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1.1Poi che 'l gran capitanio de le genti
1.2si ritirò ne la città di Roma,
1.3attese prima a riveder le mura
1.4ed assettare in lor tutte le guarde;
1.5né perché avesse combattuto sempre
1.6dal cominciar del dì fin a la notte
1.7avea 'l cuor lasso o la persona stanca,
1.8ché la virtù ne le famose imprese
1.9accresce forza a i generosi ingegni.
1.10Ma poi che si cavò l'arme di dosso,
1.11fece chiamare a corte ogni barone,
1.12i quai si ragunor senza dimora:
1.13che avean le menti sconsolate e meste
1.14per la venuta di quell'empia gente.
1.15E come quando Zefiro e Lebecchio
1.16giungono d'improviso al mar Tirreno
1.17commuoven l'acque, onde s'inalza l'onda
1.18marina, e manda fuor molta e molt'alga;
1.19così l'assalto de i feroci Gotti
1.20ch'erano aggiunti appresso l'alte mura
1.21avea commosso il cuor di quei Romani,
1.22e mandavano fuor molti suspiri.
1.23Alor levossi Belisario in piedi,
1.24e sciolse la sua lingua in tai parole:
1.25Prudenti, valorosi, almi signori
1.26mandati qui dal correttor del mondo
1.27a por l'antica Esperia in libertade,
1.28non vi smarrite, perché voi veggiate
1.29esser tanta gentaglia intorno a Roma:
1.30ché quanti più saran, tante più teste
1.31aran del vostro ardir paura e tema.
1.32Ben spero darvi la vittoria certa,
1.33se l'alto Re del ciel non ci abbandona:
1.34ch'io gli ho provati con la spada in mano
1.35da l'apparir del sol fino a la sera
1.36ed olli avuti tutti quanti addosso,
1.37tal ch'io conosco bene il lor valore;
1.38che è tanto e tale ch'io non ne pavento,
1.39anzi spero mandarli a fil di spada
1.40più col consiglio ancor che con la forza.
1.41Ma perché ne la vita de' mortali
1.42cosa non è che sia tanto sicura
1.43quant'è un prudente ed ottimo consiglio,
1.44però consigli ognun ciò ch'a lui pare
1.45che far si deggia in questa grave impresa,
1.46che poscia elegerem ciò che fia meglio.
1.47E voi, prudente mio conte d'Isaura,
1.48cominciate a parlar, perciòò che sempre
1.49saggio consiglio vien da l'uom ch'è saggio.
1.50Così disse il barone, a cui rispose
1.51l'accorto vecchio poi con tai parole:
1.52Illustre capitan, luce del mondo,
1.53io dirò il parer mio senza rispetto,
1.54poscia ch'ei m'è da voi prima richiesto:
1.55ché se ben sempre la vecchiezza solve
1.56la forza e 'l sangue de l'umane membra,
1.57non però solve la prudenza e 'l senno,
1.58anzi s'avvivan col girar de gli anni.
1.59Come voi questa mane usciste fuori
1.60con mille cavalier contra i nimici
1.61e mi lasciaste a guardia de le terra,
1.62intesi alor ch'un numero di Gotti
1.63quasi infinito ci veniva addosso,
1.64tal che star non poriasi a la campagna:
1.65onde ci converria patir l'assedio.
1.66Poi vidi poca vittüaria dentro
1.67e poco modo di reccarven'anco:
1.68ché l'immature biade del paese
1.69saranno in man de gli adversari nostri.
1.70Però, volendo esaminare il tutto,
1.71che far per noi si deve in questo caso
1.72dirolvi con pochissime parole:
1.73prima è da porre a guardia de le mura
1.74fidata gente e capitani eletti
1.75ch'abbian la cura ognun de le lor parte;
1.76e quelle porte che ci paion troppe
1.77murianle, e restin solamente aperte
1.78le più sicure e di maggior bisogno:
1.79e poniam molti giovani veloci
1.80fuora di queste tra la fossa e 'l muro
1.81che quivi si staran tutta la notte
1.82a far le sentinelle, e cambieransi
1.83di quattr'ore in quattr'ore, e fien revisti
1.84da i cavalieri che anderanno attorno,
1.85e faran darsi l'ordinato nome.
1.86Da poi mandiamo in Africa per grano,
1.87ché quel che commetteste ad Aldigieri
1.88al parer mio sarà condotto tardo,
1.89poi ch'egli è gito a trasportar le genti
1.90che vuol mandarci il correttor del mondo.
1.91Così propose il buon conte d'Isaura,
1.92e fu molto lodato il suo consiglio:
1.93onde il governator de l'occidente
1.94fece ben chiuder la Flaminia Porta
1.95e dentro la munì con molte pietre,
1.96ch'aprir non si potea senza gran tempo;
1.97poi la diede in custodia al fier Costanzo,
1.98al quale insieme ancor con Orsicino
1.99raccomandò la porta di San Piero
1.100vicina al ponte, e sotto il bel sepulcro
1.101che poi fu trasmutato in un castello
1.102rotondo ed alto e di fortezza immensa.
1.103E diè la Collatina al buon Traiano,
1.104la quale ancor si nomina Pinciana,
1.105che seco aveva Pigripio e Fanitio;
1.106e per sé proprio tenne la Collina,
1.107già Quirinale e poi Salaria detta.
1.108La Viminale, over di Santa Agnesa,
1.109ebbe Acquilino e 'l generoso Olando;
1.110e la Esquilina, over di San Lorenzo,
1.111fu data in guardia a l'onorato Magno
1.112col buon Peranio e col gigante Olimpo.
1.113La Nevia o Labicana over Maggiore,
1.114ch'alora Prenestina era nomata,
1.115ebbe il forte Bessano e 'l fier Mundello;
1.116e tu, Tarmuto, l'Asinaria avesti,
1.117che poi si dimandò di San Giovanni,
1.118con Ennio e Ciprïan, che t'eran cari;
1.119e Sindosio fu posto a la Latina,
1.120Catullo a la Capena, e l'Ostïense
1.121o di San Paulo ebbe il possente Arasso;
1.122la Portüense ebbe Sertorio e Ciro,
1.123ed anco la Pancrazia al vecchio Paulo
1.124fu consignata, e la Settimia a Bocco.
1.125Poi fece che s'armor' tutti i più destri
1.126e i più veloci giovani del campo:
1.127l'un fu Lucillo figlio di Antonina
1.128e l'altro Emilio del prudente Paulo
1.129ed Antifilo il terzo, il quarto Augusto
1.130con Cesare e Pomponio suoi fratelli
1.131e Filippo e Fonteio ed Alessandro,
1.132tre bei nipoti del feroce Olando
1.133e figliuoli di Armenio suo fratello;
1.134e Rutilio e Marsilio e Camerino
1.135fratel di Magno, e gli altri dui di Arasso.
1.136Questi dodici duci aveano seco
1.137cento e ventotto giovani per uno,
1.138ed ognun d'essi andò fuor de la porta
1.139che gli era stata deputata, e quivi
1.140facean le guardie tra la fossa e 'l muro.
1.141Come forniti fur questi negozi,
1.142il vecchio Paulo ancor levossi e disse:
1.143Illustre capitan, luce del mondo,
1.144io voglio in voi finir le mie parole,
1.145perciò ch'ancor da voi s'incominciaro
1.146come da quel ch'ha il cargo de la guerra:
1.147a cui sta bene umanamente udire
1.148ciò che ognun parla ad util de l'impresa,
1.149e poscia eleger quel ch'è più salubre.
1.150Dunqu'io non tacerò ciò ch'a me pare
1.151che sia da far per la vittoria nostra:
1.152voi sapete, signor, come privaste
1.153l'ardito Corsamonte de la moglie,
1.154ch'è 'l miglior uom ch'avesse il nostro campo.
1.155Elpidia il dimandava per marito,
1.156e di ragion non si devea negarle
1.157quando v'era il consenso de le parti;
1.158ma voi primieramente gliel negaste,
1.159da poi, cedendo a la magnanim'ira
1.160nata dal suo fallir, che senza dubbio
1.161fu molto grave, lo privaste ancora
1.162de la speranza di poter più averla.
1.163Voi sapete, signor, come l'amore
1.164constringe più le menti de i mortali,
1.165e più le gira, che l'argento e l'oro;
1.166ond'ei, d'amor sospinto e dal disdegno,
1.167subitamente s'è partito quinci
1.168e ci ha lasciati, e cerca altra ventura:
1.169ché se fosse con noi questo guerriero
1.170ogni giorno usciria fuor de la terra
1.171e faria star quel Turrismondo a segno,
1.172e 'n brieve tempo manderialo a morte,
1.173onde ci acquisteria vittoria certa.
1.174Adunque il mio consiglio è di placarlo
1.175con doni eletti e con parole dolci,
1.176e mandar dui de i nostri almi baroni
1.177ch'a lui sian grati, e siano accorti e saggi
1.178ed eloquenti; e portinli quei doni
1.179e lo dispongano a tornarsi a Roma.
1.180A cui rispose Belisario il grande:
1.181Veramente, signor, senza menzogna
1.182avete raccontato il nostro errore:
1.183ch'alor certo fallai, né vuo' negarlo,
1.184quando non diedi Elpidia a Corsamonte.
1.185Ben la dovea promettere a Favenzo
1.186e non gli dar materia di fallire,
1.187ch'amor può troppo ne le nostre menti;
1.188or poscia ch'ei fallì, cedendo a l'ira,
1.189voglio non solamente perdonarli,
1.190ma gli vuo' dare Elpidia per consorte,
1.191poi che l'ama e disia; ché 'l prender moglie
1.192è un mal che suol desiderar la gente:
1.193e quel che si dispone a tòr mogliera
1.194camina per la strada del pentirsi,
1.195per ciò che l'uom ch'ha donna è sempre servo.
1.196Darolli appresso dodici corsieri
1.197veloci e buoni, e sette belle ancelle
1.198modeste e che san far tele e ricami;
1.199e donerolli venti pezze ancora
1.200di drappo d'oro e venti di velluto,
1.201venti di rasi e venti di damaschi,
1.202di tabì venti e venti d'ormesino;
1.203ed una bella tavola d'argenti
1.204doppia di vasi, ed altretanti d'oro,
1.205che saran sopradote de la moglie.
1.206Questo darolli acciò che 'l sdegno e l'ira
1.207diponga, e torni a la città di Roma:
1.208perciò che un uomo ingenïoso e forte
1.209suol valer più che un popolo a la guerra.
1.210Alor soggiunse il buon conte d'Isaura:
1.211Veramente, signor, questi son doni
1.212da far voltare ogni ostinata mente;
1.213e tanto più gli denno esser giocondi,
1.214che 'l primo foste che reccò da i Persi
1.215il far drappi di seta in queste parti,
1.216e qui portaste il seme di quei vermi
1.217che, pasciuti di gelsi, mandan fuori
1.218seta dal ventre, de la qual si fanno
1.219in brieve tempo intorno un labirinto
1.220donde non ponno uscir se non con l'ale;
1.221però, donando a lui drappi sì belli
1.222accompagnati con cavalli e dame,
1.223lo potran muover facilmente, e farlo
1.224venir senza dimora a darci aiuto.
1.225Mandiamo adunque nel spuntar de l'alba
1.226Ermodoro e Carin verso Tarento
1.227a far che Elpidia se ne venga a Roma,
1.228acciò che quando Corsamonte torni
1.229qui la ritruovi, e prendala per moglie;
1.230poi darem cura al buon Traiano e a Ciro,
1.231che l'ama tanto e gli è frattel cugino,
1.232che gli vadano a far questa ambasciata
1.233ed a cercar di rimenarlo a Roma.
1.234Come ebbe detto questo, si rivolse
1.235a Filodemo: E voi gentil barone
1.236disse farete co i sagaci incanti
1.237che noi sappiamo anzi l'aprir del giorno
1.238il luoco ove dimora Corsamonte
1.239perché possiam mandare a ritrovarlo.
1.240Così detto e conchiuso, ognun partissi
1.241fuor del consiglio; e chi di loro andossi
1.242nel suo diletto albergo a prender cibo,
1.243chi si ridusse a l'ordinate guardie
1.244portando seco la parata cena.
1.245Sol Belisario da pensieri involto
1.246non dava luogo a l'importuna fame,
1.247anzi montò sopra un caval morello
1.248e volse riveder tutte le guardie
1.249prima che a gli occhi suoi rendesse il sonno.
1.250D'indi partito, e ritornato a casa,
1.251non avea cura ancor di prender cibo,
1.252tant'era intento a quelli alti negozi;
1.253onde Antonina sua fedel consorte
1.254se n'andò a ritrovarlo, e poi gli disse:
1.255Caro marito mio, non vi soviene
1.256di voi medesmo e de la vostra vita?
1.257Ché dal nascer del dì fin a le stelle
1.258avete combattuto co i nimici;
1.259e ne l'ultimo terzo de la notte
1.260v'affaticate e travagliate ancora
1.261senza pigliarvi nutrimento alcuno.
1.262Già viver non si può senza nutrirsi;
1.263cercate adunque di serbar la vita,
1.264perché da la vostr'anima dipende
1.265il viver di noi tutti e questa impresa.
1.266Così diss'ella, e fece porli avanti
1.267diversi cibi e dilicati vini,
1.268ed ei nulla ne prese; al fin constretto
1.269da i prieghi ardenti di sì cara donna
1.270gustò un poco di pane, e non volse altro.
1.271Ma Filodemo, ch'era andato a casa,
1.272per ubidire il buon conte d'Isaura
1.273prima si chiuse in un secreto luoco,
1.274e poscia fece un cerchio sul terreno
1.275e v'entrò dentro col libretto in mano;
1.276poi messevi una pentola nel mezzo
1.277con certe ossa di morto e certi segni
1.278di sangue umano e di civette e guffi;
1.279e mentre che leggea sopra 'l quaderno
1.280l'apparve un spiritel lungo una spanna
1.281su l'orlo de la pentola a sedere:
1.282poi crebbe in forma paventosa e fiera
1.283e disse: Che comanda il mio signore?
1.284A cui rispose il negromante ardito:
1.285O Rimfagor, che sai tutte le cose
1.286che furon fatte e che si fanno al mondo,
1.287dimmi in che luogo è Corsamonte il fiero,
1.288che se n'uscite fuor de la cittade
1.289e non si sa di lui novella alcuna.
1.290Così diss'egli; e quel demonio orrendo
1.291rispose irato e con parole corte:
1.292Il gran duca di Scitia e quel d'Atene
1.293sono sul monte ove abitò già Circe.
1.294E Filodemo a lui:Che fanno quivi?
1.295Ed egli: Cercan di sanar Plutina,
1.296superbissima fada, de la vista.
1.297Come faremo adunque a ritrovarli?,
1.298soggiunse il negromante; ed ei rispose:
1.299Mandate là, che troverete aperta
1.300l'ascosa porta di quell'ampio luoco
1.301che per noi spesse volte si disserra.
1.302Adunque, disse il negromante, aiuta
1.303questi baroni eletti che mandiamo
1.304per ritrovarli e rimenarli a casa:
1.305ch'altro da l'opra tua non ci bisogna.
1.306Ed egli a lui: Signor, questo farassi.
1.307Ma s'altro poi da me non vi bisogna,
1.308solvete il duro e formidabil nodo
1.309che mi ritien qua su contra mia voglia,
1.310e lasciatemi andare al mio tormento.
1.311Rimfagor così disse, ed ei lo sciolse,
1.312onde tornò nel fondo de l'inferno;
1.313ma nel partir lasciò sì grave odore
1.314di sterco, d'assafetida e di solfo,
1.315che putia intorno tutta la contrada.
1.316Poi Filodemo nel spuntar de l'alba
1.317venne a l'albergo del canuto Paulo;
1.318e quivi ritrovò Traiano e Ciro
1.319ch'erano in punto per voler partirsi,
1.320a cui fé noto ciò che aveano a fare:
1.321onde il buon vecchio fece tòr del vino
1.322soave e dolce in una tazza d'oro,
1.323e tutti allegramente ne gustaro;
1.324Dapoi montaro sopra i lor destrieri
1.325con tre famigli ed Oribasio araldo
1.326e presero il camin verso Marino.
1.327Vitige poi, che si venia col stuolo
1.328dritto per gire a la Salaria Porta,
1.329quando i suoi cavalier fur posti in fuga
1.330e che si mescolor con l'altre genti
1.331taciti, che parean tornarsi in dietro
1.332come impediti da scurissim'ombra,
1.333quivi fermò l'essercito e gli disse:
1.334Udite il mio parlar, signori e duchi
1.335e voi disposti cavalieri e fanti:
1.336se non venia dal ciel con tal prestezza
1.337l'oscura notte ad aiutar quei cani,
1.338giunto era il fin de i lor rabbiosi insulti;
1.339ben mi credea dover trattarli in modo
1.340che non tornassen più verso Durazzo.
1.341Or poi che gli salvò quella grand'ombra,
1.342buon è che noi mandiam qualcun de i nostri
1.343a Roma per veder quel che si fanno:
1.344se pongon guardie intorno la cittade
1.345o se smarriti da le nostre forze
1.346fanno tra lor consiglio di fuggirsi
1.347e lasciar vòta la città di Roma.
1.348Io poscia a quel ch'averà cuor d'andarvi
1.349darò il più bel corsier ch'io tenga in stalla
1.350con molti doni prezïosi appresso;
1.351e se per caso non potesse intrare
1.352dentr'a le mura e le serrate porte,
1.353cerchi di far spavento a quelle genti
1.354che saran poste a guardia de la terra
1.355con parole superbe e con minaccie:
1.356Così propose l'alto re de' Gotti,
1.357onde ognun stava tacito e suspeso;
1.358quando un baron ch'avea nome Frodino,
1.359brutto di faccia ma veloce al corso,
1.360figliuol del ricco Eroldo e di Giufreda,
1.361ch'avea il governo del montoso Urbino,
1.362si fece avanti, e disse este parole:
1.363Signore, il cuor mi dà d'andare a Roma
1.364e di far tutto quel che voi dicete,
1.365se mi giurate sopra il vostro petto
1.366di darmi il bel corsier ch'aveva sotto
1.367ne la battaglia Belisario il grande;
1.368e darmi ancora l'armatura fina,
1.369dal capo a i piè, che si trovava intorno.
1.370Così diss'egli e 'l re levò la mano
1.371col scettro d'oro, e poi toccossi il petto;
1.372e disse: O summo Re che 'l ciel governi,
1.373tu sarai testimon ch'io gli prometto
1.374che nessun altro de la gente Gotta
1.375non arà il bel corsier che ci dimanda;
1.376ma sol si goderà tutti quei doni,
1.377come essequito arà ciò che promette.
1.378Giurato ch'ebbe Vitige, il barone
1.379pien di speranza dipartissi quindi;
1.380e poscia giunto a la città di Roma
1.381ritrovò chiusa la Flaminia porta,
1.382e parimente la Pinciana, ed anco
1.383la terza che Salaria si dimanda;
1.384onde si messe a gire intorno al muro,
1.385che pensò tutte l'altre esser serrate;
1.386ma sentendo che in esso eran persone
1.387alzò la voce, e minacciando disse:
1.388O scelerati e perfidi Romani
1.389ch'avete fatto fallimento a i Gotti
1.390e tradita la patria e vo' medesmi
1.391per darla a gente che non può tenerla:
1.392se forse vi pensate esser difesi
1.393da quei che son fuggiti al primo assalto
1.394dinanzi a i colpi de le nostre spade,
1.395voi v'ingannate di dannoso errore.
1.396Deh tornate meschini al giogo antico,
1.397se non volete esser distrutti ed arsi.
1.398Questo diss'egli, e non rispose alcuno
1.399di quel popol roman ch'era sul muro
1.400a le arroganti sue parole inette;
1.401il che sentendo il giovane Lucillo
1.402ch'era a la guardia fuor di quella porta
1.403si volse, e disse al suo cugin Tibullo:
1.404Che ti par, frate mio, di quello altero
1.405parlar che fa costui? Certo pur troppo
1.406morde arrogantemente il nostro onore:
1.407non è da supportarlo; andiamo adunque
1.408a dar risposta a quel superbo Gotto
1.409ed al suo minacciar con le nostr'arme.
1.410Rispose alor Tibullo: Io n'ho più voglia
1.411di te; ma temo che non sia molesto
1.412a Belisario che lasciam l'officio
1.413che n'ha commesso per novella impresa,
1.414senza saputa sua, senza licenza.
1.415Disse Lucillo a lui: Non abbiam tempo
1.416da dirli alcuna cosa: andiam pur oltra
1.417tosto, che non perdiam sì buona preda;
1.418poi se lo prenderem, come ho speranza,
1.419saprem qualche dissegno de i nimici
1.420che fia giocondo al capitanio nostro:
1.421perché i pensier de l'aversario spesso
1.422apportan la vittoria de le guerre.
1.423Né temer che la guardia abbia a patire,
1.424ché vi resta Gualtier, nostro compagno,
1.425ch'arà in governo la centuria tutta.
1.426E così detto, subito n'andaro
1.427a dire il lor disegno al buon Gualtiero,
1.428ch'assai lodollo e comendollo; ond'essi
1.429allegri s'avvior dietro a quel Gotto
1.430tacitamente, e preseno la volta
1.431larga, tal ch'ei restò tra 'l fosso e loro.
1.432Poi fatto questo, s'appressaro a lui;
1.433ed ei, come sentì venirsi dietro
1.434i dui baroni, subito pensossi
1.435che fusser messi del signor de i Gotti
1.436per rivocarlo o dirli altre parole;
1.437ond'e' si volse, e riconobbe tosto
1.438ch'eran nimici, e posesi a fuggire;
1.439ma quei veloci giovani correndo èlo seguitavan, che parean dui veltri
1.440che corran dietro a caprïola o lepre,
1.441ed insten molto con gli acuti denti
1.442per imboccarla, ed ella per le selve
1.443gli va fuggendo timorosa avanti:
1.444tali pareano alor que' dui baroni,
1.445che correan dietro al misero Frodino
1.446e sempre lo volgean verso la terra,
1.447né lo lasciavan declinarsi al campo.
1.448Ma quando giunti fur presso a la scolta
1.449che custodìa la Nomentana porta,
1.450dubitando ch'alcun di quelle guarde
1.451no i prevenisse e non gli desse morte
1.452e lor togliesse il già sperato onore,
1.453gridò Lucillo a lui: Se non ti fermi,
1.454Gotto crudel, ti giungerò con l'asta:
1.455né vivo fuggirai da le mie mani.
1.456E detto questo, lasciò gir la lancia
1.457de industria, che gli andò sopra la spalla,
1.458e 'l ferro avanti a lui ficcossi in terra:
1.459ond'ei restò tremando, e per paura
1.460era già verde, e gli crollava il mento;
1.461tal che i baroni ansando lo pigliaro
1.462con le lor mani, ed ei piangendo disse:
1.463Valorosi signor, non m'uccidete,
1.464ma fatemi prigion, ch'io vi prometto
1.465di riscattarmi con assai tesoro.
1.466Mio padre è ricco, ed è senz'altro erede;
1.467e se saprà ch'io sia ne le man vostre
1.468vivo, daravvi molto argento ed oro
1.469per liberarmi e rimenarmi a casa.
1.470A cui rispose il provido Lucillo:
1.471Piglia ardimento, e non pensar di morte;
1.472ma dimmi prima qual cagion ti mosse
1.473a venirci a trovar con tanto ardire
1.474per l'oscuro silenzio de la notte
1.475quando la gente si riposa e dorme,
1.476e dir quell'aspre ingiurie al popol nostro.
1.477Fu parola del re che te 'l comise
1.478o pur è nato fuor de la tua testa?
1.479Frodino alor con tremebunda voce
1.480rispose:Il re con sue promesse larghe
1.481m'indusse a venir qui senza pensarvi:
1.482egli m'offerse di voler donarmi
1.483quel bel corsier che Belisario il grande
1.484avea sott'esso il dì de la battaglia,
1.485e l'armatura ancor ch'aveva intorno;
1.486e mi comise ch'io venisse a Roma
1.487e ch'io sapesse poi ridirli chiaro
1.488se si poneva intorno a la cittade
1.489guardie, o smarriti da le nostre forze
1.490si consultava di voler fuggire
1.491e lasciar vuota la città di Roma:
1.492e se per caso io non potesse intrare
1.493dentr'a le mura e le serrate porte,
1.494mi comandò che con parole acerbe
1.495tentassi far spavento a quella gente
1.496che fusse posta a guardia de la terra;
1.497il che fec'io, sì come avete udito.
1.498Sorrise alora il giovane Lucillo,
1.499e disse verso il misero Frodino:
1.500So che tu disïavi immensi doni,
1.501ché quel destrier non truova pare al mondo
1.502se non il buon Ircan di Corsamonte:
1.503né vuol tenere altro barone in sella
1.504che 'l vicimperator de l'occidente.
1.505Ma dimmi prima: quando ti partisti
1.506ov'era 'l campo de la gente Gotta?
1.507Frodin rispose: Il campo era propinquo
1.508al fiume ch'entra nel famoso Tebro;
1.509e Vitige era in mezzo a l'ampio stuolo
1.510con tutti e' consiglier de la sua corte.
1.511Avanti gli altri Turrismondo altero
1.512ha posto il suo superbo alloggiamento
1.513da la parte che guarda inverso Roma;
1.514ma da quell'altra che risguarda il Tebro
1.515v'han posto albergo Totila e Aldibaldo;
1.516ed ove il fiume vien giù dal suo fonte
1.517è il padiglion di Teio e quel di Argalto,
1.518questi fan guardia a tutto quanto il stuolo
1.519come più forti e di maggiore ardire.
1.520Disse Lucillo: E poi gli altri baroni
1.521come sono alloggiati, ed in qual parte?
1.522A cui Frodin rispose: E' saria lungo
1.523a nominarli tutti ad uno ad uno
1.524e dirvi ove ciascun tiene il su' albergo.
1.525Ma se volete penetrar fra i Gotti
1.526come a me par che sia 'l vostro desire,
1.527ogni altra via che tenterete, certo
1.528sarà periculosa e senza frutto
1.529se non quest'una sola ch'io v'insegno:
1.530quivi a man destra, un poco fuor di strada,
1.531son certi Gotti ch'arrivaro iersera
1.532d'Abruzzo, nel fornir de la battaglia;
1.533e 'l capitanio lor, ch'ha nome Urtado,
1.534menato ha seco i dui più bei corsieri
1.535che mai vedesse alcun mortale in terra,
1.536veloci e presti e più che neve bianchi;
1.537e i fornimenti lor son tutti carchi
1.538d'argento e d'oro e prezïose gemme,
1.539che paiono a veder cosa miranda.
1.540Ma legatemi qui fin che tornate,
1.541e poi vedrette s'io v'ho detto il vero.
1.542Disse Lucillo a lui: Certo, Frodino,
1.543le villane parole, aspre e superbe,
1.544ch'hai dette or ora de la gente nostra
1.545meriterian che senza alcun rispetto
1.546subitamente io ti mandassi a morte;
1.547ma per l'avviso tuo, che pur mi piace,
1.548voglio menarti dentr'a la cittade
1.549e darti al capitanio de le genti,
1.550che poi farà di te quel che gli piaccia.
1.551E così detto fece darsi l'arco
1.552e la spada e 'l pugnale, e lo menaro
1.553indietro, e consignaro al buon Gualtiero,
1.554dicendo: Frate mio, quest'è la preda
1.555ch'abbiamo fatto; serbala, che noi
1.556volem far pruova d'acquistarne un'altra.
1.557E detto questo, subito dier volta
1.558e se n'andaron là dove avea detto
1.559Frodin che stava il capitanio Urtado;
1.560e quivi lo trovor con la sua gente,
1.561che per lo caminare e per la cena
1.562dormiva, oppresso da profondo sonno;
1.563ed ei nel mezzo sotto una gran tenda
1.564giacea prostrato e sonnacchioso in terra:
1.565ma non avea le sue bell'arme appresso,
1.566che stavan sopra il carro, a cui legati
1.567avea i cavai, che masticavan orzo;
1.568onde Lucil, che gli conobbe prima,
1.569disse con voce bassa al buon Tibullo:
1.570Veramente, fratel, questo è 'l signore
1.571che ci disse Frodino, e i suoi corsieri.
1.572Or qui lasciar convienci ogni paura,
1.573né bisogna dormir con l'arme in mano.
1.574Slega i destrieri e ponvi su le selle,
1.575over uccidi ognun che ne la strada
1.576dorme, ch'i' arò la cura de i cavalli.
1.577Così diss'egli, e tosto il fier Tibullo
1.578si volse, ed amazzò l'ardito Aleso
1.579e Fiordelino e 'l suo fratel Leandro
1.580l'un dopo l'altro con diversi colpi;
1.581ché Leandro nel petto e Fiordelino
1.582ferì nel fianco e ne la gola Aleso.
1.583Alor s'udiron gemiti e suspiri
1.584di quella gente ch'ei mandava a morte,
1.585e si vedeva insanguinar la terra:
1.586e come acerbo lupo entr'a le mandre
1.587di pecorelle senza il lor pastore,
1.588sazia sovr'esse le affamate brame;
1.589così facea Tibullo in quei d'Abruzzo,
1.590fin che n'uccise ventiquattro; e quando
1.591n'avea percosso alcuno, il buon Lucillo
1.592subito lo prendea per un de i piedi
1.593e ratto lo traea fuor de la starda,
1.594perché i cavalli, che non eran usi
1.595tra corpi morti e tra ferite e sangue,
1.596potessen trappassar senza temerli.
1.597Ma quando aggiunse al capitanio Urtado,
1.598che in un profundo sonno era sepolto,
1.599il fier Tibullo gli tagliò la gola:
1.600ché ben fu sogno dispietato e duro
1.601che 'l fé venticinquesimo tra i morti.
1.602In questo mezzo il figlio d'Antonina
1.603slegò i cavalli e pose lor le selle
1.604co i fornimenti suoi d'oro e di gemme,
1.605e sopra vi salir con gran destrezza:
1.606ma non avendo sproni, usor l'acute
1.607saette che a Frodino aveano tolte,
1.608che fecenglir volando inverso Roma.
1.609In questo tempo il capitanio eccelso
1.610con Paulo e con Costanzo e con Bessano
1.611eran venuti a riveder le guardie:
1.612le quai trovaron vigilanti, e volte
1.613con gli occhi e con la fronte inverso il piano
1.614dove era il campo de la gente Gotta:
1.615che perean cani intrepidi che stansi
1.616circa le mandre a custodir gli armenti
1.617perch'hanno udito per la selva folta
1.618esser lupi o leoni, e che i pastori
1.619gli fanno intorno strepito e tumulto;
1.620così pareano i giovani Romani,
1.621onde il buon Paulo allegramente disse:
1.622Custodite, figliuoli, a questo modo
1.623la nostra libertà senza dormire.
1.624Ma non so se sia vero o s'io m'inganno,
1.625che parmi udir calpesto di cavalli.
1.626Rispose alor Gualtieri: Esser potrebbe
1.627che 'l bel Lucillo e 'l suo cugin Tibullo
1.628fosser venuti con qualche altra preda.
1.629Appena avean queste parole dette
1.630che Lucillo apparì sopra un corsiero
1.631e sopra l'altro il giovane Tibullo,
1.632che fu cosa gioconda a riguardarli;
1.633onde gli disse il venerando Paulo:
1.634Ditemi, dilettisimi figliuoli,
1.635che buona sorte o che favor del cielo
1.636v'ha fatto aver questi sì bei corsieri
1.637che fan stupire ognun di meraviglia.
1.638A cui rispose il giovane Lucillo:
1.639Vero favor del ciel ne gli ha concessi,
1.640di che ne rendo a Dio grazie ed onore.
1.641Noi preso avemo un scelerato Gotto
1.642che minacciava al buon popol di Roma
1.643con parole superbe, aspre e villane;
1.644costui ci disse che venia d'Abruzzo
1.645un cavalier ch'era nomato Urtado
1.646che gli avea seco, e c'insegnò la stanza;
1.647onde v'andammo, e 'l mio cugin Tibullo
1.648uccise lui con altri molti appresso,
1.649ed io tolsi i cavai, ch'eran legati
1.650appress'un carro, e masticavan orzo;
1.651e condotti gli avem come vedete.
1.652Così diss'egli, e fé venir Frodino
1.653legato con fortissimi legami
1.654et diello in mano al capitanio eccelso,
1.655dicendo: Almo signor, s'i' avesse errato
1.656a prender questa spia senza licenza,
1.657vi dimando perdon; che 'l fei per bene
1.658e per onore ed util de la impresa:
1.659né per questo la guardia ebbe a patire,
1.660ché vi restò Gualtier nostro campagno
1.661ch'ebbe in governo la centuria tutta.
1.662A cui rispose Belisario il grande:
1.663Figliuol, per questa volta io ti perdono:
1.664ché s'hai ben fatto ed utile e gioconda
1.665cosa a la nostra glorïosa impresa,
1.666pur non è bene abbandonar la scolta
1.667per alcun uopo che ci appaia avanti:
1.668ché incontrar ti potea qualche vergogna.
1.669E così detto, quei baroni allegri
1.670subitamente ritornaro in Roma
1.671menando seco il misero Frodino.
1.672Quando poi venne fuor la bella Aurora
1.673coronata di rose in vesta d'oro,
1.674Vitige udì com'era morto Urtado
1.675e toltoli i cavai ch'egli menava,
1.676percioché molti de la gente Gotta
1.677eran iti a mirar quel empio fatto:
1.678ond'ei ne prese meraviglia e sdegno;
1.679da poi vols'ire a rivedere il luoco
1.680ove stat'era la battaglia orrenda,
1.681e videl tutto quanto esser coperto
1.682d'uomini morti e di cavalli e sangue,
1.683e come nel principio di Vallarsa
1.684intra Campo Silvano e Campo Grosso
1.685talor si vede un numero di faggi
1.686grande, tagliati da diverse mani
1.687per farne borre e poi condurle al fiume:
1.688tal che le rive e le colline o i poggi
1.689e le strade e le valli intorno al Lemmo
1.690son tutte ingombre di atterrate piante;
1.691così le piagge e i campi intorno al Tebro
1.692erano ingombre di persone estinte:
1.693ond'ebbe gran dolore il re de' Gotti;
1.694dapoi s'udì per tutto quanto il stuolo
1.695lagrime e strida e meraviglia grande.
1.696Quivi si stette fino a mezzo giorno
1.697ad aspettar s'uscivano i Romani;
1.698ma come non ne vide uscire alcuno
1.699si volse verso la sua gente, e disse:
1.700Ecco il valor de i principi di Roma,
1.701che si stan chiusi dentr'a le muraglie
1.702e non ardiscon di mostrar la fronte.
1.703Io vuo' che gli poniam l'assedio intorno,
1.704e che proviamo di cavarli quindi
1.705o per forza di picche o per la fame.
1.706Adunque dividianci in sette parti
1.707e facciam sette esserciti, e ponianli
1.708intorno a quest'amplissima cittade
1.709con sette capitani e sette valli,
1.710ch'ognuno arà la cura de le porte
1.711che saran più propinque a i lor steccati:
1.712tal che non vi potranno entrar gli uccelli
1.713senza far conto con le genti loro;
1.714e quivi alloggerem divisi in modo
1.715che si potremo anco aiutar l'un l'altro
1.716e tutti unirsi ne i maggior bisogni.
1.717Poi gli faremo ancora un altro danno
1.718che esser farà l'assedio assai più grave.
1.719In Roma son quattordici acquedutti,
1.720sì grandi, ch'un arcier sopra 'l cavallo
1.721agevolmente vi può gir per entro:
1.722questi conducon l'acque a la cittade,
1.723di cui si serven poi molini e bagni;
1.724rompianli tutti, ché darem disagi
1.725a i corpi loro, ed indurrem la fame
1.726ne la leggiera e mal provista plebe.
1.727Così propose Vitige, e lodato
1.728fu da ciascun quel empio suo consiglio:
1.729onde si diè la cura al fier Bellambro
1.730ch'andasse a por quelli edifici in terra
1.731con tutte l'altre belle cose antique
1.732che ritrovar potesse in quei contorni,
1.733opra maligna veramente e cruda.
1.734Dapoi divise i Gotti in sette parti:
1.735l'una tenne per sé, fermando il vallo
1.736con essa fuor de la Salaria porta,
1.737e l'altra diede a Turrismondo altiero,
1.738che pose sopra la Pinciana il campo.
1.739La terza ebbe Aldibaldo, che guardava
1.740la Flumentana over Flaminia porta;
1.741la quarta fu la Nomentana, ch'ebe
1.742Totila, che fu poi tanto crudele.
1.743Ma con la quinta il duca di Milano
1.744custodìa l'Esquilina, e poi la sesta,
1.745la qual fu data al valoroso Argalto,
1.746andò a la Prenestina over Maggiore;
1.747la settima mandò de là dal fiume
1.748col fiero Marzio, duca di Vicenza,
1.749ch'era venuto pochi giorni avanti
1.750fuor di Tolosa, ed accampossi alora
1.751ne' prati di Neron vicini al Tebro,
1.752ov'è l'Aurelia porta di San Piero
1.753e quella, che in Transtevere ci guida.
1.754Così divise il re tutti e' suoi Gotti;
1.755e poi ciascun di lor muniro i valli
1.756con pali acuti e con profonde fosse,
1.757tirando dentro gli argini e facendo
1.758sovr'essi torri e validi ripari
1.759e disponendo ancor le porte e i ponti
1.760a guisa di fortissimi castelli.
1.761Come fu fatto questo, un'altra volta
1.762fece chiamare il re tutti e' baroni,
1.763e cominciò parlarli in tal maniera:
1.764Signori e duchi, e' sarà ben ch'abbiamo
1.765pensiero ancor de le persone estinte
1.766che non schifaro abbandonar la vita
1.767per la difesa de la gente Gotta;
1.768di noi per gratitudine devemo
1.769parimente cercar che non sian prive
1.770di sepultura e de i supremi onori.
1.771Dunque truovi ciascun tutti e' suoi morti,
1.772acciò che tutti insieme sian sepulti
1.773con degne essequie e lamentevol pianti.
1.774Poi, fatto questo, gettensi i Romani
1.775tutti nel fiume, tal che i corpi loro
1.776vadan per entro le dilette mura
1.777superbi e tumeffatti a la marina.
1.778Dietro al parlar del re, tutta la gente
1.779se n'andò lacrimosa a la campagna;
1.780e rivolgendo i miseri defonti
1.781chi cercava il fratello e chi il figliuolo
1.782e chi il nipote od altro a lui propinquo
1.783di parentado o di fraterno amore.
1.784E come vanno i timidi colombi
1.785ne i grassi campi seminati d'orzo
1.786o di formento o di qualche altra biada
1.787cercando il gran che poca terra asconde
1.788per riportarlo a i suoi diletti nidi;
1.789così faceano alor tutti quei Gotti,
1.790che ricercavan le persone estinte
1.791per apportarle ne i muniti alberghi:
1.792onde Bisandro, che giacea tra loro
1.793e che spirava ancora, aperse gli occhi;
1.794di che s'avvide Rodorico, e disse:
1.795Bisandro; ed ei rispose; O fratel caro,
1.796porgime un poco d'acqua anzi ch'io muora.
1.797E Rodorico andò correndo al fiume;
1.798poi la celata si cavò di testa
1.799e l'empì d'acqua liquida, e portolla
1.800a quel maschino, e glie ne diede a bere:
1.801onde per essa ristorossi tanto
1.802che ritornolli l'intelletto e i sensi.
1.803Dapoi lo fece sollevar da terra
1.804commodamente a quattro suoi famigli
1.805e portarlo con lui dentr'a l'albergo:
1.806ove fu medicato con gran cura
1.807di tredeci ferite ch'egli avea,
1.808le quali in brieve tempo si sanaro;
1.809ma non gli tornò mai tutto 'l colore,
1.810ché pallido restò mentre che visse.
1.811Così quel cavaliere ebbe la vita,
1.812ch'era giaciuto tra le genti morte
1.813tre giorni intieri, e poi non fu cortese
1.814a Rodorico di sì gran servigio:
1.815che quel che è liberato da la morte
1.816per l'altrui mani, è di natura ingrato.
1.817I Gotti poi, come ebbeno condotti
1.818i morti lor dentr'a i muniti valli,
1.819gli fecer degne ed onorate essequie.
1.820Or mentre che di fuor da l'ampie mura
1.821si facea questo per la gente Gotta,
1.822l'angel Palladio giù dal ciel discese
1.823per dare aiuto a belisario il grande;
1.824e sotto forma del canuto Paulo
1.825incominciò parlarli in tal maniera:
1.826Illustre capitan, luce del mondo,
1.827so che sapete omai come i nimici
1.828han guasti gli quattordeci acquedutti
1.829che portan acqua dentro a queste mura:
1.830onde i Romani aran molti disagi,
1.831massimamante perché assai molini
1.832da veloci canali eran girati
1.833che derivavan tutti da quell'acque;
1.834sì che non si potrà macinar grano,
1.835che darà gran disturbo a tanta gente
1.836quant'ora è in questa amplissima cittade:
1.837ed anco i cittadin, ch'erano avezzi
1.838a bagni ed a delitie di giardini
1.839come son rivi, pelaghetti e fonti,
1.840mancando quelle, aran molto dolore
1.841e cercheran sottrarsi al vostro impero
1.842e dar la terra ne le man de' Gotti,
1.843che saria la total vostra ruina.
1.844A la qual cosa ancor porìa spronarli
1.845il guasto che danno ora a le lor biade,
1.846a le lor vigne ed a i lor bei palagi:
1.847dunque cercate provedere a questi
1.848disconci de la terra, poi che a quelli
1.849de le campagne non può darsi aiuto.
1.850Al parlar del buon angelo rispose
1.851l'accorto diffensor de le cittadi:
1.852Non m'è nuovo, signor, questo periglio,
1.853perché ho pensato intorno a simil cosa
1.854non una volta pur, ma molte e molte;
1.855e truovo ancor che quelli antiqui eroi
1.856che fondòr questo popolo eccellente
1.857ch'avesse a dominar tutta la terra,
1.858ebber cura e compenso a tal periglio:
1.859e per far che le mole ch'eran poste
1.860nel Tebro tra Ianiculo e Aventino,
1.861che quivi ha il corso più veloce e stretto,
1.862fosser sicure da i nimici loro,
1.863cinsero quel terren di là dal fiume
1.864di mura, e poscia dentro l'abitaro,
1.865- il quale ancor Transtevere si chiama -
1.866e l'aggiunser'a Roma con un ponte
1.867sicuro e grande, e di struttura eterno.
1.868Or poi che quelle mole fur distrutte
1.869dal tempo che consuma ogni opra umana
1.870e dal condurvi altre più commode acque,
1.871fia ben che noi tentiam di restaurarle:
1.872ché mal si staria qui senza potere
1.873commodamente macinarsi il grano.
1.874L'altre delizie poi, come son bagni,
1.875zampilli, vivi pelaghi e fontane,
1.876che si fan per diletto entr'a i giardini,
1.877possiàn lasciarle, perché ogni uom virile
1.878agevolmente potrà star senz'esse:
1.879anzi devrebbe ognun sempre schifarle,
1.880ch'elle ci fanno effeminati e molli
1.881e danci in preda de i nimici nostri.
1.882Così detto e risposto, fu chiamato
1.883Callidio, eccellentissimo architetto,
1.884a cui l'angel di Dio così propose:
1.885Callidio, onor de gli architetti umani,
1.886poi che 'l gran capitanio de le genti
1.887vuol ritornar quelle molina ancora
1.888ch'eran sul Tebro presso a l'Aventino,
1.889fia ben che noi facciam sessanta navi
1.890e le poniam nel fiume a düe a düe
1.891legate con fortissime catene
1.892a l'uno e a l'altro lato de le ripe;
1.893e tra ciascuna coppia de le barche
1.894si ponerà una ruota in mezzo 'l fiume,
1.895che da l'un capo volgerà coi denti
1.896di legno un altro rotolo di legno
1.897che girerà la pietra in su la mola,
1.898posta sovr'uno di que' dua sandoni.
1.899Così ciascuna di coteste coppie
1.900avrà sovr'essa un ottimo molino,
1.901che potrà macinar tanto formento
1.902quanto bisogni a la cittade ossessa.
1.903Callidio, come udì questo disegno
1.904e vide l'assentir del capitano,
1.905si pose ad essequirlo, onde sparìo
1.906subitamente il messaggier del cielo.
1.907Or mentre si fornian queste molina,
1.908Burgenzo, che volea che 'l re de' Gotti
1.909l'avesse caro e gli facesse onore,
1.910s'imaginò di voler far tal opra
1.911con tradimenti e con trattati occulti
1.912che guadagnar potesse il suo favore;
1.913onde gli fece intender ch'arìa caro
1.914parlar con lui di alcuni suoi pensieri
1.915che farebbon profitto a quella impresa:
1.916e Vitige se 'l fé condurre avanti,
1.917a cui Burgenzo disse in questo modo:
1.918Signore invitto, e di maggior valore
1.919d'altro signor che si ritruovi al mondo;
1.920se ben avete qui sì buona gente
1.921che porìa vincer tutto l'universo,
1.922pur ci bisogna ancor qualche consiglio,
1.923perciò che avengon spesse volte a l'uomo,
1.924per non si consigliar, molti disconci.
1.925Poi non è alcun che sia tanto prudente
1.926che non li giovi ancor gli altrui ricordi;
1.927ché, come dice quel proverbio antico,
1.928la man lava la mano, e 'l dito il dito.
1.929Io son, signor, dal dì ch'a voi mi resi
1.930fatto buon servo de la vostra altezza:
1.931però voglio aver cura al vostro bene;
1.932ma perché il capitan che non intende
1.933e l'opere e i consigli del nimico
1.934va come cieco al prender de i partiti:
1.935però, signor, spero di fare in modo
1.936che voi saprette ognor ciò che farassi
1.937in Roma, e tutti quanti i lor disegni;
1.938onde potrete prender quelle strade
1.939che parranvi più corte e più sicure
1.940da pervenire al desiderio vostro.
1.941Così disse Burgenzo, e 'l re de' Gotti
1.942prese del suo parlar diletto e gioia,
1.943e poscia gli rispose in questa forma:
1.944Burgenzo, se farai con veri effetti
1.945quel che tu spargi fuor con le parole,
1.946io te n'arò grand'obligo, e farotti
1.947che resterai di me molto contento.
1.948Ma come posso dar pienaria fede
1.949a questo tuo parlar, che non m'inganni?
1.950A cui Burgenzo disse: Alto signore,
1.951io resterò con la persona vosco,
1.952e manderò Sulmonio mio sergente
1.953in Roma ad essequir questo negozio:
1.954e se voi troverete alcuna fraude
1.955in lui farete poi quella vendetta
1.956che più v'aggradi ne la mia persona.
1.957Così diss'egli, e Vitige soggiunse:
1.958Questo modo ch'hai detto non mi spiace:
1.959va dunque ad essequir ciò che ti pare.
1.960Come fu il traditor partito quindi,
1.961chiamò Sulmonio e prima ben lo instrusse;
1.962poi lo mandò ne la città di Roma
1.963sotto finto color d'esser fuggito
1.964fuora del campo da le man de' Gotti.
1.965Questo Sulmonio nel spuntar de l'alba
1.966giunse a la porta Prenestina, e molto
1.967ansando e timoroso ne l'aspetto
1.968chiese a quel portinar d'esser aperto:
1.969ed ei con la licenza di Bessano
1.970lo tolse dentro, e poi senza dimora
1.971condur lo fece a Belisario avanti,
1.972a cui Sulmonio lagrimando disse:
1.973Signore eccelso e di virtù supprema,
1.974io son fuggito fuor de l'ampio vallo
1.975de' Gotti, che m'avean tenuto in ceppi
1.976insieme con Burgenzo mio signore
1.977da che ci preser sopra Ponte Molle;
1.978e mentre che i nimici erano intenti
1.979circa le triste essequie de i defonti,
1.980che sono stati un numero infinito,
1.981Burgenzo m'aiutò levarmi i ferri
1.982da i piedi, onde passai quell'alta fossa
1.983del vallo, e son venuto a vostra altezza
1.984per vivere e morir tra la mia gente.
1.985Il parlar di Sulmonio al capitano
1.986non spiacque punto, e per saper novelle
1.987del campo a lui così parlando disse:
1.988Sulmonio, assai mi piace il tuo venire;
1.989così fuggito fosse anco Burgenzo.
1.990Ma dimmi, se lo sai, se 'l re de' Gotti
1.991vuol dar battaglia a la città di Roma
1.992o pur vuol saccheggiar tutto 'l paese;
1.993e s'egli è pervenuto a le tu' orecchi...
1.994qualch'altro suo pensier; fa ch'io l'intenda
1.995perch'io possa da lor meglio guardarmi.
1.996Rispose poi Sulmonio: Almo signore,
1.997io fui prigion del furibondo Argalto
1.998duca di Padoa, il qual con Unigasto
1.999discorrea spesso i fatti de la guerra;
1.1000ed io talor, fingendo non gli udire,
1.1001scrivea dentr'al mio cuor le lor parole.
1.1002Eri diceano come avean saputo
1.1003d'un vostro fabricar di assai molini
1.1004in mezzo a l'alveo del corrente fiume;
1.1005onde voleano giù mandar per l'acqua
1.1006arbori e corpi morti per guastarli;
1.1007poi volean seguitare ad arder tutte
1.1008le case, e dare il guasto a le campagne;
1.1009e dopo questo, una battaglia orrenda
1.1010voleano dare a le romane mura
1.1011con ferro e fuoco e machine murali,
1.1012e voglionvi assalir da tanti lati,
1.1013con tanta gente in un medesmo tempo,
1.1014che non porete far da lor diffesa.
1.1015Appena avea queste parole dette
1.1016Sulmonio avanti Belisario il grande,
1.1017che cominciòr venir giù per lo fiume
1.1018legnami e corpi d'uomini, che morti
1.1019fur ne la guerra presso a Ponte Molle:
1.1020onde acquistò da tutti estrema fede,
1.1021che fu di gran momento a i suoi dissegni.
1.1022Il vicimperator de l'occidente
1.1023com'ebbe intesa la materia molta
1.1024che per lo Tebro turbido e veloce
1.1025venia per atterrare i suoi molini;
1.1026fece poner catene appresso 'l ponte
1.1027a traverso del fiume, onde ritenne
1.1028ciò che venia per esso a farli danno:
1.1029poi fece con uncini cavar fuori
1.1030tutto quel che venia per entr'a l'onde;
1.1031e prima e' corpi morti de i soldati
1.1032fé porre insieme appresso a Scola Greca,
1.1033ov'era Adardo e 'l principe Massenzo:
1.1034e ragunati poi tutti in un luoco
1.1035chierici e scole e sacerdoti e frati,
1.1036con lumi accesi a con solenne pompa
1.1037furon portati fin a San Giovanni,
1.1038accompagnati da persone molte
1.1039e da soldati e principi e baroni.
1.1040Quivi fur posti in dui sepulcri eletti
1.1041il re de gli Azumiti e 'l gran Massenzo
1.1042con le lor armi e i lor stendardi intorno;
1.1043poi gli altri corpi in una tomba grande
1.1044posero, e vi sculpir queste parole:
1.1045Qui son sepulti gli ottimi Romani;
1.1046che combattendo appresso a Ponte Molle
1.1047co' Gotti vi lasciar la propria vita
1.1048per porre in libertà l'Italia oppressa.
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