about
people
how to cite
dataset
versions
json schema
resources
browse
search
authors
books

7° Giorno

Il mondo creato

PoeTree.it

1.1Roma, da poi che 'l glorioso impero
1.2ebbe disteso da l'occaso a l'orto
1.3e per le parti d'Aquilone e d'Austro,
1.4al popol vincitor mirabil vista
1.5di duo teatri in un sol giorno offerse,
1.6i quai si congiungean volgendo a torno.
1.7Sì che le genti in lor divise e scevre,
1.8di cui l'una pur dianzi a l'altra parte
1.9si stava occulta, con l'unirsi insieme
1.10ne l'ampia forma d'un perfetto giro,
1.11si vider tutte, e non rimase ascosto
1.12alcun di loro, anzi mirando a cerco
1.13ripieni i gradi de l'assisa turba,
1.14maraviglia e diletto ebber repente
1.15pur de l'aspetto inusitato e novo.
1.16Ma in questo ch'allor fece il mastro eterno
1.17gran teatro e volubile e rotante,
1.18ch'anfiteatro di sua gloria assembra,
1.19bench'una spera sola in sè congiunti
1.20duo rinchiuda diversi ampi emisperi,
1.21pur l'uno a l'altro si nasconde e cela
1.22e de l'opposte in lor divise genti
1.23questa mai quella non rimira o scorge.
1.24E già nulla n'intese, e 'n dubbio visse
1.25se pur altri abitanti avesse il mondo,
1.26o fosse in parte solitaria ed erma
1.27la terra ignuda, o sotto l'onde ascosa.
1.28Nè perchè sempre intorno il ciel si volga,
1.29sarà giamai che la girante scena
1.30mostri i popoli a noi c'han fissi incontra
1.31i lor vestigi ne l'aprica terra,
1.32o noi co' nostri alberghi a lor discopra
1.33in questi quasi pur distinti gradi,
1.34per cui s'inalza o si dechina il polo.
1.35Ma quel che far non può volubil giro
1.36di tanti cieli e 'nfaticabil corso,
1.37fa de la mente che si volge e riede
1.38in se medesma il rapido pensiero,
1.39ch'è quasi un suo perpetuo e vario moto.
1.40Perchè dinanzi a lui si toglie il velo
1.41de la terra interposta, e 'n Dio mirando
1.42scorge nel suo gran lume il mondo accolto,
1.43che divien quasi angusto a l'alma accesa,
1.44che fuor del mondo è rapta, e nulla adombra
1.45i popoli co' regni a' lumi interni.
1.46Talchè ne' gradi lor disposti intorno
1.47sol contemplando, il pellegrino ingegno
1.48scopre i Finmarchi e gli ultimi Biarmi,
1.49e scopre insieme gli Etiopi e gli Indi.
1.50E d'un lato gli appare il freddo Carro
1.51e 'l pigro Arturo, e pur nel tempo istesso
1.52altro polo, altri lumi insieme ei scorge.
1.53Non perchè il mondo a lui s'accorci e stringa,
1.54ma perchè la sua mente in Dio s'avanza,
1.55e divien ampia sì ch'a lei soggetto
1.56l'universo in un guardo accoglie e mira.
1.57Come già vide il Benedetto Padre,
1.58ch'a l'alto ciel di mille accese lampe
1.59segnò morendo il luminoso calle,
1.60parte seguendo il suo pensier sublime.
1.61Ricerca pur dove il cultor eterno
1.62il paradiso a maraviglia adorno
1.63facesse, e 'n quale istranio ignoto clima
1.64fiorisser le felici e nove piante,
1.65quando pria fu creato il padre Adamo.
2.1Era dunque compiuta omai la terra,
2.2compiuti i cieli, e gli ornamenti e fregi
2.3l'opere di sei giorni avean distinte,
2.4e quel maraviglioso alto lavoro,
2.5quando cessando Dio d'opra novella
2.6e dal creare, ebbe nel dì seguente,
2.7che fu settimo giorno, alto riposo.
2.8Nè fu poi creator di nova prole,
2.9ma le prodotte conservando in vita,
2.10di lor prese il governo; e di quetarsi
2.11ne le cose create a lui non piacque.
2.12Già fece il cielo, ed acquetarsi in cielo
2.13non prese in grado, e i bei stellanti giri
2.14fece, e col vago sol l'errante luna,
2.15nè volle riposar ne l'auree stelle
2.16o ne la sfera del sovran pianeta,
2.17over nel cerchio de la luna algente.
2.18Fece la terra ancor, ch'è ferma e salda,
2.19nè riposò nella gravosa terra
2.20che in se medesma si mantiene e giace.
2.21Dove adunque ed in chi quiete e posa
2.22ebbe il fattor di cose eterne e magne?
2.23Ben è ragion che le costanti e gravi
2.24sian quelle sole, in cui non prenda a sdegno
2.25di riposare, anzi quiete o moto
2.26non fu giamai senza la stabil parte.
2.27Però sempre si move il ciel rotando
2.28sovra i suoi poli quinci e quindi affissi.
2.29E non si moveria, se stabil centro
2.30ei non avesse al suo perpetuo corso.
2.31Onde si finge il favoloso Atlante,
2.32che 'ntorno a' poli opposti il ciel rivolge,
2.33e ne la ferma terra i piedi appoggia.
2.34E gli animali ancor mobili e vaghi
2.35mover non si potrian, se 'n lor non fosse
2.36la stabil parte che s'acqueta e posa.
2.37E però quella che si curva e piega
2.38nel movimento, è lor di centro in vece.
2.39Dunque se mover debbe il motor primo,
2.40non sol convenne ch'egli immobil fosse,
2.41ma che 'n non mobil parte il moto eterno
2.42fermasse ancora. E di fermarlo in terra
2.43ei non degnò. Dove fermollo adunque?
2.44qual de la terra è più costante mole?
2.45Ne l'uom quetollo, e l'uom alfin de l'opre
2.46volle crear, perchè cessasse il moto,
2.47e se moto non fu, l'arte divina
2.48restasse di crear l'opre moderne.
2.49Più de la terra adunque è l'uom costante,
2.50sì come quel che de l'eterno essempio
2.51è vera imago, e il suo caduco e grave
2.52spogliar si deve; e 'ncorruttibil forma
2.53rivestendo, là suso alfin s'eterna
2.54ne la quiete d'invisibil regno.
2.55In questa guisa volle Iddio creando
2.56mostrar de la sua morte alto mistero,
2.57quasi in figura. Anzi predir da lunge,
2.58ch'anzi i tormenti de la morte, il Figlio
2.59devea ne l'uom quetarsi, e 'n membra umane,
2.60a guisa di mortale, al dolce sonno
2.61conceder gli affannati e lassi spirti.
2.62Dunque s'acquetò Dio ne l'uom terreno,
2.63e l'uomo in sè non ha quiete o pace?
2.64Non han quiete in sè gli egri mortali,
2.65ned opra di natura in sè riposa.
2.66Ma gira il foco nel perpetuo corso
2.67del ciel sempre inquieto e sempre vago,
2.68l'aria agitata da contrari venti
2.69è da se stessa ognor divisa e sparsa,
2.70l'acqua trascorre e senza pace ondeggia.
2.71E questa, ch'a noi par gravosa e ferma,
2.72terrestre mole ancor si scote e crolla
2.73da' fondamenti, e ruinose atterra
2.74le cittati e le terre eguali a' monti,
2.75e i monti istessi, e scissa il petto e 'l grembo,
2.76talor ne le voragini profonde
2.77scopre i regni di Pluto e i ciechi abissi,
2.78e l'ultima ruina altrui minaccia.
3.1Ma nel suo creator pace e riposo
3.2han le create cose. E 'n se medesmo
3.3egli s'acqueta, nè d'esterna gloria,
3.4nè d'altro ben fuor di se stesso ha d'uopo,
3.5ch'è sommo bene, e con riposo eterno
3.6governa l'immortal felice regno
3.7là 've dal travagliar ne chiama a parte.
3.8E se 'n terra ne l'uom quetarsi eci volle,
3.9fu perchè l'uomo in Dio s'acqueti al fine.
3.10Però quand'egli in sì mirabil tempre
3.11l'umanitate al suo divin congiunse,
3.12pose a la vita faticosa e stanca
3.13in se medesmo alfin dolce restauro;
3.14e gloria e grazia onde s'adempia e bea
3.15nostra natura ch'essaltar cotanto
3.16in lui si vide. Adunque il sesto giorno
3.17a l'opre nove fin sul vespro impose,
3.18nè poi nova progenie o nova stirpe
3.19egli devea creare. E ben convenne
3.20che del gran mondo producesse il parto,
3.21e di tutte le specie in lui raccolte
3.22col numero di sei ch'è più fecondo.
4.1Ma narri quel c'ha la scienza e l'arte
4.2del numerar, come pregnante il sei,
4.3e ne le parti sue perfetto e pieno
4.4generar poi di sè varie figure
4.5di numeri egli possa, e tutto aggiunga
4.6ciò che ne le sue scole insegna il mondo.
4.7Dicavi ancor come è infecondo il sette,
4.8perch'egli di sè nulla alfin produce,
4.9e di nulla è produtto, e poi sen vanti
4.10come ei faria di gran tesoro occulto.
4.11Or tralasciam, quasi sprezzando, a dietro
4.12quello onde tanto va gonfia e superba
4.13mondana sapienza, e sol ci caglia
4.14de l'uso de' fedeli antico e sacro,
4.15onde al settimo dì s'aggiunse onore;
4.16l'onoraro i Giudei nel sesto giorno,
4.17quando lieti inalzar frondose tende,
4.18e ricovrar sotto i selvaggi alberghi.
4.19E l'onorar nel dì famoso ancora
4.20che per le trombe e celebrata pompa
4.21è sonoro e festante, e pregio al sette
4.22non men de gli altri il dì propizio accrebbe.
4.23E 'l settimo anno fra gli antichi Ebrei
4.24fu d'ogni riverenza e d'onor degno:
4.25perchè ne' sei ch'eran trascorsi avanti
4.26lecito era a ciascun fender la terra
4.27con duro aratro e ne' solcati campi
4.28sparger con larga mano il fertil seme.
4.29Ma nel settimo poi contento e pago
4.30ei raccogliea dal non arato grembo
4.31sol quanto volontaria ella produce.
4.32E sei anni serviva il prisco Ebreo;
4.33libero da fatica e da servaggio
4.34era il settimo poscia. E 'l duro giogo
4.35de gli Assiri superbi oltre l'Oronte,
4.36oltre l'Eufrate, in Babilonia oppresse
4.37anni sessanta i miseri captivi,
4.38e nove appresso; e candida refulse
4.39l'antica libertate al popol servo
4.40quando il sette col diece ha pieno il giro.
5.1Or trapassiam senza dimora a' nostri.
5.2Ben sette volte il dì cade e risorge
5.3il giusto, cui d'Adamo il grave incarco
5.4e la natura sua caduca atterra;
5.5ma la grazia il solleva, e 'n questa guisa
5.6di tal numero noi consorti andremo.
5.7Settimo Enoch dal genitor primiero
5.8morte non vide; e 'l gran misterio adombra
5.9questa ch'or vive, ed a l'imperio estinto
5.10sorvive ancor, Chiesa immortale e santa.
5.11E settimo Mosè dal padre Abramo
5.12prese la legge. E la cangiata vita,
5.13l'iniquità scacciata e 'l varco aperto
5.14a la giustizia, e Dio ch'a noi discende
5.15con membra umane, e s'avvicina e giunge,
5.16e più santa virtute insegna al mondo
5.17mirabilmente, e nova legge apporta,
5.18pur da Mosè son figurate in parte.
5.19Ed aggiungendo pure al diece il sette,
5.20e 'l sette appresso, dal vetusto Adamo
5.21il figlio di Maria produtto apparve.
5.22E poi conobbe ancora il vecchio Pietro
5.23del numero del sette alto mistero,
5.24che di perdono e di quiete è segno;
5.25ma nol conobbe a pien, chè dubbio e 'ncerto
5.26prima ne parve, e poscia ei pur l'intese,
5.27chè rivelollo il suo Signore e mastro,
5.28lo quale in perdonando aperse il grembo
5.29de le sue grazie e de i tesori eterni.
5.30Nè sette volte sole, anzi settanta
5.31sette fiate a perdonare insegna.
5.32Onde a la pena di Caino ingiusto
5.33e già macchiato del fraterno sangue
5.34il perdono di Pietro allor risponde,
5.35quasi da l'altra parte al fallo opposto.
5.36Ma 'l perdon del Signore adegua e passa
5.37di Lamech condannato antica colpa:
5.38perchè di leve error perdono angusto
5.39par che si dia; ma se 'l peccato abonda,
5.40ivi la grazia oltra misura avanza.
5.41Ed a chi molto si perdona e 'ndulge,
5.42molto concede di fervente amore
5.43quel ch'è verace amante, e non l'infinge.
6.1È di perdono adunque e di riposo
6.2segno il settimo giorno, in cui cessando
6.3il Padre eterno, di cessare essempio
6.4diede a l'antico Ebreo, che indarno or cessa
6.5d'opre e di fede neghittoso e tardo.
6.6E quel settimo dì mattino ed alba
6.7ebbe, nè vide poi la sera e 'l vespro,
6.8ch'ancor non giunge, e non adombra il giorno,
6.9lo qual s'illustra di perpetua luce;
6.10ma le veci del tempo e 'l corso e i giri
6.11chiudono i nostri dì fra mane e vespro,
6.12in cui ciascuno ancor s'adopra e cessa,
6.13e col riposo le fatiche alterna.
6.14Insin che giunga spaventoso in vista
6.15quel, che dee consumar la terra e 'l cielo,
6.16settimo giorno minacciato inanzi
6.17orribilmente. Allor le mura eccelse
6.18di questa luminosa antica mole
6.19espugnate faranno alte ruine.
6.20E 'l foco vincitor, predando intorno
6.21gli umidi regni, e i già fumanti e negri
6.22campi de la fervente arida terra,
6.23parrà che tutto abbia converso in fiamma,
6.24sì che a pena del mondo omai disfatto
6.25vedransi l'arse e incenerite spoglie,
6.26quasi trofeo de la giustizia eterna.
6.27Ma nel principio de l'orribil giorno,
6.28in aspettando i minacciati incendi,
6.29nozze non si faran, nè liete pompe.
6.30E non si cambieran le care merci
6.31fra l'Indo e 'l Mauro, o fra lo Scita algente
6.32e l'Etiopo, anzi il timore adusto
6.33ne la coltura de' fecondi campi
6.34de' mortali sarà studio e fatica.
6.35Ma d'un novo stupor la terra ingombra
6.36attonita parrà, parran tremanti
6.37tutte l'opre di Dio create in prima,
6.38per l'improvviso insolito spavento.
6.39E i giusti ancor de la sentenza estrema
6.40timore avranno. Allora il padre Abramo
6.41temerà non di foco o di tormento,
6.42ma del grado d'onore a cui sortillo
6.43la providenza del suo Re superno,
6.44e 'n qual ordin de' giusti a lui riserba
6.45la giustizia divina i premi e 'l loco,
6.46o sia il primo o 'l secondo o siasi il terzo.
7.1E 'l Re del ciel folgoreggiando in alto
7.2dimostrerassi in bianca nube avolto;
7.3e come nube ch'è squarciata o velo,
7.4i cieli a lui dinanzi aperti e scissi
7.5vedransi rivelar l'alta possanza.
7.6E mille appariran e mille ardenti
7.7d'essercito divin falangi e squadre,
7.8risplendendo là sù di luce e d'armi.
7.9Fiammeggiarà con l'oro il fino elettro
7.10entro le spaventose oscure nubi,
7.11e vedransi ir vagando a nembo a nembo.
7.12E più di tuoni spaventosi udransi
7.13terribilmente le canore trombe.
7.14Crollati e scossi i bei stellanti chiostri
7.15tremar tutti vedransi al gran rimbombo;
7.16tremarà ne l'orror confusa e vinta
7.17la natura creata; avran temenza
7.18gli angeli stessi, e riverenti in alto
7.19al fulminante Re staranno intorno.
7.20Qual re di Persi mai, d'Assiri e d'Indi
7.21sì coronato fu d'orride schiere
7.22entro presa città, che 'l foco e 'l sangue
7.23correndo inonda orribilmente e 'ngombra,
7.24e di recise membra e di cosparte
7.25ruine il ferro ancor riempie e colma?
7.26O qual imago d'Ilion superbo,
7.27che fu dal greco incendio arso e combusto,
7.28qual de l'imperiosa alta Cartago
7.29ruinosa caduta, o di Corinto
7.30o di Numanzia pur ruina e scempio,
7.31quai di tutti, dico io, confusa e mista
7.32lacrimosa, sanguigna, orrida imago
7.33potrà rassomigliarsi al già distrutto
7.34entro a fumanti incendi e vasto mondo,
7.35che di se stesso a sè fia rogo e tomba?
7.36Allor rapiti fian a volo i giusti,
7.37e le nubi saran carri volanti
7.38che porteranli. E i duci angeli eletti
7.39d'auriga in vece, al nubiloso carro
7.40ciascun farà veloce ed alto il corso.
7.41Risplenderan come lucenti stelle
7.42allora i giusti. E dal gravoso pondo
7.43di lor peccati e di lor colpe avinti,
7.44cadranno i rei nel precipizio eterno
7.45oppressi, e non sarà ch'indi risorga
7.46alcun giamai da l'odioso incarco.
8.1Oh grande, spaventoso, orrido giorno!
8.2E fia pur ver ch'abbia mattino ed alba,
8.3nè fine imponga a tanto orrore il vespro?
8.4O pur termine fia pur anco affisso
8.5a quel gran dì de' premi e de le pene
8.6in quell'ultima sera? e nova luce
8.7risplenderà maravigliosa eterna
8.8nel giorno ottavo, onde le menti illustri?
8.9Qual Roma, già famosa e nobil opra
8.10del gran Quirino e del nepote Augusto,
8.11del novo imperio fondatore e padre,
8.12da barbarica man percossa e vinta,
8.13cadde in se stessa e fra ruine e morti
8.14in se medesma poi sepolta giacque;
8.15col vicario di Cristo indi risorse
8.16più bella a gli occhi de la mente interni,
8.17e maggior di se stessa, anzi del mondo,
8.18che capace non è del santo e sacro
8.19suo regno già fondato in salda pietra;
8.20tal (s'agguagliar si può la parte al tutto)
8.21avrà suo fin questa caduca mole
8.22de l'universo, e col girar del tempo
8.23il girevol teatro a terra sparso
8.24cader vedrassi in cenere e 'n faville.
8.25Poi rifatto sarà dal fabro eterno,
8.26e risorgendo in più mirabil forma
8.27non fia suggetto al variar de' lustri,
8.28nè mai più temerà ruina o crollo.
9.1Ma questo ora del ciel volubil tempio
9.2fermo sarà col sole, e 'l torto corso
9.3fermo ancor fia de l'altre stelle erranti.
9.4Talchè i beati avran costante albergo
9.5là dove eterna fia pace tranquilla,
9.6e non commossa da tempesta o turbo
9.7pura invisibil luce e stabil giorno,
9.8cui termine non fia l'orrida notte.
9.9Nè correr si vedrà da mane a vespro,
9.10e non avrà con l'ombra il giro alterno,
9.11nè con varia stagion vicenda e corso;
9.12ma premio avran là sù le nobili alme
9.13di riposo e di gloria in un congiunti,
9.14e fia somma quiete il sommo onore.
9.15Là dispensate fian corone e palme
9.16a' gloriosi, e seggi alti e lucenti.
9.17E quei che guerreggiaro in lunga guerra,
9.18quanto è la vita de' mortali erranti
9.19sovra la terra, e riportar vincendo
9.20del nemico Satàn in duro campo
9.21mille vittoriose e sacre spoglie,
9.22là sù vedransi trionfando a schiera
9.23nel gran trionfo eterno, e 'l gran vessillo
9.24coronati seguir del Re possente
9.25de gli altri regi. E la divina destra
9.26in quel d'eternità lucido tempio,
9.27onde precipitando angel rubello
9.28cadde, sospenderà le spoglie eccelse
9.29e i trofei de la Croce. Oh lieto giorno,
9.30giorno sacro e felice, in cui s'eterna
9.31la pompa trionfal, la gloria e 'l canto
9.32e la quiete! Allor quiete e pace
9.33avran le menti rapide e rotanti,
9.34c'han sì vari pensier, sì vario il moto;
9.35ed or fuor di se stesse un dritto corso
9.36fanno, a le cose pur caduche e basse
9.37quasi inchinando e con distorti giri
9.38corron talvolta oblique, e 'n se medesme
9.39si rivolgon talora e fanno il cerchio,
9.40o 'ntorno a quel divino immobil centro,
9.41di cui l'anima vaga è quasi spera.
9.42E di fortuna ancor l'instabil rota
9.43ferma allor fia, s'ella col ciel si volge.
9.44Riposo avranno ancora i nostri affetti
9.45che incontra la divina eccelsa mente
9.46fanno ritrosi passi e torto calle,
9.47sì come opposti al più sublime cielo
9.48soglion volgersi ancor Giove e Saturno,
9.49e la stella di Marte e di Ciprigna.
9.50E giusto è ben che s'allor fine avranno
9.51i moti de le stelle erranti e fisse,
9.52l'abbiano quelli ancor di mente e d'alma
9.53umana, ch'assembrar del cielo il corso.
9.54Tutti avran pace allor nel fisso punto
9.55de la Divinità. Riposo eterno
9.56sarà l'intender nostro e 'l nostro amore,
9.57che in tante guise ora si varia e cangia,
9.58e con tante volubili rivolte.
9.59Riposo eterno fia la grazia e 'l merto,
9.60e 'n seggio eterno. Or chi fra noi s'attempa
9.61in aspettando il giorno, e soffra e speri,
9.62e del tempo e del fato i duri colpi
9.63vinca sol tolerando, e giusto oltraggio
9.64faccia a la dispietata orrida morte.
9.65E mentre il gran Clemente al primo essempio
9.66la Chiesa informa ed a l'idea celeste,
9.67seco ciascuno ancor nel puro tempio
9.68de la mente serena Iddio raccoglia,
9.69e gli figuri il simolacro interno
9.70di sua pietà. Sia l'alma il sacro altare,
9.71vittima l'innocente acceso core,
9.72amor di carità sia foco e fiamma.
9.73Così prepari in sè l'interno albergo,
9.74pur volubile ancora e pur costante
9.75ne' giri incerti, insin che 'l nudo spirto
9.76voli a quella sublime eterna reggia
9.77là dove è 'l sacerdozio aggiunto al regno.
10.1Ma dove, oh dove mi trasporta il corso
10.2del fervido pensier? Dal giorno estremo
10.3torniamo a quello, in cui creato in prima
10.4fu dal celeste il genitor terreno.
10.5Dio sparsa non avea la pioggia ancora
10.6sovra l'arida faccia e 'l secco grembo
10.7de l'ampia terra, e 'l buon cultor de' campi
10.8nato non era faticoso a l'opre.
10.9Ma sorgea dal terreno un chiaro fonte
10.10che tutto l'irrigava, e i monti alpestri
10.11talvolta ancor bagnava e l'aspre rupi,
10.12sì come il Nilo il verde piano inonda
10.13de l'Egitto fecondo, e i lieti campi
10.14di negra arena ricoperti impingua.
10.15E fosse quello o nube aerea o fonte,
10.16era sublime sì ch'a gli erti gioghi
10.17mormorando spargea l'onde correnti.
10.18Fonte, fonte fu quella, e d'alta parte
10.19ne' princìpi del mondo ancor novello
10.20fu a' monti in vece di piovosa nube,
10.21non pur al polveroso ed umil suolo.
11.1Formò dunque il Signore e 'l Padre eterno,
11.2eterno Dio, l'uom di terrestre limo.
11.3Ed in far questa de la specie umana
11.4quasi statua vivente, ei pura elesse
11.5e sincera materia, allor di novo
11.6da l'acque separata; e 'l misto umore
11.7colonne e spresse, e quinci e quindi il meglio
11.8de la terra ei v'aggiunse a prova scelto:
11.9sì che in sè non avea o colpa o vizio
11.10quella prima materia, in cui l'albergo
11.11fabricar volle a la più nobile alma
11.12fornita di ragione, e quasi il tempio.
11.13Fu la malizia poi difetto e colpa
11.14ne la materia del corrotto seme,
11.15onde la fame e l'importuna sete,
11.16e di languidi morbi essangue schiera,
11.17e la pallida morte alfin deriva.
11.18Buono era il fabro, e la materia e l'arte
11.19fu buona anch'ella, onde leggiadre ed alte
11.20e ben formate fur le nove membra
11.21a maraviglia, e forti insieme e belle
11.22del padre Adamo, e da vermiglia terra
11.23preser vago color le guance e 'l pelo.
11.24E 'l nome egli medesmo indi sortio,
11.25misterioso nome in cui s'espresse
11.26ch'egli in terra nascea signore e donno
11.27de l'oriente e del contrario occaso,
11.28e de le parti d'Aquilone e d'Austro.
11.29Ne l'alma ancora usò mirabile arte,
11.30nè 'n farla riguardò creato essempio,
11.31ma 'n se medesmo e nel suo propio Verbo,
11.32di cui fece ne l'uom divina imago.
11.33E 'n faccia gli spirò spirto di vita,
11.34non di se stesso già divina parte,
11.35come altri stima, ma creato spirto,
11.36e soffiato da lui, perch'egli avvivi
11.37ed animato faccia il nobil corpo.
12.1Sì come Fidia d'Alessandro invitto
12.2dopoi facendo il simolacro illustre,
12.3la magnanima fronte al ciel rivolse,
12.4e ripiegando la cervice altera
12.5gli alti di lui costumi in guisa espresse,
12.6ch'ei non contento del terreno impero
12.7par ch'aspiri a le stelle e chieda il cielo;
12.8così il fabro primier la fronte e gli occhi
12.9alzò de l'uomo a le stellanti spere,
12.10perchè là guardi, onde celeste origo
12.11ebbe l'alma immortal, ch'eterno regno
12.12par che chieda per grazia al Padre eterno.
12.13Ma tutti altri animali a terra ei volse
12.14pendenti e proni, a rimirar costretti
12.15pur sempre la commune ignobil madre,
12.16come sian nati obbedienti al ventre,
12.17perchè 'l lor fine è pure il pasto e 'l cibo,
12.18e terreno piacer gli alletta e molce.
12.19Ma se talora oltra ragione in alto
12.20intende l'uomo, e senza grazia o merto
12.21aspira al cielo e superbisce ed osa,
12.22miri la terra, e 'n sè rivolga e posi,
12.23ch'egli nato di polve, alfin in polve
12.24sarà converso, e 'n cor superbo appiani
12.25ogni pensier che di se stesso il gonfia.
12.26E come quel che serva ignobil madre
12.27di nobil genitor produsse in vita,
12.28spira il paterno orgoglio e l'ire e 'l fasto
12.29de la progenie antica, e 'n alte imprese
12.30generoso talor s'arrischia e tenta,
12.31poi ripensando a la materna stirpe
12.32al soverchio ardimento ei stringe il freno;
12.33così l'uom de l'antica e bassa madre
12.34l'umil principio suo contempli e guardi
12.35il seno ond'egli uscì, ch'ei preme e calca
12.36con piè superbo irriverente audace,
12.37come s'egli dal ciel recato avesse
12.38di materia celeste aspetto e membra.
12.39Pensi fra sè ch'egli è animal terrestre,
12.40che per terra ei camina, e 'n terra ei cerca
12.41il nutrimento e si riposa in terra,
12.42e per la terra ancora è in lite e in guerra
12.43sovente, e corre forsennato a l'armi.
12.44E non fa grande mai nè lieve impresa,
12.45se non sovra la terra, e l'ire estingua,
12.46e gli ardenti desiri ammorzi e queti.
12.47Questo pensier ch'a l'umiltà l'inchina
12.48alcune volte, altre il solleva al cielo
12.49il suo spirto immortal, che 'l fine affisso
12.50non loca in terra o pur ne l'auree stelle,
12.51ma nel Signor, al cui sublime seggio
12.52il ciel del cielo è quasi terra umile,
12.53tanto è lontano a la divina altezza.
13.1Ma non sol ne l'aspetto e ne la fronte
13.2mirabile arte fu del mastro eterno,
13.3che 'n ogni parte ella trapassa a dentro,
13.4e le celate ancor figura e forma.
13.5Ma pur sì come in rocca e 'n torre eccelsa
13.6son disposte le guardie intorno intorno,
13.7onde sicura da notturna insidia
13.8il nemico lontan si scopre e vede;
13.9così a guardia i veloci e desti sensi
13.10collocò nella testa il fabro eterno.
13.11Fè quasi vallo le palpebre a gli occhi,
13.12e le ciglia pilose; e 'l varco aperse
13.13a le sonore voci, onde trapassa
13.14di messaggiero in guisa, a dentro il suono,
13.15e di fuor le novelle al cuor apporta.
13.16Ma fece a l'altre cose il passo angusto,
13.17e quell'umide vie rivolse in giro,
13.18qual laberinto; e più spedito calle
13.19per doppia strada a' dolci odori aperse.
13.20Umida e molle diè la lingua al gusto,
13.21che distingue i sapori; e sparse il tatto
13.22per ogni membro umano, e 'ntorno al capo
13.23fece de le sue propie e vaghe chiome
13.24quasi natia corona, ond'ei s'adorna
13.25questa mole, che l'ossa intera avinse
13.26co' nervi, che son quasi i lacci e i nodi
13.27tenaci e lenti, ond'ei s'incurva e piega.
13.28Fece quasi di sangue un vivo fonte
13.29il core, ed altre fonti interne appresso.
13.30E quasi rivi di corrente umore
13.31le vene, che dal core a l'altre membra
13.32portano il sangue onde s'irriga il corpo.
13.33E tutta in tutto lui diffuse e sparse
13.34l'ama, che 'n ogni parte è tutta ancora,
13.35benchè tre sian in una, e sian congiunte
13.36le due mortali a l'immortal sorella.
13.37Perch'ella avolta entro i corporei chiostri
13.38non sdegni d'abitar terreno albergo,
13.39sin che 'l Signor la si richiami al cielo
13.40da quella guardia, ov'ei la pose in terra.
13.41Ne l'alta adunque de la nobil testa
13.42rocca fondolla, e quasi in propia reggia.
13.43Ivi de l'uom, ch'è quasi un picciol mondo,
13.44a lei concesse l'onorato impero.
13.45L'altre, come soggette al giusto regno,
13.46ne le più basse parti il fabro eterno
13.47dispose, e rimovendo i lochi e i seggi,
13.48da le profane separò la sacra
13.49potenza. E l'ira, che di fiamme ardente
13.50e di vendetta ingorda avampa e ferve,
13.51precipitosa pose in mezzo al petto,
13.52ed albergolla nel sanguigno core,
13.53nè rinchiusa starà ne' seni angusti,
13.54ma spesso per timor s'agghiaccia e stringe.
13.55E 'l ventoso pulmone appresso ei giunse,
13.56che di mantice in guisa accoglie e rende
13.57l'aure di fuori, e quel calore interno
13.58col dolce respirar tempra e rinfresca.
13.59La cupidigia le supreme parti
13.60altrui concesse, e quasi a forza spinta,
13.61si ritirò ne l'ime: ivi ricovra.
13.62E quel cinto che l'uom traversa e fascia,
13.63la divise da l'altra, e quasi belva
13.64al suo presepio ivi rimase avinta.
13.65Avidamente ivi si nutre e pasce,
13.66anzi mille rabiose ardenti brame
13.67empier non può famelica e vorace.
13.68Ch'ora avaro pensier la fiede ed ange
13.69con dura sferza, or de la face avampa
13.70di mille amori, e tutto è foco e fiamma.
13.71Questo ora avien che l'una e l'altra a punto
13.72de la ragione ha scosso il giogo e 'l freno
13.73e nemica si mostra e ribellante.
13.74Ma quando pria creolle il Padre eterno,
13.75nè tumulto nè guerra era ne l'alma,
13.76ma somma pace, e 'n sommo amor concordi
13.77ubidian de la mente al giusto impero.
13.78E 'l suo volere era costante legge
13.79a l'alma, di giustizia ancora amica.
14.1In questa guisa la divina destra
14.2formò l'uom primo non soggetto a morte,
14.3ma per grazia immortal, non per natura,
14.4come l'angelo fu ch'è pura mente.
14.5E lui formò là sovra il suolo aprico
14.6de l'antica Damasco, e vecchia fama
14.7(se degna è pur di fede) ancor l'afferma.
14.8Poi trasportollo entro l'ameno e lieto
14.9suo paradiso, che d'ombrose piante
14.10e di feconde a maraviglia adorno
14.11fè l'arte e l'opra del cultore eterno.
15.1Loco è ne l'Oriente, ove percossa
15.2dal sol vicino più s'accende e flagra
15.3quella maggior del cielo adusta fascia
15.4posta in mezzo fra 'l cerchio onde rivolge,
15.5quasi fermato, il sole il corso errante
15.6da l'albergo del Cancro, e l'altro giro
15.7in cui dal Capricorno indietro ei torna.
15.8Quivi di piante coronato e d'ombre
15.9un altissimo sorge e sacro monte,
15.10là dove nè vapor ristretto in nebbia
15.11o 'n nube ascende o condensato in pioggia,
15.12e non vi spira ancor procella o turbo
15.13obliquo e denso o fulmine tonante.
15.14Nè vi giunge del sol ritorto il raggio
15.15in guisa ch'egli l'aria infiammi e scaldi.
15.16Però benchè nel pian la terra avampi,
15.17e tepidisca le frondose falde
15.18del vago monte, al molle erboso tergo
15.19col soverchio calor non toglie il verde,
15.20variando stagione, o noia apporta,
15.21nè a la sua fiorita e lieta fronte.
15.22Ma l'odorate sue dipinte spoglie
15.23fioriscon sempre e le corone eccelse.
15.24E rugiada dal ciel, che 'n perle accolta
15.25stilla più larga, le corone ingemma,
15.26e d'argento le fa le spalle e 'l seno.
15.27Però ch'ivi l'algente ed umida ombra
15.28sempre col chiaro dì lo spazio adegua,
15.29onde quanto le scema il caldo giorno,
15.30tanto la fresca notte indi l'accresce.
15.31Arroge il cristallino e chiaro fonte,
15.32lo qual di largo umor l'irriga e sparge,
15.33e versa di piacer ampio torrente.
15.34E vi s'aggiunge ancora il rezzo e l'aura,
15.35ch'aura non è, che di vapor terreno
15.36fumante e grave esali impura e mista,
15.37e col torbido volo i vaghi spirti
15.38disperda per quell'aria e cresca e scemi,
15.39e talor cessi e perda il moto e l'ali.
15.40Ma (se creder ciò lece) aura celeste
15.41fatta è dal giro del sereno cielo,
15.42e move d'Oriente, e 'nchina e piega
15.43le fronde e i rami a la contraria parte
15.44dolce spirando e con perpetue tempre.
16.1Qui pose il Padre eterno il padre Adamo.
16.2E degno il fè di quel felice albergo,
16.3in cui produsse ogni più bella in vista
16.4stirpe frondosa o più soave al gusto.
16.5Del paradiso ancor piantò nel mezzo
16.6il legno de la vita, e 'l legno insieme
16.7ch'a distinguer dal bene insegna il male.
16.8E 'l fiume del piacer le piante asperge,
16.9poi fuor del paradiso inonda e corre
16.10rapidamente, e si divide in quattro.
16.11Fison fu detto il primo, or detto è Gange,
16.12quasi emulo del mare, il qual circonda
16.13de gl'Indi la feconda aprica terra,
16.14ove le vene son del lucido oro,
16.15ove il carbonchio pur fiammeggia e vince
16.16col suo splendor le tenebre notturne.
16.17E, lieto, il prasio ancor verdeggia e splende
16.18con mille altre lucenti e care gemme.
16.19E somigliante a la più nota oliva
16.20vi sorge il bdelio, e frondeggiando adombra
16.21e lacrime odorate instilla e sparge
16.22lacrime amare, ma lucenti in vista.
16.23E Gebon il secondo, or Nilo appella
16.24nova non pur, ma già vetusta etate.
16.25Questo a la terra d'Etiopia intorno
16.26corre, ed impingua i campi al verde Egitto.
16.27Il terzo si chiamò dal corso il Tigre,
16.28perch'ei nel corso la saetta assembra,
16.29e serba ancor l'antica gloria e 'l nome.
16.30Corre contra gli Assiri Eufrate il quarto.
16.31E l'uno e l'altro pria congiunto, e scevro
16.32poscia, e di novo alfin confuso e misto,
16.33de la Mesopotamia il suol rinchiude.
17.1Santissimo cultor di sacro monte,
17.2a lato a cui Parnaso umile e basso
17.3sarebbe in vista, e 'nchinerebbe a prova
17.4la sua gemina fronte e 'l doppio giogo,
17.5benchè di lauri s'incoroni ed orni;
17.6non dirò, siami tu d'Apollo in vece,
17.7ma tu discopri del fallace Apollo
17.8mille menzogne, e tu rivela il vero,
17.9che ne l'antichità si sta sepolto,
17.10e ne' profondi tuoi misteri ascoso.
17.11Tu, che 'l tuo paradiso adorno e lieto
17.12facesti, in lui spargendo il rezzo e l'ombra,
17.13tu, che versasti l'urne a' puri fonti,
17.14ed apristi a' gran fiumi occulto il varco;
17.15tu il sito scopri e 'l gran principio ignoto,
17.16e 'l non costante lor cangiato corso.
17.17Tu 'l facesti, e rifar la terra e 'l cielo
17.18potresti ancora, e del tuo ardente spirto
17.19spira a gran pena a me l'aura celeste.
17.20È ver che 'l terzo cielo, ove fu rapto
17.21già Paulo col pensier levato a volo,
17.22sia terren paradiso? è terra in cielo?
17.23e ne la sfera de l'opaca Luna
17.24è pura terra forse? e spechi e selve
17.25vi sono? e veri seggi e verdi chiostri
17.26cingon là sù selvaggi ombrosi tempi?
17.27e se terra non è confusa e mista
17.28col cielo, onde la luna il volto adombra?
17.29o pur onde l'adombra errante ingegno,
17.30che terra e paradiso in ciel ricerca?
17.31L'audace peregrino indarno agogna
17.32mentre di qua del Cancro ei pur ne chiede,
17.33o pur di là del Capricorno opposto,
17.34in più temprata zona; e 'ndarno i fonti
17.35ei spia del Nilo, ove la fama antica
17.36già riporli solea nel vasto grembo
17.37de' monti de la luna, o quei del Gange
17.38nel Caucaso gelato, o 'n monti Armeni
17.39quelli ond'escon veloci Eufrate e Tigre?
17.40e s'ivi pure ei lor ritrova e scorge,
17.41come il tuo paradiso il vivo fonte
17.42ha di quattro famosi e chiari fiumi?
17.43forse il tuo paradiso il giro integro
17.44de l'inarata ancor terra feconda
17.45fu in quel de l'innocenza antico stato?
17.46o variaro i fiumi il letto e 'l corso?
17.47e dal primiero or fan lungo viaggio?
17.48cotanto può mutar l'età vetusta?
17.49Forse nel paradiso i primi fonti
17.50sorgono mormorando e chiari al cielo,
17.51e poi sommersi entro 'l profondo grembo
17.52de la caliginosa oscura terra
17.53van sotterra girando i ciechi regni,
17.54sin che di novo apparsi in chiara luce
17.55altri fonti di sè ne l'erte rupi
17.56fan de l'aspre montagne esposte a' sensi?
18.1Ma i primi fonti ancor nascondi e copri
18.2al vano studio de' mortali erranti,
18.3non pur a l'animosa e debil vista.
18.4Occulto è dunque il gran principio interno
18.5del puro fonte, onde il piacer si versa.
18.6E quando tutta ne' dilluvi accolti
18.7giacque sommersa la gran madre antica,
18.8quel fonte sol non si diffuse e sparse.
18.9E fu da l'acque allor sicuro il sacro
18.10monte di paradiso, e 'l loco eletto
18.11a l'umana natura e 'l fido albergo,
18.12ch'al cerchio de la luna è sì congiunto.
18.13Ma qual di ciò sia l'ombra antica, o 'l vero
18.14ch'illuminar può le moderne carte,
18.15rivelal tu. Tu, che le menti illustri,
18.16santissimo cultor del nostro ingegno,
18.17che fai de l'alma un paradiso adorno,
18.18in cui le piante son pensier sublimi
18.19in contemplar di te nutriti e colti.
18.20E d'una fonte istessa i quattro fiumi
18.21son le quattro virtuti in sè distinte.
18.22Ma quel fonte se' tu: tu vivo fonte,
18.23che d'eterno piacer le menti aspergi,
18.24ond'ogni alta virtù deriva e nasce.
18.25Or te stesso dimostri a l'ombra, a l'aura,
18.26or nel rubo fiammeggi, e in viva fiamma
18.27altrui ti manifesti e 'n luce ardente.
19.1Dio l'uomo in guisa di traslata pianta,
19.2chè pianta è l'uom, nel paradiso ameno
19.3locò portato dal fecondo suolo,
19.4ove prima creollo; e quivi in guardia
19.5il pose di quel lieto e dolce loco,
19.6perch'egli oprasse, e già creato indarno
19.7egli non era a neghittosa vita.
19.8Bench'uopo non facea fatica od opra
19.9a quella antica e più feconda madre,
19.10madre da' parti non lassata e stanca,
19.11ch'avea di mamme in vece i fiumi e fonti,
19.12onde versava umor sì largo e dolce.
19.13Certa, maravigliosa, alma Pandora,
19.14che l'ampio vaso avea ripieno e colmo
19.15di tutti i doni, onde diletta e giova.
19.16Ma più belle opre, e di più belle parti
19.17a l'uom si convenia l'alta coltura.
19.18Perch'adornar devea la nobil mente
19.19di cari fregi e di virtù sublimi,
19.20fra cui tiene pietà le sedi eccelse.
19.21Pietà, ch'è vero culto onde s'adora
19.22ne l'alma riverente il Re del cielo.
20.1È tra gli antichi Ebrei canuta e sacra
20.2fama, ch'al figlio ereditaria il padre
20.3lasciò quasi per mano, indi s'accrebbe,
20.4e vola e spazia ancor canora e grande.
20.5E questa afferma al suon di varie lingue,
20.6e con mille ali il suon divolga e porta,
20.7che mentre l'uom vivea sciolto e solingo,
20.8senza la fragil sua consorte errante,
20.9non ancora creata, il dolce loco
20.10de' suoi diletti, il paradiso ameno
20.11del suo piacer non fu sembiante a' nostri.
20.12Perchè fra' nostri la non colta selva
20.13lieta frondeggia, e non ha senso il bosco
20.14d'arbori pieno, e con perpetuo onore
20.15serbano alcuni ognor le frondi e 'l verde.
20.16Altri sol verdeggiando i cari germi
20.17mandano allor che giovinetto è l'anno,
20.18e la stagione in giovenil sembianza
20.19di sue ghirlande va superba e lieta.
20.20Altri soglion produrre i dolci frutti
20.21sì cari a l'uomo, altri a le fere il cibo.
20.22Ma 'l paradiso del Signore adorno
20.23animate avea già l'altere piante,
20.24e tutte avean favella e senso o mente.
20.25O maraviglie del Signore eccelse,
20.26in cui nulla è di falso, o 'l finto adombra
20.27quel che di vero si nasconde e cela.
21.1E disser questi ancor che 'l novo mondo
21.2era a l'uom, cche pur dianzi in terra nacque,
21.3quasi un'ampia città, ch'ignobil mastro
21.4non fè di rozzo legno e rozza pietra,
21.5nè circondolla di caduche mura,
21.6nè di stagnante umor fosse palustri
21.7cavolle intorno. Ivi sicuro e lieto
21.8l'uom si vivea, come signore e donno
21.9de gli animai che 'l suolo e 'l mar produce,
21.10che tutti ad obedir eran costretti.
21.11Molti apprendean sotto il soave impero
21.12a servir volontari in lieta pace.
21.13Avea l'ampia città divine leggi,
21.14assai più salde che 'n metalli e 'n marmi,
21.15scritte ne la natura. Avea gli antichi
21.16suoi cittadini illustri, anzi celesti:
21.17gli angeli dico, e le superne menti,
21.18che sortir colà sù sì larghi campi
21.19di pura luce e di splendore eterno,
21.20ed abitar ne gli stellanti alberghi.
21.21L'uom felice vivea tranquilla vita,
21.22sincerissima ancor, qual novo figlio
21.23ed erede immortal del Re del cielo,
21.24del suo zelo ripieno e del suo spirto,
21.25formando a suo piacer la mente, e i passi
21.26per le vestigia sue drizzando in alto,
21.27o per le vie de la virtù sublime,
21.28per le quai solo è di poggiar concesso
21.29a l'alme che sen fanno a Dio ritorno.
21.30E perchè a l'uomo ereditario il regno
21.31si deveva qua giù nel basso mondo
21.32sovra gli altri animai c'han vita ed alma,
21.33ed al re nominare i suoi conviensi
21.34soggetti e servi, e conosciuti a nome
21.35separarli ne l'opre e ne gli offici,
21.36come la virtù lor richiede e 'l merto,
21.37tutti condusse il suo Signore e Padre
21.38insieme gli animali a lui davanti,
21.39perch'ei pensasse imporre a tutti i nomi
21.40propi, e quai conveniansi a lor natura.
21.41E fè come il maestro allor ch'ei sveglia
21.42ne l'alma giovenil l'abito interno,
21.43e prova fa del suo veloce ingegno:
21.44però che allor non traviò dal vero
21.45tanti nomi imponendo il padre Adamo,
21.46anzi l'occulte qualitati espresse
21.47de gli animali, e' lor costumi interni,
21.48in guisa tal ch'al primo suon distinto
21.49de l'umana favella era compresa
21.50di ciascun la natura; anzi commossa
21.51e placida obedia veloce e pronta
21.52a quelle imperiose alte parole.
21.53Ma se tanti animai che 'l mar produce,
21.54e 'l fiume e 'l lago ne l'ondoso grembo,
21.55tanti che l'ampia terra in seno alberga,
21.56fur noti a l'uom primiero, e mossi e tratti
21.57sol da la voce, e mansueti umili
21.58venian, deposto il lor superbo orgoglio,
21.59la natia ferità, gli sdegni e l'ire,
21.60obedienti e chini al giusto impero,
21.61qual maraviglia fia s'altri racconta
21.62de' suoi tardi nepoti illustri essempi?
21.63E Temistocle pur n'adduce, e Ciro
21.64imperator de' Persi, e 'l duce mauro,
21.65a cui non di cameli o d'elefanti
21.66e di mille africane orride belve,
21.67varie di forme, di natura e d'opre,
21.68ma di fidi guerrieri i nomi a pieno
21.69fur noti. Tanto da quel primo essempio
21.70la natura miglior traligna e perde.
21.71Ma perchè nulla è mai costante e ferma
21.72cosa mortale, e si trasmuta e cangia
21.73ivi più spesso, ove reale altezza
21.74l'animoso pensier solleva ed erge,
21.75convenne che l'uom primo e 'l re primiero,
21.76ch'espressa aveva in sè del novo mondo
21.77quasi l'imago e 'l simolacro esterno,
21.78anzi l'imago pur del Re del cielo,
21.79da cui formate avea la mente e l'alma,
21.80convenne, io dico, a l'uomo, anzi fu d'uopo
21.81ch'egli d'errore e di miseria umana
21.82fosse a' nepoti il primo essempio in terra.
21.83Femina fu cagion di tanta colpa,
21.84di tanti mali e de l'istessa morte.
21.85Femina a disprezzar l'alto divieto
21.86del Re celeste lusingando il mosse.
22.1Poich'ebbe collocato il Padre eterno
22.2l'uomo in quel vago paradiso ameno,
22.3sin ch'ei, come deveva, alfin traslato
22.4fosse a la gloria del celeste Regno,
22.5gli comandò, non per ministro o 'n sogno,
22.6o traendol di sè, nè l'alta voce
22.7risonò in rubo acceso o 'n vaga nube,
22.8ma parlò per se stesso al padre Adamo
22.9come a gli angeli suol, s'ei pur capace
22.10era di sua divina alta favella.
22.11E la sua mente in sì mirabil modo,
22.12ch'esprimer non si puote, allor commosse.
22.13"Prendi," gli disse "Adamo, il caro cibo
22.14d'ogni pianta che sia nel paradiso,
22.15chè le concedo tutte, e solo io vieto
22.16quella de la scienza, onde s'apprende
22.17e si distingue poi dal bene il male.
22.18Perchè in qual giorno sia che di lei gusti,
22.19morrai di morte". Oh minaccioso impero!
22.20oh terribil sentenza! oh grave pena!
22.21Ma l'uom semplice ancor nel puro stato
22.22di quella pura e candida innocenza
22.23il non commesso male, occulto, ignoto,
22.24non conobbe ab experto, e non s'accorse
22.25che Dio vita è de l'alma, e 'n preda a morte
22.26l'abbandona partendo, ond'ella pere
22.27nel suo peccato e ne la colpa ingiusta.
22.28Ma doppia minacciava e fiera morte
22.29ne l'aspro suo divieto il Re del cielo.
22.30Come la bianca e semplice colomba
22.31nata di novo, e non avezza ancora
22.32a' perigli mortali, in mezzo a l'alma
22.33porta seco un natio timore interno,
22.34che la spaventa de la fiera morte,
22.35onde visto da lunge augel rapace
22.36spiega l'ali volanti, e si dilegue;
22.37così ne l'uom fu di natura in vece
22.38la voce minacciosa e 'l gran divieto,
22.39per cui non conosciuta omai paventa
22.40la morte; arroge poi la propia colpa
22.41nata da quel sapere, anzi de l'opra,
22.42chè non è nel sapere o colpa o vizio.
23.1Ma pur fu da piacere e da lusinga
23.2vinta alfin quella tema, ond'egli osando
23.3de l'ignoto sapere il dolce gusto
23.4provar, poi violò la prima legge.
23.5E col peccato allor dischiuso il varco
23.6trovò la morte, ond'ella entrò nel mondo
23.7per ampissima porta; e 'n guisa ingombra
23.8or le sue parti, che la terra e 'l mare
23.9son un regno di morte atro e funesto.
23.10E qui l'imperio trionfando a forza
23.11non pur ella usurpò nel padre Adamo
23.12e ne la stirpe che traligna e perde,
23.13ma 'n tutti gli animai che 'l mondo accoglie
23.14sin che la Vita le non giuste prede
23.15ritolse a morte, e trionfò d'inferno.
23.16Sì come egro languente è spesso ingordo
23.17di caro cibo, che soave al gusto
23.18a la salute è reo, talchè s'avanza
23.19l'ardente febre, ond'ei morendo alfine
23.20è de la morte sua cagione e colpa,
23.21perchè male ubedì severa legge,
23.22che 'l medico prescrisse a' vaghi sensi;
23.23così dal dilettoso e dolce inganno
23.24fu vinto Adamo, e la cagione antica
23.25egli a se stesso fu d'orrida morte.
23.26Non Dio: chè non creò la morte e i mali
23.27la divina bontà, ma i nostri errori,
23.28e del nostro peccar previde il fallo,
23.29e 'l consentì. Chè se 'l peccar non fosse,
23.30non sarebbe virtù di mente o d'alma.
23.31E perch'alma ondeggiante in questo amaro
23.32mar de la tempestosa e dubia vita
23.33non s'affondasse alfin tra scogli e sirti,
23.34quasi governo, onde rivolga il corso,
23.35legge a lei diede, e dirizzolla al porto
23.36de la salute e de la pace eterna.
24.1Ma vide Dio che scompagnato e scevro
24.2l'uom non devea menar sì lunga vita
24.3in guisa pur di solitaria belva.
24.4Però pensò di fare a l'uom solingo
24.5la compagna e l'aiuto a lui simile.
24.6Ed in Adamo infuse il dolce sonno,
24.7ed irrigò di placida quiete
24.8tutte le membra a sonnacchioso e lento.
24.9E quinci d'una costa il molle corpo
24.10edificò della consorte; e poscia
24.11la nova sposa gli condusse inanzi.
24.12E disse Adamo in placido sembiante:
24.13"Osso de l'ossa, e di mia carne è carne
24.14questa fatta da me donna e virago.
24.15Però lasciando l'uom la madre e 'l padre,
24.16a la consorte sua sarà congiunto".
25.1L'uno e l'altro era allor le membra ignudo,
25.2e non avea di ciò vergogna ancora:
25.3perchè non anco era in caduche membra
25.4legge, a quella sublime e giusta legge
25.5de la ragione avversa e ribellante.
25.6Però nulla bramaro il velo o 'l manto
25.7a quelle nude alfine ascose parti,
25.8a cui la nova età poi d'oro e d'ostro
25.9cercò le vesti, e ricca e varia pompa
25.10con mille preziosi ed aurei fregi.
25.11In questa guisa fece il Padre eterno
25.12questa del mondo sì mirabil mole,
25.13e l'uom creò, ch'è quasi un picciol mondo,
25.14e la compagna sua formò da sezzo,
25.15e pose fine a le sue nobili opre.
26.1Allor non solo le superne menti,
26.2gli angeli dico e le virtù celesti,
26.3essaltando lodar l'eterno Padre,
26.4ma i cieli anco il lodaro, e 'nsieme a prova
26.5l'acque ch'ei sovra i cieli avea raccolte,
26.6il celebrar con alto e chiaro suono.
26.7Lodollo il sole, e voi lucenti stelle,
26.8e tu 'l lodasti ancora, o bianca luna.
26.9O nubi, e voi, voi nubi oscure e nembi,
26.10e voi nevi e pruine, e voi tonando
26.11il celebraste ancor folgori ardenti.
26.12E 'nsieme risonar la notte e 'l giorno
26.13del suo gran nome, e 'l gran rimbombo accolto
26.14s'udì ne la serena e chiara luce
26.15e ne l'oscure ed orride tenèbre.
26.16La terra ancor sovra se stessa al cielo
26.17essaltava il Signor con lodi eccelse.
26.18E l'essaltar sovra il lor giogo i monti
26.19alpestri e duri, e i verdi ombrosi colli,
26.20e mormorando insieme il mar sonante.
26.21E mormorar i fonti e i vaghi fiumi
26.22s'udian del glorioso e santo nome.
26.23E gli augelli ne l'aria, e i vaghi pesci,
26.24e le selvagge e mansuete belve
26.25facean de le sue lodi un chiaro canto.
26.26Lodarlo poscia entro gli adorni tempi
26.27i sacerdoti ne' sonori carmi.
26.28E l'anime de i giusti, e i nudi spirti
26.29non tacquer le divine eterne lodi.
26.30Talchè a lui di tre mondi un sol concento
26.31de la sua eccelsa gloria ognor rimbomba,
26.32ma pur questo corporeo e veglio e stanco,
26.33e seco l'altro che s'invecchia e langue,
26.34dopo sì lungo raggirar de' lustri,
26.35già de' secoli al fine il loda e canta.
26.36E dice: "O mio Signore e Padre eterno,
26.37che già di nulla mi creasti adorno
26.38mirabilmente, e mi servasti in vita
26.39poscia nel gran dilluvio e ne gli incendi,
26.40io per me son caduca e grave mole,
26.41e ruinosa alfin, non pur tremante.
26.42Ma la tua destra mi sostiene e folce
26.43sì ch'io non caggio. E 'n me rivolge 'l corso
26.44perpetuo ancor sopra la stabil terra.
26.45Talchè 'n sì lunga età, lasso e vetusto,
26.46a me stesso fanciullo ancor somiglio,
26.47e gli ornamenti miei non vario o perdo,
26.48nè di tanti lucenti ed aurei fregi
26.49manca pur uno. E s'io da te disgiunto,
26.50senza indugio sarei converso in nulla.
26.51Quanto m'è dato, a te mi unisco amando,
26.52e ne le parti mie ti adoro e cerco
26.53umilemente, e te sospiro e bramo.
26.54E ti piango talor, e in folta pioggia
26.55quasi mi stillo, e 'l mio fallire incolpo.
26.56E nel pianto e nel canto a te consacro,
26.57quanto lece, me stesso, acciò che a sdegno
26.58non prenda in me la tua divina imago,
26.59e 'l simolacro di tua mano impresso.
26.60Ma fuor di me pur ti ricerco e piango.
26.61Dove sei? dove sei? chi mi ti asconde?
26.62chi mi t'invola, o mio Signore e Padre?
26.63Misero, senza te son nulla. Ahi lasso!
26.64E nulla spero: ahi lasso! e nulla bramo.
26.65E che posso bramar se 'l tutto è nulla,
26.66Signor, senza tua grazia? A te di novo
26.67sovra me stesso pur rifuggo, e prego
26.68teco sovra me stesso unirmi amando.
26.69Già mi struggo d'amor, languisco amando.
26.70E s'altro incendio mi consuma e strugge,
26.71l'amor tuo più lucente, e 'n altra forma
26.72poi mi rifaccia, e le fatighe e 'l moto
26.73tolga a la mia natura egra e languente.
26.74Abbia riposo alfin lo stanco e veglio
26.75mondo, che pur s'attempa, e 'n te s'eterni
26.76sin che sempre non sia volubil tempio,
26.77ma di tua gloria alfin costante albergo".
27.1Così ragiona il mondo. E sorda è l'alma
27.2che non ascolta i suoi rimbombi e 'l canto,
27.3e seco non congiunge il pianto e i prieghi.
Supported by the Czech Science Foundation (GA23-07727S)