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1.1Aure, ch' intorno mormorando andate,
1.2e fra le verdi erbette e rugiadose
1.3la dolce Primavera accompagnate,
1.4ameni e verdi colli, piaggie ombrose,
1.5rive, ch' adorne di fior bianchi e gialli
1.6sete più d' altre vaghe e dilettose,
1.7fiorite, sacre, e solitarie valli,
1.8lascivi pesci, che scherzando gite
1.9per questi puri e liquidi cristalli,
1.10deh, le dolenti alte querele udite
1.11taciti sì che 'n voi pietà si veggia
1.12de le gravose mie doglie infinite.
1.13S' alcun pastor con la sua amata greggia
1.14è qui vicin, sotto qualch' ombra intento
1.15prego ad udire i miei lamenti seggia,
1.16e testimon del fero empio tormento,
1.17di me gl' incresca, che sempre piangendo
1.18invan d' amor mi doglio e mi lamento,
1.19né per altro morire indugio prendo,
1.20se non per far a tutto 'l mondo fede
1.21che mal fin fa chi vive amando, ardendo.
1.22Colui ha per lo Ciel rotato il piede
1.23già dieci volte, per cui sempre piange
1.24Peneo, ch' in fronde la sua figlia vede,
1.25poi che prima arsi; né mai fuor del Gange
1.26il chiaro giorno uscio, che ne la fronte
1.27non veggia il duol ch' ognor mi crucia et ange;
1.28o 'n piaggia aprica, o 'n chiusa selva o monte,
1.29ovunque il travagliato piede volsi,
1.30ho fatto di quest' occhi un vivo fonte;
1.31né giamai alcun fiore o frutto colsi
1.32del seme sparso de' miei lunghi guai,
1.33come là su dove si puote vòlsi;
1.34peregrinando un lustro integro andai
1.35con lungo exilio, e sol di rimembranza
1.36mi vivea degli amati e chiari rai;
1.37né mai visse desio senza speranza
1.38fuori che 'n me, così spietata sorte
1.39mi dipinse nel cor l' alta sembianza.
1.40La mia nemica, anzi pur dolce morte,
1.41prendendo del mio strazio alto diletto
1.42sempr' a' giusti desir chiuse le porte;
1.43né per mostrarle un amoroso affetto,
1.44né per sempre pregare e lagrimare,
1.45destai pietà ne l' orgoglioso petto:
1.46sallo il paese ove Cesar bagnare
1.47fe' del gallico sangue mille spade,
1.48che m' ha sovente udito sospirare;
1.49sel vide Ibero, con l' ispane strade,
1.50che correndo calcai co' piedi infermi,
1.51e l' Occeano, e l' angliche contrade;
1.52l' udiro i luoghi solitari et ermi
1.53del Reno dal sinistro e destro corno,
1.54ove sforzato fui spesso a dolermi;
1.55e 'l nivoso Apennin, che d' ogn' intorno
1.56ho cercato più volte, il Tevre e l' Arno,
1.57e 'l Po, dove piangendo ognor ritorno,
1.58che m' han veduto impallidito e scarno
1.59chiamar la morte mille volte e mille
1.60Amor pregando e la mia Donna indarno,
1.61e sparger tante lagrimose stille
1.62dal dì ch' io caddi a l' amoroso intoppo,
1.63quante per Demofon versò mai Fille;
1.64e ben ch' ella leggera e di galoppo
1.65fuggisse i preghi miei qual veltro o damma,
1.66i' l' ho seguita col piè lento e zoppo;
1.67né per lo suo rigor una sol dramma
1.68scemò del foco mio, anzi il fe' tale,
1.69che con più forza ognor lasso m' enfiamma;
1.70poi, come volse il mio destin fatale,
1.71ritornai qui, dove già pria mi piacque
1.72l' alta cagion del mio sì acerbo male,
1.73e lungo le correnti e turbid' acque
1.74che chiudon l' ossa del figliol d' Apollo
1.75unqua la lingua mia da poi non tacque.
1.76Così col duro e grave giogo al collo,
1.77senz' aver ore mai serene o liete,
1.78son già vicin di Morte al fero crollo;
1.79né posso quei pensier tuffare in Lete,
1.80rubelli al mio tranquillo e lieto stato,
1.81né le voglie sì audaci et inquiete;
1.82o l' amoroso ardor dentro celato
1.83spenger col pianto, né saldar la piaga
1.84che mi fece nel cor lo strale aurato:
1.85forza di pietre, d' erbe, o d' arte maga,
1.86tutto l' alto saper, vagliono nulla,
1.87tanto del proprio error l' alma s' appaga;
1.88e certo sin dal latte e da la culla
1.89fui condennato a sempiterni danni
1.90per due begli occhi ov' Amor si trastulla;
1.91né spero uscir giamai di tanti affanni,
1.92o gli omeri sottrarre al grave peso,
1.93per volger di pianeta o corso d' anni;
1.94che chi mi tien fra verdi rami preso
1.95raddoppia i lacci, e così 'ntrica il nodo,
1.96che perché io senta 'l cor dal duolo offeso,
1.97più ch' io cerco di sciormi, e più m' annodo.
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