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1.1Se di penne giamai candide e belle
1.2v' ornaste, pensier miei, le spalle e 'l petto,
1.3per inalzarvi al regno de le stelle,
1.4col favor di felice e chiaro oggetto,
1.5ornatev' or, e sian proprio di quelle
1.6che di poggiar per l' aria hanno diletto,
1.7usate a ricercar il mondo intorno
1.8e mirar ove nasce e more il giorno.
1.9Amor, che ne' sereni lumi e vaghi
1.10sempre vittorioso e lieto stai,
1.11de la cui gran beltà tanto t' appaghi
1.12che con lor vivi e non ti parti mai,
1.13ond' anime cotante ardi et impiaghi
1.14quante miran gli acuti ardenti rai,
1.15prestami l' ali, sì che con l' ingegno
1.16mi lievi di sue lodi al vero segno.
1.17Ecco che da' begli occhi Amor m' inspira,
1.18e m' invita la Musa al dolce canto:
1.19fugg' uom ch' a vera gloria non aspira,
1.20e che di vizii al cor s' ha fatto manto,
1.21che non deve sentir sì casta lira
1.22chi non è d' ogni error purgato e santo;
1.23e caggian fior dal ciel di Citarea,
1.24mentre ch' io canto esta terrena Dea.
1.25Poi che quel secol prisco e gli anni
1.26d' oro, e l' età che già fu lieta e beata,
1.27raccolto insieme ogni suo bel tesoro,
1.28a le case del Sol fu ritornata,
1.29restò questo di Dio degno lavoro,
1.30questa patria felice et onorata,
1.31qual tronco senza rami e senza foglia,
1.32povera di piacer, ricca di doglia.
1.33La pace sen fuggì seco e l' amore,
1.34i diletti, le gioie, il riso e 'l gioco,
1.35e tutto quel che più serene l' ore
1.36rendeva in questo tenebroso loco;
1.37lasciaro in vece lor odio, furore,
1.38guerra, pianto, sospir, tormento e foco,
1.39che di fiamme, di sangue e di ruine
1.40ricoperser del mondo ogni confine.
1.41I chiari fiumi e le fontane pure
1.42non correan più lucenti e be' cristalli,
1.43né le quercie qual pria, nodose e dure,
1.44sudavan mel ne le profonde valli;
1.45le rive diventar aride e oscure,
1.46già vestite di fior purpurei e gialli,
1.47le quali in vece d' acque fresche e grate,
1.48di sanguigna rugiada eran bagnate.
1.49L' alme, che di virtù chiara et ardente
1.50seguivan l' orme gloriose e belle,
1.51sviate da' desii, volser la mente
1.52a cercar di piacer strade novelle;
1.53e lasciando il camin ch' a l' oriente
1.54ci conduce del bene, et a le stelle,
1.55per la strada de' sensi s' inviaro,
1.56ov' è poca dolcezza, e molto amaro.
1.57E tutti i lor pensier rivolti al male,
1.58si diedero a trovar novi tormenti,
1.59novi modi di tor l' aura vitale
1.60inanzi tempo a le mal nate genti:
1.61così 'l mondo, che prima al Cielo eguale
1.62rempieva di piacer l' umane menti,
1.63si fe' selva d' orror fosca et ombrosa,
1.64al raggio d' ogni ben chiusa e nascosa.
1.65Vedendo il saggio Padre di Natura,
1.66al cui imperio soggiace ogni elemento,
1.67che rende l' aria or nubilosa or pura,
1.68e col cenno corregge il mare e 'l vento,
1.69che l' opra ch' egli avea con tanta cura
1.70fatta di ricco e nobile ornamento
1.71era un mar di dolor largo e profondo,
1.72lo prese alta pietà del cieco mondo.
1.73Onde per ritornar vago e beato,
1.74com' era ne' prim' anni, il basso regno,
1.75pensò mandar in questo umano stato
1.76di sua vera beltate il più bel pegno,
1.77de la cui gran vaghezza inamorato
1.78il mondo, avesse ogni altra cosa a sdegno,
1.79e dietro l' orme sue pregiate e sante
1.80torcesse i passi dal camino errante.
1.81E quante forme ne la mente avea
1.82di beltà senza par vera e perfetta
1.83mirando col pensier, la bella Idea
1.84scelse di questa semplice angioletta,
1.85che più d' ogn' altra di bellezze ardea;
1.86e quella avendo fra cotante eletta,
1.87formò di propria man l' alta figura,
1.88raro e novo miracol di Natura.
1.89Qual in ricco giardin pronta donzella
1.90per coronarsi il giovenetto crine
1.91spoglia dei varii fior l' erba novella,
1.92di vaga rosa le pungenti spine,
1.93così per far costei leggiadra e bella
1.94a le piaggie del ciel tolse le brine,
1.95al suo gran mar le perle, ai monti l' oro,
1.96il gran Rettor di quell' eterno coro.
1.97Non Fidia, Apelle, o chi pinse e scolpio
1.98meglio in duri metalli, in marmi, o 'n carte,
1.99di questa vera imagine di Dio
1.100avrian saputo far la minor parte:
1.101compiacque in questa sola al suo desio,
1.102né più poteva far Natura et Arte;
1.103né fu per tutto ciò gran maraviglia,
1.104sendo sola di Dio fattura e figlia.
1.105Ma che dirò, che come un sogno al vero
1.106non sia, di sua beltà celeste e viva,
1.107a cui se non aggiunge alto pensiero,
1.108qual penna fia che la depinga o scriva?
1.109Materia certa da stancar Omero,
1.110o s' alcun altro a maggior segno arriva.
1.111Dettami, Donna de le sante scole,
1.112sensi del merto suo degni e parole.
1.113Il biondo, crespo, inanellato crine,
1.114che con soavi errori ondeggia intorno,
1.115mosso da l' aure fresche e pellegrine,
1.116né d' altro mai che di se stesso adorno,
1.117quant' anime del Ciel son cittadine
1.118stringer poria con sì bel nodo intorno,
1.119che sciorsi non saprian dal ricco laccio,
1.120perché tornin più volte i fiori e 'l ghiaccio.
1.121Chi contempla la fronte alta e serena,
1.122di cui le Grazie fan dolce governo,
1.123onde l' aere turbato si serena,
1.124e fugge il freddo e nubiloso verno,
1.125si sente porre al collo una catena
1.126che non si scioglierà forse in eterno,
1.127ove di man d' Amor scritto si mira:
1.128Felice chi per me piange e sospira.
1.129S' apron due chiare e lucide fenestre
1.130sotto le nere sue tranquille ciglia,
1.131onde in questa prigion bassa e terrestre
1.132scorger si può di Dio la maraviglia:
1.133indi con l' ali sue veloci e destre
1.134esce talor, e seco si consiglia,
1.135nel suo vivo splendor chiusa e ristretta,
1.136l' alma, che fu da lui fatta perfetta.
1.137A quella bocca, che perle e rubini
1.138avanza di vaghezza e di colore,
1.139quanti ne mandan gl' Indi pellegrini,
1.140quanti ne tien nel suo bel regno Amore,
1.141non fia mai colto stil che s' avicini,
1.142non pur doni al suo merto egual onore,
1.143ond' escono pensieri alti et eletti,
1.144in sì soavi, in sì leggiadri detti.
1.145Purpurea grana sparsa in picciol colle
1.146di bianca neve pur caduta allora
1.147sembra la guancia delicata e molle,
1.148che foco di virtù pinge e colora;
1.149il mento, ch' ad ogn' altro il pregio tolle,
1.150il collo e 'l petto, ove valor dimora,
1.151u' castitate alberga, e leggiadria,
1.152lodilo Amor, ch' ivi si nutre e cria.
1.153Ma l' angeliche voci e le parole,
1.154proprie di Dio, e non d' uomo mortale,
1.155fanno fermar a mezzo giorno il Sole
1.156oltra 'l prescritto suo corso fatale:
1.157chi vol sentir come ne l' alte scole
1.158si canti senza al Cielo inalzar l' ale
1.159oda parlar costei, né cerchi poi
1.160trovar pari dolcezza unqua fra noi.
1.161Potrebbe il dolce riso arder il mare,
1.162far liquida la terra, e freddo il foco,
1.163tal che le lodi più pregiate e chiare
1.164al suo vero valor sariano poco:
1.165non ha Vener lassù cose sì care,
1.166ove scherzano ognor diletto e gioco,
1.167che non cangiasse a un riso di costei,
1.168per arder del suo amor uomini e Dei.
1.169Ma che cerch' io d' annoverar le stelle,
1.170o del lito tirren le salse arene,
1.171volendo dir del fior de l' altre belle
1.172ciò ch' a sua gran bellezza si conviene,
1.173se quante furon mai lingue e favelle
1.174di maggior grido, e di più salda spene,
1.175non saprian dir la millesima parte
1.176de le vaghezze in lei da Dio cosparte?
1.177Formata ch' ebbe l' opera gentile,
1.178fra tante anime a lui care e dilette
1.179che vivean sempre in quel fiorito Aprile,
1.180una ne scelse de le più perfette;
1.181e lei, che tutta pura era et umile,
1.182lavata prima sette volte e sette
1.183d' ardente carità nel fiume eterno,
1.184de la fattura sua pose al governo.
1.185Poi che nel caro albergo ella s' ascose,
1.186ch' avea le stanze trasparenti e terse,
1.187con l' auree chiavi sue destre e 'ngegnose
1.188la ricca porta e le finestre aperse;
1.189e le serene luci et amorose
1.190al suo santo fattor volte e converse,
1.191mirando fiso ne l' etterna mente
1.192si fece più che pria chiara e lucente.
1.193E 'ngenocchiata nanzi al sommo Padre,
1.194ch' avea vaghezza di sì bella figlia,
1.195gli rendeo grazie in sì saggie e leggiadre
1.196note, ch' empiér ciascun di maraviglia;
1.197indi rivolta a le superne squadre,
1.198d' un onesto rossor fatta vermiglia,
1.199cominciò a rimirar coi lumi intenti
1.200le lunghe schiere de le liete genti.
1.201Qual virginella semplicetta e pura,
1.202che sin allor entro un albergo ascosa
1.203abbia tenuto la paterna cura,
1.204poscia che fatta l' han novella sposa
1.205o sue proprie bellezze o sua ventura,
1.206sen va per la città vaga e bramosa
1.207gli occhi volgendo ove 'l desio la mena,
1.208e di stupore e di diletto piena;
1.209così la Donzelletta umile e queta
1.210volgendo i lumi desiosi intorno
1.211risguardava talor quel bel pianeta
1.212che ne riporta in grembo il novo giorno,
1.213talor la Luna, ch' or turbata or lieta
1.214fa ne l' ultimo Cielo il suo soggiorno,
1.215et ore le fixe stelle, et or l' erranti,
1.216e gli anni, e i mesi, e i dì presti e volanti.
1.217Gli angeli eletti e l' altre anime sante,
1.218piene di maraviglia e di stupore,
1.219come la cara amica acceso amante,
1.220miravan sua beltate arse d' amore;
1.221e dove ella volgea le belle piante,
1.222ch' orme imprimevan di perpetuo onore,
1.223lodandola seguiano il suo camino
1.224per lo lucido cerchio cristallino.
1.225La vaga Fama, che con chiara tromba
1.226giva volando in questa parte e 'n quella
1.227con occhi d' Argo e penne di colomba,
1.228portò per tutti i cerchi la novella,
1.229di cui il grido ancor suona e rimbomba
1.230ne l' ampio e ricco albergo d' ogni stella,
1.231ché visto non avean l' alme beate
1.232alma sì pura, o sì rara beltate.
1.233A sì chiaro romore, a sì bel grido,
1.234a così dolce e strana maraviglia,
1.235ogni vertù celeste il caro nido
1.236lasciò per veder lei, con liete ciglia:
1.237il fanciulletto Iddio signor di Gnido
1.238spiegando l' ala candida e vermiglia
1.239salio lassù co' pargoletti amori,
1.240lasciando gli archi e le faretre ai fiori.
1.241Non miracol sì novo e inusitato
1.242di duo soli veder parve a le genti
1.243allor che Claudio col bel freno aurato
1.244reggeva Roma, e co' pensier prudenti,
1.245come a l' alme del regno fortunato
1.246di mirar la vaghezza e gli ornamenti
1.247di due bellezze, ch' Iddio date avea
1.248a questa pargoletta e santa Dea.
1.249Come tenero padre, che scolpita
1.250vede di sé l' effigie in altrui viso,
1.251pieno di dolce gioia e d' infinita
1.252mai sempre sta negli occhi cari affiso,
1.253così in questa angioletta a lui gradita
1.254si specchiava il Signor del Paradiso,
1.255e gli adornava or questa or quella parte,
1.256qual madre figlia che da sé diparte.
1.257Indi disposto di mandarla in terra,
1.258e seco l' aurea etate e i dì felici,
1.259e quel ben che lassù rinchiude e serra
1.260ne le fiorite sue vaghe pendici,
1.261acciò che 'l mondo dopo tanta guerra
1.262avesse pace, e tutti i Cieli amici,
1.263basciolla in bocca, e le mandò nel core
1.264eterno foco del suo santo amore.
1.265Dicendo col parlar suo saggio e piano,
1.266ne l' aspetto qual suol grave et umile:
1.267Figliola, del mio amore e di mia mano
1.268bella fattura, e pegno alto e gentile,
1.269acciò che l' infelice stato umano,
1.270or più che giamai fosse oscuro e vile,
1.271torni com' era pria chiaro e pregiato,
1.272e sia 'l viver là giù lieto e beato;
1.273Acciò che l' alme, che quindi mandai
1.274a vestir di mortal caduco velo,
1.275volgano al suo fattor le luci omai
1.276piene di santo e di celeste zelo,
1.277ricca più d' altra al mondo te n' andrai
1.278del vero ben, de le virtù del Cielo;
1.279e con l' ardor che nel tuo petto invio
1.280le genti accenderai de l' amor mio.
1.281In questa i bei di Dio corrieri alati,
1.282cui la sua voluntà non era ascosa,
1.283del lume de le stelle coronati,
1.284non pur di calta e di purpurea rosa,
1.285da le virtù celesti accompagnati,
1.286schiera certo beata e gloriosa,
1.287venner per gir con la felice Donna,
1.288del mondo e del suo onor salda colonna.
1.289Poi che basciata mille volte e mille
1.290l' ebbe il gran Padre pien di dolce affetto,
1.291al lieto suon de l' angeliche squille,
1.292che di dolcezza empieano il sacro tetto,
1.293versando ella dagli occhi alcune stille
1.294del caldo umor ch' amor tragge dal petto,
1.295spiegò qua giù le sue purpuree piume
1.296cinta dai raggi del divino lume.
1.297Candida nube non la chiuse intorno,
1.298ma un nuviletto di diversi fiori,
1.299di rose nate a l' apparir del giorno,
1.300spruzzate d' acque di celesti odori;
1.301lasciar gli angeli eletti il lor soggiorno
1.302allegri in vista, e con leggiadri errori
1.303volavan dietro a l' anima gentile,
1.304cantando in dolce e dilettoso stile:
1.305Or potrà 'l Mondo andar ricco et altero
1.306senz' invidiar giamai l' altrui contento,
1.307poi che quel sommo Re del santo impero,
1.308che fe' liquido il mar, veloce il vento,
1.309manda la Donna, nobil magistero
1.310de le sue dotte mani, e con lei cento
1.311virtù che 'l Ciel rendean vago e felice,
1.312per ornar de la Terra ogni pendice.
1.313Omai l' età de l' or, che s' era alzata
1.314ne le case del Tempo, a star fra noi
1.315con lei ritorna, e la bellezza usata
1.316rende a la Terra, e gli ornamenti suoi,
1.317tal che giamai sì ricca e sì beata
1.318non la vid' uom, né mai la vedrà poi,
1.319perché rieda più volte il caldo e 'l gelo,
1.320poi che costei sarà tornata in Cielo.
1.321I puri fiumi omai con l' urna d' oro
1.322verseran l' onde lor tranquille e quete,
1.323e porteranno al mare il lor tesoro
1.324col corno pieno, e con le faccie liete;
1.325alzerà 'l crine il trionfante alloro,
1.326il mirto, il pino, il populo, e l' abete,
1.327onde la selva di foglia novella
1.328vestendosi, verrà frondosa e bella.
1.329La pace umile con l' oliva in mano
1.330mostrerà fuor le sue bellezze conte,
1.331tal ch' ogni piaggia, ogni colle, ogni piano
1.332vedrà sua mansueta e vaga fronte,
1.333al cui solo apparir giràn lontano
1.334le guerre, gli odi, gli disdegni, e l' onte,
1.335et ei ne diverrà lieto e tranquillo
1.336sotto la scorta del suo bel vexillo.
1.337Nobil desio ne le villane menti
1.338de' mortali entrerà d' eterno onore,
1.339fiamma gentil de le virtuti ardenti
1.340scalderà 'l freddo lor gelato core;
1.341e dove erano prima oziosi e lenti
1.342a seguitar il ben, presti a l' errore,
1.343si faran pronti a quello, a questo tardi,
1.344come buoi zoppi, o come veltri o pardi.
1.345Così cantando con le penne tese
1.346percotean l' aere lucido e sereno
1.347i vaghi abitator del bel paese
1.348ove vero gioir mai non vien meno,
1.349con lei, che scorta a gloriose imprese
1.350portò di grazie così colmo il seno,
1.351che perch' ognor ne doni a questa e a quella,
1.352ne rimarrà più d' altra adorna e bella.
1.353Giunta a la porta de l' estrema sfera,
1.354ov' alberga quel Re sacro e celeste,
1.355de l' alme eterne la felice schiera
1.356con le fronti restò pallide e meste:
1.357ella al voler di Dio presta e leggiera,
1.358con parlar dolce, con maniere oneste
1.359accomiatata da la santa gente,
1.360salio per l' uscio ricco d' oriente.
1.361De l' apollineo albergo avean già l' Ore
1.362aperta l' aurea porta, e come suole,
1.363adorno di celeste aureo splendore,
1.364s' apparecchiava per uscir il Sole;
1.365già si fuggiva il mattutino albore,
1.366e togliea l' ombra a l' erbe e a le viole,
1.367quando cacciate le notturne larve,
1.368la pargoletta al suo bel regno apparve.
1.369A la cui chiara luce alzò le ciglia
1.370quel che guardò d' Admeto i bianchi armenti,
1.371e tutto pien di strana maraviglia
1.372stava coi lumi e coi pensier intenti
1.373in questa del Signor sembianza e figlia,
1.374che con la fronte, e con gli occhi lucenti,
1.375le tenebre sgombrando d' ogni intorno
1.376a' mortali portava un più bel giorno.
1.377E di tanta bellezza inamorato,
1.378via più che de la figlia di Peneo
1.379per cui sì lungamente ha sospirato,
1.380per calle u' mai 'l suo piede orma non feo,
1.381andò col ricco et aureo carro a lato
1.382a questa, degna del canto d' Orfeo,
1.383e de la musa che cantò d' Achille
1.384con sì famose e sì sonore squille.
1.385Passato il cerchio del gentil messaggio
1.386di Giove, e l' altro della fredda Luna,
1.387cominciaro i mortali a sì bel raggio
1.388alzar la vista tenebrosa e bruna,
1.389maravigliosi che dal suo viaggio
1.390torcesse quel ch' ogn' altra luce imbruna;
1.391così fiso mirando a poco a poco
1.392scorsero un altro sole, un altro foco.
1.393Non così di stupore erge la fronte
1.394incauto villanel che non ha mai
1.395visto posar sul bel nostro orizzonte
1.396l' arco celeste con suoi pinti rai,
1.397sì come al sol de le bellezze conte,
1.398ch' ogni rara beltà vincon d' assai,
1.399a così strana e nobil maraviglia,
1.400alzar le genti allegre ambe le ciglia.
1.401Lasciato a tergo avea 'l prescritto segno
1.402per lungo spazio il bel Signor di Delo,
1.403a cui già pien d' amor e di disdegno
1.404gli occhi coperse un nubiloso velo,
1.405poi che chiamarsi al suo paterno regno
1.406s' udì più volte dal gran Re del Cielo,
1.407né senza pianto indietro si rivolse,
1.408cotanto di partir da lei si dolse.
1.409Già s' udiva qua giù l' alta armonia
1.410de l' angeliche voci, e 'l dolce canto
1.411che dal vermiglio nuviletto uscia,
1.412a cui le chiuse orecchie aperse alquanto
1.413il mondo allegro, ch' era sordo pria;
1.414e rasciugato il doloroso pianto,
1.415che facea 'n terra un tepido ruscello,
1.416disse fra sé: Forse sarò ancor bello.
1.417Come nebbia talor folta et oscura
1.418fugge dal fiato di spirante vento,
1.419così pieno di gelo e di paura
1.420se ne fuggì dal mondo ogni tormento;
1.421ogni adverso destino, ogni sventura
1.422disparve al dolce lume in un momento
1.423di questa di virtù sola fenice,
1.424e 'l mondo cominciò farsi felice.
1.425Santa beltà, che come in propria siede
1.426ne la fronte, ov' Amor si specchia e mira,
1.427alberghi, e quindi mai non movi il piede,
1.428tanto valor a la mia lingua inspira,
1.429che 'l tuo solo favor invoca e chiede,
1.430ch' al roco suon di questa bassa lira
1.431possa cantar a chi non gli ha veduti
1.432i rari effetti de le tue vertuti.
1.433Sempre santa onestà nel grembo adorno
1.434d' onorati pensier s' asside e posa,
1.435non tocca più ch' a l' apparir del giorno
1.436in rinchiuso giardin candida rosa,
1.437e vigilante si rivolge intorno,
1.438de la bellezza sua fatta gelosa,
1.439gridando ad alta voce: Stian lontani
1.440desir lascivi, o pensier folli e vani.
1.441Né perch' Amor volgar, di sua beltate
1.442bramoso, intorno al freddo cor s' aggiri,
1.443per accender il foco di pietate
1.444col vento de le penne e de' sospiri,
1.445può il duro ghiaccio mai di castitate
1.446con la fiamma scaldar de' suoi desiri,
1.447onde dice talor colmo di guai:
1.448sto sempre seco, e non l' enfiammo mai!
1.449Anzi d' ogni desio mondano e vile
1.450spogliandol, piena di sincero affetto,
1.451di più gradito ardor, di più gentile
1.452ella mal grado suo gli scalda il petto,
1.453accendendo con l' esca e col focile
1.454che le diè in Cielo il suo Padre diletto
1.455in lui quel foco, e quella chiara fiamma
1.456che del l' amor di Dio gli Angeli infiamma.
1.457Se gira i piedi in questa parte o in quella,
1.458qualor grave e pensosa il passo move,
1.459non tanta grazia da benigna stella,
1.460quanta da l' orme lor deriva e piove:
1.461da le sue piante par ch' erba novella
1.462esca, e forme di fior leggiadre e nove,
1.463onde dice ciascun per maraviglia:
1.464Quest' è di Primavera o sora o figlia.
1.465Ed ella umile e d' altre glorie vaga,
1.466come chi picciol ben non prezza o cura,
1.467a quel paterno Sole in cui s' appaga
1.468ogni desire, ogni sua nobil cura,
1.469rivolta col pensier, contenta e paga
1.470si specchia ne' begli occhi di Natura,
1.471e cotanto splendor prende da quella,
1.472che rende sua beltà sempre più bella.
1.473Chiunque costei mira intento e fiso
1.474diventa pregno de l' eterna luce,
1.475tanta nel dolce suo sereno viso
1.476la bella Donna ognor seco n' adduce;
1.477né di veder aperto il Paradiso,
1.478con quel chiaro splendor ch' ivi riluce,
1.479s' allegran sì gli spiriti beati,
1.480come noi gli occhi suoi di foco armati.
1.481Da' quali una virtù sì calda piove
1.482che subito dal volgo n' allontana,
1.483con forme di valor sì rare e nove
1.484che puon gentil tornar d' alma villana;
1.485come ogni rivo si diparte, e move
1.486il picciol corno da fresca fontana,
1.487così dagli occhi di costei descende
1.488ciò ch' al mondo s' onora, e ciò che splende.
1.489Quindi nasce ch' ognun che in lor s' affisa,
1.490e prova la virtù del raggio ardente,
1.491con l' alma d' alto amor presa e conquisa,
1.492arde nel foco suo sì dolcemente,
1.493che ben che libertà gli sia precisa,
1.494di servitù sì dolce il giogo sente,
1.495che non vorria, per sempre andarne sciolto,
1.496perder sol una vista del bel volto.
1.497Né maraviglia che col chiaro foco
1.498ch' esce per gli occhi dal bel petto fuori,
1.499com' oro che s' affina a poco a poco,
1.500l' alma gli purga di mondani errori,
1.501onde la mente si solleva un poco,
1.502uscita già di tenebre e d' orrori,
1.503e comincia a mirar senz' alcun velo
1.504che gli appanni il veder da lungi il Cielo.
1.505Indi sapendo che sì come legno
1.506abbandonato dal nocchiero accorto,
1.507spinto dal fero e procelloso sdegno,
1.508errando va per camin lungo e torto,
1.509ai venti, a l' onde, a la tempesta a sdegno,
1.510senza speranza di trovar il porto
1.511è l' alma che ragion non regge e guida,
1.512ai lor novi desii la dà per guida.
1.513Poscia ch' al senso, a l' appetito il freno
1.514ha posto di ragion l' alta guerriera,
1.515apre a' pensieri loro il santo seno
1.516senza mostrarsi disdegnosa o fera;
1.517a cui, condotti nel più bel sereno
1.518de l' interna beltà perfetta e vera,
1.519che non turba né tempo né Fortuna,
1.520scopre le sue bellezze ad una ad una.
1.521Or del mio casto amor lieti godete,
1.522or cibate il famelico desio,
1.523dice ridendo, or spengete la sete
1.524col dolce umor del puro fonte mio;
1.525vostr' è questa beltà che qui vedete,
1.526né la vi torrà morte o destin rio,
1.527anzi ad ognor più fresca e più fiorita
1.528di lei godrete ne l' eterna vita.
1.529Né contenta di ciò, perché mercede
1.530non abbian de' lor meriti minore,
1.531con la scala che 'l Ciel largo le diede,
1.532ond' a lui s' alza e poggia a tutte l' ore,
1.533per via ch' occhio mortal non scorge o vede
1.534pregando lui che del suo ardor verace
1.535gli accenda il cor con la sua santa face.
1.536Temo, o Donna gentil, ch' abbiate a sdegno
1.537che canti più di voi sì roca lira,
1.538poscia ch' alti concetti al basso ingegno
1.539il vostro gran valor più non m' inspira;
1.540ma che poss' io? a sì sublime segno
1.541l' umile mio saver non m' alza e tira:
1.542dirassi almen che questo oscuro inchiostro
1.543feì chiaro quanto seppe il nome vostro.
1.544Forse averrà che queste carte ancora,
1.545lucide con l' ardor de' vostri raggi,
1.546e d' invidia e di duol pianger talora
1.547faran gli ingegni pellegrini e saggi,
1.548i quai diran: Perché non venn' io allora,
1.549che 'l mondo non sentia cotanti oltraggi
1.550de la Fortuna, et era il viver bello,
1.551or fatto di martir folto drapello?
1.552E cercheranno in questa parte e 'n quella,
1.553con lungo studio e con ardente cura,
1.554per trovar opra od antiqua o novella
1.555di maestro martello o di pittura
1.556dove la vostra Idea perfetta e bella
1.557mostri l' alto saver de la Natura,
1.558e diran sospirando: O santa Diva,
1.559beati gli occhi che ti vider viva!
1.560Che se l' imagin sol di tua beltate
1.561rende bella del mondo ogni pendice,
1.562potria la vita far l' alme beate,
1.563e la vita mortal sempre felice:
1.564o fortunati lor, che in quella etate
1.565vennero al mondo, e quest' alta Fenice
1.566vider con l' ali e con le piume d' oro
1.567scender dal Ciel per abitar con loro!
1.568Ben dovrebbono alzar archi et altari
1.569gli uomini al vostro onor, e statue e tempi,
1.570d' opra tal che degli anni invidi avari,
1.571o di tempo furor non rompa o scempi,
1.572perché tanto saran celebri e chiari,
1.573quanto, dai colpi disdegnosi et empi
1.574di morte difendendo il vostro onore,
1.575s' udrà del grido suo l' alto romore.
1.576Voi cui benigno Apollo il puro fonte
1.577apre, qualora l' onorata sete
1.578spenger volete, che 'l famoso monte
1.579tutto cercato con le Muse avete,
1.580se bramate con glorie altere e conte
1.581uscir del fondo de l' eterno lete,
1.582consacrate a costei le vostre penne,
1.583che per far ricco il Mondo in terra venne.
1.584Acciò poscia ch' avrà mill' anni e mille
1.585sepolti il tempo, de la costei gloria
1.586ardin nel mondo ancor l' alte faville
1.587nel dotto sen d' ogni purgata istoria;
1.588e sì come di Cesare e d' Achille
1.589si serba ognor fra noi chiara memoria,
1.590viva di Iulia il glorioso nome
1.591mentre spiegherà il Sol l' aurate chiome.
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