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6° Giorno

Il mondo creato

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1.1Là dove inalza il celebrato Olimpo,
1.2creduto de gli dei lucente albergo,
1.3sovra tutte le nubi e sovra i venti
1.4ne l'aria queta la serena fronte;
1.5e dove Alfeo ne le sue lucide onde
1.6portar solea già l'onorata polve
1.7de' vincitori, a cui le membra asperse,
1.8propose i vari premi a' giochi illustri
1.9l'antica Pisa; e i più veloci e i forti
1.10vide sovente in dubbia lotta o 'n corso
1.11affaticarsi, e i cavalieri e i carri
1.12con le fervide ruote a l'alta meta
1.13girarsi intorno, e 'n varie altre contese
1.14ricercar pregio e fama e chiaro grido;
1.15e vide a prova ancor sublimi ingegni
1.16far di sè paragone, e 'n dolce canto
1.17o con soave pur faconda lingua
1.18gli udì maravigliando, è ben conobbe
1.19che pari non avea mercede o palma.
1.20Ma i primi dì ne le tenzoni antiche
1.21talvolta sen passar dubbiosi e 'ncerti
1.22senza corona, e sol nel giorno estremo,
1.23in cui maggior fu la fatica e 'l rischio
1.24del contrastare, o 'l vergognoso scorno
1.25di ceder vinto, diede i cari pregi
1.26fermo giudicio al vincitor felice,
1.27e rimbombar d'intorno il chiaro nome
1.28udissi al suon de la canora tromba.
2.1Ma in questo quasi agone e quasi campo
2.2di sapienza, ove adoriamo assiso
2.3in altissima sede, a Dio sembiante,
2.4quel cui permise il giudicarne in terra
2.5giudice non severo, anzi Clemente,
2.6più sollicita ancora e più gravosa
2.7cura incerta d'onor ne preme e 'ngombra
2.8nel giorno estremo e ne l'estremo corso,
2.9in cui di faticosa aspra contesa
2.10quasi corona, o premio è posto inanzi;
2.11dura pena a l'incontra altrui minaccia.
2.12Già non è pari il gioco, e pari il frutto
2.13tra quel che lotta col nemico, o canta
2.14al dolce suon de le sonore corde,
2.15e 'l mio (se lece dir) contrasto indegno,
2.16ch'ivi il periglio è sol fastidio e scherno
2.17de gli uditori, e 'n questo è danno e morte.
3.1Amici, adunque a me pietoso aiuto
3.2date, vi prego, e quasi lena e spirto.
3.3E di par meco entrate in questo adorno
3.4maraviglioso grande ampio teatro
3.5de le cose create, in cui mirando
3.6il magistero del gran Padre eterno,
3.7quasi per gradi alziam la pura mente
3.8a l'invisibil suo felice regno,
3.9ove gli ultimi premi altrui riserba.
3.10Nè già ricerco io qui verde ghirlanda
3.11d'allor frondoso, che si sfronda e perde
3.12in breve tempo la vaghezza e 'l pregio;
3.13o di pallida pur famosa oliva,
3.14qual da' gran fonti già del gelido Istro
3.15la riportò d'Anfitrione il figlio.
3.16Ma siano i pregi miei salute e pace
3.17in terra, e più ne gli stellanti chiostri.
3.18Intanto a voi questa corona eccelsa
3.19è posta inanzi, e voi medesmi al vostro
3.20puro giudicio di lodevole opra
3.21bramo di coronare. Udite adunque
3.22con pietosa audienza, o fidi amici,
3.23l'aspra natura de l'estranie belve,
3.24de l'umil gregge e de i terreni armenti,
3.25e de l'uom, cui di terra il Padre eterno
3.26creò da sezzo, e da principio umile
3.27formollo imperioso a scettro, a regno,
3.28e di vita immortal, se propia colpa
3.29non era a lui di faticoso essiglio
3.30dura cagione e d'odiosa morte.
4.1Poich'ebbe il grande Iddio spiegato il cielo
4.2sovrano, e stesa ancor l'infima terra,
4.3e fermato il ritegno in mezzo a l'acque,
4.4che sovra e sotto le distingue e parte;
4.5e comandato che s'aduni insieme
4.6quella natura instabile e vagante,
4.7e 'mposto al mare ed a la terra il nome,
4.8e l'arida di piante ornata e d'erbe,
4.9indi si volse a far più bello il mondo.
4.10E diede al giorno ed a l'algente notte
4.11i duo lumi maggiori e più lucenti,
4.12e tutti variò di stelle e d'auro
4.13con diverse figure e vaghi giri
4.14i primi corpi, e con perpetue tempre
4.15maravigliosa fè la vista e 'l corso.
4.16Poscia prodotti entro l'ondoso grembo
4.17de l'acque amare o dolci i vari pesci,
4.18e ne l'aria i volanti e levi augelli,
4.19disse Dio creator (e 'l sacro detto
4.20fu certo impero e 'nviolabil legge):
4.21"L'anime de' viventi ancor produca
4.22d'ogni sorte la terra, e 'n quattro piedi
4.23altri appoggi il corporeo e grave pondo,
4.24altri nel suol disteso il porti e serpa;
4.25e la progenie ancor produca e figli
4.26di qualunque altro va rependo; e 'nsieme
4.27con le fere produca armenti e gregge".
4.28Così Dio fece le terrene belve
4.29e le cornute o pur lanose mandre
4.30de' mansueti, e quei ch'al suol congiunti
4.31strisciando se n'andar col giro obliquo.
4.32Dunque animata è questa antica madre?
4.33dunque anima ha la terra, ond'ella al parto,
4.34quasi femina, fu bramosa e pronta?
4.35E loco han pur i Manichei superbi
4.36di saper vano, e le menzogne antiche
4.37di chi filosofando e mente e spirto
4.38diede a questa mondana ed ampia mole?
4.39Lo qual per entro lei trapassa e spira,
4.40com'a lor parve; e 'l cielo e l'ima terra,
4.41e la spera del sol lucente e vaga,
4.42e 'l globo de la luna e l'auree stelle,
4.43e de l'aria e del mare i larghi campi
4.44nutre; e misto al gran corpo in vari modi
4.45move agitando le diverse membra?
5.1Ma chi vestire osò d'alma spirante
5.2la terra, o volle dar sua mente al mondo,
5.3e farlo Dio, non che spirante e vivo
5.4animal, che tutti altri accoglie in grembo,
5.5male intese di Dio que' sacri detti,
5.6e 'n peggior parte la sentenzia ei torse.
5.7Perch'alma non avea l'arida terra,
5.8ma chi le comandò, largille ancora
5.9la virtù di produrre i novi parti.
5.10Nè quando detto fu: "Germogli il fieno,
5.11e ferace di frutti il verde tronco",
5.12ella il produsse allor, sì come occulto
5.13il si tenesse nel profondo seno.
5.14Nè palma o quercia o bel cipresso od elce,
5.15pur come ascoso dal fecondo ventre
5.16di fuor mandò sovra l'inculto suolo.
5.17Ma delle cose, che si fanno o fersi,
5.18è il divino parlar natura e vita.
5.19Dunque quando il Signor disse: "Germogli",
5.20intese in sua divina alta favella:
5.21"Non cacci fuor quel che raccoglie in grembo,
5.22ma quel ch'ella non ha di novo acquisti".
5.23E la forza a lei diede il Padre eterno.
5.24E 'n questa guisa or le comanda e dice:
5.25"Produca l'alma", e non de l'alma innata
5.26intender vuol, ma di virtù largita
5.27con la mirabil sua divina voce.
5.28Ma non comanda a l'acque al modo istesso,
5.29sol l'impone il produr chi serpe e striscia
5.30con alma viva; ed a la terra impone
5.31che partorisca l'anima vivente.
5.32E così disse Dio, se dritto estimo,
5.33perchè ne l'acque a gli umidi notanti
5.34compartir volle men perfetta vita,
5.35e men degna natura. E quinci aviene
5.36ch'entro il denso elemento e 'mpuro e misto
5.37abian via men acuti e puri i sensi.
5.38Grave è l'udire, e 'l lor vedere ottuso,
5.39e memoria non hanno, e non s'imprime
5.40nel senso interno imaginata imago,
5.41nè contezza è fra loro o per lungo uso
5.42notizia alcuna: onde in sì rozza vita
5.43la carne e 'l ventre signoreggia e regna.
5.44Ma ne' terrestri imperatrice e donna
5.45è l'alma in guisa, che talor si crede
5.46che di ragione e d'immortale ingegno
5.47ella abbia larga parte e ricca dote.
5.48Interi sensi, e ne' presenti oggetti
5.49acuti sono, e del passato impressi
5.50alti vestigi, e non dubbiose o 'ncerte
5.51son le memorie; e lor virtù non langue.
5.52E con la voce non oscura i segni
5.53sogliono dar di loro interni affetti.
5.54E quinci in lieto o 'n suon dolente e mesto
5.55l'allegrezza si mostra o 'l duolo appare,
5.56o di cibo il desio di fuor si scopre,
5.57o rimbomba l'amor ch'entro gl'infiamma,
5.58e non può starsi in fero petto ascoso
5.59sotto tenera lana, o duro ed aspro
5.60ispido vello: onde 'l belar de l'agne,
5.61e 'l nitrir e 'l ringhiar son quasi note,
5.62e 'l latrar, l'ulular in monte e 'n bosco,
5.63o pur lungo un corrente e chiaro fiume,
5.64e 'l muggire e 'l ruggir d'affetto interno.
5.65Mille altri affetti ancor con mille voci
5.66suol variando dimostrar natura.
6.1Da l'altra parte de gli ondosi regni
6.2l'errante abitator non solo è muto,
6.3ma immansueto, e da l'usanza aborre
6.4di nostra vita, e per lusinga o vezzo
6.5mai non s'avezza, e nulla apprende o prende
6.6di nostra umanità. Ma schiva e fugge
6.7d'esser consorte a l'animal che regna.
7.1In questa guisa Dio creò ne l'acque
7.2corpi animati, e ne la terra ei volle
7.3l'alme crear da cui si regge il corpo.
7.4Quinci il suo possessor fu noto al bue,
7.5conobbe l'asinel l'umil presepio
7.6del suo Signor, ma non conobbe il pesce
7.7il nutritor. Tale entro l'acque e tanto
7.8fu lo stupor di tardo e grave senso.
7.9Conobbe l'asinel l'usata voce,
7.10e conobbe la via ch'egli trapassa,
7.11e fu duce talora a l'uomo errante
7.12ne l'incerto sentier ond'ei travia.
7.13Nè di più acuto udire o più sottile,
7.14se 'l ver si narra, altro animal terrestre
7.15vantar si può sotto sì rozze membra.
7.16Ma nel camelo portatore estrano
7.17di gravi pesi e d'african deforme,
7.18è de l'ingiurie alta memoria e salda,
7.19ed ira grave al vendicar costante.
7.20E, percosso talor, l'ira profonda
7.21lunga stagion riposta in sen riserba
7.22pur come estinta, e la ripiglia a tempo,
7.23rendendo il male e 'l ricevuto oltraggio.
8.1Udite voi, che di virtute in guisa
8.2la memoria de l'onte in voi, di sdegno
8.3e d'astio e di rancor nutrite occulta.
8.4Udite il paragone, a cui sembianti
8.5fate voi stessi, mentre l'ire ascose
8.6tenete pur, come faville ardenti
8.7sotto ingannevol cenere sepolte,
8.8che accendendosi poscia in secco legno
8.9o 'n arida esca, fiammeggiar repente
8.10sogliono, e rinovare il foco estinto.
8.11In cotal guisa l'anima superba
8.12fu ne' bruti prodotta; e voi l'essempio
8.13seguite pur de le sdegnose belve.
9.1Ma qual si fosse già nel primo parto
9.2l'alma vostra immortal, fia noto appresso;
9.3or de l'alma ferina a voi si parla.
9.4L'alma d'animal fero è vita e sangue,
9.5ma 'l sangue in carne si condensa e cangia,
9.6e la carne corrotta alfine in terra
9.7pur si risolve: onde mortale è l'alma
9.8di feroce animale, anzi più tosto
9.9un non so che di morto. Udite adunque
9.10perch'a la terra Iddio produrre impose
9.11l'anima de' viventi, e come segua
9.12che l'alma in sangue si trasmuti e volga,
9.13e 'l sangue in carne, e quella carne in terra.
9.14E per le stesse vie si volge e riede
9.15la terra in carne, e poi la carne in sangue,
9.16e 'l sangue in alma, onde ritrovi e vedi
9.17che l'anima de' bruti è sangue e terra.
9.18E non pensar che più del corpo antica
9.19sia l'alma fera onde rimanga in vita
9.20poscia che 'l suo mortale estinto giacque.
9.21Ma riconosci le cangiate forme
9.22e i variati giri, e fuggi intanto
9.23degli ingegnosi le canore ciancie,
9.24che starian meglio in lor silenzio occulte.
10.1Non hanno questi pur rossore e scorno
10.2di far che l'alma, ond'uom ragiona e 'ntende,
10.3sia quella stessa, onde latrando il cane
10.4sen corse, e sibilando empio serpente.
10.5E fingon se medesmi in varie forme
10.6esser mutati; e non pur servi e regi
10.7sotto vari sembianti e varie membra
10.8esser già stati, ma vezzose donne,
10.9o pur marini pesci o piante o sterpi.
10.10E ciò scrivendo, più di pesce o tronco
10.11si mostrar di ragione ignudi e d'alma.
11.1Ma fra tanti superbi e vari ingegni
11.2non sorse alcuno in quella età vetusta,
11.3che l'anima stimasse o limo o terra.
11.4Ma seguendo del moto o pur del senso,
11.5incerti duci, le vestigia e i segni,
11.6altri la credea spirto ed aer leve,
11.7altri foco sottile e viva fiamma,
11.8altri pur la stimò nativo umore,
11.9altri vapor da quei fumante e misto:
11.10terra nessun. Così la madre antica,
11.11la terra dico, che produce e figlia
11.12l'alma de' vivi, quasi inculto germe,
11.13fu defraudata allor del propio onore
11.14da que' superbi e 'n contrastar costanti,
11.15e discordi fra lor ritrosi ingegni.
12.1Ma noi rendiamo a la gran madre antica
12.2l'onor devuto del suo nobil parto,
12.3e sua figlia chiamiam l'alma spirante
12.4di feroce animal. Or non ci caglia,
12.5se nulla ora di novo o di vetusto
12.6de le figure de la vasta terra
12.7osiamo d'affermar con certe prove,
12.8quasi giudici giusti in tanta lite.
12.9Perch'altri vuol ch'ella figura e forma
12.10abbia di spera; altri la varia e finge
12.11quasi un cilindro, e somigliante al disco.
12.12Altri la fa, come sia cesta od aia,
12.13vacua e cava nel mezzo, e d'ogni parte
12.14pur egualmente la polisce ed orna.
12.15E quel che rapto, imaginando, al cielo
12.16fu, come scrisse ne' toscani carmi,
12.17indi pur vide, o di veder gli parve,
12.18la terra che ci fa tanto feroci,
12.19quasi una bassa aiuola in vil sembianza,
12.20ma pur in giro ei la circonda e forma.
12.21Ed altri ancor ne le due estreme fasce
12.22e ne l'ampia di mezzo e larga zona
12.23la privò d'abitanti e nuda ed erma,
12.24e con squallido aspetto orrida in vista
12.25la ci dipinse; e 'n alta neve e 'n gelo
12.26sepolte figurò le parti estreme.
12.27E 'l maggior cinto da le fiamme acceso,
12.28sol due zone lasciò soggette al sole,
12.29che mai per dritto non l'infiamma e scalda,
12.30in due grandi emisperi, e sempre avverso
12.31fa con obliqui rai più dolci tempre.
12.32E noi l'una abitiam, che quinci e quindi
12.33viviam ristretti in breve spazio angusto
12.34dal gel perpetuo o da l'ardor soverchio.
12.35L'altra sotto altro ciel barbare genti
12.36accoglie, a cui sparito è il Carro e l'Orsa.
13.1Ma la novella età discopre e mostra
13.2ch'ogni di lei gelata o accesa parte
13.3l'uom da la prima sua terrena stirpe
13.4duro animal costante alberga e pasce.
13.5Tal che non sembra l'abitata terra
13.6timpano più, com'affermando insegna
13.7il gran maestro di color che sanno,
13.8nè 'n forma di lorica a gli occhi appare;
13.9ma pur in cerchio si rivolge e gira
13.10di pomo in guisa che si fende ed apre.
13.11Isola no, chè non si giace in seno
13.12al gran padre Ocean, ma 'l tiene in grembo
13.13come osa d'affermar l'età novella,
13.14che per troppo veder men alto intende.
13.15Ma sia di ciò quel che ragione e senso
13.16può dimostrar ne' più vicini obietti.
13.17Or tacciam sue figure, e i larghi spazi
13.18non misuriam qual geometra in giro,
13.19e non vogliam superbi al Re del cielo
13.20di sapere agguagliarci e di possanza.
13.21Perch'ei la terra ne la man rinchiuse,
13.22e misurò pur con la mano i mari,
13.23e tutte l'acque insieme e 'l ciel col palmo.
13.24Chi pose i monti spaventosi in libra?
13.25e 'n giogo i boschi, e l'aspre rupi in lance?
13.26Chi tien de l'ampia terra il largo giro,
13.27e 'n guisa di locuste in lei dispose
13.28gli sparsi abitatori, e 'l ciel sublime
13.29quasi camera sua si fece in volta,
13.30se non il Re, che lui sostiene e folce?
13.31Non affermiamo ancor con vano orgoglio
13.32quanto l'opaca e tenebrosa terra
13.33l'ombra fosca ed algente inalzi e stenda.
13.34Nè come privi di splendor l'errante
13.35luna, quando ella giunge incontr'al sole,
13.36nè s'ella di Ciprigna ancora adombri
13.37il vago aspetto, e la sua luce imbruni,
13.38ma tutti siam per maraviglia intesi
13.39a la voce di Dio, che corre e passa
13.40a le cose create, e compie il mondo
13.41ne le parti di mezzo e ne l'estreme.
14.1Qual ampia spera o pur marmorea palla,
14.2ch'è da robusta man percossa e spinta,
14.3giunge in loco pendente, ed indi a basso
14.4dal sito che s'avalla e 'n giù dechina,
14.5e da la propia sua volubil forma
14.6con veloci rivolte in giù rotando
14.7portata va, sinchè l'arresta il corso
14.8la piana terra, in cui si giace e posa;
14.9tal de la santa voce al suon commossa
14.10la natura trascorre, e passa a dentro
14.11in tutto quel che nasce e si corrompe,
14.12e va servando ogni progenie e stirpe
14.13simile a sè, finch'ella al fine aggiunga.
14.14E del cavallo il successor corrente
14.15fa che ci nasca, e pur sembiante al padre;
14.16dal tauro il tauro con sue dure corna;
14.17dal superbo leon villoso il tergo
14.18nasce il leone, ed ha pungente artiglio;
14.19e 'nsieme col leon l'impeto e l'ira
14.20nacque, e quel suo magnanimo disdegno,
14.21onde l'umil nemico a terra steso
14.22trapassa alteramente, e non l'offende.
14.23Nacque l'amor di solitaria vita,
14.24per cui sprezza i compagni e quasi aborre,
14.25e per deserte arene, o 'n alta selva
14.26de' Mauritani e de' Numidi errante
14.27in caccia e ne i perigli, ei va solingo,
14.28o pur fra 'l Nesso e l'Acheloo corrente,
14.29dove i leoni producea l'Europa.
14.30E 'n guisa di possente aspro tiranno,
14.31e per natura indomito e superbo,
14.32nè degna egual, nè de l'esterno cibo
14.33pascer la cruda sua fame profonda.
14.34Cotanto schiva il disdegnoso gusto
14.35l'avanzo di non presa e immonda preda.
14.36Sì larghe canne ancor le diede in sorte
14.37natura, e grande è sì l'orribil voce,
14.38che l'alto suo ruggir di tema ingombra
14.39i più veloci e più leggieri al corso,
14.40e sbigottiti alfin gli arresta e prende.
14.41Ma dopo il pasto egli è giocoso e lieto,
14.42e festeggiando con gli amici ei scherza,
14.43quasi di nulla tema, e non sospetti.
14.44Poi fatto grave ne l'età vetusta
14.45e tardo in caccia, osa il feroce veglio
14.46a le città far periglioso assalto,
14.47e gli uomini infestar fra le alte mura.
14.48Ma questa così fiera orrida belva,
14.49quando più superbisce e 'n maggior rabbia
14.50divenuta crudel, lo sdegno accende,
14.51teme d'ardente face e fugge il foco;
14.52e sbigottito ancora ei fugge il gallo,
14.53e 'mpaurito è più dove biancheggia
14.54il bel candor delle spiegate penne.
15.1E la pantera, impetuosa belva
15.2e repente agitata, a' vari moti
15.3de l'alma sua veloce ha 'l corpo acconcio,
15.4e le membra pieghevoli e leggiere.
15.5E delle macchie sue quasi dipinto
15.6mostra il bel pardo variata pelle,
15.7ed ascondendo il suo feroce aspetto,
15.8con la pittura de le spoglie allice
15.9i semplici animali e troppo incauti.
15.10Così gli prende, e 'nsidiosa fraude
15.11le giova più ne la selvaggia preda,
15.12che 'l suo corso veloce o 'l leggier salto.
15.13Ma l'orsa è neghittosa e pigra e tarda,
15.14e di costumi occulti e 'n alto ascosi,
15.15e di simil figura ammanta e veste
15.16l'alma feroce; ha grave e rozzo il corpo
15.17quasi indistinta e mal composta mole,
15.18ch'entro l'algente ed orrida spelunca
15.19ha sue latebre, ove s'agghiaccia e torpe.
15.20Ma poscia nel furor s'infiamma e ferve,
15.21e cerca d'ogni ingiuria aspra vendetta.
15.22E 'ncontra il ferro ella s'avventa e rota
15.23ne' monti alpestri, e piaga aggiunge a piaga,
15.24correndo quasi a volontaria morte.
15.25Ma pur con lingua industre informa e finge,
15.26di fabro in guisa, i suoi deformi orsacchi.
16.1E tu, più rozzo assai d'orsa silvestre,
16.2i costumi de' figli inculti ed aspri,
16.3mentre è l'etate ancor tenera e molle,
16.4non formi e non polisci e non adorni?
16.5nè in pietosa opra hai lusinghiera lingua,
16.6ma 'n officio crudel pungente e dura?
17.1E l'orsa ancora a le sue propie piaghe
17.2sa, com'insegna la natura industre,
17.3ritrovare il rimedio onde risana:
17.4perchè quando più son profonde e gravi
17.5col verbasio le tura, e l'arida erba
17.6terge la parte sanguinosa, e secca.
17.7E la serpe d'inferma e scura vista,
17.8di finocchio si nutre, e così scaccia
17.9quell'infelice umor che gli occhi appanna.
17.10L'aquila ancor con la lattuca agreste
17.11conferma il vacillante, il debil lume.
17.12La testudine allor che 'l fiero tosco
17.13de la serpe l'ancide, e dentro serpe
17.14il pasciuto velen, salute e vita
17.15da l'oregano cerca, e non indarno.
17.16E l'egra volpe in discacciar la morte
17.17che le sovrasta, usa nel propio male
17.18due lacrimette di stillante pino.
17.19E la montana capra, allor ch'affisso
17.20di pennata saetta in mezzo al fianco
17.21ha 'l duro ferro, medicar se stessa
17.22sa con quell'arte che natura insegna;
17.23e 'l dittamo pascendo, il duro strale
17.24l'esce per da l'interna e grave piaga.
17.25De la scimia il leon languente ed egro
17.26avidamente cerca il fero pasto,
17.27e beve 'l pardo de la capra il sangue,
17.28e pasce i ramoscei d'oliva il cervo.
18.1E tu de l'alma tua languida a morte
18.2il rimedio non trovi, e non conosci
18.3la vera medicina, e non delibi
18.4succo vital da le sacrate carte?
19.1E i presagi del tempo ancora insegna
19.2mastra natura, e 'l variar del cielo
19.3dal caldo al freddo, e dal sereno al fosco;
19.4e qual tempesta indi minacci o turbo.
19.5Tal che 'n antiveder la pioggia e i venti
19.6e le procelle torbide e sonanti
19.7talor men dotti son gli umani ingegni.
19.8La pecorella a l'appressar del verno
19.9di largo cibo si provede e pasce:
19.10quasi antivede la futura inopia,
19.11che l'oscura stagion gelando apporta.
19.12E i buoi rinchiusi nel più freddo tempo
19.13entro le calde loro immonde stalle,
19.14quando la primavera a noi ritorna,
19.15mossi dal lor nativo e certo senso,
19.16la domita cervice e 'l collo irsuto
19.17stendono oltre i presepi, e pur guardando
19.18braman d'uscire al tepido sereno.
19.19L'istrice ancor ne le sue propie lustre
19.20fa doppia quasi porta onde respiri,
19.21e di lor una è volta al nubilo Austro,
19.22e l'altra al fiato d'Aquilone algente,
19.23e se teme di Borea il fiero spirto,
19.24contra il settentrion si tura il varco;
19.25ma se 'l vento african l'offende e turba,
19.26quel suo foro ventoso incontra chiude,
19.27e si ricovra a la contraria parte.
20.1E quinci chiaramente a' sensi appare
20.2che l'alta Providenza in ogni lato
20.3trascorre e passa, e 'l tutto adempie ed orna;
20.4e per le cose eccelse e per l'illustri,
20.5non mette ella in non cal l'oscure e basse;
20.6ma nel vile animale un certo senso
20.7suol destar del futuro, onde proveggia
20.8egli a se stesso. E l'uom mai sempre intento
20.9si starà nel presente e quasi a bada,
20.10senza pensar ne la futura vita?
20.11Deh rimiri il lodato e raro essempio
20.12de la formica faticosa e 'ndustre,
20.13che 'l vitto onde si pasca al freddo verno,
20.14ripon la state. E benchè lunge ancora
20.15sian di stagion molesta i giorni algenti,
20.16neghittosa non cessa e non s'allenta
20.17la negra turba, anzi se stessa avezza
20.18ne le fatiche; e per gli adusti campi
20.19ferve l'opra, non men che l'ora e 'l giorno,
20.20sin che abbia ne' suoi spechi il gran riposto.
20.21Essa con l'unghie propie incide e sega
20.22i cari frutti, e inumiditi, al sole
20.23gli asciuga e secca; e 'l bel tempo sereno
20.24spiando, già prevede i lieti giorni.
20.25Talchè quando ella i grani a' raggi espone,
20.26pioggia non stilla da l'oscure nubi,
20.27e di serenità l'indizio è certo.
20.28Quinci ripon ne le sue celle anguste
20.29l'asciutta messe, e poi la serba e parte,
20.30custode e dispensiera, e 'ntenta a l'opre.
20.31E non sol mentre il sole accende i campi,
20.32ma le fatiche sue notturne ancora
20.33dal ciel rimira la ritonda luna;
20.34e quelle più serene e calde notti
20.35tolte al dolce riposo, al queto sonno,
20.36e giunte al travagliar continuo e lungo:
20.37tanta in minuto corpo industria e lena
20.38di spirto infaticabile e 'ngegnoso
20.39pose natura, ch'è mirabil madre;
20.40anzi de la natura il sommo Padre
20.41tanta virtù le diede in raro dono.
21.1Oh come grandi sono e come eccelse,
21.2come maravigliose, o mastro eterno,
21.3tutte l'opere tue, che tu facesti
21.4con infinita sapienza ed arte!
22.1Ma noi nepoti del vetusto Adamo,
22.2pur quasi doni di natura e doti,
22.3abbiam molte virtù, che propie e nate
22.4con l'ignudo bambin d'un seme stesso
22.5sono, ed uscite da' materni chiostri.
22.6Nè legge od arte o pur antica usanza,
22.7o novo essempio le dimostra e 'nsegna
22.8a l'alma ancora simplicetta e vaga
22.9che pargoleggia entro le molli membra.
22.10Ma sua propia vaghezza e suo desio
22.11l'inchina e move con amico affetto.
22.12Chi n'insegna d'odiar la febre e i morbi
22.13seguaci e gravi, ond'è languente ed egra
22.14l'umanitate? e d'aborrir la morte
22.15senza maestro e senza altrui consiglio?
22.16Non arte, non ragion, non uso o legge,
22.17ma quella che ne fa cotanto amici
22.18a noi medesmi, lusinghiera e dolce
22.19nostra natura a noi l'insegna e detta.
22.20In questa guisa ancor la nobile alma
22.21dechina il vizio, e volontaria il fugge
22.22senza altra cura o magistero od uso.
22.23E veggendo virtù, ch'è bella in vista,
22.24se n'invaghisce e la ricerca e segue,
22.25talch'è fuga del vizio il primo passo,
22.26ond'ella i suoi vestigi indrizza al cielo.
22.27Ed ogni vizio è male interno, e morbo
22.28de l'alma inferma e 'n van desire accesa.
22.29E la virtù, ch'è sempre al vizio opposta,
22.30è sanità de l'alma: ond'è ne l'opre
22.31e ne gli offici suoi costante e salda.
22.32E quinci a tutti la giustizia è cara,
22.33e cara la prudenza, e grazie e laude
22.34ha la modestia; e 'n più mirabil vista
22.35la fortezza, virtù de l'alma invitta,
22.36mal grado di fortuna empia e superba,
22.37s'onora e cole; e simolacri ed archi
22.38le sono alzati, e sacri altari e tempi.
22.39E queste ha per fedeli e care amiche
22.40l'alma domesticata, e se n'adorna
22.41più che di sanità le membra e 'l corpo.
23.1Amate i padri, o voi pietosi figli,
23.2e voi pietosi padri i figli amate,
23.3senza irritar il giovenile sdegno,
23.4chè natura il v'insegna e ve 'n costringe.
23.5S'ama la leonessa, orrida belva,
23.6i pargoletti suoi, se 'l fero lupo
23.7difende i lupicini, e insino a morte
23.8per lor combatte, avrà suoi nati a scherno,
23.9più crudel de le fere, il crudo padre?
23.10tanto rigor, tanto odio e tanto oblio
23.11di natura sarà nel petto umano?
24.1Oh del materno amor soave e dolce
24.2forza, che pieghi la feroce tigre,
24.3e da la preda, a cui vicina e stanca
24.4corre anelando, la rivolgi indietro
24.5a la difesa de' suoi cari parti!
24.6Com'ella trova depredato e sgombro
24.7il suo covil de la gradita prole,
24.8repente corre, e le vestigia impresse
24.9preme del cacciator, che seco porta
24.10la cara preda. E quel rapido inanzi
24.11fugge portato dal destrier corrente,
24.12e per sottrarsi a la veloce belva,
24.13ch'altra fuga non giova od altro scampo,
24.14con questa fraude d'ingegnoso ordigno
24.15delude la rabbiosa, e sè difende.
24.16Perchè di trasparente e chiaro vetro
24.17una palla le gitta inanzi a gli occhi,
24.18onde schernita da la falsa imago
24.19la si crede sua prole, e ferma il corso
24.20e l'impeto raffrena, e 'l dolce parto
24.21brama raccor nel solitario calle,
24.22e riportarlo a la sua fredda tana.
24.23E ritenuta pur dal falso inganno
24.24de le mentite forme, anco ritorna
24.25via più veloce assai, ch'ira l'affretta,
24.26dietro a quel predator ch'inanzi fugge,
24.27e gli sovrasta omai rabbiosa al tergo.
24.28Ma quel di novo col fallace obietto
24.29de lo speglio bugiardo affrena e tarda
24.30il corso de la tigre, e si dilegua.
24.31Nè de la madre per oblio si perde
24.32la sollecita cura e 'l pronto amore,
24.33ma l'infelice si raggira intorno
24.34a quella vana e ingannatrice imago,
24.35quasi dar voglia a' propi figli il latte.
24.36E 'n questa guisa la schernita belva
24.37la cara prole e la vendetta ancora
24.38perde in un tempo, ch'è bramata e dolce.
25.1E se 'n tal guisa suole amar la tigre
25.2e la consorte del leon superbo,
25.3od il famelico orso i propi figli,
25.4qual maraviglia fia s'amar vedrassi
25.5la mansueta ed innocente agnella,
25.6e la cerva selvaggia e fuggitiva
25.7il dianzi nato ancor tenero parto?
25.8Fra molte pecorelle in ampia mandra
25.9il simplicetto agnel scherzando a salti,
25.10esce dal chiuso ovile, e di lontano
25.11ei riconosce la materna voce,
25.12e ricercando del suo propio latte
25.13i dolci fonti affretta il debil corso,
25.14e dove sian le desiate mamme
25.15vote del propio umor ei se n'appaga,
25.16nè fugge l'altre più gravose e piene,
25.17ma le tralascia, e 'l suo dovuto cibo
25.18sol da la madre sua ricerca e brama.
25.19La madre il dolce pargoletto figlio
25.20fra mille e mille al suo belar conosce.
25.21In questa guisa di ragion sublime
25.22ogni difetto un largo senso adempie,
25.23che per natura in umil greggia abonda,
25.24forse acuto via più del nostro ingegno.
26.1Ma nel suo partorir solinga cerva
26.2mostra via più d'accorgimento e d'arte
26.3d'altro animal, ch'abbia alcun seme o parte
26.4di providenza e di ragione industre.
26.5Però più tosto a la pietate umana
26.6de' suoi cerbiatti cede il novo parto,
26.7de le fere temendo; e l'aspre rupi,
26.8e le selvagge lustre, e i lochi inculti
26.9fugge la paurosa; e dove scorge
26.10de' piedi umani le vestigia impresse,
26.11presso le vie da lor calcate e corse,
26.12ivi secura il suo portato espone,
26.13e de l'erba siselia ivi si pasce;
26.14o ne le stalle poi ricovra e scampa
26.15gli artigli e i denti di selvaggia belva;
26.16o dura cuna in rotta pietra elegge
26.17là dove s'apre un solo e un picciol varco,
26.18e i pargoletti suoi difende e guarda;
26.19e lor da quattro mamme il latte istilla,
26.20e da due mamme quelle a cui natura
26.21fu di tal nutrimento avara e parca.
26.22E perch'ella di fele amaro è priva,
26.23ha lunghissima vita, onde talvolta
26.24candida appare, e nel candor senile
26.25è venerata da l'amiche genti:
26.26sì come quella che sen giva errando
26.27libera e sciolta la solitaria chiostra,
26.28che liberolla il suo felice augusto.
26.29La vaga fama a la famosa cerva
26.30le corna d'oro ancor figura e finge,
26.31e le circonda di monile il collo;
26.32ma de l'onor de le ramose corna,
26.33e di questa nativa altera pompa
26.34la natura privolle, avara madre,
26.35e ne fu più cortese e larga a i cervi,
26.36i quai le soglion rinovar sovente,
26.37e lasciando le vecchie a terra sparse
26.38dal propio peso, onde son piene e dense,
26.39rifar le nove a la superba fronte.
26.40E ciascuno anno un lungo e novo ramo
26.41aggiungon pur de le ramose corna.
26.42Da le quali anco germogliò talvolta
26.43l'edra seguace frondeggiando in alto.
26.44Oh maraviglia, onde natura accrebbe
26.45vaghezza e pompa a l'animal fugace,
26.46ch'è pur fugace e paventoso e vile
26.47in così altero e così fero aspetto,
26.48armato di sue lunghe e 'nutili arme.
26.49E 'l suo gran core, onde 'l formò natura,
26.50non è d'orgoglio o d'orgoglioso ardire,
26.51ma di viltate e di timore albergo.
26.52E 'n guisa pur di timidetta lepre
26.53il suo liquido sangue a pena ha fibre,
26.54e quinci avien che non l'accoglie e stringe
26.55tenace e saldo, ma simiglia il latte
26.56mal senza caglio appreso, ond'ei trascorre.
26.57Ma talvolta d'amore acceso e punto,
26.58ne la stagion che intepidita il grembo
26.59apre la verde terra, e 'l pigro gelo
26.60già si dilegua, e per disfatta neve
26.61corron turbati i rapidi torrenti,
26.62risveglia il cervo al cor guerriero spirto,
26.63e fa battaglia e di ferire ardisce,
26.64s'alcun per alta selva a caso incontra.
26.65Ed allora non pur le tigri e i lupi,
26.66e gli orsi informi o la dipinta lince,
26.67e 'l cinghial, che fregando al duro tronco
26.68l'orride coste, di tenace fango
26.69fassi a le dure spalle aspra lorica;
26.70ma cupida d'amor la fiera madre
26.71erra, obliando i pargoletti inermi,
26.72che non han fatto ancor gli artigli e 'l vello:
26.73e i più timidi ancora in furia e 'n foco
26.74sospinti son da stimoli pungenti.
26.75Smisurato furor conduce e porta
26.76oltre il sonante Ascanio, e i gioghi alpestri
26.77d'Ida sublime, oltre l'Eufrate e 'l Tauro
26.78l'avide madri del guerriero armento.
26.79Passano i monti, e gli alti fiumi a nuoto,
26.80fuggon tra sassi dirupati e scogli,
26.81e per valli profonde, e non incontra,
26.82o sole, al nascer tuo, nè contr'ad Euro,
26.83ma verso Borea e Cauro, e donde attrista
26.84d'oscura pioggia i cieli il nubilo Austro.
26.85Quinci lento veneno alfin distilla,
26.86che ippomane chiamò la prisca lingua
26.87de gli antichi pastori. E fu sovente
26.88scelto già da l'iniqua empia matrigna,
26.89e con erbe maligne, e con parole
26.90non innocenti, fu adoprato e misto.
26.91Tanto potea l'amore e 'l dolce zelo
26.92di più tenera prole in fero petto,
26.93tanto ardente desio di nozze immonde,
26.94che per natura si risveglia e 'nfiamma,
26.95e ne gli orridi boschi ad aspra guerra
26.96move non pur le dispietate belve,
26.97ma i duci ancor de' mansueti armenti
26.98pendon sospesi a la battaglia incerta,
26.99che di piaghe e di sangue il petto irsuto
26.100lor empie e sparge, e la superba fronte,
26.101le mute spose e le cornute torme,
26.102di cui debban seguir l'audace impero,
26.103e la vittoriosa altera scorta.
26.104E non osan partir la fera zuffa
26.105maravigliando i lor maestri istessi.
27.1E se l'amor de' figli, o quel ch'aggiunge
27.2insieme a generar cupida coppia,
27.3può tanto in cor ferino e 'n rigida alma,
27.4in quei che fa di sè vaghi e superbi
27.5nostra ragione e 'l nostro umano orgoglio,
27.6quanto potrà? Qual maraviglia adunque,
27.7s'una e due volte, anzi tre volte e quattro
27.8per l'istessa cagion s'accese ed arse
27.9de l'odio antico inestinguibil fiamma?
27.10E l'Asia e incontra la superba Europa
27.11di ferro e di furore armata in guerra,
27.12strage e ruine, e fieri incendi ardenti
27.13meschiando, ne ingombrar la terra e l'onde.
28.1Nel fido cane ancor, se dritto estimi,
28.2dove manca ragione il senso abonda;
28.3e quel che a pena i più sublimi ingegni,
28.4filosofando ne l'antiche scole
28.5conobber de gli acuti sillogismi,
28.6mentre varie figure in varie guise
28.7tessean di lor con intricati nodi,
28.8quello istesso, dico io, subito il cane
28.9per sua natura agevolmente apprende.
28.10Perchè trovando le vestigia impresse
28.11de la timida lepre o pur del cervo,
28.12arriva là dove si fende e parte
28.13una strada in più strade; e 'ntorno a' primi
28.14princìpi de le vie s'avolge e gira,
28.15odorando i sentieri o i passi sparsi.
28.16E fra se stesso in questa guisa intanto
28.17sembra sillogizzar: "La vaga fera
28.18o 'n quella parte o 'n questa ha volto il corso,
28.19o per quest'altra almen s'indrizza e corre,
28.20ma non sen va per questo o quel sentiero:
28.21dunque per questa calle i passi affretta".
28.22Così conchiude argomentando il cane,
28.23e 'l pronto senso è di lunga arte in vece,
28.24per cui rifiuta il falso e trova il vero.
28.25Nè più ne ritrovar le varie sette,
28.26scrivendo con lo stile o con la verga
28.27ne l'arena del lido o 'n secca polve,
28.28de gli argomenti le diverse forme.
28.29E di tre varie cose ivi descritte
28.30due condennando, come false, a morte,
28.31l'altra approvaro, in cui rimase impressa
28.32la verità, che nel soffiar de l'Austro
28.33poi si cancella o nel gonfiar de l'onda.
28.34E non s'avvede la superba mente
28.35de gli orgogliosi e miseri mortali
28.36che in polve è scritta ed in minuta arena
28.37la verità che trova umano ingegno
28.38senza lume divin, che l'alme illustra.
28.39Onde ne l'imbrunir d'un breve giorno
28.40la si porta e disperde il mare e 'l turbo.
28.41E benchè antica età si glori e vanti
28.42di sacre note e di colonne eccelse,
28.43in cui descritte fur le nobili arti
28.44in quel sacro a Mercurio adorno tempio,
28.45e sian per fama ancora illustri e conte
28.46l'altre colonne in cui serbar credeva
28.47da' diluvi sicure e da gli incendi
28.48mille antiche memorie a terra esparte;
28.49in queste e quelle e nel cangiar del tempo
28.50non rimane di lor vestigio o polve,
28.51sì lunga notte involve i nomi e l'opre.
28.52Ma contra il senso de' veloci cani
28.53i timidi animali han senso ed arte,
28.54onde sovente i lor vestigi istessi
28.55soglion guastar, perchè la fuga occulta
28.56segno palese non discopra e mostri.
28.57E conoscono ancora i venti e l'aure,
28.58ond'è portato a gli odoranti cani
28.59il noto odor che gli tradisce e perde.
28.60Così la Providenza in ogni parte
28.61trapassa e giunge; ed al fugace scampo
28.62de' paurosi ella talora intende,
28.63e spesso lor concede in giusta preda
28.64a gli animosi, e la virtù ferina
28.65con le spoglie de' vinti onora, e pasce
28.66pur di rapina le robuste forze.
29.1Ma qual memoria è sì tenace e salda,
29.2com'è quella talor del fido cane?
29.3O qual d'animo grato e di costante
29.4altri può meritar più chiara laude,
29.5s'ardisce il fido can con fiero assalto
29.6scacciar empio latron dal caro albergo,
29.7vietando i furti al predator notturno?
29.8Ed al pugnare ed al morire è pronto
29.9con l'amato signore, o per l'amato
29.10signore almeno, e conservarlo in vita,
29.11se stesso offrendo a gloriosa morte.
29.12Spesso inanzi al sublime altero seggio
29.13de' giudici severi il fido cane
29.14fu de' nocenti accusator latrando,
29.15e spesso il muto testimonio indegno
29.16non fu di fede; e cade in giusta parte
29.17sovra il reo la temuta orrida penna.
30.1In Antiochia già (come si narra)
30.2in solitaria parte estinto giacque
30.3un uom, ch'un fedel cane avea compagno,
30.4ne l'ora che, tra 'l lume incerta e l'ombra,
30.5la queta notte dal sonoro giorno
30.6strepitosa divide, e desta a l'opre
30.7i mortai faticosi, e gli richiama
30.8da le fatiche al lor riposo amico.
30.9E l'uccisor ch'ebbe mercede in guerra,
30.10era uom crudel di sangue e di corrucci,
30.11che si pensò celar la fiera morte
30.12sotto l'oscuro e tenebroso manto
30.13della caliginosa e fredda notte;
30.14e dal medesmo manto andò coperto
30.15in più lontana e più secura parte.
30.16Giacea ne l'atro sangue il corpo estinto,
30.17squallido, immondo e pien di morte il volto.
30.18Sparso era intorno a rimirarlo il volgo.
30.19Il can gemendo in lagrimabil suono
30.20piangea del suo signor l'orrida morte.
30.21Intanto quel che de l'iniquo fatto
30.22dianzi contaminato indi partissi,
30.23per non esser sospetto e 'ntiera fede
30.24d'innocenzia acquistarsi, ivi con gli altri
30.25a parlar de l'atroce orribil caso
30.26facea ritorno con sicura fronte,
30.27tanta è la fraude de l'umano ingegno.
30.28Entrando in quella folta ampia corona
30.29del popol vario, assai pietoso in vista
30.30s'appressava a colui ch'anciso giacque.
30.31Allor cessando alquanto il fido cane
30.32dal lamentabil gemito dolente,
30.33prese de la vendetta orribil armi,
30.34e preso il tenne con gli acuti denti,
30.35e mormorando in miserabil verso
30.36tutti converse in doloroso pianto.
30.37E fede ei fatta a la mirabil prova,
30.38solo il tenne fra molti, e non lasciollo,
30.39nè rallentollo da' tenaci morsi;
30.40alfin turbato il reo dal certo indizio,
30.41ritorcer in altrui la grave colpa
30.42non potea più de l'odio e de lo sdegno
30.43e de l'ingiurioso e grave oltraggio,
30.44nè 'l sospetto estirpar del propio fallo
30.45ne l'altrui mente infisso. E 'n questa guisa
30.46far vendetta potea, ma non difesa,
30.47da un quasi muto accusator latrante.
30.48È preso e vinto, e condannato a morte.
31.1Ma chi potria le maraviglie antiche
31.2narrar de' cani e i rari illustri essempi?
31.3e chi sepolti entro l'istessa tomba
31.4mostrarli col signore? o 'n rogo ardente
31.5co' medesmi onorarli accesi ed arsi?
31.6o 'n guerra pur tra folte schiere ed armi
31.7celebrar la nativa e invitta fede?
31.8chi de' tiranni e de' nemici estinti
31.9oserà di sacrar sanguigne spoglie
31.10a la gloria de' cani, e 'n viva pietra
31.11scolpirli, e 'n lei segnar l'imprese e i nomi
31.12di quei famosi, che da lunga guerra
31.13e lungo essiglio trionfando insieme
31.14co' fidi amici, ritornaro alfine
31.15ne l'alta patria che circonda il mare?
31.16Seppelo ben la Grecia antica e 'l vide,
31.17che tante isole in seno inonda e chiude.
31.18Taccio ne' monti e ne l'alpestri selve
31.19tante vittorie loro antiche e nove,
31.20taccio i capi recisi e 'n alto affissi,
31.21e taccio di feroci orride belve
31.22in guisa di trofei sospese spoglie.
32.1Ma dove ancora io voi tralascio a dietro,
32.2o 'n brevissimo dir astringo e premo,
32.3destrier veloci e portatori illustri
32.4de' cavalieri in gloriosa guerra
32.5e 'n polveroso arringo, e 'n largo campo
32.6de gli onori compagni e del periglio?
32.7Sete guerrieri voi, che mossi a prova
32.8al chiaro suon de la canora tromba
32.9avete parte in sanguinosa preda,
32.10e 'n auree spoglie e 'n onorata palma.
32.11E 'l vide già non pur l'antica Pisa
32.12ne' vari giochi, e 'l celebrato Olimpo,
32.13ma Tebe e Troia, anzi gli spazi e i lustri
32.14ch'ebber d'Olimpo misurato il nome,
32.15e Maratona e Leutra, e poscia ed ante
32.16de la nobil Farsaglia i piani e i monti,
32.17ove portando pria sul forte dorso
32.18ne le battaglie il cavalier novello,
32.19miracol novo e non veduto mostro,
32.20somigliaste il biforme alto centauro.
32.21Chi potrebbe di voi le spoglie e i pregi
32.22narrare a pieno e le fatiche e i merti?
32.23Voi spargeste non pur ne l'alte imprese
32.24col piagato signore il largo sangue,
32.25ma, se creder ciò lece, il largo pianto
32.26ancor versaste con affetto umano,
32.27lagrimando sua dura, acerba morte.
32.28Voi parte in gran trionfo e 'n nobil tomba
32.29co' regi aveste e con gli eroi vetusti,
32.30e deste 'l nome a la città famosa
32.31sepolta, e serba ancor la fama il grido.
32.32E voi non di tridente, onde percossa
32.33partorisca la terra, altera prole
32.34foste, nè vi formò terrena destra.
32.35Ma l'alta voce del Signore eterno,
32.36più di tromba sonante, al nascer vostro
32.37principio diè, pria che di terra in terra
32.38la sua possente man formasse Adamo.
32.39E questa, che più chiara ognor rimbomba
32.40ne la natura obediente ancella,
32.41di voi perpetua la progenie e 'l nome.
32.42Ma quel guerriero in voi superbo spirto,
32.43ch'a l'uom quasi vi fa d'onor congiunti,
32.44umilii con l'essempio il Re celeste,
32.45che fra ben mille olive e mille palme
32.46premer degnò d'un asinello il tergo,
32.47e voi concesse a' gloriosi augusti,
32.48a' magnanimi regi, a' duci invitti.
32.49In guisa tal che l'alterezza e 'l fasto
32.50ed ogni altra mondana illustre pompa
32.51a l'umiltà conceda i primi onori,
32.52ed a quell'umil sofferenza e queta
32.53ch'al mansueto gli omeri prepara,
32.54e nel presepio ha più sublime luogo
32.55e più vicino al Regnator celeste,
32.56che 'n ciel tra' favolosi e vani onori
32.57non ha il destriero, o sua fallace imago.
33.1Ma qual mi porta spaziando e tarda
33.2studio o vaghezza oltre il prescritto giro?
33.3Torniamo a contemplar de l'opre estreme
33.4fatte da Dio la providenza e l'arte.
33.5Chè providenza fu, non sorte o caso,
33.6che de l'atroci e immansuete belve
33.7fè la progenie indomita e superba
33.8quasi infeconda, e la ristrinse in pochi.
33.9Fece a l'incontra fertile e feconda
33.10de' timorosi la fugace prole,
33.11di cui suol farsi agevolmente in caccia
33.12larga e diversa preda. E quinci aviene
33.13che molti figli suol produrre al parto
33.14la timidetta lepre. A coppia a coppia
33.15gli parturisce la selvaggia capra,
33.16e de' gemelli ancor l'agna silvestre
33.17suol andar grave, e generarli insieme,
33.18perchè non manchi da vorace fera
33.19consumata la stirpe. E d'altra parte
33.20la fiera leonessa a pena è madre
33.21d'un figlio sol, che 'l lacerato ventre
33.22s'apre co' duri artigli; e 'n questa guisa
33.23ancidendo la madre allor ch'ei nasce,
33.24al nascer suo fa sanguinoso il varco.
33.25E la vipera ancor fiera mercede
33.26rende a la genitrice, e fuor se n'esce
33.27rodendo l'alvo a la pregnante serpe.
33.28Se de' vari animali ancor rimiri
33.29le varie parti, a te non fia nascosto
33.30il magistero del fattore eterno,
33.31che nulla fece in lor soverchio o manco.
33.32Perchè volle adattare acuti denti,
33.33e quinci e quindi, a le feroci belve
33.34devoratrici di sanguigno pasto.
33.35Ma d'una parte sola armaro i denti
33.36quelle c'han vario cibo e vari paschi
33.37ne' verdi prati, e 'l ruminar concesse
33.38a le innocenti in oziosa vita.
33.39E le gole e le pelli e i ventri e i seni
33.40e le reti con l'altre incerte parti
33.41ove s'accoglie, onde trapassa il cibo,
33.42onde nutrisce le diverse membra
33.43il puro e leve, e l'altro impuro e grave
33.44poi ritrova a l'uscir aperto il varco,
33.45non son vani artifici, o fatti indarno,
33.46ma necessari; e di ciascuno appare
33.47e l'uso e 'l pro per cui mantiensi in vita,
33.48o breve o lunga, l'animal terrestre.
33.49Del camelo africano è lungo il collo
33.50in guisa tal ch'a' piedi egli s'adegua,
33.51e giunge a l'erbe onde si pasce e vive.
33.52Quasi a le spalle il breve collo inesta
33.53l'orsa e 'l leone e la vorace tigre,
33.54e gli altri tali che di frutti e d'erba
33.55non hanno il caro nutrimento usato,
33.56nè son costretti d'inchinarsi a terra,
33.57ma sol vivon di sangue e di rapina.
34.1A qual uso è prodotto e che ricerca
34.2quel de' grandi elefanti orribil naso,
34.3che proboscide ancor l'Italia appella?
34.4Ad animal sì grande, e quasi vasto,
34.5che di grandezza ogni terrena avanza
34.6bestia superba, gli fu dato ad arte,
34.7perchè dar possa altrui tema e spavento.
34.8Quasi di collo ancor l'officio adempie,
34.9però che breve ha 'l collo, e non l'agguaglia
34.10a' piedi, e se l'avesse ancor più lungo
34.11mal sostener potria la mole e 'l pondo.
34.12Però col naso ei si provede, e prende
34.13col naso il cibo, e 'n guisa è cavo a dentro
34.14l'estranio naso, che raccoglie e serva
34.15nel voto suo del ragunato umore
34.16i quasi laghi onde la sete estingua.
34.17Di fiume in guisa poi gli irriga e sparge,
34.18come lucido fonte in bianco marmo
34.19scolpito da maestra e dotta mano.
34.20E d'urna in vece effigiata belva
34.21con estrania sembianza orrida in atto,
34.22la qual dal naso o da l'aperta bocca,
34.23o d'altra parte d'acqua infonde e versa
34.24i larghi rivi, e 'l suol n'asperge intorno.
34.25Così la smisurata indica fera
34.26del pria raccolto umor fa larga copia
34.27mirabilmente: onde il suo naso assembra
34.28fontana di natura emula e d'arte.
34.29Ma con l'istesso naso ancor sovente
34.30suol far l'officio di pieghevol mano,
34.31in tante guise egli il ritorce e stende,
34.32e col medesmo ancor placido e queto
34.33ed innocente, ei suol passar per mezzo
34.34le mansuete e semplicette gregge
34.35senza noiar le pecorelle umili,
34.36che le cedono il passo e quinci e quindi.
34.37Ma i più feroci impetuoso afferra
34.38e leva in aria, e poi gli spinge a forza
34.39precipitando orribilmente a terra.
34.40Così gran sasso, ancor levato in alto
34.41da machina, talor ruina a basso
34.42da lei sospinto o dal suo propio pondo.
34.43Ma come il collo e la cervice è breve,
34.44altrimenti saria soverchio peso
34.45del vasto corpo, che s'appoggia e ferma
34.46sovra i suoi mal composti e rozzi piedi,
34.47che non mostran giuntura onde distinti
34.48siano, e le gambe son di travi in vece,
34.49o di colonne a la gravosa mole.
34.50E 'n guisa d'uomo ei sol l'incurva e piega
34.51mentre egli siede, ma si volge e pende
34.52sempre o sul manco lato o pur sul destro,
34.53perchè impedito dal soverchio pondo,
34.54sovra entrambi non può star dritto e pari:
34.55però si vede ognor pendente e chino
34.56ne l'un de' lati allor che siede e posa.
34.57Anzi de le ginocchia ei sol ripiega
34.58le diretane, e l'uomo in ciò somiglia;
34.59l'altre rigide stansi e dure e salde,
34.60onde s'appoggia ad un selvaggio tronco
34.61d'orrida pianta. Ivi riposa e dorme
34.62un suo duro profondo e pigro sonno;
34.63ma la pianta si piega al peso e frange.
34.64Talvolta ancora ella recisa e tronca
34.65dal cacciator, che dei suoi lunghi denti
34.66cerca l'avorio, ch'è si cara merce
34.67onde si faccia poi mirabil opra
34.68e di barbara man raro lavoro,
34.69cade al cader del suo rotto sostegno
34.70la fera belva ruinosa a basso,
34.71come edificio che di scossa terra
34.72il moto crolla, e vacillando adegua
34.73al suol ch'è di ruine ingombro e sparso.
34.74Nè potendo ella poi levarsi in alto,
34.75è dal gemito suo tradita a morte,
34.76chè gli passan con l'armi il molle ventre;
34.77nè potean penetrar l'irsuto dorso
34.78con lance e strali, e l'altre esterne parti
34.79de l'elefante, che si lagna e more.
34.80Ma sovra le sue grosse orride spalle
34.81ei suol portare in perigliosa guerra
34.82torre che grave appar d'armate genti;
34.83e portando il gran peso ei tutto atterra
34.84ciò che rincontra, e par volubil monte
34.85od animata rocca il fero mostro,
34.86onde solean già gli Africani e gl'Indi
34.87perturbar le nemiche avverse schiere,
34.88e l'armi sanguinose a terra sparse
34.89calcar sovente e le abbattute squadre.
34.90Questa gran fera, se non more o cade
34.91in lacrimosa guerra o 'n fera caccia,
34.92anni trecento vive; e senso e spirto
34.93ha di pietà, talchè devota adora
34.94l'algente luna che le notti illustra.
35.1Un'altra fera è là nel freddo clima,
35.2dove l'Orsa dal cielo i fiumi agghiaccia,
35.3nè di pietà, nè di grandezza eguale.
35.4La qual pensando a la futura fame,
35.5conserva fa del divorato pasto
35.6in un propio nativo e largo vaso
35.7ove il ripone, e al maggior uopo, e serva.
35.8Trattone 'l poscia, indi si ciba e pasce.
35.9Così di cibo l'un, d'umore e d'onda
35.10provido l'altro, non patisce inopia,
35.11in guisa di città ch'assedio e guerra
35.12aspetta, e 'ntanto si provede, ed empie
35.13di ciò ch'al vitto uom chiede, i cari alberghi
35.14e i larghi vasi e le profonde fosse.
35.15Ma pur questo animal sì fiero e grande,
35.16cui Roma vide trionfante e lieta
35.17quando Leon sedea ne l'alta sede,
35.18domato a l'uom soggiace. E 'n questa guisa
35.19volle mostrarne Dio, che tutto fece,
35.20i feroci animali a l'uom soggetti,
35.21a l'uom sua viva e sua diletta imago,
35.22a l'uom che 'n guisa d'immortale erede
35.23de le cose divine elegge e chiama
35.24a l'alta gloria del celeste regno.
35.25E non sol lece contemplar mirando
35.26ne gli animali più feroci e grandi
35.27quella divina providenza ed arte.
35.28Chè ne' piccioli ancora ella si mostra,
35.29sì come ancor non men de l'alto monte
35.30che vicino a le nubi al ciel s'inalza,
35.31mirabil sembra la profonda valle,
35.32dove si schivi il fiero orgoglio e l'ira
35.33de' venti usati a ricercar mai sempre
35.34l'eccelse parti, e si ricovra e scampa
35.35in queta parte e sotto un puro cielo
35.36che 'n sè conserva tepido, sereno.
35.37A l'elefante, ch'è sì fero e grande,
35.38spavento dà con paurosa vista
35.39(chi 'l crederebbe?) il vile e picciol topo.
35.40Lo scorpio ancora orrido appare a' grandi,
35.41d'armi pungenti e di veleno armato.
36.1Ma non però la temeraria lingua
36.2il suo veleno in Dio rivolga e versi,
36.3nè le dia colpa che 'l serpente e 'l drago
36.4egli facesse e 'l verme e 'l picciol angue,
36.5che lunge saettando amaro tosco
36.6ancide l'uom con dolorosa morte.
36.7Chè 'n questa guisa ancor s'accusa il mastro,
36.8se da la temeraria età proterva,
36.9che ribellando a la ragion contrasta,
36.10temer si fa con la severa sferza,
36.11e con dure percosse e dure piaghe.
36.12E 'l medico in tal modo ancor s'incolpa,
36.13ch'indi ricerca medicina a' mali.
36.14Tu, se confidi in Dio, securo ascendi
36.15il basilisco venenoso e l'aspe,
36.16e 'l leone e 'l dragon supprimi e calca,
36.17che sopporran al piè securo e giusto
36.18la domita cervice e 'l collo a forza.
36.19E di Paulo t'affidi il chiaro essempio,
36.20a la cui santa e inviolabil destra,
36.21mentr'ei disceso ne l'apriche rive
36.22di Malta raccogliea materia al foco,
36.23la vipera non diè tormento o morte,
36.24nè quel che di leggier s'appiglia e serpe
36.25tosco micidiale a lei s'apprese,
36.26tanto la grazia può d'alma innocente.
36.27Ma debbo io far noiosa e fiera istoria
36.28di vipere crudeli e di ceraste?
36.29D'idre, che di colubri un folto vallo
36.30sibilando si fan d'intorno al collo
36.31ceruleo e gonfio, ed a l'orribil testa?
36.32o pur d'aspidi sordi al forte carme?
36.33o di faree, di cencri e di chelidri?
36.34d'alfasibene, o del serpente acceso,
36.35che dardo sembra, e come dardo il tosco
36.36uccisor de' mortali avventa e lancia?
36.37O pur di te, che più famosa palma
36.38fra le pesti africane ancor t'acquisti
36.39nocendo altrui? nè sol lo spirto e l'alma,
36.40ma 'l cadavero istesso a morte involi,
36.41anzi il rapisci, e gliel consumi a forza?
37.1Come il pittor che de le membra estinte
37.2il pallor, lo squallor dipinge, ed orna
37.3di colori di morte essangue aspetto,
37.4parte ci aggiunge orride fere e mostri
37.5spaventosi, e gli fa sembianti al vero,
37.6ma dove il vero di spavento ingombra,
37.7de le pinte sembianze il falso inganno
37.8altrui diletta e 'l magistero adorno;
37.9così con questi miei colori e lumi
37.10di poetico stil, con queste insieme
37.11ombre di poesia, terribil forme
37.12fingo, e fingendo di piacer m'ingegno
37.13a gli alti ingegni, e dal profondo orrore
37.14trar quel diletto che i più saggi appaghi.
37.15Ma pur ischivo altrui fastidio e scherno,
37.16e per questa di fere e di serpenti
37.17arida, adusta e spaventosa arena
37.18più non mi spazio; ed a più lieti obbietti
37.19quasi novo Caton mirando io varco.
38.1Ma i frettolosi passi anco ritarda
38.2larga schiera di estrani orridi mostri,
38.3e di vari animai volanti a stuolo,
38.4che da putride membra estinto corpo
38.5produsse; o senza seme e senza padre
38.6l'antica madre ancor produce e figlia
38.7dal riscaldato e 'nsieme umido grembo.
38.8E queste innumerabili e vaganti
38.9danno anzi noia che terrore o doglia.
38.10Quante, oh quante ne veggio in nubi o 'n ombra
38.11volarmi intorno ed oscurarne il cielo!
38.12Ma chi gli scaccia in trapassando e sgombra?
38.13Il tuo lume gli scacci, o Padre eterno,
38.14ch'io chiedo a te, dove dal santo il santo
38.15par che discordi e fu contrario in parte,
38.16se tu Dio fosti creator di mosche.
38.17Io, quanto lece per ragione umana,
38.18ch'al tuo lume divin si illustri e 'nformi,
38.19oso affermar che tu creasti allora
38.20in lor perfetta età maturi i parti.
39.1E la progenie e le diverse stirpi
39.2di piante e d'animai perfette usciro
39.3nel bel paese de la chiara luce
39.4a l'alta voce del suo santo impero;
39.5e non fu alcuna tralasciata a dietro
39.6de le selvaggie ed infeconde piante,
39.7o pur de le feconde; e già nascendo
39.8sin dal principio erano adorne e gravi
39.9di sue frondi ciascuna e de' suoi frutti.
39.10E non, come oggi aviene, oggi a vicenda;
39.11mentre sue volte ogni stagione alterna,
39.12son generate, e non già tutte insieme.
39.13Prima il fecondo seme è sparso in terra,
39.14o pur la stirpe in suol profondo affissa,
39.15e poi nascer veggiam le piante e l'erbe,
39.16ed avanzar crescendo; e d'una parte
39.17le radici mandar sotterra a dentro
39.18di fondamenti in guisa, e d'altro lato
39.19verso il cielo inalzare il tronco e i rami,
39.20e poscia germogliar le fronde e i fiori.
39.21Ultimo nasce il frutto, e 'nchino ei pende,
39.22ma non maturo nè perfetto ancora
39.23a poco a poco ei si trasmuta, e cangia
39.24molti vari sembianti e molte forme.
39.25Prima minuto è sì che gli occhi inganna,
39.26e quasi da la vista egli s'invola,
39.27e rassomiglia gli atomi volanti
39.28che ci appaion del sole a' chiari raggi;
39.29da poi nutrito de l'umor terrestre
39.30ed irrigato da rugiade ed aure,
39.31si nutre e cresce e si colora e tinge,
39.32come opra ei fusse di pittore illustre.
39.33Ma quando Dio creò di novo il mondo,
39.34tutte le selve di frondose piante
39.35perfette egli produsse, e i dolci frutti
39.36tra' rami si vedean, non mica acerbi
39.37quasi a pena cominci, anzi maturi
39.38faceano invito a' non ancor prodotti
39.39animali, e devean la fame e 'l gusto
39.40lusingar tosto a le dolcezze ignote.
39.41Gravida ancora a quel sovrano impero
39.42la terra partorì la stirpe e l'erbe
39.43e dolci frutti, in cui virtù nativa
39.44era nascosta di fecondo germe
39.45e di seme immortal, che quasi eterno
39.46devea poi rinovar le cose estinte.
39.47E gli animali poi creati insieme
39.48vestiti fur de le sue pelli irsute,
39.49o di candida, molle e pura lana,
39.50e di sue corna e di pungenti artigli
39.51ciascun apparve immantinente armato
39.52ne l'età sua perfetta e già matura.
39.53Nè de la prima infanzia allor conobbe
39.54alcuno il tempo, e in non cresciute membra.
40.1Anzi questa gran mole ancor novella,
40.2questo grande, dico io, mirabil mondo
40.3non conobbe l'infanzia, e tutto insieme
40.4perfetto apparve, e ne l'aspettto adorno.
40.5Ma non fur opre tue gli orridi mostri?
40.6Opre tue non fur già, maestro e padre
40.7de la natura, ma sol vizio e colpa
40.8de la materia a dismisura ingiusta,
40.9ch'or ha difetto, or nel soverchio abonda.
40.10E s'adivien giamai che 'l maschio seme
40.11debole e raro sia del veglio stanco,
40.12o sparso dal fanciul, nè vincer possa
40.13con quella sua virtù ch'informa e move
40.14ne' chiostri occulti del femineo ventre
40.15l'indigesta materia umida e informe,
40.16femina nasce; e ch'ella nasca è d'uopo,
40.17e se non caro, è necessario il parto.
40.18Ma d'uopo già non è che sia prodotto
40.19orrido mostro al mondo; e non ci nasce
40.20per grazioso fin, ma grazia o fine
40.21non ha nascendo, e la materia invitta
40.22e ribellante a la miglior natura,
40.23ch'al meglio è sempre in operando intenta,
40.24è impossente cagion del nato mostro.
40.25Ma la materia vinta, e non ribella
40.26nè 'n contender ritrosa, accoglie in grembo
40.27le forme obediente, e quinci nasce
40.28maschio il figliolo, e di bellezze adorno
40.29e di fattezze al genitor sembiante.
40.30E chiunque traligna, al propio padre
40.31ed a la stirpe de' maggior antica
40.32dissimil fatto, è quasi al mondo un mostro.
40.33E spesso avien ch'egli traligni in guisa
40.34degenerando da progenie illustre,
40.35che da l'umanità quasi è diverso.
40.36Ned uomo è più, ma d'odioso aspetto
40.37del male sparso e mal concetto seme
40.38un mal nato animal ci nasce e vive
40.39ch'è detto mostro. E la natura istessa
40.40lo schiva ed odia, e disdegnando abborre.
40.41E già, come divolga antica istoria,
40.42con testa di monton nacque un fanciullo,
40.43e con testa di bue poi l'altro apparse.
40.44Ed un vitello ancora ebbe nascendo
40.45il capo di fanciul, l'ebbe di toro
40.46un'umil pecorella e mansueta.
40.47Ma chi non sa la mostruosa forma
40.48de la chimera, in cui la capra aggiunta
40.49era al leone e 'l leon giunto al drago?
40.50E chi non sa sì come accoppia e mesce
40.51l'istessa fama a la giumenta il grifo
40.52là fra le nevi d'iperborei monti
40.53o de' Rifei, dove ei difende e guarda
40.54l'or sì bramato da' mortali erranti?
40.55E forme sono ancora illustri e conte
40.56quelle che figurò l'antico Egitto,
40.57o l'Africa arenosa. E questa affisse
40.58a l'uom di bue la spaventosa fronte,
40.59e col vel ricoprì l'altere corna,
40.60Giove Amon nominando il falso nume,
40.61ed adorollo in suo famoso tempio,
40.62ch'un tempestoso mar d'arene intorno
40.63cinger solea ne' solitari campi.
40.64Quel con faccia di cane altrui dipinse
40.65o pur impresse il suo latrante Anubi,
40.66oltre mille altri idoli suoi bugiardi.
40.67E la Giudea da l'africano inganno
40.68non fè diverso il simolacro o 'l mostro,
40.69quando a Moloc i sacrifici offerse.
40.70Ed a questo fallace e vano errore
40.71origin prima diè natura, errando
40.72oltre il suo fin nel mostruoso parto.
40.73Suol partorir ancor di molte membra
40.74confusi i mostri, e sul medesmo busto
40.75molte giungere insieme orride teste,
40.76o molti piè supporre al corpo istesso.
40.77E quinci preso ardir la Fama audace
40.78Briareo fece ed Egeon gigante,
40.79e gli armò cento mani e cento braccia.
40.80E di corone ancora ornò la fronte
40.81di Gerione, e ne l'antica Spagna
40.82collocollo in sublime ed alta sede.
40.83Ma in questa guisa forse ella dipinse
40.84l'anima umana imperiosa altera
40.85in cui son tre potenze insieme aggiunte.
41.1Or lasciando da parte occulti sensi
41.2e di favole antiche ombre e misteri,
41.3onde sua luce al vero ancor s'adombra,
41.4simigliante cagion produce i mostri,
41.5e d'offeso animal confonde e guasta
41.6dentro al materno sen tenere membra,
41.7o sia difetto di confuso seme
41.8o di materia pur maligna colpa
41.9e vizio innato; e ciò più spesso incontra
41.10in quei che fan sì numeroso il parto.
41.11Tal è del gallo la pennata madre,
41.12e tale ancor la semplice colomba,
41.13i cui figli talor confuse e miste
41.14ebber le membra. E con due teste ancora
41.15fu già veduto un orrido serpente.
41.16Ed al buon servo di Gesù diletto
41.17in quel sogno divin con sette apparse
41.18l'estrania belva, a cui lasciva donna
41.19premendo assisa alteramente il tergo,
41.20attrasse i regi a gli impudici amori.
41.21Con sette è finto l'animal di Lerna,
41.22orrida peste, e rinascenti al ferro
41.23fur creduti que' capi e 'ndarno tronchi.
41.24Tralascio alfin de l'animal rinchiuso
41.25nel laberinto la dubbiosa forma,
41.26e tralascio di Sfingi e di Centauri,
41.27di Polifemo e di Ciclopi appresso,
41.28di Satiri, di Fauni e di Silvani,
41.29di Pani e d'Egipani e d'altri erranti,
41.30ch'empier le solitarie inculte selve,
41.31l'antiche maraviglie; e quello accolto
41.32essercito di Bacco in Oriente,
41.33ond'egli vinse e trionfò de gl'Indi,
41.34tornando glorioso a' greci lidi,
41.35sì com'è favoloso antico grido.
41.36E lascio gli Arimaspi, e quei ch'al sole
41.37si fan col piè giacendo e schermo ed ombra;
41.38e i Pigmei favolosi in lunga guerra
41.39con le gru rimarransi, e quanto unquanco
41.40dipinse in carte l'Africa bugiarda.
41.41Perchè vero non è che mai prodotti
41.42fosser sì mostruosi e vari aspetti
41.43da la natura; e s'è pur vero in parte,
41.44Dio non produsse allor creando i mostri.
41.45Però che mostro è quello in cui s'incolpa
41.46difetto di materia o pur soverchio,
41.47onde al suo genitor dissimil nasce;
41.48ma rade volte, e 'n odiosa vista
41.49è di natura vergognoso scorno.
41.50O pur è segno onde il gran Re superno
41.51sgomenta gli egri e miseri mortali,
41.52e minaccia lor pena, morte e scempio.
42.1Non fece allor creando il fabro eterno
42.2i muli o pur le mule, e quelli e queste
42.3illegittima prole e dubbio parto
42.4fur poscia d'animai ch'aggiunse insieme
42.5desio sfrenato di natura, e nacque
42.6d'asino il forte mulo e di giumenta,
42.7e di pronto destrier veloce al corso
42.8la mula, ma di pigra e tarda madre.
42.9E somigliando il generoso padre,
42.10corse talvolta ne l'Olimpo a prova
42.11e riportò correndo il caro pregio.
42.12Ed or si gloria di portar sul dosso
42.13sacri purpurei padri in Vaticano
42.14in dì festo ed altero, e nobil pompa,
42.15e incontra muove a' messaggieri eletti
42.16de gli altri regi e de' famosi augusti.
42.17Nacque talvolta del destrier corrente
42.18il mulo ancora, e l'asina si vanta
42.19pur anco di veloce e nobil madre.
42.20Ma l'uno sparge non fecondo il seme,
42.21l'altra l'accoglie in non fecondo ventre.
42.22Però nascer non suol del mulo il mulo,
42.23come da l'un veggiam nascer sovente
42.24l'altro cavallo, e nel guerriero armento
42.25succeder generoso al padre il figlio,
42.26e la cagion di ciò varia s'adduce.
42.27A' corrotti meati il cieco veglio
42.28la reca, quel, dico io, per fama illustre,
42.29ch'al vaneggiar de' miseri mortali
42.30rider soleva, e le sciagure e i danni
42.31del suo dotto ei degnò continuo riso.
42.32Ma quel che si lanciò nel foco ardente
42.33d'Etna sublime, e la sua vita (ahi folle!)
42.34volse finir ne la fumante fiamma,
42.35giudicò poi che mal s'apprenda insieme
42.36il liquido col liquido commisto,
42.37e si mescoli meglio il molle e 'l denso:
42.38come adiviene a chi disface e fonde
42.39i metalli diversi, e lor confonde,
42.40che lo stagno e l'argento in un condensa.
42.41Altri di più sublime e chiaro ingegno,
42.42che fu maestro di color che sanno
42.43quanto in mille sue scole insegna il mondo,
42.44de la sterilità più tosto assegna
42.45la più vera cagione al freddo seme.
42.46Perch'è freddo animale e pigro e tardo
42.47l'asino, e intolerante al freddo verno:
42.48però di Scizia nel gelato clima
42.49ei non ci nasce fra le nevi e 'l gelo,
42.50benchè tra' Franchi ei nasca e fra' Britanni.
42.51E de l'asino nato è freddo il mulo,
42.52però sembiante al padre il freddo seme
42.53il figlio non produce in freddo grembo.
42.54Ma se addita talor per raro mostro,
42.55maravigliando, de la mula il parto;
42.56e 'l mulo ancor, quando sette anni ei compie,
42.57si mesce alla giumenta, ed ella espone
42.58novo portato del mirabil figlio.
42.59Ma dove ardente sol la Siria accende
42.60sovra Fenicia, già ne' tempi antichi
42.61solean le mule partorir sovente
42.62e de' muli nascean sembianti i muli,
42.63talchè passò ne gli ultimi nepoti
42.64la memoria de gli avi, e lungo tempo
42.65la bastarda progenie in pregio fue.
42.66Or mancata è la stirpe, e spento il nome
42.67tra novi Siriani e tra Fenici,
42.68nè vantar se ne può Sidone o Tiro.
43.1Nascer soleva ancor ne' primi tempi
43.2di cavallo e di cervo il figlio misto,
43.3che prendeva l'onor di lunga chioma
43.4e le vaghe ramose altere corna
43.5d'entrambo suoi parenti insieme aggiunti:
43.6illegitimo sì, ma bello e grande
43.7mirabil figlio, e leve e presto al corso.
43.8E poi crescendo gli pendeva al mento,
43.9pur come barba fosse, il lungo vello.
43.10Fra gli Aracoti già l'antiche selve
43.11libera già pascendo errante fera,
43.12dove pascer soleano i buoi selvaggi,
43.13con muso adunco e con ritorte corna,
43.14con nero pelo e con robuste membra.
43.15Or non so chi più 'l veggia o dove appaia,
43.16benchè ne' climi algenti orridi boschi
43.17sogliano anco nutrire i buoi silvestri,
43.18e sian fra noi famosi e gli uri e l'alce.
43.19Ma del cavallo e del corrente cervo
43.20par che non sia più noto il misto figlio;
43.21nè 'l feroce destrier si giunge al pardo
43.22in guisa tal che ne veggiamo il figlio,
43.23sì come il rimirò l'età vetusta,
43.24tanto l'onor de la bastarda prole
43.25manca, volgendo gli anni, e 'l nome e 'l grido.
43.26E questo avien perchè fatture ed opre
43.27non fur di quel celeste eterno fabro,
43.28il qual perpetue fa le varie stirpi
43.29de gli animali, e lor rinova e serba.
43.30Mancate son ancor l'estranie e miste
43.31forme confuse d'animai feroci,
43.32che presso a' fiumi accoppia Africa adusta,
43.33d'orribil novità fiera e superba.
43.34O van mancando, chè serbarsi in vita
43.35lungamente non può di vario seme
43.36la progenie illegitima ed incerta.
43.37Sol legitima stirpe è quasi eterna,
43.38sì come piacque al suo fattor creando.
44.1Ma già vicino a l'alta e nobil meta,
44.2a cui lasso cursor m'affretto e corro,
44.3del bonaso m'avveggio e de l'iena
44.4lasciata adietro, e de l'orribil fera
44.5che l'ossa umane trae d'oscura tomba,
44.6e la voce de l'uomo assembra e finge.
44.7Veggio il rinoceronte adunco il naso,
44.8e veggio te, che d'un bel corno altero,
44.9purghi del tosco le turbate fonti.
44.10Veggio che fra le nevi e l'alto ghiaccio
44.11il rangifero, occulto al nostro mondo,
44.12porta correndo le veloci rote.
44.13Veggio mille altri, e ne l'algente zona
44.14e 'n quella che più ferve e più s'infiamma,
44.15qui non visti animai, ma chiari e conti
44.16per lungo grido di perpetua fama.
44.17Ma però non ritardo il lento corso,
44.18già stanco e grave, e là m'appresso e giungo
44.19dove tra le fiorite ombrose piante,
44.20e fra mille vaghezze e mille odori,
44.21l'uom creato da Dio m'aspetta e chiama.
44.22Quale esperto figliol che 'n festa e 'n pompa
44.23spaziò per città calcata e piena
44.24de la minuta errante e bassa plebe,
44.25se vede alfine in più sublime parte
44.26del caro padre il venerato aspetto
44.27là dove adorno di lontan risplende
44.28un re possente di corone e d'ostro,
44.29sdegna la varia turba e l'umil volgo,
44.30e là ricovra ove l'affida e 'nvita
44.31presso l'altera maiestate augusta
44.32del genitore antico il lieto cenno
44.33o pur l'imperiosa e nota voce;
44.34tal per questo creato adorno mondo,
44.35ch'è città di mortali e d'immortali
44.36grande e sublime, in cui perpetue leggi
44.37son prefisse ab eterno al viver nostro,
44.38pur dianzi io m'avolgea bramoso e vago
44.39di tante maraviglie a parte a parte,
44.40tutte cercando e rimirando intorno,
44.41onde fermai talvolta i tardi passi
44.42fra gli animai, che son l'ignobil volgo.
44.43Or che mi s'offre in venerabil fronte
44.44nel paradiso il genitor vetusto,
44.45non diviso anco dal suo Re sublime,
44.46obliando tutto altro, a lui mi volgo,
44.47ed odo voce che nel cor rimbomba,
44.48non già da statua del bugiardo Apollo,
44.49o da ruvida quercia o da spelunca,
44.50nè d'idolo scolpito in legno o 'n marmi,
44.51ma sin dal cielo e ben celeste assembra:
44.52uom, conosci te stesso! Oh santa scorta
44.53che per questo sentiero a Dio conduci,
44.54perchè la nostra mente a Dio s'inalza
44.55sovra se stessa, e lui conosce e intende,
44.56nè contemplando i bei stellanti chiostri
44.57e 'l gran giro del sol che tutto illustra,
44.58così possiam ne l'invisibil luce
44.59conoscere il gran Dio che fece il mondo,
44.60come dal contemplar la nostra mente
44.61a conoscer la sua leviamo in alto
44.62l'ali del pronto e fervido pensiero,
44.63che non si ferma ne gli umani obietti.
44.64Ma qual luce de gli occhi, ove si giri,
44.65ove si fermi, ivi rimira e scorge
44.66prati, selve, campagne e mari e fiumi,
44.67aspri monti, erti poggi ed ime valli,
44.68pur non vede se stessa, e 'n chiaro speglio
44.69sol di sè può veder la vera imago:
44.70tal mente umana, che tutto altro intende,
44.71quanto di fuor di lei dipinge ed orna
44.72la mano e l'arte del gran mastro eterno,
44.73non intende se stessa, e non conosce
44.74quel ch'ella sia, se non s'illustra al sole
44.75di verità, quasi cristallo ardente;
44.76ed illustrata non rimira e guarda
44.77come in ispeglio pur la propia forma,
44.78e quel Signor che de la propia imago
44.79la fece adorna, e di beltà sembiante.
44.80S'ella è dunque di macchie orride aspersa,
44.81tergasi, e puro in sè raccoglia il raggio
44.82de la divinità, che in lei fiammeggia.
45.1Poich'ebbe fatti gli animai terrestri,
45.2l'opre sue buone Dio conobbe e disse:
45.3"Facciam noi l'uom, come è la nostra imago
45.4simil a noi". Fece la terra e 'l cielo
45.5pur dianzi, e 'l sole e gli stellanti chiostri,
45.6nè chiese aiuto o dimandò consiglio;
45.7ed or creando l'uomo Ei si consiglia.
45.8Tanta opra fu! Giudeo protervo ed empio,
45.9odi la voce del Signor che parla.
45.10Ed a chi parla? A se medesmo e seco.
45.11Tu, che di verità sol vedi il lume,
45.12sì come per fenestra acceso raggio,
45.13ritroso e ribellante ancor ripugni?
45.14nè tre varie persone in Dio conosci,
45.15quasi sotto un bel velo a noi dimostre?
45.16Qual sollecito mai notturno fabro,
45.17o qual maestro di men nobile arte,
45.18solo sedendo fra' suoi propi ordigni
45.19là dove niuno altro insieme adopra,
45.20dice a se stesso, e se medesmo affretta
45.21con importuno e frettoloso impero:
45.22"Facciam la spada, o pur l'adunca falce
45.23facciamo immantinente, o 'l curvo aratro"?
45.24Ciance son queste, anzi calunnie espresse
45.25di falsa lingua a le menzogne avezza.
45.26E s'infinge il giudeo, mentre figura
45.27a se medesmo pur mentite larve.
45.28E come orride belve a l'uomo infeste,
45.29in angusta prigion ristrette e chiuse,
45.30non potendo adempir l'ardente rabbia
45.31fremono in quel serraglio, e 'n fero suono
45.32dimostran l'amaror de l'ira accolto,
45.33e la natia lor feritate interna;
45.34così gli Ebrei sospinti a passi angusti
45.35osano d'affermar che 'l Padre eterno
45.36con gli angeli ragioni in questa guisa,
45.37con gli angeli che stanno a lui d'intorno,
45.38e gli angeli ministri a l'opre inviti.
45.39Quasi egli chiami del consiglio a parte
45.40i servi suoi, che sono a l'uom conservi,
45.41e gli faccia signori in sì grande opra
45.42in cui l'uomo è creato a Dio sembiante.
45.43Qual magistero al suo maestro eguale
45.44esser potrebbe? Oh sorda e cieca mente,
45.45oh sciocchezza, oh follia d'alma profana!
45.46Molti servi raccorre e farli degni
45.47di tanto officio, e rifiutare il figlio?
45.48Pensa a quel che poi segue: "A nostra imago
45.49l'uomo facciam". Forse una imagin sola
45.50ha con gli angeli Dio, come una forma
45.51istessa è necessaria al Padre, al Figlio?
45.52Ma ne l'uomo ed in Dio l'alta sembianza
45.53non è figura o qualità del corpo,
45.54ma solo è propio a la divina mente
45.55l'imago, onde l'umana ancor s'informa,
45.56e 'n tre potenze interne Iddio figura.
45.57Perchè, sì come Dio se stesso intende,
45.58e se stesso intendendo ama se stesso,
45.59e quinci nasce l'intelletto eterno,
45.60e d'ambo quindi e quinci eterno Amore
45.61spira, e tre lumi sono e non tre dei,
45.62ma tre persone in un sol Dio congiunte;
45.63così la nostra mente in noi produce
45.64la volontate e la memoria appresso
45.65di questa e quella si figura e forma.
45.66In guisa tal che la natura umana,
45.67bench'una sia da tre virtù distinta,
45.68in sè dimostra la divina imago
45.69ed in se stessa Dio conosce ed ama.
46.1Fece ancor somigliante il Padre eterno
46.2l'anima e la ragion, ch'è l'uomo esterno,
46.3a se medesmo, ch'è divino amore,
46.4e de l'esterno Adam vestito intorno,
46.5il tenne occulto e ricoperto a' sensi.
46.6E però ch'egli è buono e saggio e giusto,
46.7pietoso e forte in tolerar gli oltraggi,
46.8lunga stagion ne soffre, e non s'affretta
46.9a vendicarsi, e poi si placa e molce.
46.10Tale ei creò l'uom primo, e 'l feo sembiante
46.11nel puro amor, ch'è la virtù primiera,
46.12e d'ogni altra virtù divina e sacra
46.13impresse in lui mirabilmente i segni.
46.14Come il pittore a la sua bella imago
46.15col suo leggiadro stil colori e lumi
46.16vari e diversi ognora aggiunge e sparge,
46.17ed ombreggiando anco la va d'intorno,
46.18sin ch'è perfetta la figura e l'arte;
46.19così il pittor di nostra umana mente
46.20colorò l'alma, e de' suoi raggi illustre
46.21tutta la fece, e del color distinto
46.22sempre accrescendo a lei splendori e lumi.
46.23E come lo scultore al bianco marmo
46.24col duro ferro e toglie sempre e scema
46.25quel ch'è soverchio, e da l'incisa pietra
46.26spira alfin quasi viva e vera forma,
46.27così togliendo a la materia il fabro
46.28de la natura, glorioso, eterno,
46.29quel ch'avea di più duro e di terrestre,
46.30l'uman sembiante in viva terra apparve:
46.31talchè divenne l'uom sembiante imago
46.32de la divinità che in Dio risplende.
46.33Ma que' colori e la mirabil luce
46.34d'altri falsi colori asperge e macchia
46.35la progenie ch'ognor traligna e perde
46.36le sue prime sembianze, e tutto adombra,
46.37talchè Dio non somiglia, e quasi assembra
46.38pittura tinta col pennel d'Averno
46.39ed affumata in Flegetonte o in Lete,
46.40la nostra umanità macchiata e lorda.
46.41Dunque in se stesso l'uomo omai conosca
46.42contaminate le divine forme,
46.43e, mentre può, si ripolisca e terga,
46.44e sempre a l'alma aggiunga e toglia al corpo,
46.45perchè simil si veggia al primo essempio;
46.46e l'uom figliolo al Re del ciel si mostri
46.47e degno erede del celeste regno.
47.1Poi benedisse Dio la cara imago
47.2di sè, da sè creata, e disse appresso:
47.3"Crescete in numerosa e bella prole,
47.4riempite la terra, e lei soggetta
47.5fate a l'arbitrio vostro, al vostro impero.
47.6Signoreggiate in mar gli umidi pesci,
47.7e ne i campi de l'aria i vaghi augelli,
47.8e qualunque animal si move in terra
47.9soggetto sia non meno al vostro regno".
47.10In questa guisa tu creato a pena,
47.11uom, creato re fosti, e l'alto impero
47.12e la sublime potestate impressa
47.13non ti fu data in secco o 'n fragil legno,
47.14o ne le pieghe pur di breve carta,
47.15perchè la roda alfin putrido verme,
47.16ma la natura scritta in sè riserba
47.17l'alta voce divina, e 'l chiaro suono
47.18comandi, e 'l naturale e giusto impero
47.19in terra estenda e dentro il mar sonante,
47.20e nel sublime ancor de l'aria vaga.
47.21Imperioso tu nascesti in prima.
47.22Or perchè dunque servi a propi affetti
47.23e la tua dignità disprezzi e perdi,
47.24ligio omai fatto del peccato e servo?
47.25Perchè te stesso prigionier cattivo
47.26fai di Satàn, in sue catene avolto,
47.27se già nascendo sei principe detto
47.28de le cose create e re terrestre?
47.29Perchè, quasi gittando, a terra spargi
47.30quel che nostra natura ha in sè più degno
47.31di riverenza e di sublime onore?
47.32Qual a l'imperio tuo prescritto in terra
47.33è fine, o pur ne l'aria o 'n mar profondo?
47.34Se ben te stesso e lui misuri e scorgi,
47.35non hai tu penne da volar nel cielo?
48.1Ma l'ardita ragion nulla ritiene.
48.2Questa con l'ali sue trapassa a volo
48.3non pur de l'aria i più ventosi campi,
48.4ma del ciel gli stellanti ed aurei chiostri.
48.5E via men cupo e men profondo il mare
48.6è del suo peregrino e vago ingegno,
48.7che va spiando dentro a' salsi regni
48.8i secreti de l'onde, e i seni, e i fondi,
48.9e le sue occulte maraviglie, e quindi
48.10vittorioso alfin ritorna in alto,
48.11di saper ricco e d'immortal tesoro.
48.12Così per arte de l'umano ingegno
48.13prende tutte le cose e fa soggette.
49.1E disse Dio di novo: "Ecco a voi diedi
49.2ogni erba che da seme in terra sparso
49.3germogli, ed ogni pianta, in cui semenza
49.4è di sua stirpe. E quinci 'l cibo e l'esca
49.5avrete, e 'l vitto insieme ancor n'avranno
49.6i volanti del ciel sublimi augelli,
49.7e i più gravi animai che in su la terra
49.8move e trasporta l'anima vivente".
49.9E 'n questa guisa ne l'antico stato
49.10de l'innocenza, anco innocente il cibo
49.11non macchiato di sangue e d'empia morte
49.12contaminato, o da rapina ingiusta,
49.13fu conceduto a l'uomo, e dato insieme
49.14a l'animal, che senza sdegno ed ira
49.15era soggetto al mansueto impero.
49.16Non uccideva ancor d'erba nocente
49.17maligno tosco o pur d'orribil angue,
49.18ma tutto quel che producea nel grembo
49.19la madre terra era salubre e caro.
49.20Nè tinto ancor si avea l'artiglio e i denti
49.21l'affamato leone o 'l lupo o l'orso;
49.22nè l'avoltoio allor da corpo estinto
49.23cercava il cibo, perchè morto ancora
49.24non era alcuno, e de le morte membra
49.25non era ancor molesto e grave il lezzo.
49.26Ma pascolar ne' verdi erbosi prati,
49.27in guisa di canori e bianchi cigni,
49.28e sì come veggiam talvolta i cani,
49.29cui la natura è mastra, andar pascendo
49.30e ritrovar la medicina occulta,
49.31così pascevan quei l'erbe novelle
49.32ch'or son voraci di sanguigno pasto.
49.33Non si faceva ancora ingiuria in caccia,
49.34non eran tese ancor l'insidie ascoste
49.35a la selvaggia e solitaria vita.
49.36E i feroci animali a l'uomo amici,
49.37tutti con lieto e con benigno aspetto,
49.38placidi, umili, ivano errando intorno
49.39obedienti a quel sì giusto impero.
49.40Perchè non solo re d'orride belve,
49.41e di serpenti o pur d'augei sublimi,
49.42e di volanti in mare umidi pesci
49.43era l'uom primo; ma signore e donno
49.44ne' propi affetti avea lo scettro e 'l regno,
49.45e suoi propi pensier teneva a freno
49.46saldo e costante, imperioso e grave.
49.47Ma poichè ribellante al santo impero
49.48del Creator sprezzò l'alto divieto,
49.49a lui mostrarsi ancor ribelle in guerra
49.50l'orride belve; e le caduche membra,
49.51che strugger poi devea l'orrida morte,
49.52altro cibo nutria di sangue asperso,
49.53cibo mortale, a' miseri mortali
49.54dato per esca in men felice stato,
49.55da poi che l'acque nel dilluvio accolte
49.56ondeggiando coprir le piagge e i monti.
50.1Ma perchè l'uom, divina e sacra imago,
50.2l'alta origine prisca anco riserba,
50.3non perde il natural suo primo impero
50.4sovra le fiere, e può con giusta legge,
50.5anzi con giusta e conceduta guerra,
50.6farne preda e rapina e cibo e veste
50.7a le sue faticose e dure membra.
50.8Nè questa legge è ingiuriosa ed empia,
50.9ma di natura, anzi del Re superno,
50.10che fece serve a l'uom l'orride belve,
50.11e le greggia e gli armenti e i vaghi augelli
50.12e gli abitanti ancor del mare ondoso.
51.1Così fu fatto. E Dio conobbe e vide
51.2l'opere sue perfette. E 'l sesto giorno
51.3ebbe qui fine, ed egli in sè riposo.
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