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4° Giorno

Il mondo creato

PoeTree.it

1.1Quel che rimira le contese e i pregi
1.2de' lottatori, o di chi leve al corso
1.3le membra ignude in dì solenne affretti,
1.4o de' guerrieri pur l'imprese e l'armi
1.5diverse in largo campo o 'n chiuso arringo,
1.6e i duri incontri in torneamento e in giostra,
1.7sente in se stesso un movimento interno,
1.8ond'è commosso e concitato insieme
1.9con quei che fan tra lor duro contrasto,
1.10e col suo propio affetto inchina e pende
1.11più sempre ad una parte, e brama e spera
1.12la vittoria da quella, e spesso inalza
1.13per rincorar i suoi la voce e 'l grido.
1.14Così chi di celesti obietti eterni
1.15e de le cose smisurate e grandi
1.16mira le maraviglie, o pure ascolta
1.17quel ch'ogni estima, ogni giudizio avanza
1.18de l'inerrabil sapienza ed arte,
1.19convien che seco, anzi in se stesso apporti
1.20gl'impeti interni e 'l vivo ardore, e 'l zelo
1.21fervido, a contemplar rivolto e fisso
1.22tai cose e tante, in pochi giorni al suono
1.23fatte de la divina, eterna voce.
1.24E dee con ogni forza insieme accolta,
1.25come compagno e come fido amico,
1.26trovarsi nel contrasto e darne aita,
1.27perchè non si nasconda e non s'adombri
1.28la verità; ma senza inganni o falli
1.29risplenda e di sua luce i cori illustri.
1.30Ma che dico? ed a chi ragiono e parlo?
1.31Mentre in sì faticosa e giusta impresa
1.32quasi ardisco di porre i cieli in lance
1.33e pesar l'universo appeso in libra,
1.34le prime opre narrando e i primi giorni
1.35e i natali del mondo; e i primi e gli alti
1.36princìpi suoi non ricercando a caso
1.37fra le menzogne de la Grecia antica,
1.38dove per suo voler s'accieca e perde
1.39altri, filosofando, il dritto lume;
1.40o pur ne l'Accademia e nel Liceo,
1.41o ne l'error del tenebroso Egitto,
1.42ma da colui, che fuor ne trasse, e scorse
1.43i fidi suoi per mezzo al mar sonante:
1.44egli mi tragga ancor securo a riva
1.45da questo sì turbato e sì profondo
1.46mar d'ignoranza e di superbia umana.
2.1Anzi pur tu, che lui rassembri, o Padre
2.2sommo, e rinovi il primo e santo essempio:
2.3tu, che somigli lui, somigli ancora
2.4il Re del cielo, ond'ei fu quasi imago,
2.5ma pur nascosa fra gli orrori e l'ombra
2.6del secol prisco; e tu sei l'altra or vera
2.7spirante imago e simolacro illustre
2.8de l'alta gloria sua, che nulla adombra,
2.9onde co' raggi suoi riluci e splendi;
2.10piacciati tanto al mio turbato ingegno
2.11compartir di quel santo e puro lume,
2.12che transfuso da te, conduca e scorga
2.13l'alme gentili e i pellegrini spirti.
2.14E se giamai gli occhi levaro in alto
2.15in bel sereno, lucido, notturno
2.16a l'immortal beltà de l'auree stelle,
2.17pensando a l'opre del fattore eterno,
2.18chi è colui che fece il cielo adorno
2.19e tutto il variò, quasi dipinto
2.20con sì diversi fior di luce e d'auro?
2.21e come ne le cose esposte a' sensi
2.22necessità tanto il piacere eccede?
2.23E se 'n tal guisa fur mirando apprese
2.24del sommo Dio le maraviglie eccelse,
2.25e da quel che si vede e scopre agli occhi
2.26fur note poi l'altre invisibil forme,
2.27posson ben questi empier le sedi intorno
2.28di questo sacro a Dio teatro, e i gradi
2.29ove la gloria sua si narra e canta.
2.30O possa io pur, sì come guida e scorta,
2.31ch'ignoto peregrin conduce intorno,
2.32e gli edifici e le mirabili opre
2.33di famosa città gli addita e mostra,
2.34così condur le peregrine menti
2.35de' mortali qua giù mai sempre erranti
2.36a le sublimi maraviglie occulte
2.37di quest'ampia città, di questa io dico
2.38città celeste, ove è la patria antica
2.39di noi figli d'Adamo e l'alta reggia,
2.40in cui gli eterni premi il Re comparte.
2.41Ma poi cacciati in doloroso essiglio
2.42fummo dal micidial demon superbo,
2.43che pria dolce n'adesca e poi n'ancide
2.44d'eterna morte, e 'n servitù n'adduce
2.45a' duri lacci del peccato avinti
2.46co' nodi di fortissimo adamante.
2.47E qui potran veder securi e certi
2.48de la nostra immortale e nobile alma
2.49l'alto principio e la celeste origo.
2.50E quella, che repente indi n'assalse,
2.51orrida e spaventosa e fiera morte,
2.52che del peccato è dolorosa figlia:
2.53del peccato, ch'è prole e primo parto
2.54del superbo demonio a Dio rubello,
2.55principe di malizia, e quasi fonte
2.56ond'ogni mal fra noi si versa e spande.
2.57Qui conoscer potran se stessi ancora,
2.58chè per natura son terreni e frali,
2.59ma pur de la divina e santa destra
2.60de l'eterno Signor fattura ed opra.
2.61E conoscendo se medesmi alzarsi
2.62a conoscer Iddio, che fece il tutto,
2.63ed adorar il creator del mondo
2.64e servir al Signor, dar gloria al Padre,
2.65amar quel che ci nutre e ci conserva,
2.66lodar quei ch'i suoi beni a noi comparte,
2.67principe a noi de l'una e l'altra vita
2.68caduca ed immortale, in terra e 'n cielo,
2.69apprender qui potranno, e sazi e stanchi
2.70non saran mai di celebrarlo a prova:
2.71perch'ei co' doni, onde arricchisce e illustra
2.72e fa lieti qua giù gli egri mortali,
2.73conferma ancor le sue promesse antiche
2.74de' tesori celesti e de l'eterno
2.75regno divino, ove ne chiama a parte
2.76e l'umana speranza inalza e folce,
2.77che sempre per se stessa a terra serpe.
3.1Ma se le cose, al variar de' tempi
3.2qua giù soggette, son pur tali e tante,
3.3quali e quante fian poi l'eterne in cielo?
3.4e se quel che si vede a gli occhi nostri
3.5piace cotanto, or quai saranno al fine
3.6gl'invisibili oggetti a l'alta mente?
3.7se del ciel la grandezza in guisa avanza
3.8ogni misura de l'umano ingegno,
3.9chi la natura senza fine eterna
3.10fia che comprenda? e s'egli è pur sì bello,
3.11o pur sì grande e sì veloce il sole,
3.12e sì ordinato ne' suoi obliqui giri,
3.13sì moderato al mondo e sì lucente,
3.14in guisa d'occhio che l'adorni e illustri;
3.15se mai de la serena e chiara vista
3.16non ci lascia partendo a pien contenti,
3.17bench'egli pur soggiaccia a tarda morte,
3.18quando che sia, deh qual bellezza eterna
3.19nel gran Sol di giustizia altri contempla?
3.20se sol non veder questo al cieco è pena,
3.21qual sarà pena al peccator ingrato
3.22l'esser privo d'eterna e vera luce?
4.1Era già fatto inanzi il primo cielo
4.2e la terra, e la luce ancor creata,
4.3e già distinta era la notte e 'l giorno,
4.4ed era fatto ancor quel cielo appresso,
4.5che da la sua fermezza il nome prende,
4.6confine estremo del sensibil mondo.
4.7E l'arida, pur dianzi occulta e immersa
4.8tutta ne l'acqua, era scoperta in parte
4.9da l'ondeggiante umore. E 'nsieme accolte
4.10eran già l'acque nel lor propio loco.
4.11Pieno la terra omai de' propi parti
4.12aveva il grembo, e di fecondi germi
4.13tutto d'erbe e di fior dipinto e sparso.
4.14E frondeggiava de l'ombrose piante
4.15la verde chioma; e pur ancor non era
4.16il sole, over la luna; e quel nomato
4.17non era de la luce eterno padre
4.18e padre de le cose, e quasi fabro,
4.19di quelle, dico, che produce e nutre
4.20la madre terra; e 'l vano e falso errore
4.21de' mortali che il senso inganna e guida,
4.22quasi fallace e lusinghiera scorta,
4.23non l'avea fatto Dio. Ma l'opre illustri
4.24avea fornito Dio del terzo giorno,
4.25e dava ormai lieto principio al quarto.
5.1"E sian fatti" diss'egli "i duo gran lumi
5.2del fermo cielo; e questo e quel risplenda
5.3sopra la terra, e sia diviso e scevro
5.4in disparte del giorno, ed in disparte
5.5la metà de la fredda oscura notte."
5.6Così diss'egli, e fece i duo gran lumi.
5.7Ma chi disse? e chi fece? Or non intendi
5.8de la doppia persona il grande, occulto,
5.9ineffabil mistero e infuso e sparso,
5.10la sacra istoria di saper profondo
5.11rivelato per grazia a' vecchi Padri,
5.12che ne l'antiche carte ancor s'adombra,
5.13quasi per nube, e ne si vela in parte?
5.14E non conosci ancor de l'alta voce
5.15quanto giovi a' mortali il santo impero?
6.1"Risplendan" disse Iddio "sovra la terra
6.2per illustrarla, e l'agghiacciate membra
6.3riscaldar col vital temprato foco."
6.4Così disse egli; ed ab eterno impose
6.5che 'l sole i raggi suoi spargesse al giusto
6.6ed a l'ingiusto; ch'a l'ingiusto ancora
6.7volle giovar, chi di giovar insegna.
6.8E ne gli iniqui ancora ei spande e versa
6.9i suoi beni, e le grazie in ciel cosparte,
6.10e transfuse dal sole e da le stelle,
6.11nè fu ne le parole o pur ne l'opre
6.12discorde a se medesmo il Padre eterno
6.13perch'ei primier creò la bella luce,
6.14e poscia il sol. Fu senza il sole adunque
6.15la chiara luce, e senza sole o stelle
6.16fu certo prima. E come il corpo a l'alma,
6.17e come serve il carro al propio auriga,
6.18così a la prima luce i duo gran lumi
6.19fur dati, ond'ella risplendendo apparse.
6.20Perch'ella da se stessa a gli alti ingegni
6.21prima risplende ed a le pure menti,
6.22intelligibil parto e quasi eterno;
6.23poi sovra il doppio carro a' vaghi sensi
6.24nel dì riluce e ne l'ombrosa notte,
6.25nè mai di carreggiar è stanca o tarda
6.26per le strade là suso oblique e torte.
6.27Fu dunque pura luce inanzi il giorno,
6.28che poi di raggi adorno il sol distinse.
6.29Anzi Dio stesso separar la luce
6.30da le tenebre volle e dipartirla,
6.31ma comandò che separasse il sole
6.32il chiaro giorno da la notte oscura:
6.33perch'a la nobil mente egli distingue
6.34i puri oggetti, e poscia al sol comanda
6.35che gli mostri divisi a' sensi erranti;
6.36ed a la bianca luna ancor ministra
6.37del suo splendore; e vuol che questo e quella
6.38il tempo e l'ore in spazio egual comparta.
6.39Osiamo adunque senza inganno o tema,
6.40almen con l'animoso alto pensiero,
6.41a separar da la sua luce il sole,
6.42come nel foco si divide e parte
6.43quel di lui che n'infiamma e quel ch'illustra.
6.44E già il divise con mirabil vista
6.45Iddio, quando egli al rubo il foco impose,
6.46lucido assai, dal suo splendor disgiunta
6.47l'altra propia virtù, quella ch'incende,
6.48che rimane oziosa, allora occulta:
6.49tanto è il poter de la divina voce,
6.50che può del foco risecar la fiamma.
6.51Anzi quando avverrà ch'i premi eterni
6.52e le pene comparta, allor del foco
6.53fia la natura alfin divisa e scevra;
6.54e fia la luce destinata al giusto,
6.55perchè ne goda, e l'altra ardente forza
6.56a punir l'empio giù nel cieco inferno.
7.1E 'l variar de l'incostante luna
7.2il medesimo ancora insegna e mostra
7.3con le cangiate sue diverse forme.
7.4Perchè mentr'ella scema e 'l lume perde,
7.5tutto già non consuma il bianco volto,
7.6ma de' suoi rai la candida corona
7.7con varia imago ora ripiglia, or lascia:
7.8onde conoscer puoi ch'assai diverso
7.9il suo corpo è da quello, ond'ei s'illustra.
7.10Il somigliante ancor nel sole aviene,
7.11ma 'l sole il lume suo, ch'è preso altronde,
7.12poi ch'una volta ei se n'adorna e veste,
7.13mai non depone. Ella del lume altrui
7.14s'ammanta spesso, e spesso ancor si spoglia
7.15con umil vista, e la sua vece alterna.
7.16In questa guisa a' duo gran lumi impose
7.17che da lor fosse dipartito il mezzo
7.18del chiaro giorno, e de la notte il mezzo.
7.19Perchè 'nsieme non sian confusi e misti,
7.20nè compagnia, ned amicizia al mondo
7.21fra la luce e le tenebre rimanga.
7.22Ma qual nel giorno luminoso è l'ombra,
7.23tal ne lo spazio de l'oscura notte
7.24la tenebrosa ed orrida natura
7.25l'ombra de' corpi cede opaci e densi
7.26a lo splendor de' più lucenti opposti.
7.27E in sul mattino a l'occidente è stesa,
7.28e verso l'oriente a sera inchina,
7.29e 'l mezzo giorno si raccorcia e stringe,
7.30e contra l'Orse si dispiega a pena.
7.31La notte volta dal contrario lato
7.32cede a' lucidi raggi, e 'n sua natura
7.33altro non è che l'ombra oscura algente,
7.34ch'esce dal grembo de la terra opaca.
7.35E sempre avanti a lo splendor diurno
7.36fugge a la parte opposta e si dilegua.
8.1In questa guisa impose il Padre eterno
8.2le misure del giorno al chiaro sole,
8.3e fè la bianca luna, allor che tutto
8.4d'argento il cerchio e di splendor riempie,
8.5principe de la fredda oscura notte.
8.6Eran quasi per dritto allor conversi
8.7l'un contra l'altro i due bei lumi in cielo,
8.8perchè nascendo il sol imbruna e perde
8.9de l'alma luna la ritonda imago.
8.10E se precipitando il sol tramonta,
8.11ella a l'incontra in oriente appare
8.12sorgendo, e fuor dimostra ornato il viso.
8.13Ma in altre sue figure, in altre forme,
8.14con la notte sparir non suole insieme,
8.15benchè nel suo perfetto intero stato,
8.16quando ha colmo di luce il vago giro,
8.17incoronata de' suoi bianchi raggi,
8.18regina è de la notte, e tutte avanza
8.19di luce e di beltà l'aurate stelle,
8.20ed in vece del sol la terra illustra.
8.21Ma 'l sole è re del luminoso giorno,
8.22e come sposo dal celeste albergo
8.23esce tutto di raggi e d'oro adorno,
8.24di più lucente e di maggior corona
8.25circondata la chiara accesa fronte.
8.26E 'n guisa di gigante alto e superbo
8.27trascorre il cielo e 'l signoreggia intorno,
8.28tanto egli è grande e di tal luce è ardente.
8.29È grande ancor la via men calda luna,
8.30ma come è grande? o per rispetto altrui,
8.31se pur riguardi a le minori stelle?
8.32od in se stessa pur descritta e chiusa
8.33da le sue linee entro il suo puro cerchio,
8.34sì come è grande il mare e grande il cielo?
8.35o perchè basti il suo splendor sereno
8.36ad illustrar gli smisurati campi
8.37de la terra, del mar, del ciel profondo?
8.38Però d'ogni sua parte egual si mostra,
8.39quando è ritonda, a gli Etiopi e a gl'Indi,
8.40a' freddi Sciti, a gl'Iperborei ignoti,
8.41o sia in oscuro occaso o 'n lucido orto,
8.42o del ciel tenga più sublime parte.
8.43Nè giunge o toglie a la grandezza alquanto
8.44de l'ampia terra il largo seno o 'l dorso,
8.45onde minor per lontananza appaia,
8.46maggior, perchè s'appresse e s'avvicini,
8.47come de l'altre cose in terra incontra.
8.48Ma giamai dal gran sole è più remoto,
8.49nè più vicino alcun; ma in spazio eguale
8.50son gli abitanti in ogni clima estremo.
9.1Pensa fra te, se mai d'eccelso giogo
9.2d'orrido monte rimirando a basso,
9.3umil campo vedesti od ima valle,
9.4quanto i gioghi de' buoi sembrano in vista,
9.5o quanto grandi gli aratori istessi!
9.6Di minute formiche ebber sembianza
9.7senza alcun dubbio, entro misura angusta
9.8così accorciarsi e ranichiar le membra;
9.9o tanto si consuma e si disperde
9.10de la vista mortale il senso incerto
9.11in mezzo a così grande e lungo spazio,
9.12ch'a pena giunge a que' remoti oggetti!
9.13Ma se da vetta o da sublime scoglio
9.14volgesti il guardo al mar con gli occhi intenti,
9.15quante l'isole in lui diffuse e sparse
9.16ti si mostraro in vista? o negra nave
9.17di care merci e preziose onusta,
9.18spiegando in alto le sue bianche vele,
9.19in guisa d'ale, da la salda antenna,
9.20sovra il ceruleo suo spumante dorso?
9.21Certo minor di candida colomba
9.22s'offerse a gli occhi la minuta imago,
9.23tanto nel vano e ne gli spazi immensi
9.24l'umana vista indebilisce e perde.
9.25Già gli alti monti a le profonde valli
9.26credesti eguali, e di ritonda forma,
9.27chè non apparve in mezzo antro o spelonca,
9.28ned altra sua inegual scoscesa parte;
9.29ma tutto si nasconde il cavo e il voto
9.30per lontananza, e con aperto inganno
9.31ogni disugguaglianza in lei s'adegua.
9.32E ritonde le torri ancor diresti,
9.33bench'abbian quattro lati e quattro facce,
9.34e sian rivolte a l'Aquilone e a l'Austro,
9.35ed a l'altre del mondo avverse parti.
9.36Però senz'alcun dubbio esperto credi
9.37che 'n lungo spazio ogni lontana imago
9.38si confonde e s'inganna il senso errante
9.39in molte guise. Adunque è grande il sole,
9.40ma quel di sua grandezza è certo segno,
9.41che, perchè sian stelle infinite in cielo,
9.42da ciascuna di loro il lume sparse;
9.43e 'n un raccolto a discacciar non basta
9.44la mestizia e l'orror d'oscura notte;
9.45ma solo il sol, che l'orizzonte ascende,
9.46anzi, mentre s'aspetta, e pria ch'ei s'erga
9.47sovra la terra e sparga i primi raggi,
9.48le tenebre dissolve, e l'auree stelle
9.49supera di splendore; e l'aria densa,
9.50e dal freddo notturno in gel ristretta
9.51diffonde e sparge; e 'l liquido sereno
9.52con via più dolci tempre illustra e scalda.
9.53Onde l'aure odorate inanzi al giorno
9.54spirano mormorando, e piove intanto
9.55il rugiadoso e cristallino umore.
9.56E quinci apprendi del maestro eterno
9.57l'arte divina, che lontano il sole
9.58dispose, e in guisa moderò l'ardore
9.59che per soverchio non infiamma il suolo,
9.60nè per difetto ancor l'agghiaccia, o lascia
9.61languido e mesto ed infecondo al parto.
10.1E de la bianca luna intendi o pensa
10.2cose conformi e somiglianti a queste.
10.3Perchè (sì come dissi) il corpo è grande,
10.4e se fuor traggi il sol lucente e bello,
10.5più d'altro appare che nel ciel risplenda;
10.6ma non sempre si vede, e non riluce
10.7in ogni tempo con egual sembianza;
10.8ma riempie talora il voto cerchio,
10.9talvolta scema si dimostra in parte.
10.10Anzi, mentre ella cresce, oscura e fosca
10.11divien da un lato, e nel calar imbruna
10.12da l'altro; e de l'eterno e saggio fabro
10.13dir non possiamo il magistero e l'arte,
10.14perchè dar volle in cielo un chiaro essempio
10.15col variar de l'incostante luna
10.16a l'incostanza umana, al modo incerto
10.17di nostra vita instabile e vagante,
10.18ch'un perpetuo tenor giamai non serba,
10.19nè 'n fermo stato si mantiene e dura.
10.20Ma cresce prima e se medesma avanza,
10.21sin che di sua grandezza aggiunga al sommo;
10.22dechina poscia e si consuma, e cade
10.23sin ch'al fin pur s'estingue e torna in nulla.
10.24Dunque nè di sua gloria in vista altero
10.25alcun sen vada, o mostri orgoglio e fasto
10.26per gran tesoro accolto, o 'n sua possanza
10.27troppo confidi, oltra ragion superbo;
10.28nè per corona antica ed aureo scettro
10.29altrui rassembri imperioso e grave.
10.30Ma di sè la caduca e fragil parte
10.31disprezzi, e solo estimi i beni interni
10.32e l'anima immortal, cui nulla estingue;
10.33e de le cose umane i giri incerti
10.34pensi e ripensi; e 'l suo pensier affisso
10.35tenga a l'eterne pur, come a suo centro.
10.36E se la luna impallidita e scema
10.37col perturbato aspetto unqua l'attrista,
10.38più de l'anima sua si dolga e gema,
10.39ch'acquista la virtù, tesoro e dono
10.40prezioso del cielo, onde s'avanza,
10.41e poi la perde, e 'l primo onore antico
10.42e la sua dignitate in sè non serba.
10.43E veramente a' vaghi e lunghi errori
10.44de l'instabil pianeta uom folle e stolto
10.45vaneggiando somiglia; e 'n vari modi,
10.46come la luna, si trasmuta e cangia.
11.1Alcun vi fu, che de la mente umana
11.2c'ha due potenze o pur due parti insieme,
11.3e l'una a far, l'altra a patir acconcia,
11.4quella ch'illustra rassomiglia il sole,
11.5questa, ch'illuminata indi rischiara
11.6il tenebroso e fosco, ei fa sembiante
11.7a la luna, ch'altronde il lume prende
11.8e de l'altrui splendor lucente appare.
11.9Perchè la parte in noi soggetta a morte,
11.10se l'intelletto ha parte a morte esposta,
11.11pur col lume de l'altra alluma ed orna
11.12in sè mille leggiadre e chiare forme.
11.13Ma quella ch'i suoi raggi altrui comparte,
11.14temer non può di morte il duro fato,
11.15talchè Dio la credea nel secol prisco
11.16filosofando l'ingegnosa turba.
11.17Altri Dio no, ma creatura e parto
11.18da Dio prodotto, a cui di sole il nome
11.19per l'alta luce sua concede e dona.
11.20Ma 'n disparte si stia di acuto ingegno
11.21l'animosa ragione, e ceda intanto
11.22a quel che più conferma antica fede,
11.23ed animosa pur, che meglio il vero
11.24d'ogni primo intelletto in Dio conosce.
12.1Or dimostriam come l'errante luna
12.2giovi col variare, e parte accresca
12.3le cose che la terra in sen produce,
12.4o nudre il mar nel salso umido grembo:
12.5però che il crescer suo riempie e colma
12.6d'umor i corpi, e 'l suo scemar gli scema,
12.7e quasi vota: in sì soavi tempre
12.8l'umido e 'l caldo ella congiunge e mesce.
12.9Perchè fredda non è la bianca luna,
12.10com'altri estima, e solo algente appare
12.11a paragon del sole, onde si scalda.
12.12Però, quando ella col suo cerchio intero
12.13mostra da l'alto cielo il pieno aspetto,
12.14emula vaga del fratello ardente,
12.15e (se dir lece) quasi un sol notturno,
12.16allor le notti tepide e serene
12.17son più de l'altre, in cui d'adunca falce
12.18mostra l'imago, o con argentee corna
12.19s'incurva avanti il sole o pur da tergo.
12.20Allor via più germoglia il verde tronco
12.21con nove frondi e rami, e più s'impingua
12.22l'umida sua midolla entro la scorza.
12.23E più ripiena è in mar la dura conca
12.24di prezioso cibo; e pur aviene
12.25ch'altri dormendo sotto il cielo aperto,
12.26la testa grave del suo umor riempie.
12.27Lascio or da parte come l'aria e i venti
12.28ella commova, o 'l mar perturbi e queti.
12.29E tanto basti aver narrato omai
12.30di sua grandezza e de' suoi vari effetti,
12.31ond'ella giova. E non dee senso umano
12.32esser giamai di mensurarla ardito,
12.33chè quivi il suo giudizio è incerto e falso.
12.34Cotanto è grande, e 'n cotal guisa illustra
12.35gli abitatori e le città disgiunte
12.36dal vastissimo mar, da l'ampia terra.
12.37O sian in parte ove dechina il sole,
12.38o pur ne' regni de la bella Aurora,
12.39o sotto l'Orse e ne la zona algente,
12.40o pur ne la fervente arida fascia
12.41che per mezzo il terren divide e cinge,
12.42gl'illustra, dico, e quasi al modo istesso,
12.43non altri con obliqui e torti raggi,
12.44altri con dritti; e questa è vera prova
12.45ch'ella sia grande e 'nvan repugna il senso
12.46o la falsa ragion, che 'l falso afferma,
12.47e non v'ha luogo ingegno di sofista.
12.48Ma quel che fece a noi sì caro dono
12.49de la mente immortal, c'insegni ancora
12.50a conoscer il vero. E quella eterna
12.51sua sapienza, ond'egli fece il mondo,
12.52grande in picciole cose ancor dimostra,
12.53maggior ne le maggiori a noi la scopre,
12.54sì come è il sole e la ritonda luna.
12.55Benchè, se quello o questa in parte agguagli,
12.56o paragoni al suo fattor sovrano,
12.57verso di lui, ch'ogni grandezza accoglie
12.58in se medesmo, e come cosa angusta
12.59l'universo nel pugno astringe e serra,
12.60e quello e questa avran sembianza e forma
12.61d'avido pulce o di formica industre.
13.1Fece nel tempo istesso ancor le stelle
13.2quel che prima avea fatto il fermo cielo
13.3nel dì secondo, e non a pieno adorno.
13.4Bench'altri stelle di nomar presuma
13.5i sublimi non pur celesti lumi,
13.6e quasi eterni, nel suo giro affissi,
13.7ma le comete e le figure ardenti,
13.8che in varie forme fiammeggiar ne l'alta
13.9aria veggiamo o nel sublime foco,
13.10che sotto il giro de la luna accolto
13.11con lei s'aggira di perpetuo moto.
13.12Ma queste colà sù mai certo loco
13.13aver non ponno o pur grandezza e forma,
13.14od ordine costante; e 'n breve tempo
13.15sparir da gli occhi, e dileguarsi in tutto
13.16soglion per l'aria dissipate e sparse,
13.17sì come quelle che dal sen fumante
13.18han de la terra 'l nutrimento e l'esca.
13.19O se la madre gli diniega il cibo
13.20arido, che diviene in breve adusto,
13.21viver non ponno, onde tra spazi angusti
13.22la vita loro è terminata e chiusa.
13.23Talor non passa un giorno, anco talvolta
13.24nel punto che s'infiamma ella s'estingue.
13.25Onde quell'animal che 'n riva nasce
13.26de l'Ipani sonante e vede a pena
13.27un solo e breve sol nato con l'alba,
13.28giungendo inanzi sera al fato estremo:
13.29quell'animal, dico io, ch'avara e scarsa
13.30ebbe più d'altro la natura e 'l cielo,
13.31con sorte via migliore in terra ei nasce,
13.32che nel ciel queste varie accese forme.
13.33E stelle pur altri le appella e noma,
13.34altri stelle cadenti. Onde sì spesso
13.35agogna rimirando il volgo errante,
13.36se morir ponno, o se cader le stelle,
13.37ch'esser devrian per dignitate eterne
13.38o quasi eterne, e trapassar vivendo
13.39de' secoli volanti il lungo corso.
13.40Ma così parla chi ragiona a' sensi
13.41del volgo infermo, e 'l suo parlar gli adatta.
13.42Ma tra queste figure in cielo accese
13.43e quasi impresse, e di sua nota aduste,
13.44han loco alcune sì costante e certo
13.45e così lunga e così stabil vita,
13.46ch'altri le stima del sublime cielo
13.47parte non pur, ma bella e cara parte:
13.48sì come è quella via lucente e bianca,
13.49che del latte al candor i lumi aggiunge
13.50di tante fisse stelle ivi cosparse;
13.51la qual è via, ch'adduce a l'alta reggia
13.52de' favolosi divi; e strada ancora
13.53onde a l'animo umano è aperto il varco,
13.54per cui discenda nel corporeo albergo,
13.55e poi ritorni rivolando in alto
13.56a la sua pura e sua fatale stella.
13.57Così credeano, e questa è fama antica.
14.1Ma la cometa di possente aspetto,
14.2ch'i purpurei tiranni e i regi invitti
14.3ancide fiammeggiando, e muta i regni,
14.4breve spazio ha di vita a tanta possa,
14.5e di due anni il corso a pena adempie.
14.6Così nel tempo de l'infanzia umana
14.7invecchia e more la terribil luce,
14.8che dà spavento a' miseri mortali.
14.9Questa giamai tra 'l Capricorno e 'l Cancro
14.10apparir non ci suole, o pur di rado
14.11ivi si può mostrare, e pria ch'avampi
14.12con sua gran forza la dissolve il sole.
14.13Ma oltre quella obliqua e torta strada
14.14per cui fanno i pianeti eterno giro,
14.15s'infiamma, e splende tra quel cerchio e l'Orse;
14.16indi spiegando la sua ardente chioma,
14.17o pur la barba di sanguigna fiamma
14.18accesa e sparsa, e spaventosa in vista,
14.19con annunzio di morte altrui minaccia.
14.20E questa ancor, benchè dannosa e fera,
14.21sortì di stella il glorioso nome,
14.22che non conviene a sì maligno aspetto;
14.23nè d'innocente luce unqua si vanta,
14.24bench'altri dica ch'a Nerone Augusto
14.25innocente apparisse, e in ciò lusinga:
14.26perch'ella nocque col lasciarlo in vita
14.27al mondo tutto e fu nocente ed empia
14.28più nel salvar sì dispietato mostro,
14.29che in occider altrui sembrasse unquanco.
15.1Ma se di queste fu la pura e bella
15.2e santa luce, fida e cara scorta
15.3de' peregrini regi d'Oriente,
15.4sallo colui, che di sua mano eterna
15.5formolla in prima, e le diè luce e moto
15.6che parer volontario allor potea,
15.7come s'ella intelletto avesse ed alma.
15.8Ma questa fu de la divina destra
15.9opra novella, e fatta a sì grande uopo.
16.1L'altre create già nel quarto giorno
16.2furon (come si stima) e mente e vita
16.3ebbero dal celeste eterno fabro.
16.4Vita non già, che si nutrisca e prenda
16.5forza dal cibo, e per digiun languisca,
16.6cercando col suo corso il vitto e l'esca
16.7da la terra e dal mar, che sempre esala,
16.8come alcuni affermar del secol prisco,
16.9ch'ebber di sapienza ingiusta fama;
16.10ma lieta e gloriosa e pura vita,
16.11che in Dio sempre mirando, in lui s'eterna,
16.12e di sapere e del suo amor si pasce.
17.1Queste divine e gloriose menti
17.2furon da Dio create il dì primiero
17.3innanzi al sole e' bei stellanti giri.
17.4E poi da lui divise il giorno quarto
17.5ne' propi luoghi, come accorto duce
17.6i suoi fidi guerrier distingue e squadra,
17.7e 'n guardia lor dispone, e lor confida
17.8città forte ed alpestra o torre eccelsa.
17.9Parte fu messa a raggirar nel corso,
17.10non faticoso e non costretto a forza,
17.11quelle sublimi sue lucenti rote;
17.12e parte ancor fin dal principio eterno
17.13a la difesa de le genti umane
17.14fur destinate da quel Re supremo,
17.15e poi devean, quai messaggier volanti,
17.16far manifesto il suo voler in terra,
17.17portando e riportando or grazie, or preghi:
17.18grazie divine ognor veloci e pronte,
17.19e preghi umani spesso e lenti e tardi.
17.20Altri mai sempre al suo servizio intenti
17.21stanno fidi ministri appresso e 'ntorno,
17.22e sembran quasi innumerabil prole.
17.23Nè da quel dì che prima gli occhi aperse
17.24il padre Adamo a la serena luce,
17.25tanti del suo corrotto e impuro seme
17.26de' faticosi e miseri mortali
17.27fur già produtti a travagliar nel mondo,
17.28quanti di quei divini alati spirti
17.29fur destinati a quella eterna pace,
17.30a quel piacer, che non ha fine o tempo,
17.31che gli fa sempre neghittosi e lieti
17.32d'un ozio eterno e senza officio ed opre,
17.33e senza cura de' terreni affanni.
17.34E chi gli astringe e quel gravoso impaccio
17.35dei girar senza posa i cieli a forza,
17.36quasi animali a la marmorea rota
17.37legati, o 'n guisa d'Ission penoso,
17.38ch'avinto giace e sempre è mosso in giro,
17.39erra egualmente, e 'n sua menzogna adombra.
18.1E 'l gran maestro di color che sanno,
18.2quel che in tante sue scole insegna il mondo,
18.3seguendo il moto e 'l senso, infide scorte,
18.4erra egli ancor, ma con men grave errore,
18.5quando ei quelle divine eterne menti
18.6filosofando annoverar presume;
18.7e 'n numero sì breve accoglie e stringe
18.8i cittadini del celeste regno.
18.9Però che quanti sono i vari moti,
18.10onde con vari modi è mosso il cielo,
18.11tanti motori a l'alte spere assegna.
18.12Ed oltra questi non adora e placa,
18.13o non conosce nel divino impero
18.14altri offici, altri numi ed altri dei.
18.15E senza propio ministero ed opra
18.16non estimò che 'n oziosa vita
18.17vivesser pigri e neghittosi indarno.
18.18Dunque sol tanti, al suo giudicio errante,
18.19esser potean quanti a' celesti giri
18.20potesser poi bastar. Gli altri soverchi
18.21tutti estimava, ed adorati invano,
18.22finti di Grecia numi o pur d'Egitto.
18.23E non s'avide il pellegrino ingegno
18.24che ne la gloriosa eterna reggia
18.25altri esser denno ancor gli offici e l'opre,
18.26che quella sol di raggirare attorno
18.27le eterne spere nel contrario moto.
18.28E conoscer non volle, o pur s'infinse,
18.29che più alto e più degno e nobil fine
18.30si conveniva a gl'intelletti eterni,
18.31di quello, senza cui soverchie estima
18.32le nature divine, e quasi invano.
18.33Chè 'l mover sempre le stellanti rote
18.34è fin corporeo, e quasi a' corpi affisso,
18.35e ne' corpi occupato, e basso ufficio,
18.36verso di quel de' più sublimi spirti,
18.37che stanno appresso e 'ntorno al Re superno.
18.38Altro fin dunque più sublime ed alto,
18.39altro più degno ed onorato oggetto,
18.40altro più santo ministero e sacro,
18.41numero via maggior ricerca e vuole
18.42de le menti immortali. E già non debbe
18.43il Signor de' signori e 'l Re de' regi
18.44in solitaria reggia e 'n voto regno
18.45regnar quasi solingo; e 'l basso mondo
18.46empier d'abitatori, onde s'accresca
18.47de l'imperio terren l'orgoglio e 'l fasto.
18.48Nè devea dare a' gloriosi augusti
18.49ed a gli altri qua giù corona e scettro,
18.50tante genti, tante arme e tante squadre,
18.51ed esserciti tanti, e 'n tante guise
18.52ne la terra e nel mar raccolti e sparsi;
18.53nè riserbar per sè schiera o falange,
18.54bench'egli basti solo. Ah troppo indegno
18.55era de la sua gloria, e troppo anguste
18.56son le misure a la materia affisse.
18.57Troppo i numeri scarsi, onde si conta
18.58tutto ciò che la terra e 'l mar profondo
18.59nel grembo accoglie o 'l cielo esposto a' sensi.
18.60Altro numero è ancor, che non s'accresce
18.61per secare il continuo, e tutti avanza
18.62i numeri qua giuso. Or chi presume
18.63d'annoverar le pure eterne menti?
18.64Deh non vedete or quanti raggi intorno
18.65sparga questo corporeo instabil sole,
18.66lo qual del sommo Sole è quasi un raggio?
18.67Or quanti sparger dee raggi lucenti,
18.68quante fiamme là suso e quanti ardori
18.69quel primo de la luce eterno fonte?
18.70Ma nol cape il pensier, nè lingua esprime,
18.71e quel che sovra 'l ciel si conta e segna,
18.72innumerabil sembra a' sensi umani.
19.1E certo alta ragion, giudicio eterno
19.2mosse il sommo Signor, che fece il mondo,
19.3a far più numerosi i più perfetti,
19.4perchè ne gl'imperfetti ei non abonda.
19.5Quinci adivien che le feroci belve
19.6son poche e rare in solitaria selva,
19.7o 'n monte ermo e selvaggio; e d'altra parte
19.8pascono i campi i numerosi armenti,
19.9e copiose ancor le greggie umili
19.10seguono del pastor la fida scorta.
19.11Ma de' figli d'Adamo il seme sparso
19.12riempie Europa, e l'altre parti ingombra
19.13de la terra, ch'è stretta e bassa mole
19.14s'al ciel la paragoni ampio e sublime.
19.15E 'l ciel de' propi abitatori illustra,
19.16più che di stelle assai, le parti eccelse.
19.17E non contento de' suoi primi antichi
19.18e quasi eterni abitator celesti,
19.19i peregrini ancora in sè raccoglie,
19.20e nati in terra di terrestre limo.
19.21E l'alte sedi a la straniera turba
19.22lieto prepara e l'accompagna, e giunge
19.23a l'angeliche squadre, e quasi agguaglia.
19.24Benchè d'Adamo i mal concetti figli
19.25non sian affatto a l'ampio cielo esterni,
19.26perchè celeste è l'alta e bella origo
19.27de l'alma umana; e lieta al ciel ritorna,
19.28sì come a vera patria, e patria antica,
19.29da questa de la terra ombrosa chiostra,
19.30ove ella visse peregrina errante.
19.31E se l'uom cinto di corporee membra
19.32nacque d'Adam, che di fangosa terra
19.33fu generato, ei pur di Dio rinacque
19.34rigenerato poi d'acqua e di spirto,
19.35e come erede de' paterni regni
19.36aspira a le celesti alte corone.
20.1Ma dove mi trasporta inanzi al tempo
20.2l'umano amor, che 'n noi sì dolce inesta
20.3nostra natura? Ora il mirabil corso
20.4seguiam del cielo e de le stelle erranti,
20.5a cui quasi motrici il Padre eterno
20.6assegnò quelle eccelse e pure menti;
20.7non quasi forme in sua materia immense,
20.8ma quasi auriga al suo veloce carro.
20.9E quinci incominciar del cielo i moti,
20.10l'un da la destra a la sinistra parte,
20.11l'altro da la sinistra in ver la destra.
20.12E chiamo destra il lucido oriente,
20.13onde si move il primo ciel rotando,
20.14che tutti gli altri seco affretta e tragge,
20.15e dal propio cammin quasi distorna.
20.16Sinistra parte l'occidente appello,
20.17onde si muovon gli altri, e 'l sole istesso,
20.18che pur da l'oriente a noi si mostra
20.19con l'altrui moto, e ne lo spazio integro
20.20d'un giorno è ricondotto, ond'ei si parte.
20.21Perchè in un dì, che in sè la luce e l'ombra
20.22contegna, compie il suo perfetto giro
20.23la prima sfera, e l'altre in vario tempo
20.24col propio moto fan contrario il corso,
20.25qual minuta formica o picciol verme,
20.26che da rota corrente è tratto intorno,
20.27ed egli intanto a la contraria parte
20.28da se medesmo move assai più lento.
21.1In trenta anni sen va correndo a cerco
21.2quel che rassembra a noi pigro, Saturno,
21.3più veloce de gli altri, e più corrente;
21.4ed in due volte sei placido Giove,
21.5ed in due anni appresso il fiero Marte
21.6(chè 'n questa guisa ei si conosce e noma
21.7dal volgo in terra), e 'n un sol anno il sole,
21.8e 'n poco men la graziosa stella,
21.9la qual lieta si leva inanzi a l'alba,
21.10e Lucifero ha nome; e poi n'appare
21.11Espero detta allor che 'l sol tramonta.
21.12E 'n quasi pari spazio in sè ritorna
21.13quel già creduto messaggier volante.
21.14In venti giorni poscia e 'n sette appresso
21.15fa il suo viaggio la più tarda luna,
21.16che più veloce assembra, e questo aviene
21.17perchè in giro minor si volge, e riede
21.18colà più tosto, onde si mosse in prima.
21.19E questa fu quasi maestra antica
21.20di partir l'anno, che 'n sei mesi e 'n sei
21.21divise a' suoi Romani il vecchio Numa.
21.22Però che tante volte il sol raggiunge,
21.23tornando a quel principio onde partissi.
21.24Ma prima in questa guisa i Greci ancora
21.25l'avean partito e i più vetusti Ebrei.
21.26Romolo poi, meno al celeste corso
21.27ch'al guerreggiare intento, e quasi rozzo
21.28de le cose divine, in diece parti
21.29l'avea diviso. E questo error corresse
21.30il saggio re sabin, canuto il mento.
21.31In questo modo i duo pianeti illustri,
21.32da chi gli scorge nel perpetuo corso
21.33furo ordinati col lor giro a l'anno.
21.34Anno è il ritorno del corrente sole
21.35dal segno istesso nel medesmo segno
21.36onde si parte; anzi nel punto affisso
21.37nel segno, quasi a termine costante.
21.38Perchè tornando a la medesma stella
21.39onde partissi, dilungata alquanto
21.40la trovarebbe, e trasportata a cerco,
21.41dal primo ciel col suo veloce ratto.
21.42Ma chi gli scorge a far la state e 'l verno?
21.43Questi l'Italia e tutta Europa appella
21.44col nome de gli dei bugiardi e falsi,
21.45ma pur angeli sono, e pure menti
21.46de l'alta providenza in ciel ministre;
21.47la qual dispose per camino obliquo
21.48i sette erranti, e 'n mezzo a gli altri il sole,
21.49perch'ei ci vari le stagioni e i tempi;
21.50e 'n questa guisa sia cagione al mondo
21.51ch'altri nasca, altri muoia, e vita in morte
21.52trasmuti, e morte in vita in giro alterno.
22.1Perchè, mentre lontano il sol dimora
22.2in quel lato, onde spira il nubilo Austro,
22.3di lunghissime notti il nostro adombra,
22.4e l'aria si raffredda, e si perturba
22.5d'ogni intorno a la terra, e in folta pioggia
22.6condensati vapori, e in larghe falde
22.7càgion di neve, che poi stretta in gelo
22.8ricopre il dorso de gli alpestri monti,
22.9e frenando a' gran fiumi il ratto corso,
22.10tardi gli rende, e quasi in saldo vetro
22.11converte paludi e i pigri stagni.
22.12Ma quando ei dal meriggio a noi ritorna,
22.13in mezzo quasi del camin ritondo,
22.14parte la notte e 'l giorno in spazio eguale
22.15e l'aria scalda con soavi tempre.
22.16Allor Zefiro spira, allor se 'n riede
22.17la primavera verdeggiante e lieta
22.18con l'erbe e i fiori, sua dolce famiglia,
22.19e gravida la terra il sen fecondo,
22.20che pur dianzi chiudea la neve e 'l ghiaccio,
22.21apre soavemente a' novi parti.
22.22Germoglian le fiorite ombrose piante,
22.23nascono gli animali in terra e 'n acqua,
22.24e si conserva la perpetua prole,
22.25insin che il sol, quanto più può, s'appressa
22.26a' freddi regni d'Aquilon nevoso.
22.27Dove ei nel Cancro si ritiene e ferma
22.28quasi il suo corso, e fa più lungo il giorno,
22.29e con più tardi passi omai per dritto
22.30sul capo nostro quasi egli si spazia,
22.31e l'aria d'ogn'intorno a noi riscalda.
22.32Arida fa la terra e i semi sparsi,
22.33e degli arbori i frutti ancor matura.
22.34In questo mese è fiammeggiante il sole
22.35oltre misura, e meno obliqui raggi
22.36spiega più d'alto ad illustrar la terra.
22.37Son lunghissimi allora i giorni estivi
22.38e brevissime l'ombre; ed a l'incontro
22.39ne' brevissimi giorni il corpo opaco
22.40lunghissime fa l'ombre opposto al sole.
23.1E questo aviene a noi che abbiamo albergo
23.2infra quel cerchio onde ritorna Apollo,
23.3e l'altro che da l'Orse il nome prende,
23.4poste non lunge a' gelidi Trioni.
23.5E noi mai sempre solo al destro lato
23.6l'ombre mandiamo inverso Borea e 'l Carro;
23.7ed altri sono in più fervente clima,
23.8i quai de l'anno uno e duoi giorni interi
23.9ombra non fanno, allor che gira il sole
23.10nel cerchio del meriggio, e d'altra parte
23.11con dritti raggi gli rischiara e scalda.
23.12Ed allora adiviene in quelle parti
23.13che per l'angusta bocca i cavi pozzi
23.14illuminati siano insino al fondo,
23.15come in Siene e 'n Berenice ancora,
23.16e più lontan ne l'onorata reggia,
23.17c'ha due rami del Nilo, e quinci e quindi,
23.18e da la suora di Cambise estinta
23.19ebbe già il nome e la famosa tomba.
23.20Ed oltre l'odorata aprica terra
23.21de gli Arabi felici, ha strana gente,
23.22che sparge l'ombra (e ne sortisce 'l nome)
23.23d'entrambi i lati, incontra 'l Borea e l'Austro.
23.24E questo avien, mentre vicino il sole
23.25a' freddi regni d'Aquilon trapassa,
23.26e già lieto n'accoglie il novo autunno
23.27ricco di pomi e del suo vin spumante,
23.28con verde ancora e pampinosa spoglia.
23.29Allora tempra i rai del sole estivo,
23.30scema gli ardori e l'ombra amica accresce,
23.31e la notte co' giorni in Libra agguaglia;
23.32ed innocente ne conduce al verno,
23.33in cui di novo il sol da noi si parte,
23.34e s'avicina a gli Arabi ed a gl'Indi.
23.35Questi sono del sole il moto e 'l corso,
23.36queste del tempo le vicende e i giri,
23.37per cui qui si governa umana vita.
23.38Ma degna ancor di maraviglia è l'arte
23.39del fabro eterno, e la sublime ed alta
23.40sua providenza, ch'a le strade oblique
23.41de' sette erranti il termine prescrisse,
23.42e via più angusta via ristrinse al sole.
23.43Però che solo il sol giamai non varia
23.44la torta linea, che divide e fende
23.45il cerchio de la vita in parti eguali.
23.46Gli altri escon fuor, o l'una o l'altra parte,
23.47qual più, qual meno; e la feconda luna
23.48vagar per tutto il cerchio ardita suole.
23.49Esce Venere fuor del cerchio istesso,
23.50più de la luna audace, e più feconda;
23.51e quinci avien che ne' deserti inculti
23.52sia l'Africa arenosa e l'India adusta,
23.53di sì vari animai nudrice e madre.
23.54Nè qui biasmar la providenza eterna,
23.55ch'a l'ordine del mondo, al sommo, al colmo
23.56di tutte l'altre cose in lui produtte
23.57giungon le dispietate e strane belve
23.58maraviglia e decoro, e i fieri mostri.
24.1Or mentre il sol per l'alta via rotando
24.2giamai non esce dal camin prescritto,
24.3mostra con questo chiaro illustre essempio
24.4al monarca del mondo il calle angusto
24.5da virtute e da legge a lui prefisso.
24.6E s'egli ha incontra da l'opposta parte
24.7la tonda luna, ch'al superbo Drago
24.8preme la testa o pur la coda ingombra,
24.9le niega i dolci raggi e 'l chiaro lume,
24.10e 'n mezzo si frapon l'arida terra,
24.11perchè la luna impallidita adombra.
24.12E se la vaga luna a lui s'aggiunge,
24.13il che due volte ne' Gemelli aviene,
24.14il sole in parte a noi s'oscura e vela.
24.15E quinci avisa che s'imbruna e perde
24.16per difetto là sù celeste luce,
24.17non è luce mortal nel basso mondo,
24.18non splendor di fortuna, onde s'abbaglia
24.19l'inferma vista de l'errante volgo,
24.20la qual talvolta non si turbi e manchi.
24.21E solleva il pensiero a l'alta e prima
24.22santa luce divina, e luce eterna,
24.23che là sù non conosce occaso od orto,
24.24nè difetto giamai, nè scema o langue.
24.25Ma già di nostra umanità vestita
24.26fece seco ecclissar turbato il sole,
24.27oltre suo stil, con maraviglia e scorno
24.28de la natura lagrimosa e mesta,
24.29nè la cagion conobbe umano ingegno.
25.1Ma come appressi e s'allontani il sole,
25.2perchè da sera la incostante luna
25.3nasca sempre, e 'n su l'alba ella s'asconda;
25.4perchè Saturno, Giove e 'l fiero Marte
25.5serbin ordin contrario, inanzi il giorno
25.6tutti nascendo, e poi caggendo a sera;
25.7e d'altri effetti sì diversi e tanti
25.8ch'appaion colà sù di spera in spera,
25.9varie fur le cagioni addotte in prova
25.10da varie sette in contemplar discordi.
25.11Altri, osservando i duo contrari moti
25.12ne' cieli, e dal primier conversi e rapti
25.13i men sublimi incontra 'l propio corso,
25.14disser che d'ogni cielo il propio centro
25.15centro è del mondo, e 'ntorno a lui si volge
25.16pieno e perfetto il lor ritondo giro.
25.17Nè questi sovra a gli stellanti chiostri
25.18han locato altro corpo ed altro cielo,
25.19ma poser sotto lor que' sette erranti,
25.20che fan sì varia l'armonia superna,
25.21e l'ammirabil sua celeste lira,
25.22molte dando a ciascun rotanti spere,
25.23come rote diverse o molti carri
25.24si danno ad un signor per vari effetti,
25.25de' quali il porta alcuno, altro il riporta
25.26per contrario sentiero, onde partissi.
25.27E de' globi volgenti e rivolgenti,
25.28qual più, qual meno, il lor giudizio abonda.
25.29Ma tre de le portanti e vaghe spere
25.30concede prima al sole il vecchio Eudoso.
25.31Tre similmente a l'incostante luna,
25.32quattro a gli altri pianeti. E di que' giri,
25.33che riportano indietro, un meno assegna
25.34fuor che a la luna, a cui nel loco estremo
25.35uopo non è chi la riporti o torni.
25.36Ma due poscia Calippo al sol n'aggiunse
25.37de le portanti; e due portanti ancora
25.38giunse al servigio del notturno lume.
25.39Sinchè in tutto cinquanta oltre le cinque
25.40fur numerate da gli antichi ingegni.
25.41Tanti carri, di stelle e d'or cosparsi,
25.42tante fervide rote e tanti ordigni,
25.43tanti e sì vari moti e tanti giri
25.44servono a la suprema eterna mole,
25.45che 'n se medesma si raggira e volge.
25.46E 'l gran maestro di color che sanno,
25.47quel che 'n mille sue scole insegna il mondo,
25.48seguì costoro, allor che 'n alto intese,
25.49forse con doppio error, che i corpi accrebbe
25.50molto, e molto scemò le pure menti.
26.1Ma la novella età via più conturba
26.2l'ordine antico, e sfere aggiunge a sfere,
26.3e moti a' moti; anzi tremante il cielo
26.4primo ci finge, e quasi infermo e stanco,
26.5mentre ch'egli s'appressa, o fa lontano.
26.6E 'n questa guisa baldanzosa ardisce
26.7vincer d'arte e d'ingegno il secol prisco,
26.8volgendo pur e rivolgendo intorno
26.9al propio centro, che del mondo è centro,
26.10i vari cieli a lor giudicio eterni.
26.11Altri per altra via seguiro Iparco,
26.12e Tolomeo, ch'a le stellanti sfere
26.13fa quasi oltraggio, e 'n lor divisa o finge
26.14i moti, e i cerchi assai distorti e strani.
26.15Mirabil mostro! e mentre al sol concede
26.16tre sfere erranti, senza dubbio afferma
26.17che quella, che fra l'altre in mezzo gira,
26.18non fa centro del mondo il propio centro,
26.19l'ultima in parte ancor distorce e piega.
26.20Afferma ancor che mentre il sol rotando
26.21va in questa guisa, or più s'appressa al centro
26.22de l'universo, or sen fa più lontano.
26.23Nel maggior cerchio ancora un picciol cerchio
26.24va immaginando, il qual si mova intorno
26.25sovra i poli suoi propi, e lasci il centro
26.26del mondo fuor del mezzo; e 'n lui ripone
26.27il sole, ora in sublime ed alto sito,
26.28ora in più basso, ora appressar la terra,
26.29or dilungarsi, or con distorto corso
26.30contra gli ordin de' segni andar errando,
26.31ora seguirlo; e ne l'istesso modo
26.32fa ritrosa la luna, e 'l suo bel cerchio
26.33finge ineguale, e non ritondo a pieno;
26.34e la figura le distorce e 'l corso.
26.35Così di queste due discordi sette
26.36l'una ben non dimostra e non ci appaga,
26.37l'altra, mostrando, è ingiuriosa ed empia
26.38contra i celesti giri, a cui la forma
26.39e ritonda e perfetta invidia e toglie,
26.40e 'l lor semplice moto. Onde natura
26.41disdegnosa sen duole e sen richiama.
26.42E la filosofia seco ripugna
26.43a l'apparenza, e con ragioni invitte
26.44le ribellanti scole a terra sparge.
26.45Ma 'l senso ancora a la ragione amico
26.46mostrar si può, s'altri in lontane parti
26.47peregrinando, a gli Etiopi adusti
26.48giungerà mai ne la fervente zona,
26.49dov'è 'l cinto maggior che fascia il mondo.
26.50Ivi, se 'l sole in quel suo picciol cerchio
26.51inegual si movesse, egual non fora
26.52il dì più lungo a la più lunga notte.
26.53E se la luna, pur nel cerchio impari,
26.54e non ritondo, si girasse attorno,
26.55uopo saria mutar talvolta il sito
26.56a quella macchia, ond'è 'l volto asperso.
26.57Dunque più non presuma ardito ingegno,
26.58incontra il vero, incontra il ciel superbo,
26.59finger nove là sù figure e mostri.
27.1Ma che? ci afferma ancor l'età vetusta
27.2le non credute maraviglie antiche.
27.3E de' suo' mille e mille e mille lustri,
27.4e mille e mille il favoloso Egitto
27.5par che si vanti; e 'n più moderne carte
27.6de le menzogne sue famose e conte
27.7la già vecchia memoria ancor non langue.
27.8E si ragiona ancora, ancor si scrive
27.9che nel girar de' secoli volanti
27.10la prima spera si rivolge intorno,
27.11non da l'orto lucente al nero occaso,
27.12ma dal settentrione al mezzogiorno.
27.13E quinci dimostrar, s'io dritto estimo,
27.14come il veloce sol più e più si affretti,
27.15mentr'ei declina pur dal cerchio obliquo.
27.16E gl'istessi affermar, crescendo ardire,
27.17che il sol due volte dal lucente occaso
27.18nacque, e due volte ancor morì ne l'orto,
27.19portando a noi da l'occidente il giorno,
27.20e lui chiudendo ne l'avversa parte.
27.21E 'l mutar di quel punto, in cui fermarsi
27.22ci sembra il sole, e far più lungo il corso,
27.23che solstizio nomò l'antica Roma,
27.24di tanto variar cagione esterna
27.25forse credeano; e fu da gli altri ascritto
27.26a l'alto ingegno de gli Egizi industri.
27.27E mutato il solstizio ancor si narra,
27.28perchè fu già ne' lucidi Gemelli,
27.29or è nel Cancro. È dunque instabil punto
27.30quel che sembra là sù sì forte affisso?
27.31Nè costante è del ciel l'ordine e l'arte,
27.32nè costanza è ne' corpi, o sian d'immonda
27.33rozza materia o di più scelta e pura.
27.34E se pur questo è ver, è vero ancora
27.35che del settentrion l'eccelsa parte
27.36fia nel meriggio alfin cangiata e volta;
27.37e quella in questa, e 'l sol che gira errando
27.38per le distorte vie d'obliquo cerchio,
27.39allor farà più dritto alto viaggio
27.40per quella fascia ond'è partito il mondo.
27.41Tante varietati e sì discordi
27.42vedrà, quando che sia, l'età futura,
27.43ne gli ordini supremi; e pur son queste
27.44del ciel le veci, ov'è chi 'l crede e 'l pensa?
27.45E di ciò la cagion si adorna e finge,
27.46mutando i regni, anzi pur regi al cielo,
27.47da cui l'un fu scacciato e l'altro impero
27.48già prese, de le stelle alto monarca.
27.49E regnando il primier, che fu Saturno,
27.50da la parte or sinistra il ciel si mosse.
27.51Poscia usurpando Giove alto governo,
27.52repente il volse dal contrario lato;
27.53e mutando del cielo il moto e 'l giro,
27.54tutte insieme cangiò le cose a forza
27.55qua giù soggette al variar de' cieli.
27.56Allor, come si finge uom curvo e bianco
27.57e ne l'ultima età vicino a morte,
27.58rivolse indietro a gli anni il propio corso,
27.59e ritornò verso l'età matura,
27.60e già perfetta; e quinci passo passo
27.61vago giovin divenne, e poi fanciullo,
27.62e con tenere membra alfine infante;
27.63e da l'infanzia giunse al fine estremo
27.64di questa vita, e si nascose in grembo,
27.65pargoleggiando, de l'antica madre.
28.1Oh di favole antiche ombroso velo,
28.2per cui traluce l'incostanza incerta
28.3de' corpi tutti, e de' supremi ancora!
28.4A' quali ha dato Dio perpetua legge,
28.5e lunghissima ancor, ma non eterna.
28.6Però, quando che sia, quiete averanno,
28.7cessando il lor continuo e certo corso.
28.8E ben di ciò vedransi in cielo i segni
28.9anzi il gran dì de l'ultimo spavento,
28.10in cui deve cadere accesa ed arsa
28.11questa del mondo ruinosa mole.
28.12Allor vedrassi il sol converso in sangue,
28.13ed altri segni spaventosi e fieri
28.14nel volto mostrerà l'orrida luna.
28.15Però disse (creando) il fabro eterno:
28.16"Siano i segni ne' tempi, e sian ne' giorni,
28.17e sian ne gli anni i segni". E i segni or sono
28.18pur quasi note ne la luna impresse,
28.19e 'n fronte al sol medesmo, ond'ei ci mostra
28.20ciò che fa d'uopo a la terrena vita
28.21de' faticosi e rigidi mortali.
28.22Spesso in turbata vista anunzia il cielo
28.23venti e procelle e tempestosa pioggia.
28.24E l'arida stagion conosce ancora
28.25l'uom già canuto e per lungo uso esperto.
28.26Ed una pur di tante cose insegna
28.27quel ch'è vero Signore e vero mastro,
28.28quando egli disse: "Rosseggiando il cielo
28.29già si contrista, onde sarà tempesta".
28.30E questo avien, quando si move il sole
28.31per entro fosca e tenebrosa nube
28.32de l'aer denso e 'mpuro, onde traluce,
28.33quasi per colorato e grosso vetro.
28.34Però sanguigno, quasi involto ei sembra,
28.35o quando intorno al sol si gira e volge
28.36gemino sole, e pur tre soli insieme
28.37fan di sè spaventosa e fiera mostra,
28.38sì come vide già l'antica Roma,
28.39ed ora a' nostri tempi avien sovente
28.40là sotto i sette gelidi Trioni.
28.41Talor veggiam entro l'oscure nubi
28.42distese in lungo variar le verghe
28.43i colori de l'Iri, e fiero turbo
28.44quinci ancor si dimostra e pioggia e nembo,
28.45almen d'aria mutata indizio aperto.
28.46L'instabil luna ancora a noi predice
28.47col vario aspetto il variar de' tempi.
28.48Perchè sottile e pura il terzo giorno,
28.49stabil serenità promette e segna.
28.50Ma s'ella ingrossa mai l'un corno e l'altro
28.51quasi vermiglia, allor altrui minaccia
28.52gran pioggia e folta, e pur di torbido Austro
28.53il violento impetuoso assalto.
28.54Ma i vari segni in ciel via più distingue
28.55ne' regni d'Aquilon, canuto e scaltro
28.56per lunga esperienza il buon nocchiero.
28.57E se giamai quella che il sol circonda,
28.58nebilosa corona, o l'auree stelle,
28.59in se medesma si dilegua e cade,
28.60quasi egualmente al suo sparir s'attende
28.61un placido sereno e 'l mar tranquillo.
28.62Ma quando ad una parte ella si frange,
28.63da quella, onde si rompe il bel contesto
28.64de l'aerea corona, attende il vento.
28.65Se da più parti ella si squarcia e solve,
28.66nascono da più lati i feri spirti
28.67quasi repente, e fan contesa e guerra
28.68in cielo e 'n mar, ch'è tempestoso campo
28.69delle sonore e torbide procelle.
28.70Ma questi segni fa costanti e vari
28.71l'alto voler di lui, che move il tutto.
29.1Così li piaccia a noi pace tranquilla
29.2mostrar da l'alto, e disgombrar d'intorno
29.3quel che sovrasta minaccioso e grave
29.4a questa vita procellosa e 'ncerta.
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