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1.1Donna, che vai sì gonfiata e superba
1.2Per le ampie piazze e per le larghe strade,
1.3E in mezzo ai sacri templi, infra le belle;
1.4Come stu fussi di Febo la suora
1.5Tra le sue ninfe in sul monte di Menalo,
1.6O Febo stesso in sul giogo di Pindo,
1.7O 'ntorno al fonte che 'l corsier alato
1.8Con l'unghie aperse.... (O fonte, ov'or pur tale
1.9Presume por le labra) che in vili acque
1.10Putride e piene di corrotti odori
1.11Avendo spenta la sua sciocca sete,
1.12Empie le male aventurose carte
1.13Di negre macchie e puzzolente fumo;
1.14Onde le figlie tue, tremendo Giove,
1.15Fuggon già tutte, divenute schiave
1.16De' temerari Toschi: e questo sia
1.17Detto con pace degli eletti spirti;
1.18Ch'io intendo dir di quei, che dagli stracci
1.19Mercenari levati, e da' più vili
1.20Esercizi, col dire or quinci or quindi,
1.21E notte, s'ell'è una; e se due, notti;
1.22Avendo a mente l'Ancroia e 'l Danese,
1.23Ed Ovidio in volgar, ma non intesolo;
1.24Pensan, o audacia sfacciata e superba!
1.25Di socchi ornarsi i piedi o di coturni;
1.26E come nuovi Titiri o Dameti
1.27Cantar pe' boschi, non i loro amori,
1.28O le bellezze vostre, o caste ninfe;
1.29Ma il biasmo di color, che pien di lode
1.30Volan di lor contenti e di loro opre,
1.31Per le purgate orecchie e per le bocche
1.32Dei più gentili spirti, e dei più dotti,
1.33Ridendosi dell'invido e maligno
1.34Latrar dei can, che han lingua e non han denti.
1.35Altro bisogna ch'un mandrialetto
1.36Snello e solingo, mal legato insieme,
1.37E mendicato da questo e da quello,
1.38Col quale han stracche ormai l'orecchie al mondo.
1.39Altro bisogna ch'una letteraccia,
1.40Anzi un cartoccio pien di sue vergogne,
1.41Non dell'altrui, com'è il suo proprio intento.
1.42O mal temprata penna, anzi fuscello
1.43Di scopa pien di spini; o sozza mano,
1.44Anzi piè di gallina pien di sterco;
1.45Tu ti prosumi straziar tanto inchiostro?
1.46Altro ci vuol ch'un sonettaccio, in cui
1.47Rinnieghi Apollo il cielo; e dove Amore
1.48Si vegga, a onta delle nove Muse,
1.49Straziare e rovinare e lacerare!
1.50Altro ci vuol ch'un sonettaccio, a cui
1.51Tronche abbia l'ossa la cieca ignoranza,
1.52E le rime storpiato, e a forza fatto
1.53Mutar dal mezzo in giù stile e subietto!
1.54Altro bisogna a diventar poeta,
1.55O satirici scempi, uomini sciocchi
1.56Che queste vostre fagiolate senza
1.57Agresto, senza pepe, e senza sale!
1.58Che andare e cader, può farlo ognuno).
1.59Orsù, torniamo alla fastosa donna,
1.60Che essendo degna dei costoro inchiostri,
1.61M'ha fatto fare una digressione
1.62Un po' troppo lontan; ma i mai suggetti
1.63Fanno per forza errar chi di lor scrive.
1.64O scempia donna, adunque, anzi impia fiera,
1.65Che vai fumosa di quella beltade,
1.66Che l'amorevol Cian ti sumministra
1.67Co' suoi limbicchi, o quella tua gentile,
1.68Che a convertire un nero muro in bianco
1.69Mostra col volto suo sul Mercatale,
1.70Quando la viene a vender i suoi imbrogli.
1.71Ben dice il vero il savio, quando afferma,
1.72Ch'usanza è di natura, ov'ella manchi
1.73In una cosa, di supplir con l'altra.
1.74Non le diede beltà natura; adunque
1.75Fella scortese in quello scambio e sozza,
1.76Piena d'attucci, di lezi, e di smagi,
1.77E fastidiosi, e sgarbati, e fecciosi;
1.78Ch'io credo ben, che la scempia nepote
1.79Del savio Fresco appo lei fusse un oro.
1.80Perché, come si mira la Selvaggia,
1.81Come l'Amelia, o Gemmula, o Licori,
1.82La nuova Origo, la Arbuscula vaga,
1.83Come un miracol, perché in lor la grazia
1.84S'intreccia con beltà, con leggiadria,
1.85Ch'empie di estrema gioia il cor d'ognuno;
1.86Così per gli atti suoi schifi e villani,
1.87Con le maniere sue sgraziate e sconce,
1.88Con le parole arroganti ed inette,
1.89E con quel guardo burbero, le aviene
1.90Ch'ognun la mira come cosa rara,
1.91Ognun la addita, ognun corre a vederla,
1.92Ognun dice: – Ell'è essa, vella, vella! –
1.93E di lei si fan favole e canzone,
1.94Come si fe' di Canidia o di Lise
1.95Al tempo antico, al nostro della vedova
1.96Che fe cascar di freddo lo scolare:
1.97Ché chi non sa col bene, oprando il male
1.98S'acquista nome in la futura etade;
1.99Come fe chi bruciò 'l tempio di Efesia.
1.100Non le diede natura destro ingegno,
1.101Per discernere il ver, per saper dire
1.102Dei buon le lode, e 'l biasimo dei rei,
1.103O motteggiare altrui con dolci accenti;
1.104Come la fece a Lidia, alla Fiammetta,
1.105A Delia, a Flora, alla gentile Iblea,
1.106Ed a tant'altre, ch'io mi taccio il nome
1.107Per reverenza, ché di lor mal degne
1.108Son queste mie poco felici carte.
1.109Dielli in quel scambio quella lingua, adunque,
1.110Tanto crudel, tant'impia, sì pungente,
1.111Ch'ei non è osso, anzi non è diamante,
1.112Ch'ella nol passi, s'ella vi si mette:
1.113Quella lingua, la qual nella fucina
1.114Del negro inganno la calunnia fece
1.115Aguzzar sull'incudin di menzogna,
1.116Dal rancor, dalla frode e dalla 'nvidia,
1.117Della calunnia le più fide ancille;
1.118E con il più mortifero veneno
1.119Le diè la tempra, che fra' Colchi mai
1.120Si ritrovasse o 'n la deserta Libia.
1.121Altri hanno opinion che Momo, sveltasi
1.122La sua, ne fesse a lei cortese dono.
1.123Questo io nol credo, perché Momo il vero
1.124Dicea mordendo a Giove e a la Natura;
1.125E con bel garbo e con accorte note,
1.126Mostrando che pietà di noi lo fesse
1.127Aprir la bocca al biasmo, e non l'invidia;
1.128E mostrando per uso e per ragione,
1.129Che 'l morso suo era compagno al gesto.
1.130Abbia suo luogo non di manco il vero:
1.131Basta che noi possiam dir questo al certo,
1.132Che la di costei lingua sol da invidia,
1.133Sol da calunnia, e da perfida voglia,
1.134E da perverso ingegno, impie saette
1.135Scocca nel sen dell'altrui onor, avvenga
1.136Che la più parte in lei si circonflettino;
1.137Ché l'innocenzia, qual diamante, forte
1.138Resta a' suoi colpi col scudo del vero.
1.139Basta, che la sua lingua vince quella
1.140Dell'antico Lucilio, e del Peligno,
1.141Dell'Aquinate, e dell'oscuro Tosco.
1.142Ma follia fa chi a lei vuol questi o gli altri
1.143Comparar, o più antichi o più moderni.
1.144Quei come satir saltando in l'altrui
1.145Vizio, cercavan di stirparlo; in loro
1.146Era grazia nel dir, con giusto sdegno,
1.147E volontà di ben vedere i cori
1.148Uman ben culti e di virtù ben colmi.
1.149In lei è un desiderio di macchiare
1.150L'altrui bianchezza; e come ha negro il seno,
1.151L'ingegno, il volto, così far parere
1.152Chi di bell'opra ognor si fregia. O bocca,
1.153O bocca iniqua! O che gran cosa è questa!
1.154Se tu t'apri talor, da disio mossa
1.155Di non dir mal, è forza che tu 'l dica;
1.156Che 'l ben tosto ch'arriva in quella fogna
1.157Piena di mota, anzi in quella cloaca
1.158Piena di tutte le immondizie umane,
1.159Diventa male, e 'l bianco vi vien bruno,
1.160Il mèl vi si fa assenzio, il zuccher tòsco,
1.161S'ella per caso in viril membra al mondo
1.162Veniva, e 'n questa bocca i sacri detti
1.163Della divina legge si voltava;
1.164Tanta la forza è del crudele istinto,
1.165Tanta la rabbia del pessimo avvezzo,
1.166Ch'ella li fea venir di giusti ingiusti,
1.167Di santi rei, d'onesti in disonesti,
1.168Quel che ne mostra ciò che creder debba
1.169La fedel turba con l'acque rinata,
1.170Dalla bocca gentil de' nunzi santi
1.171Fatto per nostro ben, chiamato il Credo;
1.172Non si può creder, s'ella il dice mai
1.173Per ciancia, ché per ver non può avenirle:
1.174Ché 'l vero in lei non si è veduto unquanco.
1.175Or vedi quanta forza ha un mal costume!
1.176Ma ben provide il ciel ch'ella tal fusse,
1.177Ch'uso e natura a dir cose nefande
1.178La costringesser sempre, e a biasimare
1.179L'altrui bontà; perch'ognun conoscesse
1.180Ch'e' suoi biasmi, dal ver sempre rubelli,
1.181Divengon lode al fin del biasimato,
1.182E danno e vituperio al biasimante.
1.183E interviene a lei con la menzogna,
1.184Come a Cassandra avenne già del vero,
1.185Che niun gliel credea: tal volse Apollo,
1.186Ma non già suo difetto; ché nel vero
1.187Apollo da lei chiese cose forse,
1.188Che s'ella le negò, n'ebbe ragione.
1.189Ma chi assai può, e vuol, forza è ch'egli abbia;
1.190E chi non li vuol dar, Cassandra è fatto:
1.191Basta, ch'Apollo in questo ha debil scuse.
1.192Così costei, per tornare al proposito
1.193Del suo mal dir, tal voluto hanno i cieli,
1.194Non già per sua bontà, come Cassandra,
1.195Ma per suo merto, anzi per suo demerto,
1.196Per sua malvagia mente, e falso ingegno,
1.197Per suo fiero uso, anzi per male abuso,
1.198Ch'ella non voglia dir né possa il vero.
1.199La dice ch'uno è duro, egli è gentile;
1.200La dice ch'uno è impio, egli è fedele;
1.201La nota un per crudele, egli è umano;
1.202Chiama uno ingiusto, giustissimo il trovi;
1.203Un temerario, la modestia è seco;
1.204Saggio quell'altro, ch'ella stolto appella.
1.205Una volta, volendo, fuor del vezzo
1.206Di sua perfida lingua, a Dio dar lode,
1.207Pensando dire: – O Dio onnipotente –,
1.208Disse: – O Dio, o Dio, io me ne pento – .
1.209Un'altra poi, col dir che un suo cognato,
1.210Che così fatto è in vero, era di sali,
1.211Di giuochi e d'atti urban tutto ripieno
1.212(Noi Toscan questi tai diciam – faceti –);
1.213Volendo adunque in tosca voce esprimerlo,
1.214A uno amico disse, e forse in zambra,
1.215Forse amico di notte: – Or non ti pare,
1.216Che 'l tale (e disse il nome) sia un sfacciato?
1.217Del padre suo ragionando una volta
1.218Con altre donne, e volendo mostrare,
1.219Ch'egli avria fatta un'opera con quello
1.220Saldo giudizio, con quel buon discorso,
1.221Che si conviene a chi prudenza ha in guida,
1.222Avenga che dipoi mal gne ne avvenne,
1.223Disse queste formal proprio parole:
1.224– A chi non tocca hai poi buon ragionare;
1.225Ché del senno dipoi – non ce ne fusse –;
1.226Volendo dir, cred'io, – n'è pien le fosse –.
1.227E poi soggiunse: – Quel che fe' mio padre,
1.228Il fe' com'ei dovea, putridamente – ;
1.229Volendo dir, ch'ei fe prudentemente.
1.230E scambiò le parole, e fulle forza
1.231Biasmare il padre, volendol lodare.
1.232O gran giudizio, o gran misterio! Adunque
1.233E' l'è impossibil dar lode a veruno,
1.234E' l'è impossibil dir cosa che piaccia,
1.235E' l'è impossibil d'appressarsi al vero;
1.236Tanto l'abuso può in un core umano,
1.237Anzi nel cor d'una rabiosa fera.
1.238Donde le vien questa superbia adunque
1.239A questa arpia, a questa furia, a questa
1.240Rabbiosa cane, a questa orribil tigre?
1.241Dalla beltà? Non già, com'e' s'è detto:
1.242Ché voi sapete che quel che si compra
1.243Le cose altrui, che non ha delle sue:
1.244Ella la compra; adunque non è sua;
1.245Non sendo sua, mal ne può ir superba.
1.246Donde? Dai campi arati e 'n piano e 'n colle,
1.247Dai molti buoi, e i prati erbosi a molti
1.248Armenti, a molti greggi aperti, e l'arche
1.249D'oro piene e d'argento, e drappi, e perle?
1.250E questo manco; e me ne 'ncresce, e non già
1.251Per lei, ma pel suo povero consorte,
1.252Ch'i' amo, e ch'ei me ami ho ferma spene;
1.253Ch'a lei, tutto che avanza è una fune,
1.254Con ch'ella possa dar de' calci al vento;
1.255E l'avanza, e l'è troppo, e le sta male.
1.256Chiocciole siam, siam Sciti, che portiamo
1.257I nostri arnesi nosco, e tutte addosso
1.258Le nostre robe, e le bagaglie tutte,
1.259Come i soldati. Fien dunque i parenti
1.260Da Codro usciti, d'Inaco, o dal Balzo?
1.261Dillo: di villa? no, ch'anco i villani
1.262Conoscono i lor padri e gli avi loro,
1.263E quello è de' Marin, quello è de' Netti;
1.264Fra loro han gradi, e alti e bassi, e fansi
1.265Far largo, essendo e di questo e quel ceppo:
1.266Stiman l'onor, apprezzan la vendetta,
1.267Per cui dolcezza spesso il sangue spargono:
1.268Ed ella nol conosce.... Eh, nol farebbe
1.269Né le Muse, né Febo, né Diana,
1.270Ch'io logorassi più penna d'inchiostro
1.271In questa scempia, in questa sciocca, in questa
1.272Lingna perversa; e s'io non ho finito
1.273L'opra com'io dovea, ho fatto meglio
1.274A troncarla così, che a cominciarla.
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