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5° Giorno

Il mondo creato

PoeTree.it

1.1L'antico abitator d'estrania parte,
1.2che tornar pensa a la sua patria illustre,
1.3dopo varie fortune e grave essiglio,
1.4e molti in faticosa e dura vita
1.5trascorsi lustri, al suo fedele albergo,
1.6ed al cortese albergator si mostra
1.7grato ed amico anzi il partire estremo;
1.8così noi, che bramiam di far ritorno
1.9al ciel, quando che sia, tardi o per tempo,
1.10da questa men sublime opaca chiostra
1.11de la terra e del mar, che intorno inonda,
1.12da cui molti anni il nudrimento e 'l cibo
1.13sì caro avemmo, e sì gradito ostello,
1.14debbiam gli ultimi offici e i detti e i doni
1.15di pietate e d'amor, debbiamo i pegni
1.16di non oscura e non mortal memoria
1.17a questa nostra sì pietosa e cara
1.18nudrice antica, che fanciulli in grembo
1.19ne accolse, e vecchi ne sostiene e folce,
1.20a questo mar, che ne trasporta e pasce,
1.21a questo, onde spiriamo, aer sereno.
1.22Dunque narriam come la santa destra,
1.23poichè in tal guisa ebbe ciascuno adorno,
1.24di vari abitator frequenti e lieti
1.25facesse tutti alfin nel giorno quinto,
1.26sì che non vi lasciò spazio nè clima
1.27di vasta solitudine e dolente,
1.28nè di perpetuo orrore incolto ed ermo.
2.1Avea la dotta man del mastro eterno
2.2de' bei fiori di stelle il ciel dipinto,
2.3e pur come occhi suoi lucenti e vaghi,
2.4già con la luna in lui creato il sole,
2.5quando egli disse: "L'acqua omai produca,
2.6e seco l'aria partorisca insieme
2.7ogni vivo animal che vola e repe".
2.8E nel suo commandar tutti repente
2.9i fiumi diventar fecondi e i laghi,
2.10e' vaghi armenti e le squammose torme
2.11de' propi notatori il mar produsse.
2.12E quanto ancor d'immondo e di palustre
2.13limo è ripieno, e senza corso o moto
2.14ristagna ed impaluda in pigro letto,
2.15sortì il propio ornamento e 'l propio onore,
2.16e non rimase neghitoso e voto,
2.17allor che Dio creò di novo il mondo
2.18ch'immantinente gracidar nascendo
2.19ne lo stagnante umor rane palustri,
2.20e sì fatti animai nasceano insieme,
2.21in guisa ad esseguire il sommo impero
2.22si mostrar l'acque frettolose e pronte.
2.23E tutti quei, di cui potriansi a pena
2.24le varie sorti annoverar parlando,
2.25subito nati, in operosa vita
2.26e sè movente, disegnaro a prova
2.27di quei che gli creò, l'alta possanza,
2.28che narrar non si può con lingua umana.
2.29Ed allor prima fu creato, e nacque
2.30dotato l'animal d'alma e di senso.
2.31Perchè le piante e le frondose sterpi
2.32de gli arbori ch'al ciel spiegar le chiome,
2.33benchè abbian vita, onde si nutre e cresce
2.34da l'umide radici il verde tronco,
2.35animali non son, nè in cara dote
2.36ebber dal Padre eterno il senso e l'alma,
2.37onde sentiamo sì diversi obietti.
2.38Benchè vi sia chi non dinieghi e toglia
2.39a le scorze selvagge, a' rozzi tronchi
2.40un inchinarsi, un ripiegar se stesso,
2.41un distendere i rami in cara parte,
2.42ch'è quasi un moto di frondose braccia
2.43per secreto desio d'amore occulto.
2.44E ne le piante ancor stupido senso
2.45conobbe alcuno antico, o che gli parve.
2.46Ma resti pur questa sentenzia errante
2.47in quel silenzio, a lor cotanto amico.
3.1Come si sia, creati il quinto giorno
3.2fur gli animanti, a cui non lega e 'ndura
3.3rozzo e tardo stupore i pigri sensi.
3.4E qualunque animale, o repe o guizza,
3.5o nel sommo de l'acque o pur nel fondo,
3.6prodotto fu per obedir al suono
3.7de la divina ed immutabil voce.
3.8Nè in pochi e brevi detti alcun rimase
3.9escluso dal soprano eterno impero.
3.10Non quei, che l'animal figliando in parto,
3.11soglion vivo produr, delfini e foche;
3.12nè meno 'l picciol pesce, onde sovente
3.13la man del pescatore al fune avolta,
3.14per secreta virtù stupisce e torpe;
3.15non chi l'ova produce, o chi si copre
3.16di molle squamma o di più dura scorza;
3.17non quei c'hanno le penne o pur non l'hanno,
3.18ma tutti fur ne le parole accolti,
3.19e quasi inchiusi sotto certa legge,
3.20del lito i vaghi abitator guizzanti.
3.21E quei che nel profondo il mare alberga,
3.22e quei ch'affissi stanno a' duri scogli,
3.23e quei che vanno insieme in ampia greggia,
3.24e quelli ancor ch'erran dispersi a nuoto,
3.25e le balene smisurate e l'orche,
3.26co' pesci picciolissimi e minuti.
3.27E se fra questi ha pur chi 'l molle peso
3.28del corpo sovra i piè sostiene e porta,
3.29son di natura ambigua e quasi incerta,
3.30e 'l gemino lor vitto in terra e 'n onda
3.31van ricercando, non contenti a pieno
3.32di semplice esca, o d'un sol cibo al pasto.
3.33E son fra questi le stridenti rane,
3.34e granchi di più branche, a cui s'aggiunge
3.35il cocodrillo, e 'l notator cavallo
3.36che del Nilo trascorre i larghi campi,
3.37ed ondeggianti per l'asciutte rive.
3.38Perchè i piccioli, i grandi, i dubbi e i certi,
3.39sotto il decreto d'uno eguale impero
3.40esser vario sortiro e varia vita,
3.41allor che disse Dio: "Producan l'acque".
4.1E dimostrò con la mirabil voce
4.2quanto la vaga ed umida natura
4.3de l'instabile umor convenga a' pesci.
4.4Però che quale è l'aria a' levi augelli,
4.5o pur ad animal che spiri in terra,
4.6cotale è l'acqua al notator marino,
4.7ed a qualunque guizzi in fiume e 'n lago.
4.8E la cagione è manifesta a' sensi,
4.9perchè il pulmon ne la sinistra parte
4.10fra le viscere nostre ha 'l propio sito
4.11spongioso e raro e trasparente, in guisa
4.12di specchio, o d'altro che riceve imago
4.13e la ritorna; e si ristringe ed apre,
4.14quasi mantice o folle, e 'l rezzo e l'aura
4.15spirando e respirando, accoglie e rende,
4.16e ventillando è refrigerio al core,
4.17che di purpureo sangue è caldo fonte.
4.18E con l'istesso spirto, onde rinfresca
4.19l'interna arsura, anco si forma e finge
4.20in vari detti la sonora voce.
4.21Ma diè natura a le guizzanti torme
4.22in vece di pulmon le curve branche,
4.23e mentre le distende e le raccoglie,
4.24dentro l'acqua riceve o pur la sparge;
4.25e così in loro il propio officio adempie,
4.26ch'è quasi un respirar d'umore e d'onda.
5.1Ma pur voce non manda il muto pesce,
5.2nè domestico mai, nè mansueto
5.3diventa, nè sostiene il tatto e i vezzi,
5.4onde palpa e lusinga umana destra.
5.5Perchè d'alcuni pur si narri e scriva
5.6c'han per propia natura e propia sorte,
5.7oltre l'uso comun, sonoro spirto;
5.8altri suono non pur, ma voce ancora,
5.9altri quasi parole, in cui distingue
5.10non ben loquace lingua i propi affetti.
5.11Perchè non basta al suon lo spirto interno,
5.12ond'ei si forma, e 'l suo spongioso e raro
5.13pulmone, e la sua vota umida canna,
5.14fistola detta; ma la voce appresso
5.15sol ne la gola si figura e finge.
5.16A le parole ancor la lingua e i denti
5.17son d'uopo: onde non parla, e non informa
5.18gli accenti suoi quel che di lingua è privo.
5.19Ma 'l suon da l'altre parti ancor si frange,
5.20come nel cinto che traversa e fascia
5.21le vespe e l'api, si percote e rompe
5.22l'interno spirto; e quinci s'ode un roco
5.23mormorar, che per l'aria intorno aggira.
5.24Altri rompendo ne l'istessa fascia,
5.25che cinge il corpo suo, lo spirto interno,
5.26canta, battendo l'ali, e i verdi boschi
5.27suonano intorno a quei sonori accenti
5.28de la cicala a' lunghi estivi giorni.
5.29Ma fra' pesci nel mare o 'n fiume o 'n lago
5.30che sia molle, o di crosta almen coperto,
5.31alcun non manda fuori o voce o suono,
5.32altri con vario suon grunnisce e stride,
5.33talchè del suo stridor risuona intorno
5.34l'onda sovente; e dal concento il nome
5.35prese quel pesce in mar, che detto è lira.
6.1Stride il pettine ancora, e stride a prova
6.2la rondine marina, e questo e quella
6.3stridendo vola, e si solleva in alto
6.4con lunghe e larghe penne, e 'l mar non tocca.
6.5Ma nel fiume Acheloo non solo stride,
6.6ma voce il suo cinghiale aver si crede,
6.7e 'l cucco notatore ha voce anch'egli,
6.8ond'al cucco volante è quasi eguale.
6.9Ma non è vera voce, e voce assembra
6.10l'interno spirto, che si frega e frange
6.11in quell'orride branche, ond'ei risuona.
6.12Ma sue parole quasi e sua favella
6.13tra l'acqua e 'l limo ha la loquace rana,
6.14de le paludi abitatrice immonda.
6.15E questo avien perc'ha pulmone e lingua,
6.16di cui compiuta è l'una e l'altra parte:
6.17la prima ha 'l modo pur de gli altri pesci,
6.18e l'altra ancor, che manda il roco suono,
6.19al gorgozzul s'attacca e si congiunge.
6.20Ed ulular le rane, e gli altri ancora
6.21sotto l'acque s'udir pesci lascivi.
6.22E l'ululare è un amoroso invito,
6.23onde il cupido maschio alletta e chiama
6.24la femina consorte dolci nozze.
6.25Ma 'l veloce delfino ha voce e suono,
6.26perch'ei non è senza pulmone e sangue;
6.27ma non ha lingua, ond'ei formi e distingua
6.28quel suon che s'ode mormorar su l'acque.
6.29Ma ronfar già dormendo ancora udisti,
6.30e dormir son veduti umidi pesci,
6.31e quei che dura crosta involve e copre,
6.32benchè non abbian l'umide palpebre,
6.33le quai chinate nel soave sonno
6.34ricopron gli occhi a' notatori stanchi.
6.35Ma dal placido lor queto riposo,
6.36in cui sol mossa è la guizzante coda,
6.37l'accorto pescator conosce il sonno.
6.38Nè gli trafigge sol col suo tridente,
6.39ma con la cauta man gli palpa e prende.
6.40E spesso preda fa di quei ch'affissi
6.41sono a gli scogli o ne l'arene avolti,
6.42o sotto un sasso o sotto il curvo lido
6.43dormono ascosamente o in imo gorgo.
6.44In questa guisa è col pungente ferro
6.45presa l'orata; e 'l lupo altri percosse:
6.46si desta a pena, in così fisso ed alto
6.47sopore è immerso, e 'l fin del suo riposo
6.48è col principio di sua morte aggiunto,
6.49anzi dal breve nel perpetuo sonno
6.50desto ei trapassa, e se n'avede a pena.
6.51Ma 'l veloce delfin, la grande e vasta
6.52balena, mentre dorme in mezzo a l'onde,
6.53fuor dal sommo de l'acque inalza e sparge
6.54la sua fistola cava, ond'ella spira,
6.55e leggiermente le sue pinne intanto
6.56agita e muove. E ne l'ombrosa notte
6.57via più che in altro tempo, il sonno a' pesci
6.58s'irriga, e pur in sul meriggio estivo,
6.59allor che pasce i favolosi armenti
6.60Proteo ne le marine ampie spelunche,
6.61come creduto fu, le pistri e l'orche,
6.62a cui fa l'alga immonda un pigro letto,
6.63stertono i lunghi giorni; e dorme appresso
6.64l'indovino pastor, tre volte e quattro
6.65già numerate le squammose greggie.
7.1Ma le favole antiche in altra parte
7.2han più opportuno loco. Io taccio adunque
7.3di Proteo e d'Arion, che tratto a riva
7.4dal veloce delfin, campò da morte.
7.5E taccio ancora i mal creduti amori
7.6del pio delfino e del fanciullo estinto,
7.7per cui si dolse il suo marino amante,
7.8e vinto al fin dal suo dolore insano,
7.9morì gemendo in su l'asciutta arena.
7.10Ma se di ciò si nega a prisca fama
7.11credenza alcuna, almen di fede indegna
7.12non sia l'antica istoria, in cui si legge
7.13che la natura ancor pietate insegna,
7.14quasi maestra a' pesci e quasi madre.
7.15Quinci al curvo delfin le gonfie mamme
7.16diede, perchè nudrisca i cari figli,
7.17anzi ei di novo ancor nel curvo ventre
7.18raccoglie i pargoletti; e si rientra,
7.19onde uscì prima, il non cresciuto parto,
7.20quando è più tempestoso il mar sonante.
7.21Cresciuto poi fra le procelle e i nembi,
7.22securo apprende il gir per l'onde a nuoto,
7.23senza temer flutto spumoso o turbo,
7.24arte paterna. E pur col padre appare
7.25qual fida aita a' naviganti audaci:
7.26onde antivede il buon nocchiero accorto
7.27l'orrida guerra de' contrari venti,
7.28e drizza al porto l'agitata proda.
8.1Ma qual canuto pescatore e lasso,
8.2ch'appo le rive del Tireno invecchi,
8.3o del mar d'Adria o de l'Egeo canoro,
8.4o lungo il Caspio o lungo il Ponto Eussino,
8.5o 'n su' lidi vermigli, o dove inonda
8.6il gran padre Ocean Germani e Franchi,
8.7Scoti e Britanni od Etiopi ed Indi;
8.8qual, dico, abbia ivi l'età fornita
8.9ne l'infeconde e solitarie arene
8.10e 'ntorno a' cavernosi e duri scogli,
8.11or l'amo ed or le reti in mar gittando,
8.12narrar potria de gli umidi notanti
8.13le tante sorti, in cui distinta e scevra
8.14è lor natura e la progenie antica?
8.15E ben mille maniere e mille modi
8.16di varia vita, e di costumi e d'opre
8.17pur variate, e lor diverse parti?
8.18Perch'altri ne conosce il mar d'Egitto,
8.19e l'Eritreo, che fa l'onde sanguigne,
8.20altri l'Ircano, e quel d'Assiri e Persi,
8.21altri quello in cui lava i piedi Atlante,
8.22e quello in cui biancheggia Indo ed Idaspe,
8.23che sono al nostro mare o in tutto estrani,
8.24od in gran parte peregrini ignoti.
8.25Quanti ancor ne produce in grembo e pasce
8.26l'Ocean sotto l'Orse, o sotto il cielo
8.27in cui più non appare il Carro e l'Orsa,
8.28che qui saria quasi mirabil mostro?
8.29Ma pur da prima gli produsse in vita
8.30tutti egualmente la divina voce,
8.31e 'n sì varie maniere anco distinse.
8.32E quinci avien ch'altri nel primo parto
8.33manda fuor l'ovo, e nol riscalda e cova,
8.34d'augello in guisa, e non si forma il nido,
8.35nè con molta fatica i figli ei nutre.
8.36Ma l'acqua il peso in sè caduto accoglie,
8.37e 'l fa vivo animal, che guizza e nuota.
8.38Altri produce l'animal da prima;
8.39nè come 'n terra 'l mulo, o pur ne l'aria
8.40soglion molti meschiar l'incerta prole
8.41lascivi augelli, ma progenie immista
8.42si perpetua fra lor sempre feconda
8.43con legittime nozze. Se natura
8.44ha certe leggi, onde i consorti accoppia,
8.45e se pur mesce la murena al fiero
8.46maschio serpente: l'un depone il tosco,
8.47l'altra nol fugge, o 'l suo marito aborre.
9.1Nulla sorte di pesci ha d'una parte
9.2la bocca armata de gli acuti denti,
9.3da l'altra affatto inerme e quasi ignuda,
9.4come ha fra noi la pecorella e 'l bue.
9.5E niun pesce ancor, come si narra,
9.6suol ruminar omai sazio del pasto,
9.7se lo scaro ne traggi; e tutti a prova
9.8hanno in guisa di seca i bianchi denti
9.9in due fila ristretti; e quinci e quindi
9.10vario e distinto è il cibo. Altri di fango
9.11si pasce e nutre, altri di fungi e d'alga,
9.12altri d'erbe marine over palustri,
9.13o di quelle onde i fiumi han verde il fondo.
9.14Ed altri corre frettoloso a l'esca,
9.15che suol gittar ne l'acque umana destra,
9.16e pur di cibo uman vago si mostra;
9.17altri il pesce minor ne l'amo ingoia.
9.18La maggior parte pur de' pesci ingordi
9.19scambievolmente si divora e strugge,
9.20e del maggior sempre il minore è pasto.
9.21E spesso avien che ne l'istesso modo
9.22quel che pur dianzi del minor satolla
9.23fece l'avida fame, or fugga invano
9.24il suo maggior, che lo persegue e scaccia,
9.25e dal gran predator sia preso al fine,
9.26ed empia l'uno e l'altro il ventre istesso.
10.1E questo ancor fra noi più spesso incontra,
10.2perchè il possente, a cui fu dato in sorte
10.3sovra umil plebe il greve imperio e 'ngiusto,
10.4pasce de' più minuti avido il sangue,
10.5e di qualunque gli è soggetto e servo.
10.6E 'n che diverso è un fiero ingordo petto,
10.7ch'avara fame di ricchezze e d'oro
10.8stimola sempre e 'nsaziabil rende,
10.9dal gran mostro del mar, che mille e mille
10.10via men forti di lui persegue ed empie
10.11di lor la sua profonda alta vorago?
10.12Già colui, fatto ingiurioso ed empio,
10.13del poverel vicino i beni ingombra;
10.14e tu di lui, rapito e preso a forza,
10.15godi le prede; e le rapine antiche
10.16con tirannico dente e rodi e struggi,
10.17e quasi parto a tue ricchezze aggiungi
10.18quel che 'n molt'anni egli usurpò rapace,
10.19e 'n guisa tal più de l'avaro avaro,
10.20e de l'ingiusto più n'appari ingiusto.
10.21Guarda che non t'attenda il fine istesso,
10.22nel quale incappa e se medesmo avolge,
10.23mentre gli altri persegue, il pesce incauto,
10.24io dico amo pungente o nascia o rete.
10.25Non fuggirai, non fuggirai superbo,
10.26dopo tanti altrui fatti iniqui oltraggi,
10.27l'ultima pena, che sovrasta e tarda,
10.28e qual sasso pendente al fin minaccia.
11.1Or d'un minuto animaletto e vile
11.2riconosci l'insidie e i falsi inganni,
11.3e fuggi omai di frodi indegno essempio.
11.4Il granchio la soave e dolce carne
11.5brama de la marina e nobil conca,
11.6difficil preda e preziosa e cara,
11.7perch'a tenero cibo un duro vallo
11.8fece natura, e circondollo intorno,
11.9e perchè in guisa si congiunge e serra
11.10l'una con l'altra forte e salda testa,
11.11che non vi ponno entrar l'orride branche.
11.12Che fa dunque egli? quando in mar tranquillo,
11.13sotto il sereno cielo al chiaro giorno,
11.14de' dolci raggi e del soave aspetto
11.15gode la conca, e si dispiega e spande,
11.16allor quasi di furto egli nascoso
11.17un piccol sasso entro vi getta, e vieta
11.18ch'ella più si ricopra e si rinchiuda.
11.19E 'n questa guisa de la debil forza
11.20può adempire i difetti astuto ingegno.
11.21Oh di malizia, e d'uomo iniquo e scaltro,
11.22ma pur di rozza e d'infeconda lingua
11.23maligno magistero e muta fraude!
11.24Tu, se brami imitar l'industria e l'arte
11.25ne l'acquistar, de' tuoi vicini il danno
11.26schiva, e non fare a' tuoi fratelli oltraggio.
11.27Fuggi de' condennati il vile essempio,
11.28e di povero aver contento e lieto,
11.29la povertà, ch'a se medesma basti,
11.30a' diletti molesti, a' servi onori
11.31umil preponi, a l'alterezza, al fasto,
11.32e di te stesso in te trionfa e regna,
11.33chè non han regno eguale o Sciti od Indi
12.1Nè del polipo indietro i furti io lascio
12.2e i falsi inganni: chè se mai s'appiglia
12.3a qualunque si sia marina pietra,
12.4egli repente si dipinge e veste
12.5di colori di quella, e lei rassembra.
12.6Però se 'l pesce, che trascorre a nuoto,
12.7da' sembianti ingannato in lui s'aviene,
12.8pur duro sasso il crede in mare occulto,
12.9e di leggiero è sua rapina e cibo.
12.10Di tai costumi i lusinghieri accorti
12.11son ne' palagi de' possenti augusti
12.12o de' regi sublimi, e 'n questa guisa
12.13s'inchinan pronti ad onorar l'altezza
12.14de la fortuna; e trasmutar se stessi
12.15sogliono in color mille e 'n mille forme,
12.16sì come l'uso o 'l tempo, o come chiede
12.17la voglia del signor e 'l suo diletto,
12.18variando tenor, sembianti e gesti,
12.19parole e modi, e co' modesti insieme
12.20sono modesti, e sospirosi in atto
12.21co' più dolenti, e con gli allegri allegri,
12.22protervi co' protervi. E legge e norma
12.23si fanno d'altrui senno e d'altrui gusto,
12.24talchè agevol non sembra, o leve cura
12.25schivar l'insidioso e duro incontro
12.26di questi, in guisa che si cessi 'l danno,
12.27che l'empietà sotto il contrario aspetto
12.28de la pietà suole apportar sovente.
12.29Di tai costumi ancor rapaci lupi
12.30soglion vestir di mansueto agnello
12.31candido manto, e semplicetti in vista
12.32altrui mostrarsi. Fuggi, ah fuggi, amico,
12.33il costume sì doppio e sì perverso.
12.34Segui la verità. Gradisci ed ama
12.35il sincero candor d'alma innocente,
12.36e la non violata e pura fede.
13.1Vario è 'l serpente e l'angue; e quinci avenne
13.2che 'l condannò sentenza antiqua e giusta
13.3a trar per terra steso il propio corpo.
13.4Sincero è il giusto, e nulla mente o finge,
13.5come Giacob. Però gli accoglie e loca
13.6l'alto Signore in sua magione eterna.
13.7Ma questo così vario e 'ncerto albergo,
13.8ove abitiam vivendo, e l'ampio mare
13.9è grande e vasto, in cui serpenti e draghi
13.10s'aggiran senza fine, e fieri mostri;
13.11e 'n lui co' grandi son confusi e misti
13.12i piccioli animali, e tutti insieme
13.13saggio governo e giusta legge affrena
13.14i popoli natanti. Ed hai ben onde
13.15seguir d'alcun tu possa il raro essempio.
13.16Non accusarlo sol, se vizio o colpa
13.17di natura imperfetta in lor conosci.
13.18E prima tu non pensi, e non rimiri,
13.19come sian compartiti a' vaghi pesci
13.20i propi luoghi, e quasi i propi alberghi,
13.21e i propi regni: onde da quello a questo
13.22non soglion trapassar, se non di rado,
13.23gli altrui campi usurpando e 'l letto e 'l cibo,
13.24ma tra' confini suoi quasi ristretto
13.25ciascun si spazia entro 'l sortito regno.
13.26Nè geometra i lunghi spazi ed ampi
13.27divise lor, nè d'alte mura intorno
13.28circondò le magioni umide algenti,
13.29nè termine vi pose, e d'ogni parte
13.30quel che lor giova è largamente aperto,
13.31e quasi destinato in propia sorte.
13.32Questo sen questi pesci accoglie e nutre;
13.33l'altro pasce quegli altri, e fiume o monti
13.34con l'aspre rupi, e con distesi gioghi
13.35non gli disparte, e non recide il passo.
13.36Ma certa legge di natura a tutti
13.37divide con misura eguale e giusta,
13.38come è pro di ciascun, l'albergo e 'l loco,
13.39ove con gli altri ci si raduni e pasca,
13.40e quel che basti in un sol giorno al vitto.
14.1Già tali non siam noi, del padre Adamo
14.2contaminata prole, e 'n Dio superba:
14.3perchè noi trasportiam de' padri antichi
14.4i termini già affissi; ed ampio acquisto
14.5facciam pur sempre d'occupata terra,
14.6casa a casa giungendo, e campo a campo,
14.7città spesso a cittate, e regno a regno,
14.8ch'a' vicini si scema e toglie a forza.
15.1Conobber prima le balene e l'orche
15.2il loco che natura a lor prescrisse,
15.3e 'l preparato pasto; e 'l mar profondo
15.4d'isole desolato oltre i paesi
15.5abitati occupar, dove non resta
15.6d'alcuna parte più la stabil terra,
15.7dove più non appare o lido o monte,
15.8dove arar non si ponno i vasti campi
15.9d'innavigabil mare, ove non giunse,
15.10spiando nove genti e novi regni
15.11e nova gloria, il navigante audace.
15.12Ove non prisca istoria o vecchia fama,
15.13non ardir, non pensiero umano ed alto
15.14del folle immaginar la nave approda.
15.15Ma quel medesmo ignoto immenso mare
15.16ingombrar le balene eguali a' monti,
15.17come si narra da' nocchieri esperti,
15.18ned isola o cittate oltraggio o danno
15.19da lor riceve, o la nemica forza
15.20provano unquanco ingiuriosa e 'nfesta,
15.21ma qualunque di lor maniera e sorte,
15.22quasi in città, quasi in contrada amica,
15.23anzi paterna, con antique leggi
15.24ne le parti del mare, ove sortilla
15.25voler divino, e sua natura accampa.
16.1Peregrinando ancor sen vanno i pesci,
16.2e dalla patria in voluntario essiglio
16.3son relegati in parte ignota e strana.
16.4E si partono insieme accolti a stuolo,
16.5e 'n guisa di guerrier, ch'al dato segno
16.6lascian le propie tende e 'l primo campo,
16.7seguendo il suon de la canora tromba,
16.8allor che 'l tempo destinato appressa,
16.9desti da la possente antica legge
16.10de la natura, e frettolosi e pronti
16.11verso il settentrion han volto il corso.
16.12E gli vedresti, di torrente in guisa,
16.13correr da la Propontide congiunti
16.14nel mar Eussino. Or chi gli move e regge?
16.15qual imperio di regi? o qual d'araldo
16.16al suon di trombe publicato editto
16.17il già prefisso tempo a lor dimostra?
16.18Chi guida i peregrini? Or non conosci
16.19l'ordine eterno, che penetra e passa
16.20per le minute parti, e il tutto adempie?
17.1Non fa contesa a la divina legge
17.2ubediente 'l pesce, e lei contrasta
17.3l'uomo, indarno ritroso e ribellante.
17.4Perchè sia muto, non avere a scherno
17.5il privo di ragion, chè via più folle
17.6se' tu, mentre ripugni a l'alto impero
17.7del Re celeste. Odi la voce, ascolta
17.8del muto pesce le parole e i detti.
17.9Perchè ci parla quasi il moto e l'opre,
17.10onde a peregrinar t'invita e desta,
17.11ed a lasciar torbido flutto amaro,
17.12cercando in altra parte acque più dolci
17.13ne' regni d'Aquilone, ove riscalda
17.14men co' suoi raggi il sol, e meno attragge
17.15de le sue parti più leggiere in alto.
17.16Nè l'avaro desio di merci e d'auro
17.17lor move a trapassar i mari e i fiumi,
17.18come gli uomini suol, ma sol d'immista
17.19e legittima prole amore e zelo.
18.1Ma ricerchiam perch'i giganti altieri
18.2più la natura non produce, e figlia
18.3la terra pregna de l'orribil parto.
18.4Ma d'elefanti ancora e di balene
18.5non si ripente. E se fatture ed opre
18.6son pur de la divina eterna destra,
18.7son buone, e buone fur da lei prodotte;
18.8che le produsse grandi, a' monti alpestri
18.9ed a l'isole eguali; e 'l nostro orgoglio
18.10volle abbassare, e darne alto spavento
18.11con quel sì monstruoso e fiero aspetto,
18.12e con la smisurata orribil mole.
18.13Però che Dio quando creò primiero
18.14tanti animali, e sì distinti e vari
18.15e d'opere e di moto e di sembianti,
18.16altri a servirne gli produsse in terra
18.17per uso umano e ubedienti al nostro
18.18placido impero, e talor grave ed aspro.
18.19Per sua grandezza e per sua gloria ancora
18.20alcuni altri produsse, e 'n lor dimostra
18.21quella, che fa gran cose, arte divina,
18.22e divina virtù, che presso e lunge
18.23più e men chiaramente altrui risplende.
18.24Ma de gl'industri Greci il folle ingegno
18.25le maraviglie del Signore eterno
18.26rivolse in gioco, ed adombrarle in parte
18.27volle con varie sue menzogne adorne;
18.28mentre descrisse oltre le mete e i segni
18.29d'Alcide invitto i favolosi regni
18.30di que' felici, e le già illustri e conte
18.31Isole Fortunate, e 'l lungo corso
18.32di temeraria nave, e ci dipinse
18.33lo smisurato pesce, e 'l vasto grembo
18.34che popoli diversi in sè rinchiude:
18.35tal che 'l profondo e tenebroso ventre
18.36a le genti nemiche, a l'arme infeste
18.37è di battaglia un periglioso campo.
18.38Ma le navi da' pesci in mar sommerse,
18.39anzi da un pesce solo il fero assalto
18.40fatto a mille superbe armate navi,
18.41favola non fu già, nè scherzo o gioco.
18.42Nè favola è quel Giona in mar sommerso,
18.43ed inghiottito dal vorace mostro.
18.44Ma de l'alto Signor l'alta possanza
18.45ne le picciole cose altrui si scopre,
18.46non sol ne le più grandi. Ecco trascorre
18.47a vele piene e sparse il mar sonante
18.48con destro vento corredata nave;
18.49e pesce minutissimo repente
18.50tarda e ritiene il suo veloce corso,
18.51come s'ella radici in mar profondo
18.52avesse fatte; e quinci al pesce il nome
18.53dal ritardar fu dato. E gran temenza
18.54non solo danno altrui balene ed orche,
18.55o la sega marina acuta i denti,
18.56o 'l cane o quella pur che spada assembra.
18.57Ma tal pesce è nel mar, ch'alfine estinto
18.58è spaventoso ancora, e 'n guisa punge
18.59che presta apporta inevitabil morte,
18.60e la picciola ancor marina lepre
18.61repente ancide. E pur s'agguagli il danno
18.62in paragon col pro, l'utile avanza,
18.63e ci giova de' pesci ancor l'essempio.
19.1Ma se te stesso ben misuri e stimi,
19.2uom, tu sei pesce, e questa vita è il mare,
19.3ed a la rete che si lancia in alto,
19.4e tanti vari pesci in sè raccoglie,
19.5è somigliante il gran regno del cielo,
19.6che ne' suoi lacci ne raguna e stringe,
19.7e poi gli eletti ne' suoi vasi accoglie,
19.8gli altri fuor gitta, e gli distingue e parte.
19.9Così avverrà nel consumar del mondo
19.10che gli angeli usciran santi ministri
19.11del giudicio divino, e fian divisi
19.12i rei da i giusti; e quei dannati al foco,
19.13questi a la gloria destinati in cielo.
19.14Vi son dunque de' pesci e buoni e rei;
19.15e 'l buon la rete non involve e lega,
19.16ma 'l leva in alto, e l'amo non l'ancide,
19.17ma d'innocente il bagna e puro sangue
19.18di piaga preziosa. Uom, tu sei pesce,
19.19tu sei quel pesce, a cui l'aperta bocca
19.20dimostrò la statera entro nascosa.
19.21E 'l libero voler, che 'n te riserbi,
19.22son le bilancie tue distorte, o pari.
19.23Uom, tu sei pesce; e 'l pescatore è Pietro,
19.24o chi di Pietro ha qui sembianza e vece.
19.25Questo mare è il Vangelo, in cui si fonda
19.26la Chiesa, ch'è di Dio sacrato albergo.
19.27Non temer, o buon pesce, o rete od amo,
19.28che non ancide altrui, ma sol consacra.
19.29Se pesce sei, fuor de le torbide onde
19.30sorgi sublime, e 'l tempestoso flutto
19.31non ti sommerga, e s'è tempesta in alto,
19.32nuota sicuro o ti ricovra al fondo.
19.33E s'è tranquillo il mar, fra l'onde scherza,
19.34e s'è procella pur sonora e turbo,
19.35guarda che 'l nembo impetuoso e denso
19.36non ti percuota fra gli scogli al lito.
20.1Ma sorgi omai, sorgi dal mar profondo,
20.2e 'l nostro ragionar da l'onde emerga.
20.3Miriamo in alto, alziamo al cielo i lumi,
20.4veggiam mirabilmente il lido adorno;
20.5il sal tratto da l'onde in bianco marmo
20.6quasi indurarsi, e qual purpurea pietra
20.7rosseggiar sotto il cielo il bel corallo
20.8che dentro al mar fu molle e tenera erba,
20.9e tra le conche biancheggiar lucente
20.10la dura perla, e tra l'inculte arene
20.11fiammeggiar l'oro, e quasi care gemme
20.12di più colori le dipinte pietre.
20.13Nutrito ancor ne l'acque è l'aureo vello.
20.14Ed ha l'onda i suoi fior, che sparge e porta
20.15sovra le sponde; e quivi il lucido ostro
20.16anco risplende. E ciò che i duci invitti
20.17in lieta pompa trionfale adorna,
20.18ciò che s'adora ne' possenti regi,
20.19o ne' purpurei padri oggi s'onora,
20.20è bellezza e tesoro, e cara merce
20.21del mare, anzi del mar cortese dono.
20.22Mille altre aggiunge ancor bellezze e feste,
20.23e maritime vaghe altere pompe.
20.24Spira il vento soave, e placida aura
20.25con dolce mormorar susurra e vaga,
20.26e 'ncrespa l'onda, che spummoso argento
20.27pur tra gli scogli o presso al curvo lido
20.28somiglia, e spesso a' lucidi zaffiri
20.29l'acqua profonda, ed a' soavi raggi
20.30del sol si tinge di piropo in guisa.
20.31Le vele sparse ventillar lontano
20.32veggonsi biancheggiando a cento, a mille,
20.33e 'n corso superar cavalli e carri.
20.34E spiegar le famose insegne antiche
20.35dipinte navi, e co' pungenti rostri
20.36fender l'umili vie; guizzare intorno
20.37gli umidi pesci, e dimostrar sovente
20.38il veloce delfino il curvo tergo.
20.39E liete rimbombare a suon di tromba
20.40le sponde e l'acque e gli arsenali, e i porti
20.41pieni di navi e d'altri in varie forme
20.42contesti legni. E bella antica mole
20.43far ampia strada a' cavalieri illustri,
20.44e frenar di Nettun l'ira e l'orgoglio,
20.45e i premi ancora, e l'onorate palme
20.46de' vincitori io scorgo; e 'n varie antenne
20.47la gloriosa inchino alta corona.
21.1Ma già come uom che dentro il seno ondoso
21.2de l'Adrian si tuffi in lieto giorno,
21.3e 'n celebrato onor di pompa antica,
21.4e cerchi i più riposti oscuri fondi,
21.5e i duri e sotto l'acque accolti scogli,
21.6e i secreti che 'l mare asconde in grembo,
21.7per riportarne su gittata gemma
21.8tra' suoi purpurei padri al veglio duce;
21.9così dal suo profondo anch'io risorgo,
21.10e da gli oscuri e tenebrosi abissi
21.11la bella verità, ch'è più lucente
21.12di gemme onde abbian pregio Arabi ed Indi,
21.13la bella verità, ch'ivi sommersa
21.14par che si giaccia, porto in chiara luce.
21.15E pura a gli occhi de' mortali esposta
21.16l'offro da contemplar; nè manto appanna
21.17le care membra o velo il crin adombra.
22.1Or da gli ondosi campi alzarmi a volo
22.2a' ventosi de l'aria ardisco e tento.
22.3Chi mi dà l'ale in guisa di colomba,
22.4perch'io sovra le nubi e sovra i venti
22.5m'inalzi? e fra' volanti al ciel vicino
22.6mi spazi? Quel che sovra il ciel ne scorse,
22.7m'affidi ancor, mi porti e mi sostegna
22.8per questo procelloso e 'ncerto regno
22.9de la fortuna che si varia e cangia
22.10in tante guise; e tanti alberga e pasce
22.11turbini e venti e pioggie e nevi e fiamme,
22.12ond'è turbato delli augelli il volo.
23.1Era già ornato il cielo e pieno il mare,
23.2verdeggiavano i boschi e i prati e i monti,
23.3quando Dio comandò che sovra il suolo
23.4terrestre isser volando i vaghi augelli
23.5per l'aria, in cui s'accoglie e si condensa
23.6quell'umido vapor, ch'esala in alto
23.7dal freddo grembo dell'opaca terra.
23.8Talchè repente gli animai pennuti
23.9ne l'aere incominciaro il volo e 'l canto.
23.10E chi tra' muti pesci era pur dianzi
23.11desto, tra 'l suon di tanti augei canori
23.12or darà gli occhi in preda al pigro sonno?
23.13E neghittoso e lento a i vaghi augelli
23.14cederà nel lodare il Re superno,
23.15o 'n render grazie a chi ci nutre e pasce?
23.16Quelli due volte a prova e inanzi il giorno,
23.17e quando il sol da sera i raggi accoglie,
23.18e l'oriente scolorito imbruna,
23.19fan di soavi note un bel concento.
23.20Ed or tacita l'alba, e non sonoro
23.21trar vorrà l'uno e l'altro estremo tempo,
23.22che s'appella dal suono e 'n lui si chiude,
23.23e s'apre il giorno strepitoso e 'ntento
23.24a l'opre faticose de' mortali?
23.25Ah non sia ver! Ma raccontiam seguendo
23.26del quinto dì le buone e nobili opre.
24.1Sono a' pesci sembianti i vaghi augelli,
24.2e tra 'l notante e 'l volatore alato
24.3è quasi parentado: a quello il nuoto,
24.4a questo il volo diè natura in sorte.
24.5E l'uno e l'altro i liquidi sentieri
24.6con le sue penne seca e con la coda,
24.7or mossa alquanto, or quasi in giro attorta,
24.8che 'n vece di timon governa il corso.
24.9Son diversi però, ch'a' pesci il cibo
24.10ministra l'onda instabile e vagante,
24.11a gli augelli la ferma e stabil terra.
24.12Però al notante necessari i piedi
24.13non son, come al volante; e quinci aviene
24.14che questo n'è fornito, e quel n'è privo.
24.15Ma pur al cocodrillo, il qual sovente
24.16scende a predar su l'arenose rive
24.17del Nilo, i corti piè natura diede.
24.18Anzi i piedi dal suolo ebbero il nome,
24.19chè "pedo" il suol fu detto in greca lingua.
24.20A l'incontra un augel per l'aria a volo
24.21si spazia, e sovra l'ali ognora il peso
24.22porta e sostiene del suo debil corpo,
24.23a cui piedi negò l'alma natura;
24.24come gl'insegni nel sublime volo
24.25a mirar alto, a disprezzar la terra,
24.26e quinci porge essempio a nobile alma,
24.27ch'aspira al cielo e prende il suolo a scherno.
24.28Questo a la rondinella appar simile,
24.29e tra sassi pendenti in verde speco
24.30si forma il nido di tenace fango,
24.31in cui s'apre a gran pena angusto il varco:
24.32"cipselo" il nominò la Grecia antica.
24.33Altri de' volatori han piedi in sorte,
24.34ma pur son male acconci al far rapina
24.35ed al cacciar il nutrimento, e l'esca
24.36cercar ne l'aria. Annoverar fra questi
24.37si può la rondinella peregrina,
24.38a cui di piedi in vece è il basso volo,
24.39che vicino al terren con l'ali il rade.
24.40E quella ancor ch'è dell'erbose rive
24.41abitatrice, onde riparia è detta.
25.1Sono in molte altre guise ancor diversi
25.2gli augelli, e di grandezza e di figura,
25.3e vari di color, vari di vita,
25.4d'opere variate e di costumi.
25.5Ora lasciando a dietro i molti modi,
25.6ond'han le penne scisse, o insieme aggiunte,
25.7quasi di pelle o di vagina avolte,
25.8o fuor di modo pur tenere e molli,
25.9dirò ch'altri sian puri ed altri impuri.
25.10Quelle, innocenti e mansuete, in terra
25.11scelgono il vitto pur di seme o d'erba;
25.12queste son vaghe di più fero pasto,
25.13di cruda carne e d'atro sangue 'ngorde,
25.14però l'unghie pungenti, e curvo il rostro
25.15ebbero in vece d'armi, e penne al volo
25.16più de l'altre veloci: onde la preda
25.17sia tosto presa, e lacerata in parti.
25.18E non si fa di queste o stormo o greggia,
25.19ma soglion le feroci andar solinghe
25.20a la rapina, e sol l'accoppia e giunge
25.21amoroso desio di cara prole.
25.22L'altre raccolte sono in vari stormi,
25.23d'amica compagnia bramose e liete,
25.24secure no: chè le perturba e sparge,
25.25e spesso ancide il predator rapace.
25.26E tali son le candide colombe,
25.27a cui sì prezioso e bel monile
25.28fa la natura di colori e d'auro,
25.29e le gru peregrine e i magri storni.
25.30Di questi, altri soggetti a grave impero
25.31non sono, e 'n libertà tranquilla vita
25.32vivon, quasi con propie antiche leggi.
25.33Altre hanno 'l duce, ed ordinate a squadre
25.34seguon la scorta lor per l'aria a volo.
25.35Altre son propie abitatrici antiche
25.36del suol nativo; altre volar da lunge
25.37sogliono in terra estrana, e 'n altro clima
25.38cercar più caldi soli inanzi al verno.
25.39Altre ritornan pur co' freddi giorni,
25.40peregrinando a la stagione estiva.
25.41Tornano al fin d'autunno i tordi a volo
25.42nel tepido confin del verno algente,
25.43dove son tesi lor ben mille aguati
25.44ne l'inospite terra. Altri l'inganna
25.45con l'infedele e insidiosa gabbia.
25.46Alcun le prende col tenace visco,
25.47e ne le reti alcun gl'involge e lega.
25.48E la cicogna ritornando, inalza
25.49la primavera le sue verdi insegne.
25.50Altre son de la mano a' vezzi avezze,
25.51che dolcemente le lusinga e molce,
25.52ed a la mensa del signore usate.
25.53Altre son timorose; e i dolci nidi
25.54fanno alcune altre ne gli umani alberghi.
25.55Altre, selvaggie quasi e quasi alpestri,
25.56prendono i luoghi solitari in grado.
25.57Ma gran varietà la voce e 'l suono
25.58fa ne' volanti augelli, e gran divaro.
25.59Altre tacite sono, altre loquaci;
25.60senza musica alcune e senza canto,
25.61alcune altre canore. Ad altre insegna
25.62d'assomigliar del suono i vari accenti
25.63la natura maestra, e l'uso e l'arte.
25.64E la pieghevol voce in dolci modi
25.65inchina ed alza; altre ritrose, indotte,
25.66con perpetuo tenore in un sol tono
25.67mandan fuor sempre l'immutabil voce.
25.68È pomposo il pavon, superbo il gallo,
25.69e la colomba placida e lasciva,
25.70e la pernice perfida e gelosa,
25.71ch'a depredare i cacciatori aiuta.
25.72Amano alcune di raccorsi insieme,
25.73e congiunger le forze e i cari alberghi,
25.74quasi in una città comune a tutti,
25.75sotto un lor propio re. L'imperio e 'l fasto
25.76ricusan altre del signor superbo,
25.77talchè ciascuna a sè provede e pensa.
26.1Sia da quelle il principio, onde l'essempio
26.2prendiam per l'uso de l'umana vita.
26.3Comuni han l'api la cittate, e i tetti
26.4di molle cera e l'odorate celle;
26.5comune il volo e la fatica, e l'opre
26.6di mirabil lavoro, e i conti paschi;
26.7e comune hanno ancor la prole e i figli,
26.8che non son nati in doloroso parto
26.9d'amor lascivo, il qual congiunge e mesce
26.10l'affaticate insieme immonde membra,
26.11ma con la bocca fuor succhiati e scelti
26.12da gli odorati e rugiadosi fiori.
26.13Poi tutte insieme in bella schiera accolte
26.14sotto un ordine solo, un solo impero
26.15seguon d'un re, ch'è venerato a prova.
26.16E non sostiene alcuna uscire a' prati,
26.17d'erbe vestiti e di bei fior dipinti,
26.18se prima il re non incomincia il volo.
26.19E non è questo re per caso eletto,
26.20o per fortuna, che sovente inalza
26.21a somma podestà l'indegno e 'l vile;
26.22nè per giudicio de l'errante volgo,
26.23nè come erede de l'antico regno
26.24de gli avi antichi nel superbo soglio
26.25s'asside, gonfio del paterno fasto,
26.26e 'ntenerito da lusinghe e vezzi,
26.27ne l'arti peregrine incolto e rozzo.
26.28Ma per natura il nobil regno acquista,
26.29e da natura ha le reali insegne
26.30d'oro lucenti, onde s'adorna e splende;
26.31e gli altri di grandezza e di figura
26.32e di costumi mansueti avanza.
26.33È ben d'aculeo il re pungente armato,
26.34ma l'aculeo non usa in far vendetta:
26.35perchè son leggi, non in breve carta,
26.36od in aride foglie o 'n frale scorza,
26.37o 'n durissima pietra impresse e scritte;
26.38ma da natura entro le menti infisse,
26.39ch'ove è più di possanza e di valore,
26.40più vi sia di clemenza e di pietate.
26.41Ma qualunque de l'api il re non segue
26.42o pur si mostra in obedir ritrosa,
26.43del temerario ardir tosto si pente
26.44o di sua tracotanza, e sente il colpo
26.45del propio aculeo, ond'è trafitta e more:
26.46fiero castigo in se medesmo ed aspro,
26.47che già soleano usar gli antichi Persi,
26.48dando a se stessi voluntaria morte.
26.49Niun barbaro re di Persi o d'Indi,
26.50o di Sarmati pur, o novo o prisco,
26.51con tanta riverenza al regio scettro
26.52vide inchinarsi i popoli devoti,
26.53quanti ne vede nel minuto stuolo
26.54il fortunato re de l'api industri,
26.55che l'arme, onde natura il fece adorno,
26.56non opra ne' soggetti e ne gli umili.
27.1Odan di Cristo i servi, a' quali è imposto
27.2che non si renda mai per male il male,
27.3ma che nel bene il mal s'avanzi e vinca.
27.4Odan de l'api caste il santo essempio,
27.5nè d'imitarlo alcun si prenda a sdegno:
27.6ch'ella nel procurarsi il propio vitto
27.7non guasta l'altrui cibo e nol corrompe,
27.8ma di cera si finge i dolci alberghi,
27.9la qual da vari fiori accoglie e mesce.
27.10E pur di fiori l'ingegnosa, e d'erbe
27.11d'ogn'intorno spiranti il vario odore,
27.12loca a la sua capace angusta reggia
27.13i primi fondamenti, e sovra asperge
27.14d'umor celeste rugiadose stille,
27.15liquido prima, e poi tenace e denso.
27.16E con cera sottil divide e parte
27.17minutissime celle, a cui di sovra
27.18la somma parte, ch'è pendente e cava,
27.19fa testudini e volte; e l'una a l'altra
27.20s'appressa in guisa tal ch'aggiunte e scevre
27.21la vicinanza lor distringe e lega
27.22più forte insieme la tenace mole,
27.23e fa non ruinoso a lei sostegno:
27.24sì che può sostenere il dolce peso,
27.25e ritener che giù non caggia il mele.
27.26E ben si mostra l'ingegnosa pecchia
27.27architetto ne l'opra e nel lavoro
27.28maraviglioso, e saggia, e dotta a pieno
27.29di quanto il geometra insegna e trova.
27.30Perchè formò le celle in giusto spazio
27.31con sei angoli tutte e fianchi eguali,
27.32e non per dritto l'uno a l'altro appoggia,
27.33ma quelle infime sedi in guisa adatta
27.34a le sovrane sue concave parti,
27.35che nulla ne patisce il sommo e l'imo.
28.1Ma come annoverar potrò narrando
28.2de' cari augelli le sì varie vite?
28.3L'estrane gru dentro l'adunco piede
28.4portano il sasso, onde si folce e libra
28.5tra l'aure incerte l'agitato volo,
28.6mentre ne' giorni nubilosi e brevi,
28.7lasciando a dietro il Termodonte o l'Ebro,
28.8passano i larghi mari; e 'n su l'apriche
28.9sponde soglion vernar de l'ampio Nilo.
28.10Tal per savorna in mar tra' venti e l'onde,
28.11altre rive cercando ed altre parti,
28.12regge il suo corso la spalmata nave.
28.13Queste han di notte sentinelle e scorte,
28.14che mentre l'altre in placida quiete
28.15dormon sicure, van girando intorno;
28.16e le notturne insidie e i venti e l'aure
28.17spian da tutte parti impigre e pronte.
28.18E poi fornìta quella guardia, e 'l tempo
28.19di lor vigilia, al suon quasi di tromba
28.20destan gli addormentati; e gli occhi al sonno
28.21danno per breve spazio, e 'n quella vece
28.22altri succede al faticoso officio.
28.23Una precede l'altre, e quasi avanti
28.24l'alte insegne precorre; e poi si volge
28.25nel tempo dato, e la sua sorte e 'l loco
28.26che si conviene al duce, altrui concede.
28.27Dimostran molto di ragione e d'arte
28.28le cicogne, e 'n tal guisa al tempo istesso
28.29quasi a spiegate insegne in queste parti
28.30vengon da più lontano ignoto clima.
28.31E le nostre cornici amica guardia
28.32lor fanno intorno, in ampio stuol congiunte.
28.33E son fidata scorta al lungo volo
28.34contra la forza de' nemici augelli,
28.35come soglion guerrieri inglesi e scoti,
28.36o germani ed iberi uniti in lega.
28.37Ed in quella stagione in loco alcuno
28.38non ci appar la cornice, e poi ritorna
28.39tinta le piume d'onorate piaghe,
28.40e del già dato aiuto i segni mostra.
29.1Deh chi descrisse lor sì certe leggi
29.2di sì pietoso officio? o chi minaccia
29.3sì grave accusa o pur sì giuste pene
29.4a chi gli ordini fermi, e 'l propio loco
29.5per viltate abbandona in guerra o 'n campo?
29.6Quinci prendete essempio, egri mortali,
29.7e l'uomo impari da gli augei volanti
29.8quai de gli ospiti sian le giuste leggi,
29.9nè chiuda avaro albergator superbo
29.10le dure porte a' peregrini erranti
29.11a mezzanotte, o lor dinieghi il cibo;
29.12se per gli estrani augelli i nostri augelli
29.13non ricusan d'espor la vita in guerra,
29.14e de' perigli altrui si fan consorti.
29.15E qual altra cagion di fiera morte
29.16in Sodoma versò di fiamme ardente
29.17dal ciel turbato spaventosa pioggia,
29.18che la ragion del violato albergo
29.19sprezzata e rotta, e quell'iniquo oltraggio?
29.20Ma la pietosa Providenzia e cara,
29.21la qual de le cicogne a' vecchi è mastra,
29.22destar ben può de' figli il dolce amore
29.23verso gli antichi loro e stanchi padri.
29.24Quelle d'intorno al genitor languente,
29.25a cui per lunga età cadere a terra
29.26sogliono i vanni e le minute piume,
29.27stanno pietose. E le già afflitte membra,
29.28e nude di pennate e lievi spoglie,
29.29scaldano al volator lassato e grave
29.30soavemente con le propie penne;
29.31e gli portano il cibo ond'ei si pasca,
29.32e sollevano ancora e quinci e quindi
29.33con l'ali il tardo veglio, e 'n questa guisa,
29.34le disusate membra a l'uso antico
29.35già richiamanti, danno aiuto al volo.
30.1Ma qual fra noi di sollevar l'infermo
30.2padre non sembra fastidito e lasso?
30.3Chi n'impone a le spalle il grave pondo?
30.4Quel ch'è creduto ne l'istorie a pena.
30.5E non più tosto disdegnoso e schivo
30.6a l'altrui braccia le caduche membra
30.7commette, e 'l mal locato officio a' servi?
30.8Ora prendiam lodato e caro essempio
30.9di materna pietate, e non si dolga
30.10di povertate o di miseria alcuno,
30.11nè de la vita sua dispere e pianga,
30.12mentre riguarda il magistero e l'opre
30.13de la pietosa rondinella industre.
30.14La rondinella di minuto corpo,
30.15ma di sublime egregia e chiaro affetto,
30.16povera e bisognosa, il propio nido
30.17ella medesma pur compone e finge,
30.18prezioso via più di gemme e d'auro:
30.19perchè d'ogni tesoro è vile il pregio
30.20a lato a quell'albergo, in cui s'annida
30.21la sapienza. E ben è saggia e scaltra,
30.22mentre ella del volar mantiene e serba
30.23la vaga libertate, e nutre e cresce
30.24i pargoletti ancor teneri figli,
30.25securi da l'insidie e da gli assalti
30.26de gli altri augei, sotto i sublimi tetti
30.27là dove l'uom ricovra, e per usanza
30.28al conversar uman così gli avezza.
30.29È mirabile ancor l'ingegno e l'arte,
30.30onde a se stessa le sue propie case
30.31fa senz'aita d'architetto o fabro;
30.32e le festuche pria prepara e sceglie,
30.33e le cosparge di tenace fango
30.34per congiungerle insieme, e se coi piedi
30.35non può in alto portar tenero limo,
30.36l'ali d'acqua si sparge, e poi di polve
30.37arida e leve, ond'ella fa di novo
30.38la fangosa materia a l'umil casa.
30.39Con questa, quasi colla, aggiunge insieme
30.40le già scelte festuche, e di lor forma
30.41il nido a' figli; a cui se gli occhi accieca,
30.42pungendo alcuno, ella il perduto lume
30.43a' ciechi rende con la medica arte.
30.44Or chi di povertà si lagna e plora,
30.45miri la rondinella, e grazia speri
30.46da quel Signor, ch'a lei sì larga dote
30.47diede, e sì ricco don d'arte e di ingegno,
30.48onde di povertate e di fortuna
30.49ogni sciagura, ogni difetto adempie
30.50in sì lodata e sì felice inopia.
31.1L'alcione, del mar picciol augello,
31.2forma di palla in guisa il dolce nido
31.3d'arido fior, che 'l mare in sè produce:
31.4e i pargoletti figli a mezzo il verno
31.5da la tenera scinde e frale scorza
31.6ne l'arenoso lito, in cui depone
31.7de l'ova il caro suo portato peso.
31.8E questo avien quando da fieri venti
31.9il mare a terra si percote e frange,
31.10e biancheggiando di canuta spuma
31.11sparge le molli arene e i duri scogli.
31.12E de l'alcione al desiato parto
31.13è sopito il furor d'orridi venti,
31.14son quete l'onde tempestose, e 'ntorno
31.15sgombre le nubi, e serenato il cielo
31.16in sì tranquillo e sì felice aspetto
31.17de' fidi augelli a la progenie arride.
31.18E 'n sette prima di sì lieti giorni
31.19suol covar l'ova la pennata madre,
31.20ne gli altri sette nutre i nati figli.
31.21Ed a questi ed a quelli ha imposto il nome
31.22da l'alcione il navigante esperto,
31.23ed al candor del lucido sereno
31.24da tutti gli altri li distingue e segna.
31.25Questo ci rassicuri e ci conforti,
31.26perchè chiediamo a Dio le grazie e i doni;
31.27lo qual, se 'n grazia d'un minuto augello
31.28l'orribil placa e grande e vasto mare
31.29in mezzo al tempestoso ed aspro verno,
31.30e lo ritiene e 'l fa tranquillo e piano,
31.31che farà, s'egli intende al nostro scampo?
31.32o se provede a l'uom suo figlio eletto,
31.33di sua divinità sembiante imago?
32.1La tortorella dal suo amor disgiunta
32.2non vuol novo consorte e novo amore,
32.3ma solitaria e mesta vita elegge
32.4in secco ramo, e 'n perturbato fonte
32.5la sete estingue; e del marito estinto
32.6così rinova la memoria amara.
32.7A lui sua castità conserva e guarda,
32.8a lui di moglie ancora il caro nome,
32.9perchè solver non può l'iniqua morte
32.10le sante leggi di vergogna, e i patti
32.11a cui s'astrinse voluntaria in prima.
32.12Quinci la vedovella essempio prenda,
32.13nè baldanzosa a le seconde nozze
32.14s'affretti, e tuffi ne l'oblio profondo
32.15l'amor suo primo e la sua prima fede.
33.1L'aquila in allevar la nobil prole
33.2è via più d'altro disdegnosa e 'ngiusta:
33.3chè di tre figli i duo percote e scaccia
33.4con gli aspri colpi de' suoi duri vanni,
33.5e 'l terzo alleva, a cui non manchi il cibo,
33.6che suol rapire il predator volante.
33.7E forse altra cagion più bella e giusta,
33.8non avarizia del nutrir la spinge,
33.9ma severo giudicio, onde riprova
33.10com'a lei non convegna indegno parto,
33.11perchè volge i suoi figli inverso il sole
33.12sospesi in aria ne l'adunco artiglio;
33.13e quel che non dechina a' raggi ardenti
33.14la ripercossa vista e 'l debil guardo,
33.15ma intrepido nel sol l'affissa e ferma,
33.16è scelto a prova, e gli altri aborre e sdegna
33.17pur come indegni di reale onore,
33.18con quel suo generoso e gran rifiuto.
33.19Ma gli scacciati entro 'l suo nido accoglie
33.20quella che rompe l'ossa, e quinci il nome
33.21prende, od aquila sia bastarda, e nata
33.22di genitor diforme, od altro augello;
33.23nè gli lascia perir d'orrida fame,
33.24ma co' suoi figli lor nutrisce e serba.
33.25E tali son quei duri acerbi padri,
33.26che espongono i bambini, o sono iniqui
33.27nel compartir fra' suoi l'avere e l'esca.
33.28E tutti quei c'hanno l'artiglio adunco,
33.29allor ch'i figli timidetti il volo
33.30tentan primiero, e spiegan l'ale a pena
33.31con mal sicure ancora e 'ncerte penne,
33.32gli spingon tosto dal paterno nido;
33.33e s'alcuno al partir è tardo e lento,
33.34con l'ali sue percosso e ripercosso
33.35precipitando 'l caccia il fiero padre.
33.36Ma verso i figli suoi l'amore e 'l zelo
33.37de la cornice assai di laude è degno,
33.38che 'n atto di pietosa e fida madre
33.39conduce nel lor primo ardito volo
33.40la debil prole; e lor ministra 'l cibo
33.41lunga stagion, perchè s'avanzi e cresca.
34.1E molti sono ancora e vari augelli,
34.2cui non fa d'uopo, in generare, il maschio,
34.3come gravidi sian di vento e d'aura.
34.4Ma son poscia infecondi i nati figli,
34.5nè fan perpetua la ventosa prole
34.6d'Euro i nepoti, o pur di Noto e d'Austro.
34.7Ma senza mescolarsi, e senza coppia
34.8di maritale amor concepe e figlia
34.9l'avoltoio, che sì tardi a morte giunge
34.10(maraviglioso al mondo e raro mostro),
34.11e col secolo suo la vita agguaglia.
34.12Or se deride alcun gli alti misteri
34.13de la nostra divina invitta fede,
34.14nè creder può che da' virginei chiostri
34.15de l'intatta Regina il figlio uscisse,
34.16di sua virginità servando il fiore,
34.17miri qual dia famoso e certo essempio
34.18a le cose divine alma natura.
34.19E quel che può ne l'aria augel volante,
34.20possibil creda a Dio, che puote il tutto.
35.1E i medesmi avoltoi presagio e senso
35.2hanno quasi divino, ond'è prevista
35.3de' guerrieri la morte; anzi talvolta
35.4sogliono accompagnar l'armate squadre,
35.5antevedendo la sanguigna strage
35.6de l'orrida battaglia e 'l fin dolente.
35.7Ma chi potria de le locuste a pieno
35.8gli spaventosi esserciti narrarti?
35.9Ch'ad un quasi di guerra orribil segno
35.10sogliono a schiere sollevarsi in alto,
35.11ed accamparsi ed ingombrar d'intorno
35.12quanto è 'l largo paese; e i dolci frutti
35.13pria non toccar, che dal sovrano impero
35.14lor sia permesso il depredare i campi?
35.15Debbo anco dir come al meriggio estivo
35.16le canore cicale i verdi boschi,
35.17quasi nel petto avendo interna lira,
35.18faccian sonar con quei continui accenti?
35.19O come incontra al sol ripari e schermi
35.20di luoghi tenebrosi e d'ore tarde
35.21cerchi l'augel, che da l'antica Atene
35.22a la sua diva fu nutrito e sacro?
35.23E come ei solo infra gli augei volanti
35.24adopri i denti, e in quattro piè si fermi,
35.25benchè due n'abbia l'africano augello,
35.26c'ha sì gran corpo e di sì grave peso?
35.27Sovra due tanti egli il leggiero appoggia,
35.28e l'ali sue quasi di cuoio dispiega;
35.29e come penda l'un da l'altro avinto,
35.30quasi catena inanellata e lunga,
35.31e 'n questa guisa pur, natura, insegni
35.32di scambievole amore i fermi nodi.
35.33E come gli occhi de l'augel notturno
35.34sian somiglianti ad uom, che tutto intenda
35.35d'umana sapienza a' vani studi?
35.36Perchè di quello in tenebroso orrore
35.37la vista è forte, e poscia ha lumi infermi
35.38là dove il sol le tenebre disperda.
35.39Così di questi appare acuto ingegno
35.40nel vano contemplar, ma in vera luce
35.41la debil mente imbruna e tutta adombra.
35.42Debbo anco dir come ti svegli a l'opre
35.43di canoro augelin l'acuta voce,
35.44che lunge intuona e 'l sol richiama, e desta
35.45il peregrin e 'l buon cultor de' campi,
35.46l'uno al suo faticoso aspro viaggio,
35.47l'altro a secar le già mature spighe?
35.48O dir come ne rompa il dolce sonno,
35.49e n'inviti a vegghiar con fida guardia
35.50contra l'insidie d'avversario antico
35.51il tardo augel, che già sottrasse al rischio
35.52la gran città, del mondo alta regina,
35.53a lei scoprendo la notturna fraude,
35.54e 'l barbaro crudel ne l'ombra occulto,
35.55che per oscure vie saliva in alto
35.56a quel suo trionfale altero monte,
35.57ove già sorse in maiestate augusta
35.58alta rocca a l'imperio, a Giove il tempio?
35.59O descriver deggio io del bianco cigno
35.60il divino presagio e 'l dolce canto
35.61anzi l'antiveduta e lieta morte,
35.62onde l'alma immortal s'affida e spera
35.63farsi là sovra 'l ciel per grazia eterna?
35.64O del verme indiano, a cui natura
35.65mirabilmente fa le corna e l'ali,
35.66espor sì varie e sì cangiate forme?
35.67Però voi che sedendo, illustri donne,
35.68tessete e ritessete in tronchi e 'n fiori
35.69e 'n più maravigliose altre figure
35.70prezioso lavoro, e cari stami
35.71da lunge a voi mandati infin da gl'Indi,
35.72per adornar di vaga e molle veste
35.73le care membra; voi ne l'opra, o donne,
35.74dovete richiamar ne l'alta mente
35.75quel che altre volte ragionare udiste:
35.76che risorger debbiam, ripreso il manto
35.77di nostra umanitate, e farci eterni.
35.78Tutte vestite allor di luce e d'auro
35.79risplenderete al Sol che l'alme illustra,
35.80assise in gloriosa ed alta sede,
35.81e d'altro ornate che di perle e d'ostro.
36.1Or a te mi rivolgo, e tu supremo
36.2fra gli altri onore avrai ne gli alti carmi,
36.3immortal, rinascente, unico augello.
36.4E questo fia quasi odorato rogo
36.5di chiare laudi, in cui la fama antica
36.6si rinovi nel mondo e l'ali spanda,
36.7e per questo sereno e puro cielo
36.8lieta si spazi e gloriosa a volo,
36.9a scherno avendo omai gli arabi monti.
36.10Dio fra gli altri dipinti e vaghi augelli
36.11quel dì che prima dispiegar le penne
36.12per l'aria vaga al suon de l'alta voce,
36.13fè la fenice ancor, come si crede,
36.14se pur degna di fede è vecchia fama.
36.15E 'n sì mutabil forma il Padre eterno
36.16di mortal, rinascente, unico augello
36.17figurar volle quasi in raro essempio
36.18l'immortal e rinato unico Figlio,
36.19che rinascer devea, come prescrisse,
36.20quando ei ne generò l'eterno parto.
37.1Loco è nel più remoto ultimo clima
37.2de l'odorato e lucido Oriente,
37.3là dove l'aurea porta al ciel diserra
37.4uscendo il sol, che porta in fronte il giorno.
37.5Nè questo loco è già vicino a l'orto
37.6estivo, o pur a l'orto onde si mostra
37.7il sol cinto di nubi a mezzo il verno;
37.8ma solo a quello ond'ei n'appare ed esce
37.9quando i giorni e le notti insieme agguaglia.
37.10Ivi si stende ne gli aperti campi
37.11un larghissimo pian; nè valle o poggio
37.12in quell'ampiezza sua dechina o sorge,
37.13ma quel loco è creduto alzare al cielo
37.14sovra i nostri famosi orridi monti
37.15sei volte e sei la verde ombrosa fronte.
37.16E quivi senza luce al sole è sacra
37.17opaca selva, e con perpetuo onore
37.18di non caduche fronde è verde il bosco,
37.19che l'ondoso ocean circonda intorno.
37.20E quando de l'incendio i segni adusti
37.21nel ciel lasciò nel carreggiar Fetonte,
37.22securo il loco fu da quelle fiamme.
37.23E quando giacque in gran diluvio il mondo
37.24sommerso, ei superò l'orribili acque.
37.25Nè giungon quivi mai pallidi morbi,
37.26o pur l'egra vecchiezza o l'empia morte,
37.27non cupidigia o fame infame d'oro,
37.28non scelerata colpa, o fiero Marte,
37.29o pure insano amor di morte iniqua.
37.30Sono l'ire lontane e 'l duolo e 'l lutto,
37.31e povertà d'orridi panni involta,
37.32e i mal desti pensieri, e le pungenti
37.33spinose cure, e la penuria angusta.
37.34Quivi tempesta o di turbato vento
37.35orrida forza il suo furor non mostra,
37.36nè sovra i campi mai l'oscure nubi
37.37stendono il negro e tenebroso velo,
37.38nè d'alto cade impetuosa pioggia.
37.39Ma in mezzo mormorando un vivo fonte
37.40lucido sorge e trasparente e puro,
37.41e d'acque dolci e cristalline abonda,
37.42e ciascun mese egli si versa e spande,
37.43talchè dodici volte il bosco irriga.
37.44Quivi alza i rami da sublime tronco
37.45arbor frondoso, e non caduchi e dolci
37.46pendono i pomi tra le verdi fronde.
38.1Tra queste piante e 'n quella selva alberga
38.2appresso il fonte l'unica fenice,
38.3che de la morte sua rinasce e vive:
38.4augello eguale a le celesti forme,
38.5che vivace le stelle adegua, e 'l tempo
38.6consuma e vince con rifatte membra.
38.7E come sia del sol gradita ancella,
38.8ha questo da natura officio e dono,
38.9che quando in cielo ad apparir comincia
38.10sparsa di rose la novella aurora,
38.11e dal ciel caccia le minute stelle,
38.12ella tre volte e quattro in mezzo a l'acque
38.13sommerge 'l corpo, e pur tre volte e quattro
38.14liba quel dolce umor del vivo gorgo.
38.15Poscia a volo s'inalza, e siede in cima
38.16de l'arbore frondosa, e quinci intorno
38.17la selva tutta signoreggia e mira.
38.18Ed al nascer del sole indi conversa,
38.19del sol già nato aspetta i raggi e 'l lume.
38.20Ma poichè l'aura di quel lucido auro,
38.21onde fiammeggia il sol, risplende e spira,
38.22a sparger già comincia in dolci modi
38.23il sacro canto; e la novella luce
38.24con la mirabil voce affretta e chiama.
38.25A cui voce di Cirra o di Parnaso
38.26dolce armonia non si pareggia in parte,
38.27nè di Mercurio la canora cetra
38.28l'assembra, nè morendo il bianco cigno.
38.29Ma poichè Febo del celeste Olimpo
38.30trascorre i luminosi aperti campi,
38.31e per quell'ampio cerchio intorno è volto,
38.32ella tre volte ripercossa al petto
38.33l'ali d'oro e dipinte, al sol applaude
38.34con non errante suon la notte e 'l giorno.
38.35E la medesma ancor parte e distingue
38.36l'ore veloci, e quella accesa fronte,
38.37venerata tre volte, alfin si tace,
38.38pur come sia del sacro oscuro bosco,
38.39e di que' tenebrosi ed alti orrori
38.40sacerdote solinga, a cui son conti
38.41i secreti del cielo e di natura:
38.42però di riverenza e d'onor degna.
38.43Ma poi forniti cento e cento lustri,
38.44ne la vetusta età più grave e tarda,
38.45ella che già passare a volo i nembi
38.46poteva e le sonore atre procelle,
38.47per rinovar la stanca vita, e 'l tempo
38.48chiuso e ristretto pur da spazi angusti,
38.49fugge del bosco usato il dolce albergo.
38.50E di rinascer vaga, i lochi sacri
38.51addietro lascia, e vola al nostro mondo,
38.52ove ha suoi regni l'importuna morte.
38.53E già drizza invecchiata il lento volo
38.54in quella di Soria famosa parte,
38.55a cui diede ella di Fenice il nome.
38.56E di selve deserte ivi ricerca
38.57per non calcate vie secreta stanza,
38.58e si ricovra ne l'occulto bosco.
38.59Ed allor coglie de l'aereo giogo
38.60forte palma sublime, a cui pur anco
38.61compartì di fenice il caro nome;
38.62cui romper non potria co' feri denti
38.63serpe squammosa o pur augel rapace,
38.64od altra ingiuriosa orrida belva.
38.65E chiusi allor ne le spelunche i venti
38.66taccion fra cavernosi orridi chiostri,
38.67per non turbar co' lor torbidi spirti
38.68del bell'aer purpureo il dolce aspetto.
38.69Nè condensata turbo i vani campi
38.70del ciel ricopre, ed al felice augello
38.71toglie la vista de' soavi raggi.
38.72Quinci il nido si fa, sia nido o tomba
38.73quello in cui pere, onde rinasca e viva
38.74l'augel, che di se stesso è padre e figlio,
38.75e se medesmo egli produce e cria.
38.76Quinci raccoglie de la ricca selva
38.77i dolci succhi e i più soavi odori,
38.78che scelga il Tiro o l'Arabo felice,
38.79o Pigmeo favoloso od Indo adusto,
38.80o che produca pur nel molle grembo
38.81de' Sabei fortunati aprica terra.
38.82E quinci l'aura di spirante amomo,
38.83con le sue canne il balsamo raguna;
38.84nè cassia manca o l'odorato acanto,
38.85nè de l'incenso lagrimose stille,
38.86e di tenero nardo i novi germi,
38.87e di mirra v'aggiunge i cari paschi.
38.88Quando repente il variabil corpo,
38.89e le già quete membra alluoga e posa
38.90nel vital letto del felice nido,
38.91e nel falso sepolcro ardente cuna
38.92al suo nascer prepara, anzi la morte.
38.93Sparge poi con la bocca i dolci sughi
38.94intorno, e sovra a le sue propie membra.
38.95Ivi l'essequie sue si fa morendo,
38.96e debol già con lusinghieri accenti
38.97saluta il sole, anzi l'adora e placa.
38.98E mesce umil preghiera a l'umil canto,
38.99chiedendo i cari incendi, onde risorga
38.100col novo acquisto di perduta forza.
38.101Fra vari odori poi l'alma spirante
38.102raccomanda al sepolcro, e non paventa
38.103l'ardita fede di sì caro pegno.
38.104Parte di vital morte il corpo estinto
38.105s'accende, e l'ardor suo fiamme produce,
38.106e del lume lontan concepe il foco,
38.107ond'egli ferve oltra misura e flagra,
38.108lieto del suo morir, perchè veloce
38.109al rinascer di novo egli s'affretta.
39.1Splende quasi di stelle ardenti il rogo,
39.2e consuma il già lasso e pigro veglio.
39.3La luna il corso suo raffrena e tarda,
39.4e par che tema in quel mirabil parto
39.5natura, faticosa e stanca madre,
39.6che non si perda l'immortale augello;
39.7ma di gemina vita in mezzo il foco
39.8posto il dubbio confin distingue e parte.
39.9Ne le ceneri aduste alfin converso,
39.10le sue ceneri accolte egli raduna
39.11in massa condensate, e quasi in vece
39.12è l'occulta virtù d'interno seme.
39.13E quinci prima l'animal ci nasce,
39.14e 'n forma d'ovo si raccoglie in giro.
39.15Poi si riforma nel primier sembiante,
39.16e da le nove sue squarciate spoglie
39.17alfin germoglia l'immortal fenice.
39.18Già la rozza fanciulla a poco a poco
39.19si comincia a vestir di vaga piuma,
39.20qual farfalla talvolta, a' sassi avinta
39.21con debil filo, suol cangiar le penne.
39.22Ma non ha per lei cibo il nostro mondo,
39.23nè di nutrirla alcun si cura intanto,
39.24ma celesti rugiade intanto liba,
39.25da l'auree stelle e da l'argentea luna
39.26cadute in cristallina e dolce pioggia.
39.27Queste raccoglie, e fra ben mille odori,
39.28sin che dimostri il suo maturo aspetto
39.29ne le cresciute membra, indi si pasce.
39.30Ma quando giovinetta omai fiorisce,
39.31fa volando ritorno al primo albergo.
39.32E quel ch'avanza del suo corpo estinto
39.33e de l'aduste e 'ncenerite spoglie,
39.34unge di caro ed odorato succo,
39.35in cui balsamo solve e incenso e mirra,
39.36e con pietosa bocca indi l'informa,
39.37e tondo 'l fa, sì come palla o sfera,
39.38e portandol co' piedi, al lucido orto
39.39si rivolge del sole, e 'l volo affretta.
39.40E l'accompagna innumerabil turba
39.41d'augei sospesi, e lunga squadra e densa,
39.42anzi essercito grande intorno intorno
39.43fa quasi nube, e 'l volator circonda.
39.44Nè di tanti guerrieri alcuno ardisce
39.45al peregrino duce andare incontra,
39.46ma de l'ardente re le strade adora.
39.47Non il fero falcone ardita guerra
39.48gli move, o quel ch'i folgori tonanti
39.49(com'è favola antica) al ciel ministra.
39.50Qual le sue barbaresche orride torme
39.51scorgea dal fiume Tigre il re de' Parti,
39.52di preziose gemme e d'aurea pompa
39.53altero, e di corona il crine adorno,
39.54purpureo il manto, ch'è dipinto e sparso
39.55dal lago di Soria di perle e d'oro,
39.56e col fren d'oro al suo destrier spumante
39.57regger soleva il polveroso corso
39.58per la città d'Assiria alto e superbo,
39.59ov'ebbe fortunato ed ampio impero;
39.60tale ancor va maraviglioso in vista
39.61l'augel rinato, e con reale onore
39.62e real portamento i vanni ei spiega.
39.63Il color è purpureo, onde somiglia
39.64il papavero lento, allor ch'al cielo
39.65le sue foglie spargendo al sol rosseggia.
39.66Di questo quasi velo a lui risplende
39.67il corpo, la cervice, il capo e 'l tergo.
39.68Sparge la coda che di lucido oro
39.69rassembra, e d'ostro poi macchiata e tinta.
39.70Ne le sue penne ancora orna e dipinge
39.71pur come in rugiadosa e curva nube,
39.72l'arco celeste, in cui si varia e mesce
39.73verdeggiante smeraldo a' bianchi segni,
39.74ed a gli altri cerulei e vaghi fiori.
39.75Ha duo grandi occhi eguali a duo giacinti,
39.76e riluce da lor vivace fiamma,
39.77e pur gemma somiglia il rostro adunco.
39.78La testa le circonda egual corona,
39.79come la cinge al sol co' raggi ardenti.
39.80Son le gambe squammose, e d'or distinte
39.81l'unghie rosate, e la sua forma illustre
39.82tra quella del pavon mista simiglia,
39.83e de l'augel che 'n riva al Fasi annida.
39.84Grande è così, ch'a pena augello o fera
39.85nata in Arabia, sua grandezza agguaglia;
39.86pur non è tarda, ma veloce e pronta,
39.87e con reale onor nel ratto volo
39.88la regia maiestate altrui dimostra.
39.89Del verde Egitto una cittate antica
39.90ne' secoli primieri al sol fu sacra:
39.91quivi sorger solea famoso tempio
39.92di ben cento colonne altero e grande,
39.93già svelte dal tebano orrido monte.
39.94E quivi, come è fama, il ricco fascio
39.95repor solea sovra i fumanti altari;
39.96e 'l caro peso destinato al foco,
39.97a le fiamme credea, tre volte e quattro
39.98adorando del sol l'ardente imago.
39.99Fiammeggia il seme acceso, e 'l sacro fumo
39.100con odorate nubi ondeggia e spira,
39.101tal ch'egli aggiunge a gli stagnanti campi
39.102di Pelusio, e spargendo odori intorno,
39.103di sè riempie gli Etiopi e gli Indi.
39.104Maravigliando a la mirabil vista
39.105tragge l'Egitto, e 'l peregrino augello
39.106lieto saluta, e festeggiando onora
39.107repente. È la sua forma in sacri marmi
39.108scolpita, e in lor segnato il nome e 'l giorno.
40.1O fortunato, e di te padre e figlio,
40.2felice augello, e di te stesso erede,
40.3nutrito e nutritor, cui non distingue
40.4il vario sesso, e lunga età vetusta
40.5non manda, come gli altri, al fine estremo;
40.6nè Venere corrompe, o 'l suo diletto
40.7non cangia indebolito, e van dissolve;
40.8cui di Venere in vece è lieta morte,
40.9onde rinasci poi l'istesso, ed altri,
40.10e con la morte immortal vita acquisti.
40.11Tu, poichè la vecchiezza i mari e' monti
40.12cangiato ha quasi e variato il mondo,
40.13perpetuo ti conservi e quasi eterno
40.14a te medesmo ognor pari e sembiante.
40.15E tu sei pur del raggirar de' tempi,
40.16e de' secoli tanti in lui trascorsi,
40.17di tante cose e di tante opre illustri
40.18sol testimonio, o fortunato augello.
40.19E felice via più perchè a noi mostri,
40.20quasi in figura di colori e d'auro,
40.21l'unico Figlio del suo Padre Iddio,
40.22Dio, come 'l Padre, a lui sembiante e pari.
40.23E la natura col tuo raro essempio
40.24insegna pur a l'animosa mente
40.25(s'ella dubita mai) com'ei risorga
40.26da la sua morte e dal sepolcro, eterno,
40.27e benchè nostra pura e invitta fede
40.28abbia lume più chiaro onde ci illustri,
40.29te non disprezza, e con perpetuo onore
40.30il tuo bel nome al tuo fattor consacra,
40.31ch'è sommo sole, onde ha sua luce il sole.
41.1Fatto avea tutti omai gli umidi campi,
41.2ch'agitar suole il vento obliquo o l'onde,
41.3co' propi abitatori il Padre eterno,
41.4s'abitatori pur de l'aria vaga
41.5i volatori augelli, e non più tosto
41.6son de la terra, onde hanno il cibo e 'l volo.
41.7Quando egli vide il suo lavoro, e l'opre
41.8tutte esser buone, e gli animai feroci
41.9buoni pur anco, e sua bontate impressa
41.10in lor, qual nota del suo mastro o segno,
41.11però gli benedisse, e 'n questa guisa
41.12disse: "Crescete, e numerosa prole
41.13tutte le acque riempia, e 'n su la terra
41.14in gran numero ancor s'avanzi e cresca
41.15ogni progenie de' volanti augelli".
41.16E de la santa voce il santo impero
41.17ancora è certa e 'nviolabil legge.
41.18Perchè dopo tanti anni e tanti lustri,
41.19tanti secoli a volo omai trascorsi
41.20da' princìpi del mondo a questa estrema
41.21e tarda etate, in cui s'appressa il fine,
41.22nè progenie di lor, nè fera stirpe,
41.23o per diluvio o per incendio ardente,
41.24o per lunga mortale orrida peste,
41.25o per lor feritate o per l'insidie
41.26d'umano ingegno, o per le orribili armi
41.27estinta non rimase o scema unquanco,
41.28ma quasi eterna si perpetua e serba.
41.29Tanta de la divina e santa voce
41.30è la virtù che lor difende e guarda,
41.31perchè sia a pieno, e 'n ogni parte adorno
41.32questo che tutti abbraccia e tutti accoglie
41.33ne l'ampissimo sen capace mondo.
41.34Così fu fatto. Ed al mattino il vespro
41.35giungendo, impose fine al quinto giorno.
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