulgo;
6.7posci acquistò così ornato idïoma,
6.8che non Firenze pur, vi ha gloria Roma.
7.1Ma dove mi trasporta il gran desire?
7.2Già non fu questo il mio primier intento.
7.3Io avea proposto un'altra istoria or dire,
7.4ma la speranza in me crea (l') ardimento
7.5e fammi quel ch' io non voleva, dire,
7.6torzendo altrove il mio proponimento;
7.7sì che torniamo or alla istoria nostra.
7.8Attendete, auditor: la parte è vostra.
8.1Nacque già di Lirìope e (di) Cefìso,
8.2lui fiume errante e lei ninfa de mare,
8.3un figlio che chiamorono Narciso,
8.4qual di beltà non ebbe in terra pare,
8.5di tai sembianti e sì ligiadro viso,
8.6che così pargoletto puossi amare,
8.7e ognun che vede sue bellezze nòve
8.8giudica che esca de la coscia a Iove.
9.1In quel tempo il teban Tiresia visse,
9.2che femina di maschio e maschio poi,
9.3al ferir di due serpi, convertisse.
9.4Questo privò Iunon de li occhi soi
9.5sol perché il ver nella sentenza disse
9.6della lite iocosa: inde dopoi
9.7Zove, per scambio di la sua sciagura,
9.8lo fe' indovin di ogni cosa futura.
10.1Visse costui e in tanta fama ascese,
10.2e ognun prestòvi indubitata fede:
10.3ogni secreto di natura intese,
10.4ogni caso futur questo antivede.
10.5Lirìope primiera il fe' palese,
10.6qual, mentre dil suo figlio lo richiede
10.7s'ei vedrà gli anni di longa vecchiezza:
10.8— Pur che conosca mal la sua bellezza —,
11.1rispose lui; e fu gran tempo vana
11.2reputata da tutti la risposta,
11.3fin che l' effetto e novitate strana
11.4dil suo furor e la morte discosta
11.5da li confin della natura umana
11.6non tèner più la verità nascosta.
11.7Unde crescendo il fanciullo in etade,
11.8crebbe con gli anni ancor la sua beltade.
12.1Era giunto a l' età di anni ventuno
12.2(che giovene e garzon si potea dire)
12.3a tal beltà, che lo bramava ognuno;
12.4ma la sua forma il fece insuperbire,
12.5tal che sprezzò l' amor di ciascaduno,
12.6né volse a desir d' altri consentire;
12.7né giova perché alcun piangendo il segua,
12.8ché lui più duro ognor vie se dilegua.
13.1Quante Drïade già, quante Napee
13.2invaghì dil suo amor, quanti pastori!
13.3A quanti Fauni, a quante Semidee
13.4arse con un sol sguardo in petto i cori!
13.5Quanti dèi disprezzò, quante altre dee
13.6condusse sua fierezza in mille errori!
13.7Quanti preghi fugì sì dolorosi,
13.8che arian orsi (e) leon fatti pietosi!
14.1Fu tra la turba de le ninfe e amanti.
14.2Ecco, che visse allora in corpo umano,
14.3qual di tacer e di parlar avanti,
14.4parlando altrui, si adoperava in vano;
14.5e ben che avesse e' soi terren sembianti,
14.6aveva como ora il suo risponder strano.
14.7Questo fe' Iuno, e certo fu ragione,
14.8e la sua lingua sol ne fu cagione.
15.1Solea spesso dil ciel discender Iove
15.2e diventar de' boschi abitatore,
15.3ardendo sempre il cor di fiamme nove,
15.4sì come piacque al suo figliolo Amore,
15.5che l'universo sol tempra e commove
15.6e da principio ancor ne fu signore:
15.7lui diede al sol la state, il verno a' venti,
15.8e concordò in discordia li elementi.
16.1Mentre donque Iunone avea potuto
16.2e' furti di suo Iove ritrovare,
16.3l'acorta ninfa con parlar astuto
16.4la fece spesse volte dimorare,
16.5per dare a Iove e alle sorelle aiuto
16.6tardandola con longo ragionare,
16.7fin che le ninfe che eron col marito,
16.8fuggiron lunge, e il furto era fornito.
17.1Poi che la dea si accorse de lo inganno,
17.2turbata fuor de modo ne la mente:
17.3— Perché le ciance tue schernita mi hanno,
17.4e la tua lingua iniqua e fraudolente,
17.5alcun altro già mai non beffaranno,
17.6e serà il suo voler poco potente —:
17.7così li disse; e poi con gran dispetto
17.8aggiunse presto alle minacce effetto.
18.1Alor rimase priva della voce,
18.2ché da se istessa non può far parole,
18.3l'infelice Ecco, e si ode un'altra voce,
18.4risponde sempre al fin delle parole:
18.5repetendo il tenor di quella voce,
18.6radoppia il suon de l' ultime parole.
18.7Così ad ognun dopo il parlar risponde,
18.8né parla prima, ma sempre risponde.
19.1Vidde la ninfa il bel Narciso un giorno
19.2con l'arco in mano e con la rete in collo
19.3andare a·ccaccia in abito sì adorno,
19.4che al primo sguardo Febo iudicollo,
19.5e se non che pur l'arco avea di corno
19.6(che è de auro quel che porta il biondo Apollo),
19.7non conosceva sua bella figura:
19.8allora arse di amor oltra misura.
20.1Così presa di amor, la ninfa vaga
20.2seguiva e' passi suoi celatamente,
20.3e come più si appressa, più se impiaga,
20.4e divien la sua fiamma più cocente;
20.5così nutrisce l' amorosa piaga
20.6ed abbrugia il suo cor, non altramente
20.7che, propinquata a un'ardente fornace,
20.8rapisse il fuoco una sulfurea face.
21.1Oh! quante volte fu per girli appresso
21.2e tentar lui con lamentosi prieghi!
21.3E nel pensier formò parole spesso,
21.4con che il suo duro cor rivolga e pieghi;
21.5ma proferirle mai gli fu concesso,
21.6unde convien che pur tacendo il neghi,
21.7bramando sol che alcun altro il pregasse,
21.8acciò che a i prieghi soi se umilïasse.
22.1O duro caso, o miserabil sorte,
22.2o destin fiero, iniquo e dispietato,
22.3o stato tristo, assai peggio di morte,
22.4o pensosi amatori, o crudo fato,
22.5o doglia estrema, o doglia acerba e forte,
22.6ardendo di altri e non essendo amato!
22.7Ma questo è quel che avanza ogni martìre,
22.8quando la doglia sua non si può dire.
23.1Ah, miser' Ecco! E non misera sola,
23.2ch' io stesso il tuo gran male esperimento
23.3qualor nanti al mio ben, che a me (s') invola,
23.4per narrar la mia pena mi appresento;
23.5né scio formar, non che parlar parola
23.6che palesi il mio male, il mio tormento,
23.7e pur di me pensar non mi è concesso,
23.8perché son tutto in lui, fuor di me stesso.
24.1Deh! s' io potesse almen, como vorrei,
24.2mostrargli aperto il cor, aprilli il petto
24.3e palesargli tutti i martìr miei,
24.4quando mi guida Amor nel suo cospetto!
24.5Perché beato alor molto serei,
24.6ch' io vedrei forse il mio desiato effetto:
24.7ché la mia donna mi darebbe pace,
24.8o mostrarebbe al men che altri le spiace.
25.1Ma per magior mio male, il ciel non vòle;
25.2né bramai altro mai, né altro non cheggio.
25.3E se condutto son nanti al mio sole,
25.4tanto nel mio pensier sciocco vaneggio,
25.5e sol nel cor si intendon le parole,
25.6né con la lingua il mio desir pareggio.
25.7Questo è donque il dolor ch' io non comporto,
25.8e questo sol mi ha mille volte morto.
26.1Da che si dee sperar rimedio mai,
26.2se non si può l' infermità narrare?
26.3Che fin aranno e' nostri intensi guai,
26.4se non si sa la doglia palesare?
26.5Che conforto si arrà donque già mai,
26.6se non conosce il mal chi 'l può sanare?
26.7Chi ne liberarà dal mal che avemo,
26.8Ecco infelice, se non lo diremo?
27.1Segui donque tacendo, e al suo bel viso
27.2sàziati soi la immoderata sete;
27.3mira i belli occhi suoi, mìraglï fiso
27.4e ognor ti involge in l'amorosa rete.
27.5Altro non puo' tu aver dal tuo Narciso,
27.6sì che meglio per te serebbe Lete;
27.7meglio fia or per te dimenticarlo,
27.8che con le luci ingorde devorarlo.
28.1Ma così vòl tua sorte aspra ed iniqua,
28.2né puoi altro che amar, come vuol essa;
28.3così vuoi la tua stella iniusta e obliqua,
28.4che sii da tanto amor vinta ed opressa.
28.5Questa è legge dii ciel ferma ed antiqua,
28.6e ciò che elli destina unqua non cessa;
28.7e se ben questo a te non porta amore,
28.8colpa gli è sol del suo malvagio core.
29.1Così la ninfa misera e mischina,
29.2ovunque volge il bel Narciso e' passi,
29.3nascosamente drieto gli camina
29.4per boschi, per campagne, monti e sassi;
29.5mirando pur la sua beltà divina,
29.6ognor più pronta alla sua pena fassi,
29.7fin che cacciando il giovinetto, a caso
29.8senza compagni un giorno era rimaso.
30.1Disse alor il garzon discompagnato:
30.2— O mei compagni, è quivi alcuno? —. — Alcuno —,
30.3Ecco rispose; ed ei, maravigliato,
30.4mirossi atorno, e non vede veruno.
30.5Poi grida: — Vieni! —; ed è da lei chiamato,
30.6ma che lo chiami ancor vede nïuno.
30.7— Che mi t' asconde? —, lui. — Che mi t' asconde? —
30.8— Non mi sprezzar! —. — Non mi sprezzar —, risponde.
31.1— Quivi si congiongiamo! —, esso favella.
31.2Alor più lieta che mai fusse in vita:
31.3— Quivi si congiongiam —, risponde anch' ella.
31.4Né·lla parola apena era fornita,
31.5che dentro al cor sentì fiamma novella,
31.6che la fe' per suo mai pronta ed ardita:
31.7perché, prestando al suo parlar favore,
31.8esce dal loco ove è nascosa, fuore.
32.1Esce la ninfa, e speranza la mena
32.2per puor le braccia al col desiderato;
32.3ma come fu da lui mirata appena,
32.4fuor di misura el gioven fu turbato.
32.5Fugesi altrove, e lei lascia con pena,
32.6e disse, poi che alquanto è dilongato:
32.7— Prima morrò, ch' abbi di me tu copia! —.
32.8Ella rispose: — Abbi di me tu copia —.
33.1Or che dee far la ninfa dolorosa,
33.2che ogni speranza sua vede mancarse?
33.3gli resta sol con vista lagrimosa
33.4mirar il bel Narciso allontanarse.
33.5Essa lo mira in vista si pietosa,
33.6che farebbeno i sassi indi spezzarse.
33.7Lui fuggì; e nel fuggir sì bello appare,
33.8che farebbe le tigre innamorare.
34.1Sparse per l' aria a lui le chiome di oro
34.2soave vento, che nel correr piglia.
34.3La sconsolata, per maggior martoro,
34.4a' biondi crin di Febo le assomiglia,
34.5né credo stiano al parangon di loro
34.6le chiome de Dïana e de la figlia.
34.7Lauda e' bei piedi, e sol per sua disgrazia
34.8ogni cosa al fuggir gli presta grazia.
35.1Prende de gli atti suoi tanta vaghezza,
35.2che a mille doppie a lei cresce il tormento,
35.3e la gioia che prende e la dolcezza
35.4si muta in un penoso e duro stento;
35.5e ben che quel più che se stessa apprezza,
35.6considerando il suo ritroso intento,
35.7vorebbe, se potesse, non amarlo
35.8e pensa pur come possa odïarlo.
36.1Per questo ancor restollo di seguire,
36.2temendo di non fargli dispiacere,
36.3né ponerebbe indugio al suo morire,
36.4pur che morendo a lui faccia piacere.
36.5Da l' altra parte poi sprona il desire,
36.6che la fa ciò ch' e' vuol dil suo volere;
36.7di caldi pianti bagnase la faccia
36.8e fra se stessa non scia che si faccia.
37.1Ma poi che più non vide il giovinetto,
37.2dolente ben restò tutta confusa,
37.3e piena di dolor e di dispetto,
37.4il troppo ardir fra sé misera accusa,
37.5e gli occhi troppo ingordi al vago aspetto
37.6incolpa d' ogni mal; poscia gli escusa,
37.7né sa pensar come possibil sia
37.8che regni in tal beltà tal villanìa.
38.1Creder non può che ancor si sia partito,
38.2e sol de un vano error gli occhi riprende,
38.3e dà la colpa al senso sbigottito,
38.4che al vero iudicar la mente offende.
38.5Ma poi che vede pur che gli è fugito,
38.6il suo crudel dolor tanto alto ascende
38.7e tanto cresce la sua fiera pena,
38.8che da la morte se retiene appena.
39.1Or brama esser qual pria la misera Ecco,
39.2per pascer gli occhi al bel viso affamati;
39.3or vore' farsi un pruno, un tronco, un stecco,
39.4di que' che dal gar(z)on furon toccati;
39.5or vede il suo sperar smarito e secco
39.6e' soi primi pensieri esser spezzati;
39.7or ha in odio la vita e il suo martìre,
39.8ma per troppo dolor non può morire.
40.1Basa i fiori e la terra, che toccata
40.2fu nel passar da il delicato piede.
40.3Abbraccia l'aura e chiamala beata,
40.4ché vien da il loco ove Narciso crede;
40.5e tanto piagne e sospira ogni fiata,
40.6qualor alcun de' soi vestigii vede
40.7ne l' erba; è in dubio e non sa consigliarse,
40.8viver per pianti o per sospir seccarse.
41.1Non sa temprar il suo mortal furore,
41.2né a' suoi duri pensier sa poner norma,
41.3e quinci e quindi la distrae Amore:
41.4entro la mente il giovinetto forma,
41.5e di ciò l' infelice e gode e mòre,
41.6e sazia gli occhi sol con quella forma.
41.7Raccórda ad una ad una le parole,
41.8e poi fra sé si ne rallegra e dòle.
42.1Manda per gli occhi fuor continua pioggia,
42.2che gli fa il volto impallidito e macro,
42.3e dentro al cor si ramarica in foggia
42.4che a pietà moverebbe ogni cor acro.
42.5Nel miser petto ognor più il foco arroggia,
42.6col pensar solo al volto amato e sacro;
42.7così sprezzata, abita scure grotte
42.8e lochi pien di tenebrosa notte.
43.1E ben che sia da lei tanto da longe
43.2Narciso, nel pensier le sta davanti,
43.3e tanta doglia sopra doglia aggionge,
43.4che stilla il suco a lei del corpo in pianti.
43.5Questo estremo dolor l' alma le ponge
43.6in modo che ella perde e' suoi sembianti
43.7e tanto è vinta dal martìr e scossa,
43.8che sol restan di lei la voce e l' ossa.
44.1L'ossa avampate di amoroso foco,
44.2ben che nudate da la prima vesta,
44.3preson forma di sassi a poco a poco;
44.4visse la voce, e viva ancora resta
44.5per ogni bosco e ogni selvaggio loco,
44.6tanto ritien de il suo primo esser mesta,
44.7servando nel parlar sua prima usanza,
44.8ché il decreto del cielo ha tal possanza.
45.1Nanti al morir pregò con mente i dèi
45.2(ch' ogni parlar di questa in ciel se intende)
45.3che per vendetta de' suoi tanti omei,
45.4che del vivace ardor che il cor li 'ncende
45.5amasse lui si come amava lei,
45.6e fusse offeso ancor come altri offende.
45.7Volano e' prieghi e fanno un tale strido,
45.8che in fin de il terzo ciel gli udì Cupìdo.
46.1Udì Cupìdo e' prieghi senza voce
46.2e la durezza ('n) lui vinse pietade.
46.3Alor gli increbbe di tal pena atroce
46.4e dolsegli di questa crudeltade.
46.5Vede Narciso, ognor via più feroce,
46.6troppo superbo gir de sua beltade
46.7e per l'aque di Stige gli promette
46.8che ne farà di ciò crudel vendette.
47.1Spiega le penne e tre volte le scuote
47.2e così irato in sù si inalza a volo:
47.3ora le chiude ed or il ciel percuote.
47.4Drieto gli vola innumerabil stuolo
47.5di van desìri e di speranze vòte
47.6e d' incerte alegrezze e certo duolo:
47.7con queste ed altre sue veloci squadre
47.8pervenne al bel palaggio de la madre.
48.1Fra la seconda e fra la quarta sfera,
48.2di nove che circondan gli elementi,
48.3nel cerchio obliquo ove l'alta lumera
48.4secondo il corso suo dà gli alimenti,
48.5dopo la prima e la seconda fèra
48.6che trasser Iove e Frisso di tormenti,
48.7ove hanno il seggio Castore e Polluce,
48.8che si prestano insieme e toglion luce,
49.1sopra soblimi e gran colonne di auro
49.2un palagio in maniera è stabilito,
49.3con tante gemme e con tanto tesauro,
49.4che tante non ne sonno in ciascun sito
49.5da le Colonne a' Persi a l' Indo al Mauro
49.6quanto circunda il mar con ogni lito;
49.7tutto coperto di candido avoro,
49.8che la materia è vinta dal lavoro.
50.1Fondò già questo il gran fabro Vulcano,
50.2e stancò Bronte ed ogni suo martello;
50.3scolpìvi poi co maistrevol mano
50.4il mar, la terra; e cinge questa e quello
50.5le fiere e' pesci dentro, e il seme umano,
50.6il foco, l' aria e ogni volante augello,
50.7il ciel con dèi, che tutti li soverchia
50.8e con le sfere sue se stesso cerchia.
51.1In cima a questo è sculto il fier Cupìdo
51.2come dil mondo sol dominatore:
51.3qui calca e' cieli, e qui si ellegge el nido,
51.4uscendo allor de gli ellementi fuore,
51.5già fatti l'un con l'altro amico fido:
51.6è dove ei nacque generato amore.
51.7Scotendo le ale pargolette snelle,
51.8sembra in vista bramar sol cose belle.
52.1Védesse poi, in abito più altiero,
52.2che ben de imperio si direbbe degno,
52.3por questo insieme e quell'altro emispero
52.4sotto il suo scettro ed a sé farne un regno.
52.5Prende poi l' arco e divenuto arcero,
52.6fa del mondo e de' dèi novo disegno;
52.7una faretra a le sue spalle mette,
52.8ove piovono a garra le saette.
53.1Con queste vince e fère ogni mortale,
53.2con queste doma gli superni dèi.
53.3Védese ivi ferir d' uno suo strale,
53.4struggerse Iove in dolorosi omei;
53.5vestito poi di piume e fatte l' ale,
53.6sederse in grembo (a) Leda e baciar lei.
53.7Essa lo abbraccia, e non conosce quello
53.8lascivo più che non convene ocello.
54.1Novellamente el cor de un stral ferito,
54.2diventa abitator de' boschi de Ida,
54.3e di fallaci penne rivestito
54.4di quel augel in che più si confida,
54.5via sene porta il bel garzon rapito;
54.6e 'nvan chi ha di costui custodia fida,
54.7grida, levando a l' aria ambe le mani;
54.8e crudelmente al ciel latrano i cani.
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