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3° Giorno

Il mondo creato

PoeTree.it

1.1Sono città del suo valor superbe,
1.2e di bellezza e d'arti varie e d'opre
1.3maravigliose, e di edifici eccelsi,
1.4od onorate pur di gloria antica,
1.5che dal nascer del giorno al sol cadente,
1.6e talor anco insin che gira intorno
1.7la fredda notte il suo stellato carro,
1.8empion di turba lieta e di festante
1.9piazze, campi, teatri adorni e logge,
1.10ove a' diletti vari intende e passa
1.11l'ore del dì fugaci e le notturne
1.12lunghe ed algenti; e nel volar del tempo
1.13pur se medesma volontaria inganna.
2.1Altri da l'apparente e vana fraude
2.2d'arte fallace, ond'è schernito il senso,
2.3deluso pende, e ne' prestigi incerto
2.4maravigliando quasi il falso afferma.
3.1Ed altri a l'armonia di vari accenti,
3.2o pur al dolce suon di cetra o d'arpa,
3.3che l'alme acqueta e il cor lusinga e molce,
3.4e gli tien lieti o mesti in varie tempre,
3.5oblia le cure. Altri carole e balli
3.6lieto rimira, e d'impudica donna,
3.7che 'n varie guise, e quasi in varie forme
3.8le pieghevoli membra e muove e cangia,
3.9mira i lascivi salti e i modi e l'arti
3.10lusinghieri e vezzosi, e parte agogna.
4.1O dove splende pur dipinta scena
4.2di colori e di lampe, e quinci inalza
4.3gli archi e le mete, e 'ntorno a' sacri tempi
4.4con marmorei giganti alte colonne,
4.5piange i casi d'Edippo o di Tieste;
4.6e 'n finto cielo il finto sol gli appare
4.7tornar turbato a dietro in mezzo il corso;
4.8o con Davo e con Siro allegro ride
4.9degli scherniti vecchi i falsi inganni.
5.1Altri i destrier feroci e pronti al corso,
5.2a destra ed a sinistra in giro volti
5.3risguarda, o 'n chiuso arringo o n'largo campo
5.4i simolacri pur d'orrida guerra
5.5al chiaro suon de la canora tromba
5.6contempla, e de i guerrier l'insegne e l'arme.
5.7E lor virtù con lieti gridi essalta.
6.1Ma noi, che 'l Re del ciel, fattore e mastro
6.2d'opre meravigliose invita e chiama
6.3a contemplare il magistero e l'arte
6.4divina, e questo suo lavoro adorno,
6.5ch'è di cose celesti e di terrene
6.6con sì diverse tempre in un contesto,
6.7sarem pigri a mirarlo? o pur languenti
6.8ascolterem come l'eterno fabro
6.9fè di sua man le maraviglie eccelse?
6.10E non più tosto rimirando intorno
6.11questa sì varia e sì mirabil mole,
6.12ciascun per sè con la sua mente indietro
6.13ritornarà, pensando al primo tempo
6.14ch'ebbe principio il tempo e 'l novo mondo?
7.1In guisa di gran volta il ciel ricopre
7.2le somme parti e gli stellanti chiostri,
7.3onde con tante faci altrui risplende
7.4questo sacrato a Dio sereno tempio.
7.5E 'n se medesma si riposa e fonda
7.6la gravissima, vasta e rozza terra;
7.7e l'aer vago si diffonde intorno
7.8tenero e molle, in cui non trova intoppo
7.9chi si move per lui, sì pronto ei cede,
7.10e ch'altri il fenda di leggier consente.
7.11Senza contesa egli si sparge a tergo,
7.12umido nutrimento a chi respira
7.13porgendo, e dolce refrigerio interno,
7.14tanto è l'aer amico al vago spirto.
7.15L'acqua ancor nutre; ed opportuna a gli usi
7.16della vita mortal nel mondo immondo
7.17ordinata lor fu dal Padre eterno.
7.18Ma non contenta già d'incerta sede
7.19ebbe termine propio e certo loco
7.20tra suoi certi confini, in cui s'accolse
7.21ubbediente, e ragunossi insieme
7.22al comandar de la divina voce.
8.1Disse il gran Dio: "L'acqua, ch'è sotto al cielo,
8.2in una ragunanza omai s'accoglia,
8.3perchè l'arida fuori indi si veggia".
8.4E così fatto fu. L'acqua repente,
8.5ch'è sotto i giri del sereno cielo,
8.6nelle sue ragunanze allor s'accolse,
8.7onde veduta fu l'arida parte;
8.8e l'eterno fattor per propio nome
8.9l'arida chiamò terra, e l'acque ondose
8.10mare nomò ne gli ampi spazi accolte.
8.11E come suol talor ceruleo velo,
8.12che gran teatro ricoprendo adombri,
8.13quinci e quindi ritratto in sè raccorsi,
8.14e discoprir de la dipinta mole
8.15archi, statue, colonne, altari e tempi:
8.16così al raccor de l'umida natura,
8.17ne l'arida appariro il piano e i colli,
8.18e gli altissimi monti alzar la fronte,
8.19dianzi coperti, imperiosi in vista.
8.20E 'l mare ondoso mormorando a pena
8.21lavava i piedi al mauritano Atlante,
8.22e del gran Tauro e di Parnaso e d'Ato,
8.23ch'allungar può la breve e fragil vita
8.24de' mortali egri, e d'Apennin nevoso
8.25l'ime parti bagnava, e quinci e quindi.
8.26E correvano al chin dal seno alpestro
8.27de gli aspri monti i rapidi torrenti,
8.28e con rimbombo impetuoso, al corso
8.29precipitando gian le torbide onde;
8.30correano a basso i quieti e lenti fiumi,
8.31e 'n giù correano i lucidi ruscelli.
8.32Però che Dio con la parola eterna,
8.33che scendesser correndo a l'acque impose,
8.34e da principio l'affrettare il passo
8.35fu comandato a l'umida natura
8.36de l'acque vaghe. E lor negò quiete
8.37de la divina voce il santo impero.
8.38Perchè ne l'ozio l'acqua è pigra e torpe;
8.39e là dove ella s'impaluda e stagna,
8.40da neghitoso grembo esala intorno
8.41vapor grave e nocente, e fieri spirti
8.42d'aure maligne, onde perturba il cielo
8.43e quasi l'aria infetta, e parte in seno
8.44malsano nutrimento accoglie e serba
8.45nel suo limo tenace, onde sovente
8.46lo sfortunato abitatore ammorba.
9.1Ma l'acqua che veloce in giù discende,
9.2da qual parte il suo corso ella rivolga,
9.3salubre i sani in su l'erbose rive
9.4nutre, e i tesori suoi lieta dispensa:
9.5pesci con auree squame e molle argento,
9.6o liquidi cristalli onde s'estingua
9.7l'ardente sete a' miseri mortali.
9.8Ma più salubre è, se tra vive pietre
9.9rompendo l'argentate e fredde corna,
9.10incontra il novo sol che 'l puro argento
9.11co' raggi indora, i passi in bene avanza,
9.12quasi rimembri obediente ancella
9.13de l'alta voce ancora il suon celeste,
9.14che pria la mosse e la fè pronta al corso.
9.15Ma s'è natura pur ch'è propia a l'acque,
9.16l'andare a basso e 'l non fermarsi in alto,
9.17ricercando quiete in umil parte,
9.18a che fu d'uopo la divina voce?
9.19Bastar potea la sua natura al corso,
9.20e fu soverchio il commandar severo
9.21che le tolse il riposo, e 'n moto eterno
9.22la fè inquieta, instabile e vagante.
9.23E pur fu necessario il santo impero,
9.24però che 'l suon de la parola eterna,
9.25se criò l'acque, creatore insieme
9.26fu de la mobil sua natura errante,
9.27che la conserva; e nel suo moto eterna
9.28quasi la rende, e l'assomiglia al cielo.
9.29Onde la sua natura è certa legge
9.30de l'immutabil verbo, e certa sede
9.31dopo il suo lungo corso a lei prescrive.
9.32Ma quivi ancor da le superne rote
9.33agitata si move, e torna indietro,
9.34cedendo intanto a l'arenosa terra
9.35gli usurpati confini. E 'n questa guisa
9.36segue del sole e de le stelle erranti,
9.37ma più de la vicina e bianca luce,
9.38il certissimo errore e 'l vago giro;
9.39e da sei ore in sei s'avanza o scema.
9.40Però che quando a l'orizonte ascende
9.41la vaga luna, in riva al mar sonante
9.42cresce il canuto flutto, e i lidi inonda
9.43vittorioso, e parte o copre o sparge
9.44d'arida terra, insin ch'al sommo cielo
9.45aggiunga de la luna il freddo carro.
9.46Quinci mentre ella a l'orizonte estremo
9.47declina in ver l'occaso, il mar decresce,
9.48e 'n se medesmo si raccoglie e scopre
9.49di bianchissima spuma i lidi aspersi.
9.50Ma ferve il mar di novo, e 'n fera vista
9.51gonfia l'onde spumanti, e spazio ingombra
9.52ne l'occupata terra, allor che torna
9.53ella a quel punto de l'opposta parte,
9.54e ne l'altro emispero ad altre genti
9.55altissima risplende in mezzo al cielo.
9.56Di novo cala il mare, e 'n umil faccia
9.57l'onde, fervide dianzi, appiana e queta,
9.58e par che fugga ed abandoni il lito,
9.59quando la luna fa ritorno in alto
9.60nel suo oriente, ond'ella a noi si mostra.
10.1Ma non serba ogni mar l'istessa legge,
10.2quando egli cresce o scema, e varia 'n parte
10.3l'ordine e 'l moto, e 'n altri modi ondeggia.
10.4Presso i Tauromitani assai più spesso,
10.5e ne l'Eubea, come si legge, il mare
10.6ben sette volte il dì s'avanza e scema.
10.7Gran maraviglia, onde sublime ingegno,
10.8affaticato e vinto, a morte aggiunse,
10.9mentr'ei cercando la cagione occulta,
10.10si dolse che natura a noi l'asconda
10.11nel suo profondo e tenebroso grembo.
10.12Ma tre fiate il giorno assorbe e mesce
10.13l'onde la tempestosa empia Cariddi,
10.14da cui latra non lunge orrida Scilla.
10.15Altri mari vi son, come s'afferma,
10.16che ne lo spazio pur d'un mese integro
10.17soglion due volte alzar l'onde spumose
10.18e due volte inchinarle in sè ripresse.
10.19Anzi nel mar degli Etiopi adusti
10.20non v'ha flusso e reflusso. E più lontano
10.21sotto un altro emispero e un altro polo,
10.22in cui non splende il pigro Arturo e l'Orsa,
10.23solca un gran mar d'una perpetua pace
10.24l'ardito navigante. E quel ch'intorno
10.25la terra mormorando ognor circonda
10.26indomit'ocean, respinge e caccia
10.27lunge nel crescer suo torrenti e fiumi:
10.28tal che paion, fuggendo, i porti e 'l lido
10.29lasciar per tema, e le deserte arene,
10.30e tornarsene indietro a' propi fonti:
10.31tanto è il poter che gli reprime e sforza
10.32de l'ocean, che mugge alto e superbo.
10.33Ma 'l Ligustico seno, e quel de' Toschi,
10.34ch'ondeggia appresso a la novella Pisa,
10.35ch'a più onorati studi i premi serba,
10.36e le corone a le più dotte fronti,
10.37non ha quasi de l'onde il moto alterno.
11.1Ma se da prima l'acque al chiaro suono
11.2fur mosse già da la divina voce,
11.3perchè cercare in terra o 'n mezzo a l'onde
11.4altra cagion del lor perpetuo moto,
11.5o pur là sù fra li stellanti chiostri?
11.6Come fer molti, il cui pensiero ondeggia
11.7pur quasi d'acqua il tremolante lume.
12.1Altri al moto divino, onde si gira
12.2la spera più sublime, assegna e rende
12.3l'alta cagione; altri a le stelle erranti,
12.4a quelle più de la più bassa luce,
12.5ch'è più vicina, a quinci ha maggior forza
12.6ne le cose mortali a lei soggette.
12.7E di questi, altri vuol ch'obliquo o dritto
12.8il bianco raggio inalzi l'onde o spiani;
12.9altri che de la luna il pieno aspetto
12.10riempia il mar di tempestoso flutto
12.11e scemando lo scemi; ed altri afferma
12.12che per consentimento di natura
12.13tacito imiti il mar del cielo il corso;
12.14ma sono questi in ciò quasi concordi.
13.1Altri de' venti al respirare obliquo,
13.2e 'n se stesso ritorto, il corso a l'onde
13.3ritorce, e le commove or quinci or quindi.
13.4Altri fu, che seguendo antica fama,
13.5disse che 'l mar, quasi spirante e vivo
13.6grande animal, che del gran mondo è parte,
13.7manda fuori e raccoglie il corso e le onde,
13.8spirando e respirando in vari modi.
13.9Altri ne l'inegual suo letto angusto
13.10non vuol che trovi il mar riposo o pace,
13.11e quinci sempre egli si mova e lagni
13.12con roco pianto; e l'inquieto regno
13.13gli sia di guerra pur turbato campo.
13.14Ma più si mova fra le parti eccelse,
13.15che son quelle rivolte al freddo Carro,
13.16là dove sempre di gelato umore
13.17gravidi e pieni son gli orridi monti,
13.18lo qual compresso in mar si stilla e versa.
13.19E perchè la gelata alta palude,
13.20che l'Aquilon superbo astringe e 'ndura,
13.21è più sublime assai, però discende
13.22ne l'inospite Eussino. E quel trascorre
13.23nel mar Egeo col suo veloce flutto.
13.24Ma poi respinto d'arenosa piaggia
13.25fa l'Egeo ne l'Eussin ritorno, e riede
13.26l'Eussin ne la Meotica palude.
13.27Quinci hanno i mari ognor flusso e reflusso.
14.1Alcun vi fu di più sublime ingegno,
14.2ch'a non giuste bilance il mar somiglia,
14.3ed una parte sua solleva in alto,
14.4l'altra deprime a l'arenoso fondo;
14.5ma da quel favoloso antico varco,
14.6ove Alcide inalzò le mete e i segni,
14.7come si disse, e da l'ondose porte,
14.8se pur sue porte ha l'ocean profondo,
14.9in guisa di torrente il mar si sgombra
14.10di seno in seno; e con diversi aspetti
14.11egli se stesso pur figura e stringe
14.12tra' curvi lidi e l'arenose sponde.
14.13Anzi fu l'alta man del mastro eterno,
14.14che 'n tante forme figurollo e finse,
14.15or facendo il mar lungo, or tondo, or quadro
14.16e 'n guisa di piramide e di croce
14.17anco formollo, e di mirabil vaso:
14.18sì come là, dove il Tireno inonda
14.19di Partenope bella i lidi e i colli,
14.20gran tazza colma di spumoso umore.
15.1Ma qual si sia del mar la forma o 'l moto,
15.2posa diurna mai, posa notturna
15.3non trova, nè silenzio in chiaro tempo
15.4od in turbato, ed in orror profondo,
15.5benchè i silenzi ne l'amica notte
15.6abbia la luna. Io la cagion primiera
15.7non reco al sole o a le stelle erranti,
15.8non a' raggi di luna obliqui o dritti,
15.9non al ritorto respirar la rendo
15.10de gl'inquieti venti o al vario fondo,
15.11in cui s'appende il mar sospeso in lance.
15.12Chè la prima cagion fu l'alta voce,
15.13movendo il cielo in giro e i mari insieme.
15.14Da' quai, com'altri disse, in giro parte
15.15l'onda, ed al suo principio in giro torna.
16.1Deh, se giamai sovra una viva fonte
16.2che d'acqua intorno larga copia spande,
16.3sedesti lasso, e nel pensier t'occorse
16.4chi è colui, che fuor del seno algente
16.5della profonda e tenebrosa terra
16.6manda fuor l'acqua, e chi la spinge avanti,
16.7perch'ella mai non cessi e non s'arresti?
16.8quai sono i vasi e le spelonche interne
16.9da cui deriva? ed a qual loco affretta
16.10mai sempre il corso? ed onde aviene e come
16.11che questa mai non manchi e quel non s'empia?
16.12Questi effetti sì ascosi al nostro senso
16.13pendon da quella prima e chiara voce,
16.14ch'a l'acque indulse, e le fè pronte al corso.
17.1Tu, che volgesti pur le carte antiche
17.2e spesso volgi le moderne illustri,
17.3ricorda pur fra te come rimbombi
17.4di quella prima voce il chiaro suono:
17.5"Si ragunino l'acque". E quinci inalza
17.6il tuo pensiero a le cagioni eterne.
18.1Il correr pria fu necessario a l'acque,
18.2per occupar la certa ed ampia sede:
18.3giunte nel propio loco, a lor convenne
18.4in se stesse fermarsi, ed oltre il corso
18.5non affrettar con un perpetuo errore.
18.6E quinci certo avien ch'al fin si scorga
18.7ogni torrente in mare, e 'l mar non s'empie:
18.8perchè fu dato in sorte a l'acque il corso,
18.9e circonscritto entro a' confini il mare,
18.10come impose il buon Re che fece il mondo.
18.11E quel suo comandar fu prima legge:
18.12legge eterna e comune, a cui rubella
18.13non è natura, e tra gli spazi angusti
18.14queta il mar violento il fiero orgoglio.
18.15Se ciò non fosse, ei già diffuso e sparso
18.16coperto avria con un dilluvio eterno
18.17la bassa terra ch'ei circonda e parte.
18.18Nè quel di lei, che fuor de l'acque appare,
18.19picciolo spazio, ei lascerebbe intero
18.20a' faticosi e miseri mortali.
19.1Quando agitato è più fra tuoni e lampi
19.2dal gran furor de' procellosi spirti,
19.3e volge al lido e sino al cielo inalza
19.4gran monti d'onda rapidi e spumanti,
19.5a pena tocca l'arenose rive,
19.6che 'l suo furor si frange; e 'n lieve spuma
19.7d'impeto si dissolve, e rotti e sparsi
19.8caggion i monti, ond'ei ritorna indietro:
19.9qual de l'arena più minuta o vile
19.10o debil cosa più trovar potreste?
19.11o qual più violenta e più superba
19.12de l'orgoglioso mare? E pure a freno
19.13l'arena tien del mar l'orgoglio e l'ira.
20.1E non temerem noi quel Re superno,
20.2che pose al mar con sì mirabil arte
20.3per termine l'arena? e perch'uom pensi
20.4al magistero, egli medesmo il dice.
20.5Qual potrebbe altro intoppo o qual divieto,
20.6qual podestà terrena o legge o forza
20.7tenere il Rosso mar, sublime e gonfio,
20.8ch'a l'Egitto, di lui più cavo e basso,
20.9fatto avria prima impetuoso assalto,
20.10e lui sommerso entro i suoi vasti abissi?
20.11Già con l'Indico mar si fora aggiunto
20.12senza fatica e senza ingegno od opra
20.13de gli industri mortali e senza il vanto
20.14de' superbi tiranni. Il gran Sesostre,
20.15ch'i regi catenati al duro giogo,
20.16quasi cavalli o buoi, soggetti a forza
20.17tenne, e tragger gli fece il propio carro
20.18per le già dome e soggiogate genti,
20.19quel Sesostre (dico io), terrore e scempio
20.20de' regni d'Aquilone, ov'egli in alto
20.21pose la sede (e ben di ciò si gloria
20.22con fama antica il favoloso Egitto),
20.23quell'istesso Sesostre il mar de gl'Indi
20.24e l'Eritreo tentò d'unire insieme
20.25con quel d'Egitto, e la mirabile opra
20.26il re possente abbandonò, temendo
20.27che sommersa dal mar la verde terra
20.28non rimanesse. E quella istessa tema
20.29poscia ritenne il successor di Ciro.
21.1Eran, quando fu dato il corso a l'onde,
21.2pieni di cavernosi e curvi monti
21.3gli antri e le tenebrose atre spelunche,
21.4e le valli palustri in varie forme
21.5pendenti, ed ime in fra montagne e colli.
21.6E, quasi eguali al mare, i larghi campi
21.7eran già colmi di argentato umore,
21.8e tutti insieme si votar repente
21.9al comandar de la divina voce.
21.10Da cui l'acque fur mosse, e in giù sospinte
21.11da le quattro del mondo avverse parti,
21.12e 'n una ragunanza insieme accolte.
21.13Anzi nel tempo istesso allor costrutti
21.14per opra fur de la divina destra
21.15i larghissimi vasi, i fonti e l'urne,
21.16e gli altri lochi, in cui s'accoglie o versa.
21.17Non era ancor di là del varco angusto
21.18che divide con l'onde Abila e Calpe,
21.19anzi Libia ed Europa, il mar d'Atlante,
21.20nè quel sì spaventoso a' naviganti
21.21tempestoso ocean, che 'ntorno inonda
21.22di Gerione i fortunati regni,
21.23e l'Inghilterra e la vicina Irlanda;
21.24ma fur di quella voce al gran rimbombo
21.25fabricate le rive e 'l vasto letto,
21.26in cui si radunar l'acque correnti.
22.1Nè contra il vero insuperbire ardisca
22.2l'esperienza de' mortali erranti
22.3fallace e vana, a cui di pochi lustri
22.4il brevissimo spazio orgoglio accresce.
22.5Perchè, dico io, se ben riguardi e pensi
22.6il numero de' secoli volanti,
22.7a lui non giunge esperienza umana.
22.8E non adduca incontra noi l'esperto
22.9che del mondo cercò le parti estreme,
22.10fosse, stagni fangosi, imi e palustri
22.11laghi, in cui si raccoglie il pigro umore,
22.12che Dio stimò di sì gran nome indegni,
22.13e mari egli chiamò sol l'ampie e grandi
22.14ragunanze de l'acqua, anzi quell'una
22.15grandissima e perfetta, in cui s'accoglie,
22.16come in suo luogo, il liquido elemento.
23.1E come il foco, che diviso e scevro
23.2in parti minutissime, risplende
23.3qui per nostro uso in verde legno, e 'n esca
23.4arida, in forma di carbone acceso,
23.5o di lucida fiamma o di fumante,
23.6per cui si sparge in cenere e 'n faville,
23.7ma sotto il ciel, ch'è men sublime ed ampio,
23.8nel cavo spazio si raccoglie insieme;
23.9o come l'aria, che si spande e spira
23.10per varie parti, e ne l'occulto grembo
23.11passa de l'onda, onde gorgoglia e spuma,
23.12e fra spelunche e cavernosi monti
23.13penetra ancora, e ne l'interne vene
23.14de la profonda e tenebrosa terra,
23.15ma pure insieme il propio loco ingombra;
23.16così l'acqua non men s'aduna e sparge
23.17in vario letto e tra confini angusti,
23.18ma poi raccolto in voto spazio e vasto,
23.19empie il salso elemento il propio sito.
23.20L'altre acque in varie parti insieme accolte,
23.21a questa somiglianza anco sortiro
23.22de' mari il nome sì famoso e illustre.
23.23Sì come là, dove Aquilone algente
23.24versa mai sempre le pruine e 'l gelo
23.25e i larghi campi e gli aspri monti agghiaccia,
23.26che son canuti di perpetua neve.
23.27Ivi, come la fama a noi divulga,
23.28sono ampissimi stagni, e nel profondo
23.29letto e fra le superbe orride rive,
23.30quasi emule del mar alte paludi;
23.31e in gel converse, anzi indurate e strette,
23.32quasi in lucente adamantino smalto,
23.33de le veloci rote il corso e 'l pondo
23.34sostengon del gravoso ed ampio carro
23.35che gli animali ignoti a' nostri sensi
23.36soglion tirar, la fronte alta e superba
23.37di più ramose armati e lunghe corna,
23.38facendo lunga strada al grave plaustro
23.39là 've dianzi correa spalmata nave.
24.1Ma di tutti maggior candido lago
24.2là sotto i sette gelidi Trioni
24.3biancheggia, e quasi eguale al mare Ircano
24.4molte ha d'intorno a le sue algenti sponde
24.5città, provincie, regni, ignote genti,
24.6popoli barbareschi; e questi a caccia
24.7van per le rive, chè gli augei volanti
24.8o su per l'onde e dentro a l'onde istesse
24.9cercan l'umida preda e 'l cibo usato
24.10de gli animai squamosi e de gli alati.
24.11Botnia, Botnia pescosa, assai vicina
24.12a i più lontani ed ultimi Biarmi,
24.13intra que' suoi gelati orridi monti
24.14ha molti quasi mari; e nutre e pasce
24.15pur di quell'esca le propinque genti,
24.16e potria mezzo nutricarne il mondo.
24.17Nè di Venere il lago in altra parte,
24.18che sotto l'Orse si dilata e spande,
24.19e nel suo spazioso e largo seno
24.20per ventiquattro porte i fiumi accoglie,
24.21ch'entrano in lui; ma solo aperto un varco
24.22lascia al precipitoso uscir de l'acque,
24.23che per sassoso calle al mar sonante
24.24corrono, e 'l suono i suoi vicini assorda.
24.25Ei molti accoglie ne l'ondoso grembo
24.26isole e tempi sacri al Re celeste,
24.27in cui s'adora con pietoso culto.
24.28Quivi il lago di Melce anco vi stagna
24.29fra 'l regno di Suezia e quel de' Goti.
24.30Quel di Vetere appresso ivi mareggia,
24.31e di fulmine il tuono, o di metallo
24.32imitator del fulmine, rassembra
24.33con quel de l'acque, allor che d'alto il corso
24.34move precipitando: onde sovente
24.35tonar diresti e fulminare il ferro,
24.36che l'alte mura impetuoso atterra.
24.37E l'uno e l'altro di metalli abonda,
24.38sì ricche son l'aventurose rive
24.39di gran vene d'argento e di ferrigne.
24.40Ha 'l regno di Norvegia il propio lago,
24.41che 'n vece di prodigio in sen si nutre
24.42orrido, spaventoso, empio serpente.
24.43L'ha quel d'Ibernia, ov'uom languente ed egro
24.44non può stanco spirar lo spirto e l'alma,
24.45se quinci non è tratto. E fra' Britanni
24.46si vede un lago, che pur scema e cresce
24.47con ordine contrario al mar sonoro:
24.48in cui, quando egli cala, il lago inonda,
24.49ma l'onde a sè raccoglie e torna indietro,
24.50quando più ferve l'ocean superbo.
24.51Ha Scozia il Tazio di famoso grido,
24.52e la maravigliosa alta palude,
24.53che quando è più sereno e puro il cielo,
24.54nè si movon per l'aria o venti od aure,
24.55si gonfia, non so come, e l'onde accresce.
24.56Molti Germania e Francia, e quel famoso,
24.57da cui il Rodan si parte e 'n mar trascorre.
24.58A la palude Lugea, onde si vanta
24.59la nobil Carnia, lunga età vetusta
24.60non ha scemato ancor l'onore e 'l grido:
24.61quivi si pesca prima; e poi ch'è fatta
24.62secca ed asciutta, in lei si sparge il seme
24.63e si raccoglie; e tra le verdi piante
24.64prende l'abitator gl'incauti augelli.
24.65E 'n tal guisa divien che 'n vari tempi
24.66l'istessa sia palude e campo e selva.
24.67E di Tracia e d'Arcadia ancor son conte
24.68le maraviglie; e ne l'avversa parte
24.69del mondo, dove il sole asciuga ed arde
24.70la terra, sono ancor nel suolo adusto
24.71di mirabil virtù paludi e stagni,
24.72a cui di mar non fu negato il nome.
25.1In Giudea per miracolo s'addita
25.2quello in cui piovve già dal cielo ardente
25.3la giusta fiamma, e l'altro a lui vicino,
25.4onde prima il Giordan si move e scende.
25.5Fra Palestina giace e 'l verde Egitto
25.6ne' deserti d'Arabia un ampio lago
25.7detto di Semhovite. Or perchè narro
25.8o d'Arabi o di Siri acque stagnanti?
25.9s'ancor la terra d'Etiopi e d'Indi,
25.10via più soggetta al sol, s'irriga e bagna
25.11de' suoi laghi famosi? e si racconta
25.12che d'alcuni bevendo uom folle e stolto
25.13tosto diviene, e pur dal sonno oppresso
25.14si giace e da mortifero letargo.
25.15Oltra le mete ancor d'Alcide e i segni,
25.16fra 'l tropico del Cancro e l'ampio cinto
25.17che la spera maggior divide e fascia,
25.18ne' regni dianzi ignoti un lago ondeggia,
25.19lo qual non d'ora in ora o scema o cresce
25.20nè d'uno in altro giorno, e non s'avanza
25.21di stagione in stagione o d'anno in anno.
25.22Ma in guisa d'uom terren, che tardi aggiunga
25.23al suo perfetto stato, e tardi ancora
25.24declinando di sè minor divegna,
25.25per cinquanta anni egli s'accresce e colma,
25.26ed altrettanti poi si scema e vota.
26.1Ma dove, Italia bella, omai tralascio
26.2i laghi tuoi descritti in mille carte
26.3e chiarissimi ancor di fama e d'onde?
26.4Chi tace il Trassimeno? o quel ch'accoglie
26.5nel dolce seno la città di Manto?
26.6o 'l grandissimo Lario o 'l gran Benaco,
26.7ch'assomiglia del mar l'orgoglio e l'onde?
26.8o tanti altri, onde lieta ancor t'inondi?
26.9Perchè taccio io le maraviglie antiche
26.10de' stagni di Rieti, in cui vedeansi
26.11l'isolette ondeggianti ir quasi a nuoto?
26.12o nel lago Tarquinio i boschi ombrosi
26.13ir su per l'onde, e variar sovente
26.14forma e sembianza or con ritondo giro,
26.15or con tre lati, e fare il terzo acuto?
27.1Ma de l'opre di Iddio chi mi trasporta
27.2a narrar di natura i vari effetti
27.3antichi e novi? e riempir le carte
27.4sacre a la maestà del Re superno
27.5d'altro onor, d'altra istoria e d'altro nome,
27.6o d'altre rare maraviglie eccelse,
27.7che de le sue medesme? o pur son anco
27.8l'opere di natura opre divine?
27.9E 'l magistero di natura è l'arte
27.10del fattor primo, ond'è fattura e figlia
27.11la gran madre natura; e 'n lei s'onora,
27.12e 'n lei si riconosce e si contempla
27.13il saper e 'l poter che tutto avanza
27.14de l'alto Re, ch'è suo fattore e Padre.
27.15Lo qual de' mari diè l'imago e 'l nome,
27.16e l'ondeggiar con tempestoso flutto
27.17a l'acque insieme accolte. E pur di tante
27.18fece un sol mar con magistero illustre,
27.19ma pur in parte occulto a' sensi erranti,
27.20ed uno sol de l'acque ampio elemento;
27.21a cui fra la gravosa e stabil terra
27.22e l'aer leve e vago egli prescrisse
27.23la sede e 'l propio loco, e quinci e quindi
27.24pose i fermi confini e quasi eterni.
28.1Un solo adunque è il mare insieme aggiunto
28.2d'acque infinite e d'infiniti abissi,
28.3come affermar quei che di sole in guisa
28.4lustrar la terra o circondarla intorno,
28.5peregrinando da l'occaso a l'orto
28.6o da' regni di Borea a' regni d'Austro.
28.7Bench'alcun sia che stimi il mar Ircano
28.8da ciascun altro mar scevro e disgiunto,
28.9perchè tutto di rive intorno è cinto.
28.10Nè dimostra altrimenti il vago senso,
28.11come ben dimostrò l'antico errore
28.12di chi pensò che ne l'istessa guisa
28.13separato ancor fosse il mar Vermiglio
28.14e quel de gl'Indi. Ma non senso o certa
28.15esperienza di mortali industri
28.16può dimostrar ch'a gli altri mar unite
28.17sian l'onde caspie, che divise e 'ntorno
28.18son circondate da sì lunga terra.
28.19Ma sol il peregrino ed alto ingegno,
28.20ch'ascende al cielo, e gli stellanti chiostri
28.21di spera in spera alfin trapassa, e varca
28.22i confini del mondo e i spazi angusti,
28.23esposti a sensi, e con eterna pace
28.24si congiunge a le pure eterne menti.
28.25Il medesimo ingegno i letti e 'l fondo
28.26cerca de' mari ondosi, e va sotterra
28.27spiando le più occulte e interne parti,
28.28che ne' secreti suoi natura asconde:
28.29questo osò d'affermar del Caspio mare
28.30che sotterra con gli altri ancor s'aggiunga,
28.31come del greco Alfeo, come del Tigre,
28.32come de gli altri fiumi ancor si legge.
28.33Però che Iddio, qual fondatore antico
28.34d'alta cittate, od architetto illustre,
28.35che per uso di lei profonde e lunghe
28.36strade faccia sotterra al corso occulto
28.37de l'acque vaghe, e le conduca altronde
28.38o da fonte o da fiume o da palude:
28.39tal de' mari forò le vie nascoste
28.40dentro la tenebrosa e fredda terra;
28.41e da' suoi fonti le rivolse in giro
28.42il Dedalo divin, se dir conviensi,
28.43sì che non sol congiunto al mar di Gade
28.44è l'Africano insieme e quel de' Sardi,
28.45e 'l Ligustico appresso e 'l mar Tireno,
28.46l'Adriano, l'Ionio e pur l'Egeo
28.47con tante isole sue, con tanti porti,
28.48e 'l Mirteo suo vicino, e seco il Ponto
28.49con l'Ellesponto, e la palude amara.
28.50Ma d'Arabi e di Persi e d'Indi adusti
28.51i larghi seni a l'ocean profondo
28.52son pur congiunti, e 'n più mirabil modo.
28.53Il Caspio mar, che si rinchiude e copre
28.54per tanto spazio, e poi da gli altri appare
28.55diviso, e quasi peregrin solingo,
28.56l'alta unione e 'l gran principio asconde.
29.1Non disse allora Iddio: "La terra appaia",
29.2ma "L'arida si veggia". Arida volle
29.3chiamar la terra, e dimostrar col nome
29.4ch'arida fu la terra avanti il sole,
29.5avanti che nascendo il sole in cielo
29.6la seccasse co' rai, e 'n membra asciutte
29.7l'antichissima madre arida apparve.
29.8Però ch'al suon de la divina voce
29.9corsero tutte l'acque in giù repente,
29.10ond'ella ne restò fangosa e mista
29.11d'acque stagnanti in male adorno aspetto.
29.12Ma fu sua prima qualità vetusta
29.13l'esser arida; e secca è nota antica
29.14che la disegna e sua sostanza adempie.
30.1Come è propio de l'acqua il freddo, e 'l caldo
30.2del foco, e l'aria è d'umida natura,
30.3così a la terra l'arido conviensi.
30.4E sì come al muggire è noto il tauro,
30.5e 'l fier leone al suo ruggir superbo,
30.6e 'l cavallo al nitrir, così la terra
30.7per l'arido s'informa e si distingue.
31.1Ma de' primi elementi ancora immisti
31.2ciò solo intender può l'accorta mente
31.3contemplatrice de gli obietti eterni.
31.4Ma poi che a' nostri sensi omai soggetti
31.5son de le cose instabili e caduche
31.6i gran princìpi, onde perpetua guerra
31.7è sotto il giro de l'algente luna,
31.8in lor nulla di puro o, di sincero,
31.9o di semplice vedi o di solingo;
31.10ma son mischiati insieme, e 'n lor s'accoppia
31.11l'una con l'altra qualità primiera.
31.12Onde la terra insieme è secca e fredda,
31.13fredda ed umida l'acqua, umida e calda
31.14l'aria, ma sovra lei vicino al cielo
31.15è caldo e secco per natura il foco.
31.16Così le qualitati a coppia a coppia
31.17ne' primi corpi son congiunte insieme,
31.18per cui l'uno con l'altro in un si mesce
31.19in breve pace. E come aviene in danza,
31.20che alcuno in mezzo è con due mani avinto,
31.21e con due mani avince, e quinci e quindi
31.22l'intrecciata carola in lungo giro,
31.23mentre ella si rivolge, 'n sè ritorna;
31.24così de gli elementi il coro e 'l ballo
31.25si gira in cerchio ed in se stesso ei riede,
31.26però che l'acqua col suo freddo unita,
31.27quasi con una mano, al suolo algente
31.28è de la fredda terra, e d'altra parte,
31.29con altra quasi mano umida tocca
31.30l'aria, che posta pur fra l'acqua e 'l foco,
31.31sè per l'umido suo con l'acqua implica,
31.32e col suo caldo sè accompagna al foco.
31.33E de le due nature in sè discordi
31.34e guerreggianti, la contesa e l'ira
31.35divide e parte, e lor congiunge in lega.
32.1Oh mirabil del mondo, in un congiunta
32.2con varie tempre e con tenaci nodi
32.3catena indissolubile e più salda
32.4che duro ferro o lucido adamante,
32.5per magistero del superno fabro!
32.6Oh de le cose instabili e caduche
32.7ordin fermo, costante e quasi eterno!
32.8Che nel tuo variar perpetuo osservi
32.9leggi incorrotte, universali, antique,
32.10che note sono a l'Etiope adusto
32.11ed al gelido Scita; e parte assembri
32.12ne le vicende e nel tuo moto incerto
32.13le certe leggi, e sovra 'l ciel divine.
33.1Ma poichè fur nel suo profondo sito
33.2de l'acque scorse i gran diluvi accolti,
33.3vide Dio ch'era bello il novo mare,
33.4con gli occhi no, ma con la mente eterna,
33.5onde il fatto da lui nobil lavoro
33.6e l'opre sue medesme egli contempla.
34.1Lieta vista, gioconda, e vago aspetto
34.2quello è del mar, quando tranquillo e piano
34.3biancheggia mormorando appresso il lito.
34.4E bella vista ancor, se 'l dorso inaspra
34.5lenta e piacevole aura, e l'onde increspa,
34.6quando ei ceruleo over purpureo appare
34.7a' riguardanti, e non percote irato
34.8con violenza la vicina terra.
34.9Ma dolcemente le distende intorno
34.10l'amiche braccia, e le si avvolge in seno.
34.11Ma non in questa guisa o bello o caro
34.12fu il sembiante del mare al Re celeste;
34.13nè qui de la beltà giudice è il senso,
34.14ma la ragion de la mirabile opra
34.15nel giudicio divino è bella, e piace.
35.1In prima il mare a l'ampia terra intorno
35.2è d'ogni umor di lei perpetuo fonte,
35.3e per oscure e tenebrose strade
35.4sotto la cavernosa e rara terra
35.5se medesmo egli pur divide e parte,
35.6quasi per mine occulte assai profonde.
35.7E poi che da se stesso in lor s'è chiuso,
35.8con gli obliqui suoi corsi ascende in alto:
35.9da lo spirto che 'l move alfin sospinto,
35.10rotto de l'aspra terra il duro grembo,
35.11fuori se n'esce. E de' purgati umori
35.12il terrestre amaror cangiato ha in dolce.
35.13E, trapassando, da i metalli ei prende
35.14qualità via più calda, onde sovente
35.15con fervide acque egli s'accende e bolle
35.16ne l'isole, che 'l mar circonda e bagna,
35.17e ne' lochi vicini al salso lido,
35.18talvolta in quei che son fra terra e lunge.
36.1Bello il mar dunque è nel giudicio eterno,
36.2perchè sotterra ha 'l suo profondo corso.
36.3Bello, perchè nel salso ed ampio grembo
36.4tutti raccoglie e d'ogni parte i fiumi,
36.5e ne' termini suoi se stesso affrena.
36.6Bello, perchè 'l principio e quasi il fonte
36.7è de le pioggie, e d'ogni umor che versi
36.8l'aria ristretta in brina o 'n neve o 'n gelo;
36.9e riscaldato da gli ardenti raggi,
36.10le sue parti più lievi esala in alto,
36.11le quali arrivan poi nel loco algente,
36.12ove di raggi ripiegati e torti
36.13non giunge il caldo. Ivi ristrette insieme
36.14sono dal freddo che circonda intorno
36.15e caggiono in gravoso e denso umore.
36.16Tal che l'arido seno indi s'impingua
36.17de la terra, che poi concepe e figlia
36.18tante e sì varie e sì leggiadre forme
36.19di piante, d'animai, di fiori e d'erbe.
37.1E chi negar può fede al ver ch'io parlo,
37.2veggendo come ferve al foco ardente
37.3e fuma il vaso che d'umore è colmo,
37.4sì che le parti sue sottili e levi
37.5spirando in aria, egli si vota o scema?
37.6Ma de l'istesso mar l'onda sovente
37.7ne le spugne raccolta e cotta al foco,
37.8de gli assetati naviganti e lassi
37.9serve al bisogno, e gli consola in parte.
38.1Ma bellissimo è il mare inanzi a gli occhi
38.2de la divina ed immutabil mente,
38.3perchè con le spumose e torte braccia
38.4tante isole nel sen raccoglie e stringe.
38.5E perch'ei le remote e varie parti
38.6de la terra congiunge, e i lidi opposti
38.7da la natura; e largo e piano il varco
38.8porge al nocchier, che lui trapassa e corre
38.9care portando e preziose merci
38.10e quindi e quinci: onde il difetto adempie
38.11de l'una gente, a l'altra il peso alleggia
38.12scemando quel che di soverchio abonda.
38.13E porta insieme ancor di cose occulte,
38.14anzi d'ignote maraviglie e strane
38.15moderna istoria e peregrina fama.
39.1Ma da qual alto e in mar pendente scoglio
39.2e da qual più sublime eccelsa rupe,
39.3da qual sommo di monti alpestre giogo
39.4che signoreggi d'ambe parti il mare,
39.5vedrò la sua beltà sì chiaro, e tanto,
39.6quant'ella innanzi al suo fattor s'offerse?
40.1Ma se pur è sì bello e sì lodato
40.2anzi il divin cospetto il mare ondoso,
40.3più bella assai festante e folta turba
40.4è de' fedeli suoi raccolta e mista,
40.5ch'anzi le porte e dentro il tempio ondeggia,
40.6ed offre i voti; e le preghiere al cielo
40.7devota sparge: onde s'ascolta un suono,
40.8pur come d'onda che si rompa al lito.
41.1Così quel suo pietoso e lieto aspetto
41.2ne le maravigliose e sacre pompe,
41.3e la serena sua tranquilla pace
41.4conservi il gran Clemente; e 'l culto accresca
41.5ne le quattro del mondo avverse parti,
41.6mentre apre il cielo e i suoi tesori eterni,
41.7e le sue grazie altrui comparte e dona;
41.8nè faccia me di rimirarlo indegno.
42.1Poi disse Dio: "La terra ancor germogli
42.2l'erba sua verde, e 'l suo fecondo legno,
42.3che produca i suoi frutti; e questo e quella
42.4conforme al seme che nel seno asconde".
42.5Così diss'egli. E la gran madre antica,
42.6che scosso avea de l'acque il grave peso,
42.7già respirava, ed alleggiata in parte
42.8parea, quando fuor diede i novi parti.
42.9Perchè la voce del soprano impero
42.10costante e certa ed immutabil legge
42.11fu quasi di natura; e 'n parte alcuna
42.12ella non varia al variar de' lustri,
42.13ma si conserva ancor di tempo in tempo.
42.14Però de la pregnante e grave terra
42.15quasi la prima prole è il verde germe;
42.16e poi che dal suo freddo umido seno
42.17egli s'inalza alquanto, erba diviene,
42.18e vigore e fermezza alfin acquista,
42.19talchè fien si dimostra, o 'n altra forma
42.20perfetta appare, e 'n sua cresciuta etade
42.21ha ciascuna di lor l'erboso e 'l verde.
42.22Per cui, quasi sorelle e nate insieme,
42.23non ci paion l'istesse, e non diverse
42.24molto; ma l'una assai somiglia l'altra.
42.25E senza aiuto altrui la vecchia madre
42.26queste produsse, e non fu d'uopo altronde
42.27strana virtute, oltre il divino impero.
43.1Fu chi pensò ch'alta cagione il sole
43.2fosse di ciò che 'n lei s'appiglia o nasce,
43.3lo qual la scalda con gli ardenti raggi,
43.4e 'l suo natio vigor dal suo profondo
43.5con quel vital calore attragge in alto;
43.6ma dietro sua ragion s'inganna e falle,
43.7perchè la madre terra è più vetusta,
43.8e nata pria che 'n ciel nascesse il sole.
43.9Non gli perturbi adunque un vano errore
43.10e lascin d'adorar del sole il lume,
43.11come di vita sia cagione eterna.
43.12Cessin le maraviglie antiche e nove,
43.13cessino i preghi, i sacrifici e i voti;
43.14cessin non pur marmorei alti colossi,
43.15ma con gli altari i simolacri e i tempi.
43.16E cessi ogni fallace ed empio culto,
43.17onde ancor quella sciocca e rozza gente,
43.18ch'oltre le mete e le colonne alberga,
43.19sotto l'ignoto ciel, la terra ignota
43.20che l'ocean da noi scompagna e parte,
43.21adora il sole, e come a Dio supremo
43.22gli idoli suoi bugiardi a lui consacra.
43.23E sappia, scorta omai da santa voce,
43.24per cui del nato mondo in lei rimbombi
43.25la maraviglia, e del celeste fabro
43.26l'opra e 'l lavoro e 'l magistero adorno:
43.27sappia ella, dico omai, s'inganno o dubbio
43.28in que' semplici petti ancor rimane,
43.29sappia che quel lucente ardente sole
43.30che tutto del suo lume il mondo illustra,
43.31e tutto il corre, e lui circonda intorno,
43.32quell'aureo fonte di serena luce,
43.33quel grand'occhio del ciel, quell'alto padre
43.34de la vita mortal, quel duce eccelso,
43.35lo qual co' raggi suoi ne guida e scorge,
43.36novo e giovane più di fieno e d'erba,
43.37cede lor di vecchiezza il primo onore!
43.38Ma che! Fu prima a le lanute gregge
43.39ed a' cornuti armenti il verde pasto
43.40preparato de l'erbe! e 'l cibo umano
43.41fu d'ogni providenza allora indegno!
43.42E quel Signor, ch'a' tardi e pigri buoi
43.43ed a' cavalli rapidi e correnti
43.44il facil nutrimento anzi dispose,
43.45dolci apparecchi a te care vivande,
43.46onde tu goda e ricca mensa ingombri.
43.47Quel che le mandre tue ti nutre e pasce,
43.48o pur le torme in prato erboso impingua,
43.49in gran vasi d'argento e di fin oro
43.50condisce il cibo, e ti nutrisce e giova,
43.51e co' sapori ti lusinga il gusto.
44.1Ma 'l germogliare ancor di seme sparso
44.2altro non è ch'un prepararti avanti
44.3quel che la vita ti mantenga e servi.
44.4E l'erbe ancor son nutrimenti umani,
44.5e l'altre che produce il suol fecondo,
44.6quasi fra l'erbe e le frondose piante
44.7in mezzo poste, e di natura incerta.
44.8Benchè non tutti da l'erbosa terra
44.9nascon di semi sparsi i germi e i parti;
44.10nè la gramigna, onde corona illustre
44.11ebbe ne' tempi antichi il buon romano;
44.12nè la canna, che tempra in dolce suono
44.13spesso al pigro pastore i rozzi amori;
44.14nè la menta, nè 'l croco, e mille e mille
44.15senza altro seme ancor produce e cria
44.16la terra, umida il volto e pingue il seno:
44.17perchè ne la radice o pur nel fondo
44.18quasi è virtù di seme. E 'n questa guisa
44.19la vota canna, poi ch'un anno intiero
44.20cresce vestita di sue verdi spoglie,
44.21da sua radice manda e sporge in fuori
44.22un non so che, lo qual di seme ha forza
44.23o pur ragione, e l'è di seme in vece.
44.24Nè de la canna già l'oliva è nata,
44.25ma da la canna pur nasce la canna,
44.26l'oliva da l'oliva: onde s'adempie
44.27quel che da prima Dio di lor dispose.
44.28E quel che fu nel primo antico parto
44.29generato di terra e fuor prodotto
44.30da le tenebre oscure in chiara luce,
44.31di stagion in stagion, di tempo in tempo,
44.32nel simil suo rinasce e si rinova,
44.33e ne la sua progenie è quasi eterno.
45.1Deh pensa come al suon di pochi detti
45.2e di comandar breve allor repente
45.3la raffreddata e secca e steril terra
45.4sentì del partorir la pena e 'l duolo.
45.5E i cari frutti a generar commossa,
45.6aprì del chiuso ventre i verdi chiostri.
45.7Come donna pur dianzi egra e dolente,
45.8deposto il negro manto e 'l vel lugubre,
45.9veste di ricche spoglie e d'aurei fregi,
45.10con arte vaga oltre l'usato adorna;
45.11così la terra, che 'n dogliosa vista
45.12mesta appariva e 'n squallido sembiante,
45.13d'erbe e di fiori e di frondose e liete
45.14piante novelle a l'abbellite membra
45.15fece la verdeggiante e ricca veste,
45.16tessendo al lungo crin varie ghirlande.
46.1Deh pensa teco ancor di parte in parte,
46.2quante fè maraviglie Iddio creando;
46.3e perchè resti al cor profondo affisso
46.4l'alto miracol suo, dovunque giri
46.5gli occhi e 'l pensier ne l'opere create,
46.6ti sovvenga di lui, che fece il tutto.
46.7Perchè non è sì vile e rozza pianta,
46.8o sì minuta in terra erba negletta,
46.9che rinovar non possa al cor l'imago
46.10e la memoria del fattore eterno,
46.11e richiamarne i miseri mortali.
47.1Prima del fien veggendo i fiori e l'erba,
47.2pensa fra te che pur di fieno in guisa
47.3l'umana carne si disfiora, e perde
47.4il suo natio colore, arida in vista,
47.5e la gloria mortal troncata in erba
47.6cade repente. Oggi leggiadro amante
47.7è nel più verde e più sereno aprile
47.8de la felice sua gioiosa vita,
47.9nudrito di pensier dolci e soavi,
47.10e di speranze giovenili altero,
47.11e di purpurei adorno e d'aurei fregi,
47.12sparso d'arabo odor la chioma e 'l volto,
47.13robusto per l'età, raggira intorno
47.14un gran destriero, e lo sospinge al corso;
47.15o con estrania pompa in finto aspetto
47.16appare altrui sotto mentite larve,
47.17gravi lance rompendo in chiuso arringo.
47.18Domani è tinto di pallor di morte,
47.19con occhi ne la fronte oscuri e cavi,
47.20o con le membra debili e tremanti
47.21preme odiose piume, e ferve e langue
47.22con interrotte voci a pena intese.
48.1Quegli di sue ricchezze antiche e nove,
48.2da sè raccolte o pur da gli avi illustri,
48.3de la sua fama e del suo onor superbo,
48.4e da folta seguito ed umil turba,
48.5anzi da numerosa e lunga greggia
48.6de' propi servi e de' ministri eletti,
48.7o pur de' lusinghieri e finti amici,
48.8esce da l'alto suo dorato albergo,
48.9e torna poi con orgoglioso fasto;
48.10ed uscendo e tornando, invidia e sdegno
48.11move nel primo e ne l'estremo occorso;
48.12e d'ogni intorno vede a l'alte porte
48.13accorrer gente, ch'ivi adduce e tragge
48.14grazia, prezzo, favor, mercede e cibo.
48.15A le ricchezze alta possanza arroge
48.16di libera città governo, impero
48.17d'armate squadre, e da gl'invitti regi
48.18onor concesso e potestà sublime,
48.19e peregrina guardia in lucide armi
48.20temuta e fiera, e 'n disusata foggia:
48.21quinci il timore o di gravoso essiglio,
48.22o de la povertà spogliata e nuda,
48.23o di tenebre oscure in carcer tetro,
48.24di gravi ceppi o pur d'orrida morte,
48.25la plebe e i cavalier perturba ed ange.
48.26Ma che? lo spazio di una breve notte,
48.27fianchi, stomaco, febre ardente e grave
48.28l'assale e doma; e da sì lieto stato,
48.29da sì sublime altezza, anzi dal mondo
48.30l'infelice signor rapisce a forza,
48.31dispogliando repente a lui d'intorno
48.32di questa vita la dipinta scena.
48.33E tanta maiestà sparir confusa
48.34ratto si vede, e quasi in sogno e 'n ombra.
48.35Così rassembra un fior languente e vile
48.36la gloria de' mortali: alta e superba
48.37pur dianzi, è di fortuna gioco e scherno.
49.1Ma con le cose, onde la vita e 'l pasto
49.2aver poscia devean gli egri mortali,
49.3prodotto fu micidiale il tosco.
49.4Nacque col grano la cicuta insieme,
49.5con gli altri cibi immantinente apparve
49.6l'elleboro, e 'l color fu bianco e negro.
49.7Apparve noto a la matrigna ingiusta
49.8poi l'aconito, e non rimase occulta
49.9la mandragora in terra, e non s'ascose
49.10il papaver, che sparge il grave succo.
49.11Debbiam dunque accusar la mano eterna
49.12che fece il mondo, e vi produsse in terra
49.13quel che la vita poi guasti e corrompa?
49.14Ma pensar non debbiam ch'al ventre ingordo
49.15tutto debba servire empendo il sacco,
49.16o lusingar con sua dolcezza il gusto?
49.17Perch'ogni cibo preparato od esca
49.18nota s'offerse ed opportuna e pronta.
49.19Ed ha ciascuna e la ragione e il modo
49.20ond'ella giovi. E se del tauro il sangue
49.21fu già veneno a te, famoso duce,
49.22che pria vinto fugasti il re de' Persi,
49.23poi te medesmo al suo poter soggetto
49.24far non sdegnasti e la tua patria antica,
49.25devea però quell'animal robusto,
49.26che si destina al giogo ed all'aratro,
49.27e 'n molti usi ci giova e 'n mille modi,
49.28non esser nato? od esser nato essangue?
49.29Non hai ragione, onde tu schifi o fugga
49.30quel che ti noce, e 'l tuo migliore elegga?
50.1Le mansuete e semplicette agnelle,
50.2o pur le capre, abitatrici alpestri
50.3de gli aspri monti e de l'inculte rupi,
50.4sanno schivar quel che l'affligge e noce
50.5discernendo col senso. A te s'aggiunge
50.6col senso la ragion, celeste dono,
50.7e lunga insieme esperienza ed arte.
50.8Ma da quel che ci noce, anco sovente
50.9util si tragge, e 'n pro si volge il danno,
50.10e giovevole altrui sovente appare
50.11quel ch'è dannoso a gli altri. E 'n questa guisa
50.12il mar col bene si contempra e mesce,
50.13tal che nulla è da Dio creato indarno.
50.14La cicuta a gli storni è caro cibo,
50.15nè, benchè freddo, noce al caldo corpo
50.16del picciolo animal. Ricerca ancora
50.17la pernice il veratro, indi si pasce.
50.18Tai son le tempre, onde si schifa il danno.
50.19La mandragora e l'oppio il sonno allice,
50.20ma giova ancora a la virtù languente
50.21de le famose donne, e de gli eroi
50.22vinti dal mal, benchè da l'armi invitti.
50.23Del buon veratro il buon remedio antico
50.24è ne la filosofica famiglia
50.25in pregio ancor, perch'egli punge e desta
50.26l'ingegno usato a le question profonde:
50.27come di Preto già sepperle figlie,
50.28e 'l forsennato Alcide, e quel famoso
50.29ch'al buon Pericle fu maestro e duce.
50.30E la cicuta ancor rabbiosa fame
50.31rintuzzando reprime. Or volgi adunque
50.32l'accuse in grazie, e Dio ringrazia e loda,
50.33che deriva dal mal sì pronto il bene,
50.34e da la morte ancor la vita ei trasse.
50.35E non pensar ch'oltre l'impero e 'l suono
50.36de la sua voce, generare ardisca
50.37disdegnosa la terra audace parto;
50.38benchè la folle antichità la finga
50.39madre de' fieri mostri e de' giganti.
50.40Ma l'infelice e sventurata felce,
50.41che non produce mai frutto nè fiore,
50.42e l'infecondo loglio uscir produtti
50.43dal suo propio principio, e non altronde
50.44corrotti e trasmutati in altra forma.
50.45E di coloro ebber sembiante imago,
50.46di cui devean poi le parole e i sensi
50.47germogliar ne le sacre antiche carte
50.48inutilmente, e mescolati al vero
50.49farlo men puro e men sincero in parte:
50.50sì come avien, quando a progenie illustre
50.51l'illegittima prole insieme è mista.
50.52Anzi il Signore istesso i suoi perfetti,
50.53ch'ebbero in lui costante e salda fede,
50.54poi rassomiglia a quel cresciuto seme,
50.55ch'abbia prodotto al fin maturo il frutto.
51.1E già per adempir l'eterna legge
51.2de la sua voce e 'l suo sovrano impero,
51.3in un momento avea la madre antica
51.4maturati nel grembo i cari germi;
51.5eran fecondi già gli erbosi prati,
51.6e 'n guisa omai di tempestoso mare
51.7ondeggiavan di spighe i verdi campi.
51.8Ogn'erba, ogni virgulto, ogni arboscello,
51.9ogni umil pianta, e con le spoglie eccelse
51.10ogni arbor più frondoso e più sublime,
51.11e ciò che per nutrirne o per altro uso
51.12de la vita mortal germoglia e cresce,
51.13era già sorto, e verdeggiando in alto
51.14con larga copia empieva il fertil grembo
51.15de l'ampia terra, e d'importuna pioggia
51.16non si temea, nè d'improviso turbo,
51.17o di sonora e torbida tempesta.
51.18Chè non potea de l'inesperto e pigro
51.19neghitoso cultor l'indugio e l'ozio,
51.20o la sua tracotanza, od aria impura
51.21e stemperata, o fulmine o procella,
51.22od altro sdegno pur del cielo irato
51.23nuocere al già maturo e dolce frutto,
51.24o danno fare a l'ondeggianti spighe.
51.25Nè de l'aspra sentenzia il gran divieto
51.26de la terra impedia la copia ancora:
51.27ch'erano allor più antichi i vari frutti
51.28del peccar nostro e di vetusta colpa,
51.29onde a sì duro e faticoso culto
51.30siam condennati, ed a ritrarne il cibo
51.31con lo sparso sudor del propio volto.
52.1E tutti ancora al suon de l'alta voce
52.2i boschi verdeggiar con denso orrore
52.3di folte piante e d'intricati rami.
52.4E quelli, che drizzar la verde cima
52.5sogliono al ciel con più sublime altezza,
52.6cedri odorati, abeti e pini, palme
52.7premio de' vincitori, o pur cipressi
52.8imitatori de le antiche mete.
52.9L'umili ancor, come i ginebri e i salci,
52.10dispiegavano omai la verde chioma,
52.11e quelle piante ancor di cui s'ordiva
52.12nobil corona a l'onorate fronti,
52.13dico le rose e i sacri allori e i mirti,
52.14sorgendo insieme frondeggiar repente,
52.15con sua propia virtù distinte e scevre,
52.16quasi di varie note in vari modi
52.17da mano eterna a lor notizia inscritte.
52.18Ma solamente allor ne' primi tempi
52.19senza que' suoi pungenti ispidi dumi
52.20spiegò le foglie la purpurea rosa.
52.21A la bellezza poi del vago fiore
52.22aggiunta fu la dura acuta spina,
52.23perchè al nostro piacer sia appresso il duolo
52.24e ci rammenti il peccar nostro antico,
52.25per cui fu condannata (e ben convenne)
52.26a partorir la terra ortiche e spine.
52.27Ma come avien ch'a quel divino impero
52.28molte, quasi ritrose e ribellanti,
52.29neghino obedienza in fare il frutto,
52.30e non sian nate ancor del propio seme?
52.31L'arbore, onde già cinse il crine incolto,
52.32sì com'è vecchia fama, il forte Alcide,
52.33or biancheggiar si vede, or negra appare;
52.34ma pur frutti non fanno o queste o quelle.
52.35Son infecondi ancora il salce e l'olmo,
52.36ma ciascun ha di lor suo propio seme,
52.37come vedrai, se ben riguardi e pensi
52.38che soggetto a le foglie è un picciol grano,
52.39móskonnomato già dal Greco industre,
52.40che pose lungo studio e molta cura
52.41in fare i nomi, e fabricolli e finse.
52.42E questo ha forza pur di seme occulto,
52.43come hanno l'altre ancor, che da radice
52.44sogliono germogliar. Ma legge impose
52.45l'eterna voce a le più degne e conte,
52.46di cui far volle Iddio memoria illustre.
52.47Come la vite e la tranquilla oliva,
52.48di cui l'una produce il dolce vino,
52.49e l'altra l'olio; e 'l vin conforto e gioia
52.50è de' più dolorosi afflitti cori,
52.51l'olio ci fa lucente e lieto 'l volto.
53.1Ma chi potrebbe annoverar, parlando,
53.2tante e sì varie di virtù secreta
53.3e di sembianza, e da sì varie parti
53.4translate piante e peregrine illustri,
53.5o nostre pure, e sotto il nostro cielo
53.6cresciute od in selvaggia orrida parte,
53.7o tra le mura pur del propio albergo,
53.8che fanno istoria sì famosa e lunga?
53.9Basta la vite sol, che in alto estende
53.10le torte braccia, e con frondosi giri
53.11a l'olmo amico s'avviticchia e lega.
53.12Basta la vite solo a farci accorti
53.13di nostra vita; e di natura essempio
53.14a noi si mostra, anzi è più degna imago
53.15di imagin naturale o di celeste.
53.16E rassomiglia umilemente altera
53.17della madre natura il Padre eterno,
53.18Padre del cielo; o pur l'eterno Figlio,
53.19ch'a se stesso di vite il nome impose,
53.20e cultor nominò, parlando, il Padre,
53.21e noi, per fede ne la Chiesa inserti,
53.22di chiamar si degnò sarmenti e tralci:
53.23però ch'a noi, come a la fertil vite,
53.24conviensi, o come a la feconda oliva,
53.25producer largamente i dolci frutti,
53.26senza spogliar giamai per tempo o caso
53.27de la speranza non terrena il verde;
53.28ma con sempre fiorito e lieto aspetto
53.29rassomigliarla, e verdeggiar ne l'opra
53.30ed offerirne a Dio la gloria e 'l merto,
53.31ch'è divino cultor di pura mente.
54.1Ma sono in dignità vicine a queste
54.2quelle felici piante aventurose,
54.3che de la Madre sua son quasi imago:
54.4la qual è nel cipresso e ne la palma
54.5rassomigliata, e d'odorato cedro
54.6e di platano ancor non prende a sdegno,
54.7o pur di mirra la sembianza e 'l nome.
54.8Ma pur queste medesme ed altre ancora
54.9utili sono a' magisteri, a l'arte
54.10di nostra vita, e quasi a ciò prodotte
54.11da la natura, anzi dal fabro eterno
54.12con la natura insieme allor create.
54.13Altra par nata a gli edifici eccelsi,
54.14altra a tesser di sè le navi o i carri,
54.15altra a far lance o pur saette ed archi,
54.16armi temute ne l'orribil guerra,
54.17altra ci nacque destinata al foco,
54.18altra a far ombra a' peregrini erranti
54.19nel mezzo giorno, od a coprir d'intorno
54.20con le ramose braccia i dolci fonti,
54.21o pur le mense fortunate a pieno.
54.22Ma che sia propio di ciascuna, o come
54.23l'una da l'altra si distingua e parta,
54.24o quai dentro a la rozza orrida scorza
54.25siano amori secreti e odi occulti,
54.26è studio forse d'ozioso ingegno.
54.27E 'l ricercar qual nel profondo grembo
54.28de l'ampia terra le radici estenda,
54.29qual nel sommo di lei s'appigli a pieno,
54.30qual dritta nasca, e sovra un saldo tronco
54.31lieta s'avanzi e s'avvicini al cielo,
54.32e qual cresca le braccia, e più distorta,
54.33e in molti rami si divida e parta,
54.34e qual umil serpendo, a terra inchina
54.35le verdi fronde, e non ardisca alzarsi
54.36senza il fido sostegno a cui s'apprenda,
54.37cura oziosa è pur di vana mente.
54.38Ma quelle che divise e quasi sparse
54.39per l'aria son con molti rami intorno,
54.40sogliono aver ancor profonde a dentro
54.41le sue radici assai distese in giro,
54.42perchè natura stabilisce e fonda
54.43de le superne parti il grave peso
54.44incontra il mormorar di Borea o d'Austro.
54.45Ne la nativa ancora inculta scorza
54.46è gran divaro. Altra l'ha rozza ed aspra,
54.47altra men dura, altra più molle e liscia,
54.48altra d'una corteccia appar contenta,
54.49altra di molte si ricopre e veste.
54.50Ma quel che maraviglia in vero apporta,
54.51è che ritrovi in lor, se ben riguardi,
54.52i diversi accidenti e i vari essempi
54.53di gioventute e di vecchiezza umana,
54.54perchè le piante ancor novelle e verdi
54.55han polita la scorza e quasi estesa;
54.56ma s'adivien che per molti anni invecchi,
54.57s'empie di rughe ed increspata inaspra.
54.58Ed altre germogliar recise e tronche
54.59sogliono. Ad altra, nel troncar, il ferro
54.60apporta quasi inevitabil morte.
54.61Altra già fu che impetuoso turbo
54.62da le radici sue divelse, e poscia
54.63ella risorse, e s'appigliò di novo
54.64nel duro grembo de l'antica madre,
54.65sì come ben due volte almeno avvenne
54.66ne' campi di Farsaglia; e 'n altra parte
54.67altra non pur, come si scrive e conta,
54.68ne la medesma terra anco s'apprese;
54.69ma fu talvolta che reciso ed arso
54.70il pino trapassò di selva in selva,
54.71e verdeggiò tra le robuste querce:
54.72miracol raro di natura e grande,
54.73se maraviglie fa l'alma natura.
55.1Ma chi riguarda come il buon cultore
55.2i vizi curi dell'inferme piante,
55.3e de l'egra natura in lor corregga
55.4vari difetti e gli trasmuti in meglio,
55.5di curar se medesmo apprenda il modo.
55.6Il bel pomo african, che in molle scorza
55.7mille quasi purpuree e bianche gemme
55.8asconde e copre, e poi le sparge aperte,
55.9onde l'arida sete estingua in parte,
55.10l'acido suo sapore in dolce succo
55.11cangia sovente. E 'l mandorlo d'amaro
55.12dolce diviene, e l'amaror maligno
55.13affatto lascia, se forato è il tronco
55.14a le radici, e dentro il foro infitto
55.15di pece un cuneo ei ricevendo accoglie
55.16ne la pingue midolla. E l'orzo ancora
55.17è medicina a le frondose piante,
55.18e le fa belle oltre misura e liete,
55.19tanto può l'arte del cultore industre.
55.20Ma s'egli è neghitoso e pigro a l'opre,
55.21per negligenza di coltura e d'arte
55.22gli alberi vanno ognor di male in peggio.
56.1Altri mutano ancor colore e forma,
56.2senza l'aiuto di coltura amica.
56.3E la candida pioppa in negro tinge
56.4le bianche foglie, e si trasmuta in loglio
56.5sovente il lino, ed il sisimbrio in menta
56.6per soverchia coltura ancor si volge.
57.1Così l'animo ancor, se studio o cura
57.2delle sue macchie nol polisce e terge,
57.3perde il natio candore, e tutto annera,
57.4o pur di grande egli diviene angusto,
57.5e d'alto basso, e se medesmo inchina;
57.6ma per culto s'inalza, e lieto aspira
57.7già quasi al cielo, e se medesmo avanza.
57.8Dunque di coltivar l'umana mente
57.9apprendano i mortali, e i vari morbi
57.10sanar de l'alma in sè languente ed egra.
58.1Or chi potrebbe annoverar, parlando,
58.2i vari frutti, e dimostrar distinti
58.3i colori, i sapori, i propi effetti
58.4e la propia virtù mal nota al gusto?
58.5Non sol mille maniere e mille forme
58.6d'arbori fanno i frutti in mille guise,
58.7ma in una sorte istessa, e 'n una parte
58.8molta varietà s'osserva e mira
58.9di color, di figura o pur di sesso.
58.10Sì come ne la palma altri ritrova
58.11da la femina sua distinto il maschio,
58.12perchè, come ella sia commossa e spinta
58.13d'interno amor, quasi le braccia estende,
58.14e brama al suo marito esser congiunta.
58.15Ed il medesmo avien tra fico e fico,
58.16perchè 'l selvaggio a quel ch'alberga e nasce
58.17tra le ben chiuse e ben guardate mura,
58.18si pianta appresso, o pur si lega e stringe
58.19l'uno con l'altro frutto; e 'n questa guisa
58.20l'infirmità si cura; e si ritiene
58.21ch'egli non caggia al fin disperso e guasto.
58.22Qual di natura è questo oscuro enigma?
58.23Forse in tal modo ella c'insegna e mostra
58.24che da gli strani ancora a noi congiunti
58.25virtù s'acquista a le buone opre, e ferma
58.26costanza. Adunque Italia omai rimiri,
58.27Italia ancor languente, ancora inferma,
58.28via più che 'n guerra, in neghitosa pace,
58.29che l'interno suo mal non vede o sente;
58.30miri gli orridi monti, e 'n loco alpestre
58.31cerchi la gente orribile e selvaggia:
58.32quinci il tenero suo, che langue e cade,
58.33anzi il morbido suo confermi e 'nduri
58.34per unione o per essempio almeno.
58.35Ma in niun peggior modo e più spiacente
58.36traligna, e perde la robusta pianta
58.37il suo vigor e la sua prima forza,
58.38s'egli adivien, come sovente incontra,
58.39che in femina di maschio egli si cangi.
58.40E quinci l'uomo ancor si guardi e schivi
58.41d'ammollir, quasi donna, il cor robusto
58.42che natura gli diè, tra i vezzi e gli agi,
58.43per ozio, per diletto o per lusinga.
59.1Ma fra le piante ancor distinte e scevre
59.2natura amica amor vi pose e pace;
59.3pose fra l'altre inimicizia ed ira.
59.4Il bel pomo gemmato e 'l verde mirto,
59.5o pur il mirto e la feconda oliva
59.6son per natura amici, e in breve spazio
59.7piantati appresso senza oltraggio e danno.
59.8Ma pur la dolce vite e 'l dolce fico
59.9avversi sono oltra misura e 'nfesti.
59.10Chi 'l crederebbe? e tu, natura, insegni
59.11che tra' buoni talvolta è sdegno e guerra.
59.12Ma si marita ancor la vite e 'l fico,
59.13come adivien quando fra regno e regno
59.14quetan le nozze l'odiosa guerra.
59.15E chi 'l marito allor disbarba e svelle,
59.16langue la sua consorte in breve e more.
59.17Nobile essempio de l'amore umano
59.18e di fè marital costante e salda.
59.19Ma 'l caulo, s'a la vite s'avvicina,
59.20tempra quel generoso e grande spirto,
59.21onde poscia il suo vino avampa e ferve;
59.22e giova a gli ebri: in cotal guisa ammorza
59.23l'interna fiamma fervida e fumante.
59.24Ma d'innocenza han sovra gli altri il vanto
59.25il bel pomo granato e 'l dolce melo,
59.26nè fanno ad altra pianta oltraggio ed onta.
59.27Ed innocente il pino inalza e spande
59.28la chioma al cielo, ed ampio spazio adombra
59.29con larghi crini e con le braccia estese;
59.30picciol loco sotterra ingombra e prende
59.31con le radici. E sotto a l'ombra amica
59.32verdeggiano securo il mirto e 'l lauro.
59.33Sotto l'ombra così di re possente,
59.34che di tesoro ingordo o di terreno
59.35non si dimostra, e non si usurpa a forza
59.36de' suoi vicini l'occupata parte,
59.37crescon molti sovente in lieta pace,
59.38e fiorisconvi ancor gli studi e l'arti
59.39de l'eloquenza, e i meritati onori.
59.40Vi sono piante di natura incerta
59.41e di gemina vita in acqua e 'n terra.
59.42La mirica è fra queste. E spesso abonda
59.43ne' solitari luoghi e ne' deserti;
59.44ne' laghi e ne gli stagni ancor ci nasce,
59.45sembiante a quei che variar sovente
59.46soglion le parti, e d'uno a l'altro campo
59.47seguir fortuna, e d'un signore a l'altro,
59.48per natura maligni e per costume.
59.49Ma de le piante al fin chi tace il pianto?
59.50chi tacer può le lagrime stillanti
59.51de le ruvide scorze? e i vivi umori,
59.52lucidi, trasparenti, insieme accolti?
59.53Sparge dal legno suo tenace e lento
59.54sue lagrime il lentisco, e 'l dolce succo
59.55fuor versa ancor di lagrime odorate
59.56il balsamo, arboscel pregiato e caro
59.57nel regno de gli Ebrei. Ma 'l verde Egitto
59.58e l'Africa arenosa ancora il pianto
59.59de la ferula vide. Il chiaro elettro
59.60è lagrimoso umor, che scarso cade
59.61d'arbor fumosa, e 'n un bel pianto impetra.
60.1Ma pur troppo il parlar s'avanza e cresce,
60.2e ne gli aperti e smisurati campi
60.3de la terra e del mar confine o freno
60.4non trova al corso: ond'ei disperso, errante
60.5per le cose minute andria vagando,
60.6in cui sì grande appare e sì possente
60.7Dio creator che fece ancor l'eccelse.
60.8Dunque fia d'uopo di fermarlo, avinto
60.9da la necessità, ch'è dura e salda,
60.10prima ch'a la fatica il breve giorno
60.11manchi di questa mia vita caduca.
61.1Voi che mirate le diverse piante
61.2ne gli orti, ne le selve o pur ne i monti,
61.3ne le paludi ancora e ne gli stagni,
61.4o pur de l'Eritreo nel rosso grembo,
61.5e vagheggiate i verdi tronchi e i rami,
61.6e le fiorite lor frondose chiome,
61.7nel poco ormai riconoscete il molto,
61.8e col pensiero a brevi e scarsi detti
61.9gran maraviglie ancor giunger potrete,
61.10pensando a quel Signor che fece il mondo
61.11maraviglioso di lavoro e d'arte.
61.12Lo qual disse: "Germogli ancor la terra
61.13il legno, che produca il dolce frutto
61.14sovra la terra". Allor a l'alta voce,
61.15come paleo che nel suo ferro affisso
61.16a la prima percossa ei va rotando,
61.17e con molte sue rote in sè ritorna,
61.18così la terra va girando a cerchio
61.19le sue stagioni, onde si spoglia e veste,
61.20e i cari frutti suoi produce e serba.
61.21Chè pur la sferza con divina voce
61.22quel che comanda a la natura, al cielo,
61.23perch'ella d'anno in anno i certi giri
61.24volga sembianti al primo. Alfin gli adempia,
61.25quand'avrà fine il tempo e fine il mondo,
61.26ned ella sola avrà quiete e pace,
61.27ma i cieli avranno ancor riposo eterno.
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