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1.1Fatte che fur le essequie de i soldati
1.2ch'erano stati uccisi a Ponte Molle,
1.3il vicimperador de l'occidente
1.4si preparava a sostener l'assedio
1.5fin che venisse il dimandato aiuto
1.6ch'avea richiesto al correttor del mondo.
1.7Or mentre erano intenti a quei negozi
1.8e che si dava il guasto a le campagne,
1.9aggiunsero al Circeo Traiano e Ciro
1.10e ritrovaron quella entrata aperta,
1.11perciò che Rimfagor era sovr'essa,
1.12che pareva un mercante di Soria:
1.13il qual, come gli vide a lui venire,
1.14se gli fé incontra e disse este parole:
1.15Signori eccelsi e di leggiadro ingegno,
1.16quest'è la porta che vi mena dritti
1.17al ricco alloggiamento di Plutina
1.18ove è il duca di Scitia e quel d'Atene:
1.19ite di lungo a lor per questa via
1.20senza punto mirar che che v'appaia,
1.21che li ritroverete entr'a l'albergo
1.22soletti, e che non han persone intorno.
1.23Così disse il demonio, e poi sparìo:
1.24onde quei nobilissimi guerrieri
1.25lo tenner messaggier del paradiso,
1.26ma se ingannor, perché d'inferno uscia;
1.27ma se non noque lor, fu per timore
1.28di Filodemo e de i suoi duri incanti.
1.29Come furo i baron dentr'a la soglia
1.30de la gran porta, tosto se n'andaro
1.31al bel palazzo ov'era Corsamonte,
1.32e dismontaro in mezzo al suo cortile
1.33e d'indi s'avviòr verso la loggia.
1.34Quivi era Filopisto e Cordiale,
1.35famigli eletti da gli offesi duchi
1.36quand'uscir fuor de le romane porte;
1.37questi sedeano alora appresso l'uscio
1.38per cui si suole andare entr'al salotto,
1.39onde ratto conobbero i baroni:
1.40e l'uno gli andò incontra, e l'altro poi
1.41corse a narrare a i loro illustri duchi
1.42l'improviso arrivar di quei signori;
1.43onde subitamente si rizzaro
1.44con meraviglia in piè per uscir fuori
1.45ad incontrare i lor diletti amici.
1.46Ma quelli erano già dentr'a le stanze,
1.47onde con gran letizia gli abbracciaro;
1.48poi fattili seder presso a la mensa
1.49sopra due vaghe e belle sedie d'oro,
1.50Filopisto curò che i lor destrieri
1.51fossero governati entr'a le stalle,
1.52e Cordïale poi reccò del vino
1.53söave e dolce in belle coppe d'oro
1.54e condimenti d'ottimi confetti,
1.55ne' quali i dui baron posen le mani
1.56e moderatamente ne gustaro.
1.57Ma come furon riposati alquanto,
1.58Ciro toccò col piede il buon Traiano,
1.59che ben l'intese: onde prendé una tazza
1.60e coronolla di spumoso vino
1.61e presentolla a Corsamonte e disse:
1.62Corsamonte gentil, tu stai sicuro
1.63con abbondanza d'ottime vivande
1.64in questo sontüoso e bel palagio;
1.65ma i miseri romani entr'a gli alberghi
1.66cinti di mura e di profonde fossa
1.67stan timorosi e con periglio estremo:
1.68Vitige re s'è posto intorno a Roma
1.69con infinita e valorosa gente,
1.70onde non si può gire fuor de le porte;
1.71e quei superbi e impetüosi Gotti
1.72hanno il paese tutto quanto in preda:
1.73ucciden gli animali, arden le case,
1.74sforzan le donne, batteno i fanciulli
1.75e mandano per terra arbori e piante;
1.76e non se gli può dar soccorso alcuno
1.77senza il tuo forte e valoroso aiuto.
1.78Ver è che 'l capitanio de le genti
1.79con molti cavalier scendemmo al piano
1.80e gli incontrammo appresso Ponte Molle;
1.81e dal spuntar del dì fin a la notte
1.82si combatteo con quel superbo stuolo:
1.83fur morti Adardo re de gli Azumiti
1.84e 'l principe Massenzo e 'l bel Ligustro
1.85ed altri molti valorosi in arme;
1.86e poco men che Belisario il grande
1.87non vi convenne anch'ei lasciar la vita,
1.88ché trentamillia cavalieri intorno
1.89gli erano, e intenti per ferir lui solo,
1.90cridando tutti: Al sauro, al sauro, al sauro,
1.91ché tale era il caval ch'egli avea sotto;
1.92pur si salvò fuggendo inverso Roma:
1.93e se non era il giugner de la notte,
1.94tutti eravam mandati a fil di spada
1.95e Roma 'nsieme saccheggiata ed arsa.
1.96Così la nostra gente è in gran timore
1.97ed in gran dubbio se potran salvarsi
1.98o se le converrà lasciar la vita.
1.99Vitige è fuor con tutti quanti e' Gotti
1.100che posson portar arme, e pensa certo
1.101d'averci colti tutti in una rete
1.102e d'aver tutto 'l cielo in suo favore.
1.103Poi Turrismondo con superbia molta
1.104cavalca intorno furibundo, e pare
1.105che ognun dispregi e che minacci al mondo;
1.106e per la rabbia che gli abbonda al cuore
1.107pensa d'averci tosto ne le mani
1.108e farci andare a dispietata morte.
1.109Ed io, per me, temo che 'l ciel non voglia
1.110farli tal grazia, che 'l destin ci meni
1.111tutti a morir miseramente in Roma.
1.112Ma tu, caro fratel, che sei la gloria
1.113e 'l fior de i cavalier che sono in terra,
1.114abbi pietà de la tua cara gente,
1.115che per voler aitar l'Italia afflitta
1.116s'è posta in questo asperrimo periglio:
1.117levala da le man de gli empi cani
1.118che pascer si vorrian del nostro sangue,
1.119aiutala or che si può darli aiuto
1.120e che si truova viva, perché nulla
1.121giova l'aiuto a l'uom quand'egli è morto,
1.122né può schivarsi il mal quand'egli è incorso.
1.123Poni da canto la magnanim'ira,
1.124o volgila a diffesa de i Romani:
1.125la forza in vero è don de la natura
1.126e di quel gran Motor che 'l ciel governa;
1.127mai il temprar l'ira e 'l dimostrarsi umano
1.128e 'l poner fine a le contese amare
1.129è 'l proprio don de l'animo prudente.
1.130Se tu questo farai, giovani e vecchi
1.131t'onoreran come divino in terra.
1.132Ecco che 'l capitanio de le genti
1.133deposto ha l'ira, e scordasi le offese;
1.134ed ancor tu se la vorrai deporre,
1.135arai la bella Elpidia per mogliera
1.136con tutto il principato di Tarento,
1.137che le ha mandato a dir che venga a Roma.
1.138Daratti ancora dodici corsieri
1.139veloci e buoni e sette belle ancelle
1.140modeste e che san far tele e ricami:
1.141e manderatti appresso venti pezze
1.142di drappo d'oro e venti di velluto,
1.143venti di rasi e venti di damaschi,
1.144di tabì venti e venti d'ormisini,
1.145ed una bella tavola d'argenti
1.146doppia di vasi, ed altretanti d'oro,
1.147che saran sopradote de la moglie.
1.148Questo daratti acciò che i sdegni e l'ire
1.149diponghi, e torni a la città di Roma.
1.150Piglia adunque, fratel, sì cari doni
1.151e vieni a liberar l'Italia oppressa,
1.152che solo acquisterai tutta la gloria:
1.153e se pur il tuo cuor tanto è commosso
1.154che tu abbi in odio Belisario il grande
1.155e i tanti doni suoi, prendi la moglie
1.156che t'ama, e caro t'ha più che se stessa;
1.157abbi pietà de i tuoi diletti amici
1.158che sono in Roma, e che t'onoran tanto
1.159quanto onorar si può persona umana:
1.160ed anco acquisterai fama immortale,
1.161ché quel rabbioso Turrismondo altero
1.162che non crede aver par sotto la luna
1.163sarà da le tue man battuto e vinto.
1.164Rispose l'animoso Corsamonte:
1.165Gentil barone e di supremo ingegno,
1.166io vi vuo' dir liberamante il vero,
1.167né vuo' nasconder quel ch'io non vuo' fare:
1.168perché ho in odio colui che dentr'al cuore
1.169tiene una cosa e ne la lingua un'altra.
1.170Non credo mai che Belisario vostro
1.171né gli altri cavalier che sono in Roma
1.172faccian ch'io prenda più la lor difesa:
1.173ch'a me fur troppo indegnamente ingrati,
1.174né mi potrei fidar di lor promesse.
1.175Né vuo' commemorar quel che già feci
1.176coi Vandali ne l'Africa e coi Persi
1.177ne l'Asia, perch'io credo esser palese
1.178ch'io fui cagion de le vittorie grandi
1.179ch'ebbe in quei luoghi il corretor del mondo
1.180e de l'acquisto di quel gran tesoro
1.181che portò seco il capitanio ingrato,
1.182con Gelimero re, dentr'a Bisanzo.
1.183E' noto ancora a tutto quanto il stuolo
1.184che 'l primo che in Partenope discese
1.185e che s'oppose a tutti quanti e' Gotti
1.186fu Corsamonte: onde Tebaldo uccise
1.187e poscia uccise ancora il fiero Erode
1.188con altri molti valorosi duchi;
1.189e fu quel sol che prese il gran castello
1.190ov'era la ricchezza di Tebaldo
1.191e di gli altri signor di quei paesi;
1.192eranvi ancora le matrone e i figli
1.193de gli onorati principi de i Gotti
1.194e la bella Cillennia, che fu scelta
1.195e data in parte al capitanio vostro.
1.196Ma che mi giova affaticarmi sempre
1.197e starmi combattendo fra i nimici
1.198col ferro in mano e con la morte a canto
1.199e senza speme aver di alcun vantaggio,
1.200se dopo le fatiche e i gran perigli
1.201impedita mi vien la propria moglie
1.202che mi ricerca e mi dimanda e vuole?
1.203Il capitanio ha la sua donna al lato
1.204e la bella Cillennia ancor gli è scelta,
1.205la quale ha data in guardia al fier Costanzo;
1.206e non ha cura de gli altrui diletti
1.207né de i commodi altrui, ché chi sta bene
1.208suol curar poco de gli altrui disaggi.
1.209Ma s'io conduco al fin quel ch'io maneggio
1.210e se transcorro vinticinque giorni
1.211che qui convengo star prima ch'io possa
1.212cavare il fèle a quel spietato vermo,
1.213e con quel fel sanar la bella fada,
1.214spero, d'avere Elpidia per consorte
1.215ancor che Belisario me la vieti:
1.216ben che più tosto io voglio star senz'ella
1.217che conoserla mai da le sue mani.
1.218Dunque da me non speri alcuno aiuto,
1.219e lasci d'offerirmi i suoi gran doni
1.220che voi m'avete numerati, ch'io
1.221non li voglio accettar, se ben mi desse
1.222tutto 'l tesor che mai potesse Roma
1.223e che or possiede il correttor del mondo:
1.224ché non è dono il dono del nimico
1.225né reca utilità, ma porta danno.
1.226Sì che non aspettate il mio venire,
1.227ma pensate fra voi di far diffesa
1.228e col vostro fortissimo Acquilino
1.229uccider Teio e Turrismondo altero
1.230e tòr l'Italia da le man de' Gotti,
1.231ché come fornito ha questo negozio
1.232io voglio andare a dimorar tra i Sciti
1.233nel mio paese, e col mio padre antico:
1.234e quivi menerò la cara moglie
1.235s'io la racquisto, o prenderonne un'altra;
1.236ché non mi mancherà donna ch'io voglia
1.237in quelle parti, con suprema dote.
1.238Quivi starommi a trappassare il tempo
1.239senza patir travagli entr'a le guerre:
1.240ch'io non voglio mai più per gente ingrata
1.241porre a partito o spender la mia vita,
1.242che m'è più cara che tesoro alcuno
1.243che si possa trovar sopra la terra,
1.244e non è premio alcun che la pareggi.
1.245Ben si può racquistare argento ed oro
1.246quando è perduto, e pecore ed armenti;
1.247ma l'anima più mai non si racquista
1.248come esce una sol volta de le labbra.
1.249Tornate adunque a rifferire a i vostri
1.250signori e cavalier che v'han mandati
1.251che pensino a trovar miglior consiglio
1.252che salvi loro e la città di Roma,
1.253perciò che questo non può avere effetto.
1.254Così diss'egli, e quei baron restaro
1.255taciti e muti, e si guardaro in fronte
1.256l'un l'altro, udita la risposta dura.
1.257Poi stando un poco, l'onorato Ciro,
1.258nettandosi le lagrime dal volto
1.259perché temea l'asperrima ruina
1.260di tanti duchi e di sì buona gente,
1.261incominciò parlarli in questa forma:
1.262Poscia che tu non vuoi, fratel mio caro,
1.263tornare in Roma ad aiutar gli amici
1.264e liberarla da la fiamma ardente
1.265che 'l re de' Gotti gli apparecchia intorno,
1.266a che debbo gettar parole al vento?
1.267A che commemorar quel che tuo padre
1.268in presenza del mio, ch'eran fratelli,
1.269quando mandotti a l'onorata corte
1.270ti disse con dolcissime parole?
1.271Figliuol, più caro a me che la mia vita,
1.272or ch'io ti mando al correttor del mondo
1.273sopra ogni cosa ti consiglio e priego
1.274che sempremai tu cerchi usar valore
1.275e vincer di eccellenza ogni mortale.
1.276Così diceati quel famoso vecchio:
1.277ma se tu lasci dominarti a l'ira
1.278quale eccellenza arai, che non ti guasti?
1.279Lasciala adunque, e volgi la tua mente
1.280a sì dolce preghiera, a tanti doni:
1.281che 'l Re del cielo e le sustanze eterne
1.282che governan qua giù tutte le cose
1.283si volgon pur per sacrifici e prieghi,
1.284e quando un peccator gli chiede aiuto
1.285pentito e gramo de i commessi errori
1.286Ei gli perdone,e lo riceve in grazia.
1.287Tu sai pur che le Prece son figliuole
1.288di Dio, ma perché tengono i piè zoppi,
1.289con la faccia rugosa e gli occhi torti,
1.290van tarde e lente seguitando il Danno,
1.291il quale è forte e giovane e veloce
1.292e facilmente le trappassa avanti,
1.293e va per tutte quante le contrade
1.294facendo ofesa a le terrene genti.
1.295Ma le misere Prece gli van dietro
1.296sempre assettando e medicando i mali:
1.297onde quel che le ascolta, e gli ha rispetto,
1.298da lor riceve giovamento e bene;
1.299ma s'alcun le dispregia e non le accetta,
1.300priegano il Padre lor che gli rimandi
1.301il Danno ancora a vendicar quell'onta.
1.302Adunque onora, Corsamonte, queste
1.303figliuole eterne de l'eterno Giove,
1.304acciò che a te più non ritorni il Danno.
1.305Se 'l vicimperador de l'occidente
1.306non ti offeriva quelli immensi doni
1.307che t'ha commemorati il buon Traiano,
1.308ma fosse ancora immansüeto ed aspro,
1.309non direi già che deponesti l'ira,
1.310se ti pregassen tutti quanti e' Romani;
1.311ma poi ch'egli è pentito del su' errore
1.312e che t'appregia e che t'onora tanto,
1.313saresti troppo et ostinato e duro
1.314a non volerci dare alcuno aiuto.
1.315Vien dunque, frate, dove ognun ti chiama:
1.316piglia questi bei doni e questa gloria
1.317d'aver posta l'Esperia in libertade.
1.318Ma tu cortese ed onorato Achille,
1.319che sei la gentilezza de la corte
1.320e le delizie de la nostra etade,
1.321priegalo ancora tu con prieghi ardenti,
1.322ché forse 'l moverai con tue parole.
1.323Rispose l'animoso Corsamonte:
1.324Fratel mio caro, io non ho alcun bisogno
1.325di questi vostri prezïosi doni,
1.326né de l'onor di Belisario il grande:
1.327ch'a me basta l'onor che Dio vuol darmi,
1.328il qual mi durerà mentre ch'io viva
1.329e forse ancor l'arò dopo la morte.
1.330Ben ti dirò queste parole sole,
1.331e tu le riporrai dentr'al tuo petto.
1.332Non mi turbar con lagrime la mente
1.333per far piacere a Belisario acerbo,
1.334ché non è ben che essendo del mio sangue
1.335tu vogli accarecciar quel che m'offende:
1.336ché noi devremmo aver gli istessi amici
1.337e gli istessi nimici, e darsi aiuto
1.338l'un l'altro, ché così porta il devere.
1.339Però t'essorto a dimorar qui meco,
1.340ché come sana fia la bella fada
1.341andremo insieme ne i paesi nostri
1.342a consolare i nostri afflitti padri.
1.343Alor soggiunse l'onorato Achille:
1.344Corsamonte gentil, tanto diletto
1.345e tanto caro a me quanto me stesso,
1.346tu pur dovresti omai depor giù l'ira
1.347e seguitare i cari tuoi compagni,
1.348quando ti fan così supremo onore:
1.349e poi le nimicizie aver dén fine,
1.350e non si deve mai farle immortali.
1.351Già s'è veduto alcuno a chi il fratello
1.352è stato ucciso, o 'l suo figliuol diletto,
1.353e poi gli ha fatto umanamente pace
1.354senza volersi vendicar de l'onta:
1.355e tu per poche parolette adverse
1.356non vòi placarti, anzi più ognor t'induri
1.357e come scoglio posto in mezzo l'onde
1.358stai sempre immoto a le percosse e fermo?
1.359Il vicimperador de l'occidente
1.360che t'impedì, né volse farti avere
1.361la tua diletta Elpidia per consorte,
1.362or è di ciò pentito, e vuol che l'abbi
1.363con molti doni prezïosi appresso;
1.364ed ha mandato i principai baroni
1.365che siano in campo, e i più perfetti amici
1.366che tu abbi in Roma, a far queste preghiere:
1.367e però non devresti mai lasciarli
1.368spender la strada e le parole indarno.
1.369Ed io, dolce fratel, di ciò ti priego
1.370per quel verace amor che tu mi porti:
1.371deh non voler che queste mie parole
1.372e questi prieghi miei sian sparsi al vento,
1.373ma fagli aver qualche amorevol peso.
1.374Così gli disse il buon duca d'Atene,
1.375e 'l gran duca di Scitia gli rispose:
1.376Fratel, più caro a me che la mia vita,
1.377veggio ch'hai detto drittamente il vero.
1.378Ma tant'è l'ira che m'abbonda al cuore
1.379quando mi tornan quelle ingiurie a mente
1.380che mi fece Aquilino e i suoi compagni,
1.381e che trattommi Belisario il grande
1.382com'io fosse il più vil di tutto 'l campo,
1.383che non posso scordarle o porvi meta.
1.384Pur vuo' pensarvi, e non negare il tutto
1.385a i miei diletti principi e fratelli.
1.386Direte adunque al capitanio vostro
1.387ad a gli altri baron che v'han mandati
1.388che quando passerà per queste parti
1.389la bella principessa di Tarento
1.390mi farà motto, ed io, s'arò guarita
1.391l'onorata Plutina de la vista,
1.392venirò seco a la città di Roma.
1.393In questo mezzo stiansi entr'a le mura
1.394od escan fuor come gli pare il meglio,
1.395ché quindi non mi vuo' partir senz'ella.
1.396Poi ch'ebbe detto Corsamonte ardito
1.397quella risposta ferma, i dui baroni
1.398senza più replicar parole indarno
1.399preser da lui commiato, e si partiro:
1.400e fattisi menare i lor destrieri
1.401montarono a caval con l'arme indosso,
1.402poi s'allacciaron gli elmi, e tolte in mano
1.403le lance s'avvior verso la porta;
1.404e così cavalcando, il terzo giorno
1.405giunsero insieme a la città di Roma,
1.406e quivi scavalcati al gran palazzo
1.407subito andaro a Belisario il grande
1.408che si trovava alora entra 'l consiglio
1.409co i suoi baroni e cavalieri intorno.
1.410Questi come fur visti, e quinci e quindi
1.411fur salutati con parole dolci;
1.412dopo i saluti, il capitanio eccelso
1.413interrogò Traiano in questa forma:
1.414Gentil barone e di supremo ingegno,
1.415che dice Corsamonte? Vuol venire
1.416a darci aiuto, o pur ce 'l niega, e serba
1.417ancor nel petto l'implacabil ira?
1.418A cui rispose l'ottimo Traiano:
1.419Invitto capitanio de le genti,
1.420non credo mai che venga a darci aiuto:
1.421ché tanta è l'ira che gli abonda al cuore
1.422che non si può scordarla o porvi meta.
1.423Ben dice di voler pensarvi sopra,
1.424per non negare il tutto a i suoi compagni;
1.425e quando passerà per quelle parti
1.426la bella principessa di Tarento,
1.427gli farà motto, e s'egli arà guarita
1.428l'onorata Plutina de la vista,
1.429venirà seco a la città di Roma.
1.430In questo mezzo state entr'a le mura
1.431o fuori uscite, come a voi par meglio:
1.432ché quindi non si vuol partir senz'ella.
1.433Queste son le parole ch'egli ha dette,
1.434presente Ciro ed il cortese Achille
1.435e quel araldo che con noi mandaste.
1.436Così disse Traiano, e ognun rimase
1.437dopo il suo dire e tacito e suspeso;
1.438ma pur al fin parlò Costanzo e disse:
1.439Eccelso capitanio de le genti,
1.440volesse Dio che mai persona alcuna
1.441non s'avesse mandata a Corsamonte,
1.442né sì bei doni mai gli aveste offerti:
1.443ché questo accrescerà senza misura
1.444la sua durezza, e la superbia grande
1.445che portò seco fuor del matern'alvo.
1.446Ma lasciando or da canto, e venga o resti:
1.447alor combatterà quando gli piaccia.
1.448Attendiam pur gogliardi a far diffesa
1.449fin che venga il soccorso da Durazzo,
1.450ch'uscirem poi con esso a la campagna:
1.451e 'l primo esser vogl'io che contra i Gotti
1.452combatta, e vada sempre inanzi a gli altri.
1.453Così disse Costanzo, e ognun lodollo;
1.454ma poi soggiunse il buon conte d'Isaura:
1.455Illustre capitan, luce del mondo,
1.456non vuo' che noi perdiam così la speme
1.457che non ritorni Corsamonte ancora,
1.458poi che comincia a commutarsi alquanto.
1.459Mandiamo un cavalier verso Tarento
1.460a dire a Elpidia che gli faccia motto
1.461quand'ella venga a la città di Roma;
1.462ché senza dubbio ne verrà con ella,
1.463ch'amor ve 'l menerà, ch'arà più forza
1.464in lui che la speranza di Plutina.
1.465Laudo bene il parlar del buon Costanzo
1.466ch'attendiamo gagliardi a far difesa
1.467fin che venga il soccorso da Durazzo;
1.468ma non devemo abandonar quest'altro.
1.469Dietro al parlar del buon conte d'Isaura,
1.470il capitan mandò verso Tarento
1.471un cavalier ch'avea nome Giraldo
1.472a dire a Elpidia ciò che dovea fare
1.473quando veniva a la città di Roma;
1.474e fatto questo sciolse il gran consiglio,
1.475e ritornò ciascun verso l'albergo.
1.476Mentre ch'in Roma s'attendeva a questo,
1.477Ermodoro e Carin, che fur mandati
1.478a ritrovar Elpidia entr'a Tarento,
1.479quivi arrivaro il nono giorno appunto
1.480un poco avanti il tramontar del sole;
1.481e scavalcati dentro al gran cortile
1.482del superbo palazzo, indi saliro
1.483le larghe scale, ed arrivaro in sala.
1.484Quivi trovaron sei fanciulli onesti
1.485che parean messaggier del paradiso,
1.486sotto 'l governo di dui gran vecchioni
1.487che stavano in un canto ivi a sedere;
1.488ma come giunser quei baroni a l'uscio
1.489di quella grande ed onorevol sala,
1.490dui pagi di que' sei gli andaro incontra
1.491e riverentemente addimandaro:
1.492Chi siete voi signori? Onde venite?
1.493Che cosa dimandate in questo albergo?
1.494Ed Ermodoro con parlar soave
1.495disse: Noi siam dui cavalier romani
1.496che 'l vicimperador de l'occidente
1.497ha qui mandati a la signora vostra:
1.498onde noi disïam parlar con ella.
1.499Come udir questo, quelli accorti paggi
1.500riferiro ogni cosa a i lor vecchioni,
1.501i quai subitamente gli mandaro
1.502a far quella ambasciata a la lor donna;
1.503poi se n'andaro umanamente appresso
1.504a i dui baroni, e con parole dolci
1.505gli intertenian fino al tornar de i paggi,
1.506che venner tosto fuor con la risposta:
1.507e quivi alzate le portiere adorne
1.508dissero: Entrate dentro, almi signori.
1.509Ond'essi posti in mezzo di quei vecchi
1.510passaro una anticamera, ed entraro
1.511in un superbo ed onorato albergo.
1.512Quivi trovaro Elpidia che si stava
1.513con le donzelle sue senza ornamento,
1.514intenta ad ordinar certi ricami;
1.515ma come venir vidde i dui baroni
1.516si levò ritta, e le cadder di grembo
1.517perle da ricamare e argenti ed ori
1.518che furo accolte poi da le donzelle:
1.519onde fattasi incontra a quei signori
1.520con molta gentilezza gli raccolse,
1.521poi fattigli seder presso al suo seggio
1.522si stava ad aspettar la lor proposta,
1.523la qual fece Ermodoro in questa forma:
1.524Leggiadrissima saggia alma signora
1.525che siete un specchio d'onestade in terra,
1.526il vicimperador de l'occidente
1.527ci ha qui mandati a la presenza vostra
1.528a farvi noto com'egli ha disposto
1.529di darvi Corsamonte per marito,
1.530ed ha mandato a rivocarlo in Roma;
1.531e pensa che verrà senza dimora,
1.532perciò che v'ama, e che desia vedervi.
1.533Ma primamente vuol che voi sappiate
1.534che tutto quel che fu tardato alora
1.535quando Favenzo venne a dimandarli
1.536che vi volesse dar questo consorte,
1.537non fu per disturbar sì belle nozze;
1.538ma fu per dare essempio a l'altra gente
1.539ch'ubidisca i suoi capi, e non si ponga
1.540con l'arme in mano a scompigliare il stuolo.
1.541Dunque v'essorta e vi dimanda e priega
1.542che grave non vi sia venirvi a Roma
1.543subitamente, acciò che dar si possa
1.544effetto quivi al matrimonio vostro.
1.545Questo disse Ermodoro, e la donzella
1.546si stette alquanto tacita e suspesa;
1.547e come spesso fa colui ch'ascolta
1.548cosa che molto gli diletta e piace,
1.549ma per qualche timore o per vergogna
1.550non ardisce a mostrar ciò che disia,
1.551così la vaga giovinetta alora
1.552donescamente gli occhi a terra fisse,
1.553e poscia gli rispose in questa forma:
1.554Gentil barone, a la dimanda vostra
1.555non si può dar sì subita risposta;
1.556ma congregato ch'i' abbia il mio consiglio
1.557ed udito il parer de la mia terra
1.558risponderò cortesemente a voi.
1.559In questo mezzo andate a riposarvi,
1.560che domattina arete la risposta.
1.561Così diss'ella, e si voltò a Surento,
1.562ch'er'un de i vecchi che trovaro in sala
1.563quando montor le scale i dui baroni,
1.564e disse a lui: Surento, andate a basso
1.565con questi degni cavalier romani,
1.566e dateli le stanze de la loggia
1.567che vagheggia il giardin vicino al mare:
1.568e fateli quei vezzi e quelli onori
1.569che si farebbe a la persona nostra.
1.570Udito questo, quindi si partiro;
1.571e con la compagnia del buon Surento
1.572andaro a a basso a le ordinate stanze:
1.573e prima il cavalier fece aver cura
1.574de i lor destrieri, e poner poi la mensa
1.575per dar principio a la futura cena;
1.576ma come il buon sescalco in sala giunse
1.577con le vivande, quelli accorti paggi
1.578gli dier l'acqua a le man con un bel vaso
1.579che parea d'or sopra un bacil d'argento,
1.580ed a la ricca mensa gli assettaro:
1.581ove fur poste poi di tempo in tempo
1.582buone vivande e prezïosi vini,
1.583in cui, per satisfare a quel disio
1.584che natura ci dà, poser le mani.
1.585Poi che la sete e l'importuna fame
1.586fur rintuzzate, quindi si levaro;
1.587e non molto dapoi n'andaro al letto
1.588per riposarsi fin a la mattina;
1.589ma non fece così la bella donna,
1.590che prender non potea riposo alcuno:
1.591ma tosto come fu rimasa sola
1.592ne la sua stanza, a passeggiar si pose;
1.593e molto allegra di sì cara nuova
1.594non sapea seco ritrovare il modo
1.595come propor dovesse entr'al consiglio
1.596il bel pensier del capitanio eccelso.
1.597Però fece chiamare il buon Favenzo,
1.598e tutta gli narrò quella ambasciata
1.599di Belisario, e chieseli consiglio;
1.600a cui Favenzo disse in questa forma:
1.601Diletta e cara mia signora e figlia,
1.602lodar vuo' prima il Re de l'universo
1.603ch'ha posto in cuore a Belisario il grande
1.604di dare effetto a così belle nozze;
1.605dapoi, vedendo sciolto ogni suo dubbio
1.606sì ben ch'egli ha mandato a dimandarvi,
1.607parmi ch'andiate a lui senza dimora.
1.608E non vi muova perché il re de' Gotti
1.609si truovi essere a campo intorno Roma
1.610con infiniti cavalieri e fanti:
1.611perché potremo andar fin a Marino
1.612sicuramente e senza alcun periglio,
1.613ché accampati non son da quella parte;
1.614e quindi a Roma poi son dieci miglia,
1.615ove ci manderan sì fatta scorta
1.616che tema non arem d'alcun oltraggio.
1.617Poi sendo questo matrimonio santo
1.618la gloria e la ventura del paese
1.619e la felicità di vostr'altezza,
1.620non è da fare in ciò tardanza alcuna:
1.621ch'a la felicità si deve andare
1.622per entr'a l'onde e per le fiamme ardenti.
1.623Queste parole accorte di Favenzo
1.624e l'amore e 'l disio de la donzella
1.625fecero andar da parte ogni timore
1.626che nel cuor feminil potesse entrare,
1.627e poservi un disio d'andare a Roma
1.628tal che più non potea pensare ad altro;
1.629onde lasciando gir Favenzo a casa
1.630ne la camera sua sola si chiuse,
1.631e poco stando poi se n'andò a letto:
1.632e senza mai potere apprender sonno
1.633stava gioconda ad aspettare il giorno.
1.634Ma come venne fuor la bella aurora
1.635a rimenare il dì sopra la terra,
1.636fu convocato entr'al ducal palazzo
1.637ogni buon cittadin ch'era in Tarento;
1.638ed ella uscì de la sua vaga stanza
1.639che parea un nuovo sol disceso in terra
1.640per dar splendore a tutta quella gente.
1.641Poi come aggiunse al capo de la sala
1.642ov'era acconcio un tribunale adorno,
1.643vi salì sopra un gentil sembiante,
1.644con gli occhi bassi, e non guardava atorno.
1.645Alor Favenzo, che le stava a lato,
1.646si levò ritto e disse este parole:
1.647Valorosi, prudenti, almi signori
1.648gloria ed appoggio del paese nostro,
1.649la bella principessa di Tarento
1.650per consiglio di voi, come sapete,
1.651dopo l'acerba morte di suo padre
1.652che fu tradito da i superbi Gotti
1.653andò con molti cavalieri eletti
1.654al vicimperator de l'occidente:
1.655ne l'arbitrio del qual ripose tutto
1.656il stato e se medesma, perché certo
1.657non avea contra i Gotti altro riparo:
1.658a cui s'offerse prender per marito
1.659quel ch'ei le desse, e d'onorarlo molto,
1.660se ben fosse il più vil di tutto 'l stuolo.
1.661Ma quel gran capitanio ha terminato
1.662di darli Corsamonte per marito,
1.663duca di Scitia, uom di valore immenso:
1.664il qual di nobiltà, bellezza e grado
1.665trappassa ogni signor di quella corte;
1.666ed è il miglior guerrier che porti lancia,
1.667onde sarà salubre al popol tutto.
1.668Questi fu quel ch'uccise il fier Tebaldo
1.669e fece la vendetta di Galeso,
1.670di che debbiam levar le mani al cielo.
1.671Or per far questo il capitanio invitto
1.672ha qui mandato a farci noto ch'ella
1.673sen debbia gir subitamente a Roma,
1.674che vuol far ivi queste belle nozze:
1.675e noi per adimpir ciò ch'ei comanda
1.676si partirem di quest'alma cittade
1.677prima ch'appara in ciel la terza aurora;
1.678e lascieremo il provido Numistro
1.679qui per governator fin che si torni:
1.680e voi signori appresso arete cura
1.681di conservarci ben questa cittade.
1.682Così parlò Favenzo, e gli altri tutti
1.683gli assentiron con atti e con parole;
1.684onde il consiglio alora si disciolse,
1.685ed Elpidia tornò ne le sue stanze.
1.686Poi chiamar fece i cavalier romani,
1.687e disse lor sì come era contenta
1.688di dipartirsi dopo il terzo giorno
1.689ed ir con essi a la città di Roma
1.690per ubidire al capitanio eccelso.
1.691Mentre che si facean questi negozi
1.692e che la principessa di Tarento
1.693si preparava lieta al suo vïaggio,
1.694il popolo roman, che non er'uso
1.695a provare i disconzi de la guerra
1.696e vigilar la notte intorno a i muri,
1.697e che patia di vittüarie e d'acque,
1.698di bagni e di delizie, ed avea tema
1.699di non cader in man de i suoi nimici,
1.700si ragunaro unitamente insieme
1.701e se n'andaro a Belisario il grande,
1.702il qual si ritrovava in mezz'al foro
1.703e volea ritornar dentr'al palazzo;
1.704e quivi un senator, ch'era nomato
1.705Servilio, disse a lui queste parole:
1.706Signor, noi semo in un periglio grande,
1.707perché i nimici son molto potenti
1.708ed è ne le lor man tutto 'l paese:
1.709uccidon gli animali, arden le case,
1.710sforzan le donne e prendeno i fanciulli
1.711e mandano per terra arbori e piante;
1.712e non è alcun ch'ardisca d'uscir fuori
1.713per liberarci da sì gran ruina:
1.714ed han ragion, poi che 'n la prima uscita
1.715i Gotti fér di lor sì mal governo;
1.716ché mai non suole un uom prudente e saggio
1.717cader due volte in un medesmo errore.
1.718Or poi che i vostri cavalieri armati
1.719si stanno a riposar dentr'a le case
1.720e consumar l'altre sustanzie nostre,
1.721trovate a questi mali omai compenso.
1.722Certamente, signor, fu grande ardire
1.723il vostro, e quasi fuor d'ogni ragione,
1.724a venir qui con così poca gente
1.725per cacciar tanta quantità di Gotti,
1.726uomini arditi e bellicosi e forti;
1.727talché se prenderan questa cittade
1.728la lascieranno desolata et arsa:
1.729e certo non potrà tenersi molto
1.730tempo, perciò che gli han levate l'acque
1.731e non ha quasi vittüaria dentro.
1.732Adunque provedete a tanti mali,
1.733che non può seguitar la sua ruina
1.734che non v'incorra la ruina vostra.
1.735Così parlò Servilio, a cui rispose
1.736il capitanio con parole umane:
1.737Eletto e fido mio popol di Roma,
1.738non vi smarrite perché voi veggiate
1.739qualche cosa contraria a i pensier vostri,
1.740ché questi sono i frutti de la guerra;
1.741ma prestamente volteransi in modo
1.742che sarete di lor quasi contenti,
1.743perciò che non può l'uomo esser felice
1.744né aver piacer alcun che gli diletti
1.745s'ei non è sano, e in libertà non vive.
1.746Dunque a la libertà si deve andare
1.747per entro i ferri e per le fiamme ardenti;
1.748ed io per darvi ancor maggior speranza
1.749di trarvi fuor di servitute amara
1.750vi fo saper che 'l correttor del mondo
1.751ha già spedito il callido Narsete
1.752con tanta vettovaglia e tanta gente,
1.753che noi potremo uscire a la campagna;
1.754e voi con abbondanza e con quïete
1.755ve ne starete a dar piacere in Roma.
1.756E detto questo, gli mostrò la carta
1.757che 'l sommo imperador gli avea mandata
1.758ov'eran scritti tutti quelli avvisi,
1.759che porse a gli occhi lor molto piacere:
1.760onde rimase ognun queto e contento,
1.761salvo che solo Anticalo fremeva,
1.762ch'era di sangue assai famoso e chiaro;
1.763ma di parole inordinate e molte,
1.764e poco riputate da la gente.
1.765Questi era il più brutt'uom che fosse in Roma,
1.766guercio e sottil di gambe, e le sue spalle
1.767gobbe pareano quasi arco del petto,
1.768ch'era ristretto e concavo nel mezzo;
1.769e sopra quelle avea la testa acuta
1.770conspersa di capelli corti e rari,
1.771con una faccia lenticchiosa e magra.
1.772Questi era nimicissimo del Papa
1.773e di ciascun ch'avea governo in Roma,
1.774e sempre era contrario a i lor pareri,
1.775onde s'oppose a Belisario il grande,
1.776dicendo a lui parole aspre e villane
1.777ch'a tutto 'l popol mosse acerbo sdegno.
1.778Che cosa, capitanio, or vi bisogna,
1.779dicea, ch'avete i vostri alberghi pieni
1.780d'oro e d'argento e di leggiadre ninfe
1.781e d'altre robbe prezïose e care
1.782che furon guadagnate in questa guerra?
1.783E sazia ancor non è l'ingorda voglia
1.784vostra, che ne vorrebbe aver de l'altre
1.785col strazio e la ruina del paese,
1.786e poscia dispiegar le vele al vento,
1.787carge del nostr'aver, verso Durazzo.
1.788O misere Romane, e non Romani,
1.789che sì poco guardate al vostro bene:
1.790date questa cittate al re de' Gotti,
1.791che tosto vi trarrà di tanti mali;
1.792e vedrem poi ciò che faran costoro
1.793con le lor poche e mal composte genti,
1.794che sono ancor più deboli, dapoi
1.795ch'han privo Corsamonte de la moglie,
1.796ch'era il miglior guerrier che fosse in campo;
1.797ond'ei partissi, e ci ha lasciati in preda
1.798più de gli amici assai che de i nimici.
1.799Ma quei fu troppo buon, ch'alora forse
1.800areste fatto a noi l'ultimo danno.
1.801Così parlava Anticalo, mordendo
1.802l'eccelso capitanio de le genti;
1.803onde se gli fé presso il buon Traiano
1.804con sguardo torto, e poi così gli disse:
1.805Anticalo, non dir queste scicchezze
1.806del tuo signor: frena l'ardita lingua,
1.807ch'ha voce acuta, ma pensier leggieri.
1.808Tu sei pur il da men che viva in Roma,
1.809e parli al capitan come a un tuo pare
1.810dicendoli parole aspre e moleste
1.811che son piene d'ingiurie e di menzogne?
1.812S'io ti vedrò mai più sì audace e folle
1.813com'ora esser ti vedo in questo luoco,
1.814io ti dispoglierò tutte le veste,
1.815e poi ti manderò piangendo ignudo
1.816verso l'albergo tuo carco di piaghe.
1.817Così disse Traiano, e poi menolli
1.818col scettro suo che si trovava in mano
1.819sopra la schena e su le curve spalle;
1.820ond'ei piegossi, e gli cadder da gli occhi
1.821lagrime salse, e sotto l'empia ferza
1.822le battiture acerbe si gonfiaro:
1.823et ei dolente risguardando intorno
1.824si nettava la faccia con un piglio
1.825che mosse riso a tutta quella gente,
1.826quantunque fosse sconsolata e mesta;
1.827onde alcun de i soldati ch'eran ivi
1.828disse parlando a quel che gli era appresso:
1.829Veramente Traian fatto ha più volte
1.830in questa grave e perigliosa impresa
1.831gran bene e col consiglio e con la spada;
1.832ma non fece giamai cosa migliore
1.833che troncar l'empie ciance di costui.
1.834Ben forse non sarà tanto protervo
1.835per l'avvenir, ch'un'altra volta dica
1.836parole ingiurïose a i suoi maggiori.
1.837Così dicea la turba de i soldati;
1.838ma poi Sulmonio udendo le querele
1.839de l'onorato popolo di Roma
1.840mandò subitamente un suo cugino,
1.841che si nomava Erronio, a far palese
1.842questa sedizïon de la cittade
1.843e quei parlari al principe Burgenzo,
1.844com'era stato l'ordine tra loro.
1.845Erronio adunque si partì da Roma
1.846e fingendo d'andar verso Belletri
1.847andò la notte al campo de i nimici,
1.848e coi suoi contrasegni fu condotto
1.849al padiglion d'Argalto e di Burgenzo,
1.850a cui poscia narrò tutta la cosa:
1.851ond'essi lo menaro al re de' Gotti,
1.852a cui gli fecion dir di punto in punto
1.853tutti quei parlamenti de i Romani;
1.854da i quali il re, ch'avea sagace ingegno,
1.855subitamente nel suo cuor comprese
1.856che 'l popolo era sazio de la guerra:
1.857però fece chiamar tutti e' baroni
1.858al suo consiglio, e disse in questa forma:
1.859Signori illustri e cavalieri eletti,
1.860sappiate come Belisario il grande
1.861rinchiuso sta ne la città di Roma
1.862con poca vittüaria e manco gente,
1.863né pensa più d'uscirsi a la campagna;
1.864e credo ancor ch'e' sia pentito e gramo
1.865d'esser venuto a stimular le vespe,
1.866e ch'abbia desiderio di partirsi
1.867avanti che la fame indi lo cacci.
1.868E certo lo faria, se non temesse
1.869d'esser offeso da le nostre forze:
1.870perché 'l popol di Roma è mal contento
1.871e di lui molto si lamenta, e duolsi
1.872che l'abbia posto in quest'aspro periglio
1.873con la su' audacia e con le sue promesse,
1.874et ha deposto la speranza prima
1.875di poter esser più da lui diffeso;
1.876ché mal può propulsar gli altrui perigli
1.877chi non ha forza d'aiutar se stesso.
1.878Io, perché sempre fui di questa mente,
1.879ch'alcun non deggia opponersi a la fuga
1.880de' suoi nimici ed ingombrarli i passi,
1.881ché non è vista a l'uom tanto süave
1.882quant'el veder la fuga del nimico;
1.883però voglio che Salio ed Unigasto
1.884e Gauro e Dociran vadan a Roma
1.885a dire a Belisario ch'io consento
1.886che possa a suo piacer partirsi quindi
1.887con le persone e con le robbe salve:
1.888ch'io non vuo' seguitar come nimici
1.889color che s'apparecchian di pentirsi.
1.890Diranno ancora al gran popol di Roma
1.891che può tornar sotto l'imperio nostro
1.892sicuro e salvo, co i primieri patti.
1.893Com'ebbe dette il re queste parole
1.894sciolse il consiglio, e mandò verso Roma
1.895quei quattro ambasciador ch'avea proposti;
1.896i quai si dipartir senza tardanza,
1.897ed arrivati a la Salaria Porta
1.898ch'era serrata dissero a coloro
1.899che viddero a la guardia de le torri:
1.900Noi siamo ambasciador che 'l re de' Gotti
1.901ha qui mandati al capitanio vostro.
1.902Piacciavi d'introdurci entr'a le mura
1.903e di menarci a l'alta sua presenza.
1.904Lucillo udendo questo gli rispose:
1.905Non vi sia grave l'aspettare alquanto,
1.906che tosto tornerò con la risposta.
1.907E poscia andò correndo al capitano
1.908e gli fé nota la venuta loro:
1.909onde fece introdurli, e con disio
1.910si pose ad aspettar la lor proposta;
1.911ed essi giunti a Belisario il grande
1.912lo salutor cortesemente, e poi
1.913cominciò Salio a dir queste parole:
1.914Color che poser primamente i nomi
1.915a le virtuti e vizii de i mortali
1.916l'audacia separor da la fortezza:
1.917che se ben paiono una cosa istessa
1.918sono però tra sé molto diversi,
1.919ché l'una merta laude, e l'altra biasmo.
1.920Ma qual di quelle due v'abbia condotto
1.921a pigliar tale impresa, esser può chiaro
1.922a chi con mente sana le risguarda:
1.923perché se vi guidasse la fortezza
1.924combattereste arditamente nosco,
1.925che v'aspettiamo armati su la sella;
1.926ma se l'audacia poi v'ha qui condotti,
1.927forse che tosto vi farem pentire;
1.928ché spesse volte in mezzo de le guerre
1.929colui si pente ch'al principio corse
1.930con poco fondamento a cominciarle.
1.931A che più le miserie de i Romani
1.932menate a lungo, e gli levate i beni,
1.933per debolezza de le vostre forze,
1.934che Teodorico a lor sempre lasciolli?
1.935Ma se per caso voi pentiti foste
1.936d'esser in Roma senza alcun soccorso
1.937e disïaste di partirvi quinci,
1.938sarem contenti di lasciarvi andare
1.939con le persone e con le robbe salve
1.940liberi e senza farvi alcun oltraggio:
1.941ché 'l nostro re non suol mai far vendetta
1.942contra quel che si pente averlo offeso.
1.943Poi dal famoso popolo di Roma
1.944vorrei saper di che di noi si dolse
1.945e di che lamentossi, alora quando
1.946tradiro i Gotti e se medesmi insieme.
1.947Pur la benignità che per l'adietro
1.948provata avete da la nostra gente
1.949potrete ancor aver, se voi vorrete
1.950per l'avvenir tornare al nostro impero.
1.951Così parlò l'ambasciador de' Gotti,
1.952a cui rispose Belisario il grande:
1.953L'arrogante parlar ch'avete fatto
1.954non mi reca nel petto alcun timore,
1.955perché si veggon rare volte dirsi
1.956parole acerbe e farsi acerbi fatti,
1.957che suol far poco chi minaccia molto.
1.958Io poi non tratto l'opre de la guerra
1.959secondo il consultar de i miei nimici,
1.960ché sempre quel ch'al mi' adversario piace
1.961penso ch'a me non giovi anzi m'offenda.
1.962Ben ardirò di dir ch'ancor fia tempo
1.963che faremo abbassare il vostro orgoglio,
1.964e non arete selva che v'asconda
1.965né troverete in terra alcun ricetto.
1.966Noi siam venuti a la città di Roma
1.967sì come a luogo nostro, e non d'altrui;
1.968ma voi ben fate come fanno i ladri,
1.969ch'avendo tolta già la robba ad altri,
1.970poi ch'ella è stata resa al suo signore
1.971contra l'ingiusto desiderio vostro,
1.972vi travagliate di volerla ancora.
1.973Or io vi dico: se speranza avete
1.974di prender Roma sol perch'io mi parta
1.975fuora di quella, e l'abbandoni e lasci,
1.976voi v'ingannate di dannoso errore,
1.977ché non la lascierò se non defonto.
1.978Così rispose il capitanio eccelso;
1.979e 'l senato roman non disse nulla,
1.980se ben di tradimento era notato,
1.981perch'avea tema de le lor minaccie:
1.982onde Fidelio, uom simile agli antichi
1.983di valore e d'ardir, guardando in viso
1.984tutti quei senator che peran muti,
1.985s'empì di sdegno, e sorridendo disse:
1.986O gente Gotta di leggier consiglio
1.987e di parole assai senza prudenza,
1.988voi vi pensate col bravar ch'avete
1.989fatto al conspetto di sì gran signori
1.990esterrefare il buon popol di Roma
1.991h'un tempo dominò tutta la terra.
1.992Noi non avem di voi timore alcuno,
1.993né v'abbiam fatto tradimento o fallo,
1.994come voi falsamente avete detto;
1.995e vogliol mantener con l'arme in mano.
1.996Così parlò Fidelio, e dopo questo
1.997gli ambasciador de i Gotti si partiro
1.998tutti confusi, e ritornati al vallo
1.999dissero al lor signor queste parole:
1.1000Signore eccelso e di valore immenso,
1.1001noi semo stati a la città di Roma
1.1002ed avem detto a Belisario il grande
1.1003tutto quel ch'ordinò la vostra altezza;
1.1004ed ei risposto ci ha con grande ardire
1.1005che non si vuol partir di quella terra,
1.1006né mai la vuol lasciar, se non defonto.
1.1007Però vi dico che speriamo indarno
1.1008ch'ei l'abbandoni; e se vorrem pigliarla
1.1009per forza di battaglia o per assedio
1.1010ci spenderemo assai fatiche e sangue,
1.1011perch'io gli veggio ardenti a la difesa.
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