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1.1Quel sommo Re che tempera e governa
1.2ciò che 'l ciel cuopre e che circonda il mare
1.3se ne sedea nel suo dorato seggio
1.4posto ne l'alto pavimento, ch'era
1.5fitto co i chiodi suoi di lucid'oro,
1.6ed avea intorno le sustanze eterne;
1.7quando, volgendo ne l'Italia afflitta
1.8gli occhi divini, umanamente disse:
1.9Or ch'è propinquo il destinato tempo
1.10da por l'antica Esperia in libertade,
1.11sarà ben fatto che si sciolga Areta,
1.12e la superba Acratia s'imprigioni.
1.13Però, Palladio mio, prenderai cura
1.14di far che quei baron ch'han preso Faulo
1.15faciano ancor questa lodata impresa,
1.16ch'agevol le sarà, se tu gli insegni.
1.17Discendi adunque prestamente in terra,
1.18e dagli il modo da fornir tal opra.
1.19Così parlava il Re de l'universo;
1.20quando l'angel Sofronio a lui si volse
1.21e disse: O Padre eterno, onde procede
1.22tutto quel ben di che s'adorna il mondo,
1.23deh fate ancor che l'impudica Gnatia,
1.24ricetto d'ogni vizio, si summerga,
1.25né di quella si truovi altro che 'l nome.
1.26I' pur v'udi' narrar che a questo fine
1.27l'avea dannata la giustizia eterna:
1.28fate che 'l suo destino ora s'adempia.
1.29Così dicea quell'angelo modesto;
1.30al cui parlare il gran Motor del cielo
1.31piegò la fronte, e sorridendo disse:
1.32Veramente, Sofronio, amor ti spinge
1.33di vero bene e di lodevoli opre
1.34a portar odio a quella avara terra,
1.35nido di tradimenti e di menzogne
1.36e nimica mortal d'ogni virtute.
1.37I' son contento ch'ella sia summersa.
1.38E detto questo, la divina testa
1.39mosse, affirmando, e fé tremare il mondo;
1.40dapoi si volse al gran Nettunnio e disse:
1.41Nettunio, tu che siedi al bel governo
1.42di tutta l'acqua che s'accolge in mare,
1.43come tu vedi esser disciolta Areta
1.44esci con gran furor sopra quei liti,
1.45e fa' che Gnatia tutta si summerga,
1.46tal che di lei non resti altro che 'l nome.
1.47Così fu detto a quei celesti messi;
1.48onde l'angel Palladio in un momento
1.49si pose due grand'ali in su le braccia
1.50e due minor presso a l'estreme piante,
1.51e scese in terra giù come un baleno:
1.52a la cui scesa le compresse nebbie
1.53si dilattaro, e serenossi il cielo.
1.54Poi sotto forma del canuto Paulo
1.55venne a Traiano ed al cortese Achille,
1.56che allora allor gli avea lasciati il sonno,
1.57e dolcemente ragionando disse:
1.58Prudenti cavalier mastri di guerra,
1.59io m'allegro con voi ch'abbiate preso
1.60l'astuto Faulo e i perfidi giganti.
1.61Ma dove è Corsamonte, e gli altri sette
1.62che Faulo avea pigliati appresso 'l fonte?
1.63Perché non son con voi? Dove son iti?
1.64Rispose allora il callido Traiano:
1.65Savio signore onor de l'età nostra,
1.66Corsamonte n'andò con quella donna
1.67che pria condusse i cavalieri al prato,
1.68sì che di lui non penso altro che male.
1.69Gli altri baroni poi, m'ha detto Faulo
1.70che si trovano a Gnatia impregionati
1.71nel bel giardin d'Acratia sua sorella,
1.72né si potranno aver se non v'andiamo:
1.73e se v'andiamo ancor, pensa che aremo
1.74fatica e danno assai nel trarli quindi.
1.75Pur ardo d'un disio troppo fervente
1.76di girvi; ma non ho chi mi vi guidi.
1.77L'angel Palladio poi così gli disse:
1.78Almo baron che mai non siete sazio
1.79d'acquistar gloria e di pigliar fatiche,
1.80se voi volete andare a tanta impresa
1.81mi v'offerisco esser la vostra guida:
1.82ch'altre volte son stato in quel paese,
1.83e nel giardino ancor di quella maga:
1.84di cui poco mancò che non restassi
1.85anch'io prigion, ma liberommi Areta,
1.86che m'insegnò com'io dovea partirmi.
1.87Lasciate adunque a guardia de la rocca
1.88il re de' Saraceni, e voi venite
1.89meco, e recate ancor quei doi fiaschetti
1.90di stagno così bel che par d'argento;
1.91poi vi dirò ciò che n'arete a fare.
1.92Così disse Palladio e i dui baroni
1.93non udir già quelle parole indarno,
1.94ma se n'andor con lui verso 'l sanaio;
1.95e giunti quivi, l'angelo gli fece
1.96spogliarsi tutti i consüeti panni,
1.97e poscia entrar ne la santissim'acqua
1.98e con essa lavar tutte le membra:
1.99poi dire inverso il sol quete parole:
1.100O bel occhio del ciel che vedi il tutto
1.101e 'l tutto intendi, allumaci le menti
1.102con la virtù che t'ha concessa Iddio,
1.103tanto che noi possiam con qualche ingegno
1.104trarre i presi baron dal duro incanto.
1.105Come ebber detto questo, si levaro
1.106in piedi, e si vestiro i panni e l'armi,
1.107d'indi i fiaschetti empier di liquid'onda;
1.108e poi che gli ebber posti a i loro arcioni
1.109salirono a caval leggieri e destri
1.110come se fusser dui pennuti ucelli,
1.111e seguitaron la divina scorta:
1.112la qual messe un vigor ne i lor destrieri,
1.113ed una lena tal, che givan forte
1.114per quella strada come avesser ali;
1.115e pareva a i baron che andasser lenti,
1.116tant'era il moto lor söave e queto.
1.117Or così andando l'angelo gli disse:
1.118Prudenti cavalier mastri di guerra,
1.119voi non sapete il sito del giardino
1.120d'Acratia, e come in quel si soglia intrare.
1.121Io vel dirò, perciò ch'il vidi tutto
1.122allor che d'indi liberommi Areta.
1.123Venendosi da Roma inver levante,
1.124ne la città di Gnatia a man sinistra
1.125siede un bel prato, che trecento braccia
1.126è largo tutto, e cinquecento è lungo.
1.127Questo è coperto di minuta erbetta,
1.128e circondato ancor d'alti cupressi
1.129che con l'acute cime equidistanti
1.130ascendon verso 'l ciel, che paion mete.
1.131In ogni capo de l'ameno prato
1.132nel mezzo apunto surge una fontana
1.133tra bianchi marmi di purissim'acqua,
1.134che inaffia il suolo e tien l'erbetta verde.
1.135Intorno a queste fonti siedon sempre
1.136bei damigelli e candide donzelle
1.137tenere e fresche e di leggiadro aspetto,
1.138che invitan tutti a ber quell'acqua dolce:
1.139e con le bianche man la porgon loro
1.140in coppe di finissimi cristalli.
1.141Ma chi de l'una beve de le fonti
1.142tanto s'accende di pensier lascivi,
1.143ch'altro non cura poi che balli e canti,
1.144conviti e giuochi e ragionar d'amore:
1.145e vien più molle assai che se lavato
1.146l'avesse in Caria la salmacia limfa;
1.147ma chi beve de l'altra, ha in odio estremo
1.148ogni virtute e ogni virile impresa.
1.149Il lato lungo poi di quel bel prato
1.150ch'è posto di rimpetto al primo ingresso
1.151chiude un gran muro altissimo, e superbo
1.152di finissimi marmi e d'alabastri:
1.153ch'ha in sè tre porte, e quella che è nel mezzo
1.154è tutta d'oro, e di cristallo è l'altra;
1.155la terza è fatta poi di avorio bianco.
1.156Queste tre porte per diversa intrata
1.157spuntano in uno amplissimo cortile
1.158lastricato di porfido e d'ofite,
1.159che ha la medesma simmetria del prato;
1.160e quel cortile è circondato intorno
1.161di larghe logge, con collonne tonde
1.162che son tant'alte quanto è la larghezza
1.163del pavimento, e sono grosse ancora
1.164l'ottava parte e più di quella altezza,
1.165ed han sovr'esse capitei d'argento
1.166tant'alti quanto la colonna è grossa:
1.167e sotto han spire di metal che sono
1.168per la metà del capitello in alto.
1.169Queste sustengon gli epistili immensi,
1.170sopra cui si riposa il palco d'oro.
1.171Or queste logge istorïate sono
1.172di figure gentil, che paion vive.
1.173Quivi è l'amor de la famosa greca
1.174che Troia sosteneo d'esser disfatta
1.175pria che volerla rendere al marito.
1.176Quivi è dipinta ancor la lunga fame
1.177di Lidia, col trovar diversi giuochi
1.178per passar tempo ed ingannare il ventre.
1.179Evvi Sardanapalo e Galïeno,
1.180e le nozze di Ippodame e mill'altre
1.181cose da dar diletto a i riguardanti.
1.182Veggonsi poi per le superbe logge
1.183in molti luoghi cavalieri e dame
1.184prender vari diletti e bei diporti,
1.185ciascun secondo l'appetito loro:
1.186chi giuoca a carte, o a tavoliero, o a dadi,
1.187chi mangia e beve, e chi l'amata donna
1.188tien per la mano, e i suoi pensier le conta;
1.189e tutti son serviti da fanciulli
1.190accorti e presti e da gentil donzelle
1.191che paion messaggier del paradiso.
1.192Da queste quattro logge s'entra poi
1.193per una porta in una sala grande,
1.194e di quella in un'altra: e tutte quante
1.195sono guardate da portieri eletti,
1.196ed han le viste lor sopra verzieri
1.197pieni d'aranzi e d'odorate piante;
1.198in queste sale sono uomini e donne
1.199che si diportan con delizie immense.
1.200D'indi si viene a l'onorata stanza
1.201d'Acratia, ch'ha diversi camerini
1.202con dilicati letti e specchi grandi,
1.203con oro e gemme, e con figure ignude
1.204di marmi e di color che paion vive:
1.205e con tante delizie e tanti odori
1.206e bagni d'acque tiepide e profumi,
1.207che 'l sol non vide mai cosa più molle.
1.208Di questa s'entra sotto due gran logge
1.209fatte di pietre prezïose e d'oro,
1.210tanto leggiadre, e dilicate tanto,
1.211quanto possa pensar persona umana.
1.212L'una ha l'aspetto suo verso levante
1.213con colonne d'argento, e l'altra poi
1.214ha le colonne d'or verso ponente.
1.215Ciascuna d'esse dal suo vago aspetto
1.216possiede un bel giardin, con pure fonti
1.217di limpid'acque che raccolte insieme
1.218fanno laghetti ch'han diversi pesci
1.219piccioli e vaghi e di color d'argento
1.220che van guizzando per le lucid'onde.
1.221Sonovi alcune selve ombrose e piene
1.222di fiere innocue e di loquaci augelli.
1.223Quivi non mancano arbori né frutti
1.224d'ogni maniera né verdissim'erbe
1.225tutte dipinte d'odorati fiori
1.226che non si spengon mai la state o 'l verno.
1.227Da la postrema parte de la stanza
1.228de la superba Acratia è un picciol uscio
1.229che non si vede mai, perché è coperto
1.230da i panni d'oro ond'ella è sempre adorna.
1.231Questo è di ferro e d'ebeno contesto,
1.232e chiuso se ne sta la notte e 'l giorno
1.233con tai puntelli e con sì forti chiavi,
1.234che muover non lo può fortezza umana:
1.235ma sol talora Inopia lo disserra.
1.236Per questo s'esce in una selva orrenda
1.237ove son l'erbe livide, ch'odore
1.238mandano d'assafetida e di solfo;
1.239e questa orribil selva è circondata
1.240d'un gran muro di ferro, e quindi s'esce
1.241per un sol uscio picciolo e coperto
1.242di amare ortiche e di pungenti spine,
1.243ove una vecchia imperïosa siede
1.244con una sferza in man, ch'ognun perquote:
1.245e le percosse sue son tanto amare,
1.246che vanno infino a le midole e a gli ossi.
1.247Per questa porta vi conviene intrare,
1.248se liberar volete i vostri amici:
1.249perché ne l'altre son tanti perigli
1.250e tante guardie e sì sottili incanti,
1.251che non potreste mai cavarne i piedi.
1.252Ma come abbiate tocche le sferzate
1.253de l'empia vecchia, e per l'orribil selva
1.254fatta la via con le taglienti spade,
1.255itene a l'usciolin che vi conduce
1.256ne la stanza d'Acratia, e quel spruzzate
1.257con l'acqua che portate entr'a i fiaschetti,
1.258che lo vedrete per se stesso aprirsi:
1.259e quivi intrando armati a l'improviso,
1.260pigliarete a traverso quelle maghe;
1.261né le lasciate mai, se ben vedete
1.262che sian converse in paventose forme.
1.263Che visto quel che la lor vesta asconde
1.264sen fuggiranno, o vi daranno aiuto.
1.265Mentre che l'angel ragionava questo,
1.266giunsero a Gnatia, ov'era un largo prato
1.267ch'avea quasi nel mezzo un alto faggio
1.268con rami sparsi e con bellissim'ombra.
1.269L'angel seguì parlando: Questa è quella
1.270città d'Acratia che ora vi dicea:
1.271quivi presso a le mura sta nascosto
1.272l'uficio di Metanéa, che è quella vecchia
1.273ch'io v'ho narrato, ch'ha la sferza in mano.
1.274Smontate de i destrieri, ed ivi andate
1.275per trarre i buon guerrier da quella morte:
1.276ite senza timor, ché l'uom ch'è audace
1.277meglio essequisce ogni negozio umano.
1.278E così detto trasse fuor la spada,
1.279e sopra i scudi lor fece una croce:
1.280dapoi sparì da gli occhi lor, volando
1.281su l'alto faggio in forma di colomba;
1.282onde i baron si rallegraron molto,
1.283perché lo vider messaggier del cielo.
1.284Dapoi disceser giù de i lor cavalli
1.285subitamente, e gli legaro al faggio;
1.286e ratto s'avvior verso la macchia,
1.287avendo ognuno il suo fiaschetto a canto
1.288con l'acqua in cui Sinesia era conversa.
1.289Né stetter molto, ch'arrivaro a l'uscio
1.290di Metanéa, la qual sedea sovr'esso;
1.291e come venir vide quei baroni,
1.292guardolli prima, e poi conobbe chiaro
1.293ch'avean ne i scudi la divina insegna,
1.294onde gli disse: Altissimi signori
1.295cari a l'eterno Iddio, quest'è l'entrata
1.296che la grazia del cielo a voi concede;
1.297e mìssei dentro a la ferrata porta:
1.298ma ne l'entrar toccollii in su le spalle
1.299con la sua scurïada, onde sentiro
1.300tanto dolore e sì spietata pena,
1.301che poca più gli aria condotti a morte,
1.302e quasi stetter per cadersi a terra.
1.303Pur andor oltre, e per la selva amara
1.304si fecer via con le taglienti spade:
1.305ma non poter fuggir tutte le spine,
1.306che molte gli passor l'audaci piante.
1.307Al fine andaro a l'uscio, il quale intrava
1.308ne la stanza d'Acratia, e ritrovorlo
1.309chiuso; e però con l'acqua del sanaio
1.310che seco aveano lo spruzzaro, ed esso
1.311divinamente subito s'aperse:
1.312onde intrar entro i dui baroni armati
1.313a l'improviso, con orribil vista.
1.314E come quando in una corte, piena
1.315di pollicini e d'anitre, si calla
1.316il nibbio per carpirne alcun di loro,
1.317con gran paura le galline e i polli
1.318e gli anadrotti per diversi luoghi
1.319corron fuggendo a i lor securi alberghi;
1.320così ne l'apparir di quei guerrieri
1.321le dame e i damigei fuggiron tutti,
1.322chi qua chi là, per quel famoso albergo:
1.323onde rimaser sbigottite e sole
1.324Acratia e Ligridonia, e furon prese
1.325da gli arditi baron senza tardanza.
1.326Quando si vider prese, quelle maghe
1.327mutorsi in acqua per voler fuggire,
1.328e quasi che gli uscir fuor de le braccia:
1.329pur le ritenner fortemente; e poi
1.330volsersi in foco e in paventose serpi,
1.331volsersi in fumo, in nube, in tigre e in orse:
1.332né mai però lasciorle i buon guerrieri.
1.333Ond'elle, visto che 'l cangiar figura
1.334non le giovava, ne la prima forma
1.335tornaro, e tutte liete si voltaro
1.336a dolci prieghi, a parolette e ciance:
1.337ma parimente fur gettate al vento,
1.338ché la virtù del cielo avea sì chiuse
1.339le orecchie a quei baron, che non sentiro
1.340la forza e 'l suon de i lor süavi accenti;
1.341e già volean portarle inver la selva,
1.342quando cridor con una voce orrenda:
1.343Aiuto, aiuto, aiuto, che siam morte.
1.344A questa voce un numero d'armati
1.345si mosse insieme, che parea una nube
1.346piena d'amara grandine e tempesta
1.347che vien per l'aria con colore oscuro;
1.348onde la gente fa sonar le squille,
1.349e l'accorto pastor conduce tosto
1.350in qualche speco il suo lanoso armento:
1.351così venian fremendo quei guerrieri.
1.352Avanti a tutti eran dui gran baroni,
1.353Corsamonte e Aquilin, con l'arme in mano;
1.354il che vedendo l'onorato Achille
1.355e 'l callido Traian si rallegraro,
1.356e poi gli disse Achil queste parole:
1.357Ove correte, o cari miei fratelli?
1.358non ci vedete qui, che siam venuti
1.359per selve e spine e per sentieri amari
1.360a trarvi fuor di questo orribil nodo?
1.361Così parlava il buon duca d'Atene;
1.362ma Corsamonte non rispose nulla,
1.363ché non conobbe lui né la sua voce,
1.364tanto era oppresso dal feroce incanto:
1.365anzi volea menarli su la testa
1.366con la sua spada, quando il buon Traiano,
1.367che Acratia in braccio avea, levò la gonna
1.368di lei, mostrando le secrete parti.
1.369Come a quei cavalier furon scoperte
1.370quelle brutture che coprian la veste,
1.371e le vider le coscie esser due biscie
1.372di fiero aspetto, e d'indi uscirne un lezzo
1.373che superava ogni altra orribil puzza;
1.374Quasi svegliati da mortal letargo
1.375si risentiro, e si disciolse il velo
1.376che gli era stato intorno a gli occhi avolto:
1.377onde l'un l'altro subito conobbe.
1.378Poi, conoscendo i lor fedeli amici,
1.379gli andaro incontra, e lieti gli abbracciaro
1.380con le luci di lagrime coperte;
1.381a i quali il buon Traian parlando disse:
1.382Illustri cavalier che foste oppressi
1.383dal grave incanto, e libertà v'appare,
1.384bevete ancor de la santissim'acqua
1.385che avemo acanto, che daravvi aiuto
1.386a risanar la tramutata mente;
1.387né vi smarrite perché abbiamo in braccio
1.388queste nimiche vostre, che terrenle
1.389a lor mal grado invillupate e ferme.
1.390Così diss'egli, e quei signor cortesi
1.391poser la bocca a gli onorati fiaschi
1.392e gustor la dolce acqua del sanaio;
1.393or questo ber gli fu tanto salubre,
1.394che gli allumò la tenebrosa mente.
1.395Come s'alluma qualche oscura stanza
1.396la notte, allor ch'ognun riposa e dorme,
1.397se 'l buon Vulcan da cenere coperto
1.398s'avvolge intorno a gli aridi legnami
1.399che sopra i grandi alari fur distesi
1.400per asciugarli, acciò che la mattina
1.401più agevolmente gli accendesse il fuoco:
1.402onde ciascun da la soverchia luce
1.403ratto si sveglia, e risguardando intorno
1.404si vede cinto di novello albore;
1.405così dal ber de la mirabile onda
1.406furo allumati i cavalieri eletti.
1.407Dapoi si volse Corsamonte ardito
1.408a i dui saggi guerrieri, e così disse:
1.409Gentil baroni il cui valore immenso
1.410è noto omai da le Colonne a gli Indi,
1.411quant'obligo v'avem che i vostri piedi
1.412sian mossi insin a qui per darci aiuto
1.413e liberarci fuor di questo inferno
1.414che n'avea torta sì la mente e i sensi,
1.415che l'un di noi non conosceva l'altro;
1.416ed eravamo solamente intenti
1.417al nostro male e a la ruina nostra,
1.418tanto n'avea quell'acqua de le fonti,
1.419la qual bevemmo nel primiero ingresso,
1.420fatti da noi medesmi esser diversi.
1.421Però saremo a voi sempre tenuti,
1.422ché l'esser grato è una virtù divina
1.423ch'adorna e lega il bel commerzio umano.
1.424Drizzate adunque il vostro almo vïaggio
1.425verso quei luoghi che vi son più grati,
1.426che verrem dietro a le pedate vostre.
1.427Così parlavan quei baroni allegri;
1.428e quelle maghe non dicevan nulla,
1.429ma lagrimavan che parean due fonti
1.430con acqua bruna e di copiosa vena
1.431che scendan giù per dui sassosi colli.
1.432E mentre quei signor faceano festa
1.433per la lor libertà ch'aveano avuta,
1.434venne l'antica Metanéa su l'uscio
1.435de l'aspra selva, e con parole gravi
1.436riprese lor dicendo in tal maniera:
1.437Che negligenzia in questo alto negozio
1.438usar vi veggio? Non perdete il tempo,
1.439che è di pregio maggior che non si stima:
1.440itene a quella torre - ed una torre
1.441di vive pietre gli mostrò col dito -
1.442e quindi tratte fuor la buona Areta
1.443aprendo l'uscio con la nobil onda;
1.444poi ritornate insieme a l'alto faggio.
1.445Così disse la vecchia, e quei baroni
1.446tutti cospersi di vergogna in fronte
1.447andaro a la prigion dov'era Areta
1.448e spruzzor l'uscio, e subito s'aperse.
1.449Com'egli aperto fu, se n'uscì fuori
1.450la cattivella e quattro sue figliuole,
1.451ch'eran per lunga prigionia venute
1.452pallide in faccia e di color di morte;
1.453quindi tornaron per la selva orrenda
1.454tenendo sempre le nimiche in braccio,
1.455e l'aspra Metanéa gli accompagnava
1.456dando sferzate a Corsamonte altiero,
1.457che penetravan le midole e gli ossi;
1.458batteva ancor Massenzo ed Aquilino
1.459e gli altri cinque, e non avean riparo:
1.460perch'ella er'ombra, e nessun corpo umano
1.461potea tenerla, o farle alcuna offesa.
1.462Or così caminando, usciron fuori
1.463de l'empia selva, e quella vecchia altiera
1.464gli chiuse dietro la ferrata porta:
1.465ond'essi andaro al disïato faggio;
1.466e come giunti fur sotto quell'ombra,
1.467legarono ambe due le belle maghe
1.468con le capezze forti de i cavalli.
1.469E già voleano ritornarsi a casa,
1.470quando disse a Traian la buona Areta:
1.471Signore illustre e di supremo ingegno,
1.472deh, se conceda il Re de l'universo
1.473felice effetto a i vostri alti pensieri:
1.474poi che ci avete in libertà ridotte,
1.475di che siam per avervi obligo eterno,
1.476non vi sia grave fare un altro bene
1.477ch'a l'infelice Italia fia salubre.
1.478Questo è levare il disonesto incanto
1.479de le due fonti de l'ameno prato,
1.480ch'empion le menti di pensier lascivi
1.481e recan odio a le virili imprese.
1.482E questo agevol fia, se voi volete
1.483andare ad esse, e con le vostre mani
1.484porvi una stilla d'acqua del sanaio,
1.485che tutta solverà la lor possanza.
1.486Così parlava Areta, e 'l buon Traiano
1.487stava sospeso, e non sapea che farsi:
1.488da l'una parte disïava andarli,
1.489da l'altra gli increscea lasciar le donne,
1.490perché temea qualche celato inganno;
1.491quando l'angel Palladio, che su 'l faggio
1.492stava ad udire in forma di colomba,
1.493sciolse parlando la divina voce:
1.494Non temer, no, Traian, siegui il consiglio
1.495de la prudente e valorosa Areta
1.496ch'ora ti lascio per fidata scorta:
1.497quivi averete ancora i buon cavalli
1.498di questi altri signor che sono a piedi.
1.499E così detto, andò volando al cielo.
1.500Traiano, udito quel celeste messo,
1.501subito s'avviò verso la terra,
1.502e menò seco l'onorato Achille
1.503e 'l bel Sindosio e 'l giovane Lucillo,
1.504e lasciò gli altri a guardia de le donne.
1.505Come fur giunti su l'ameno prato
1.506ov'eran le bellissime fontane,
1.507quelle trovaro abbandonate e prive
1.508de i lor ministri, che per quel rumore
1.509erano corsi tutti entr'al palagio;
1.510e però quivi senz'alcun disturbo
1.511presero i fiaschi che teneano a canto
1.512e gli versor ne l'incantate limfe:
1.513dapoi subitamente si partiro
1.514senza rivolger mai la faccia indietro.
1.515In questo mezzo il giovane Lucillo
1.516vide i cavalli che venian da bere,
1.517ed eran per entrar ne l'ampie stalle
1.518che sono a punto di rimpetto al prato;
1.519onde si volse al bel Sindosio, e disse:
1.520Ecco, Sindosio mio, che la fortuna
1.521render ci vole i nostri almi destrieri:
1.522andiam con essi, che pigliar si vuole
1.523sempre l'occasïon, quand'ella appare.
1.524E così detto, andaro entr'a la stalla,
1.525e tolsero di mano a quei ragazzi
1.526tutti i cavalli lor senza contrasto,
1.527e poi con essi ritornaro al faggio.
1.528Come i baron ch'eran rimasi quivi
1.529s'avvider che veniano i lor corsieri,
1.530volser la faccia prestamente a quelli,
1.531e s'allegraron tutti ne l'aspetto
1.532quale Elitropia a l'apparir del sole;
1.533poi vi montaro arditamente sopra,
1.534e tolte in groppa l'onorate donne
1.535e le due maghe, s'avvïaro insieme
1.536verso Brandizio con letizia immensa.
1.537né furon molto dilungati quindi
1.538che sentir prima un terremoto orrendo,
1.539e dietro a quello i dispietati venti
1.540correr per l'aria, e 'l mar turbato e fiero
1.541muggiar fremendo, e far tanto rimbombo
1.542e venir tanti folgori e baleni
1.543e troni e pioggia e grandine e tempesta,
1.544che parea che n'andasse il mondo a terra.
1.545Il che vedendo i cavalieri accorti
1.546si ritiraro in un famoso albergo
1.547lungo la strada, ove chiamato l'oste
1.548si dismontaro, e rinfrescorsi alquanto
1.549fin che passasse quella orribil pioggia.
1.550Ed ecco, avanti al dichinar del giorno,
1.551sendo Traian ridotto su la porta
1.552de l'osteria per riguardare il tempo,
1.553venne un bel vecchio con maniere oneste
1.554ch'avea un fanciullo in braccio, e due fanciulle
1.555modeste e vaghe gli veniano a canto:
1.556onde 'l savio baron così gli disse:
1.557Padre gentile il cui pensoso aspetto
1.558vi mostra degno di miglior fortuna,
1.559deh, grave non vi sia di dirci un poco
1.560chi voi vi siete e di che terra, e d'onde
1.561ora venite in questo orribil tempo.
1.562A cui rispose l'affannato vecchio:
1.563Leggiadro cavalier, non vuo' far niego
1.564di satisfare a la dimanda vostra.
1.565Io nacqui già ne l'infelice Gnatia:
1.566quivi sempre abitai, quindi ne vengo;
1.567e fui testor di lacrimabil carmi.
1.568Or mentre ch'io scrivea certe mie ciance,
1.569venne una voce altissima dal cielo,
1.570che disse: Eugenio mio,vattene tosto,
1.571esci di questa scelerata terra,
1.572che oggi verrà dal ciel la sua ruina:
1.573e mena l'innocente tua famiglia
1.574sola con teco, e lascia ogni altra cosa.
1.575Così diss'ella; ed io, che sempre fui
1.576pronto a seguir ciò ch'ordinava il cielo,
1.577partimmi con le figlie e con la moglie,
1.578ch'aveva in braccio questo mio figliuolo
1.579il qual di poco avea lasciato il latte;
1.580e quando fummo fuor de la cittade,
1.581a me si volse l'infelice donna,
1.582e sospirando disse in questa forma:
1.583Caro marito mio, tenete un poco
1.584questo fanciul, ch'io vuo' tornare indietro
1.585a farmi render la mia cuffia d'oro
1.586ch'i avea prestata a Livia mia cugina;
1.587non v'incresca aspettar fin ch'io la reco.
1.588Così diss'ella, ed io dipoi risposi:
1.589Deh non tornar, diletta mia consorte,
1.590ne la città, non ti curar di robba;
1.591cerchiam pur di salvar queste persone
1.592e d'ubidire al Re de l'universo.
1.593Così le dissi lagrimando forte;
1.594ed ella, non curando il mio parlare,
1.595lasciò il fanciullo e ritornossi dentro;
1.596io poi mi posi sopra di una altura
1.597fuor de la porta, e stava ad aspettarla.
1.598Or mentre ch'i' era al suo ritorno intento,
1.599senti' venire un terremoto orrendo,
1.600e 'l mar muggiare, e folgori e tempesta
1.601cader a terra con sì larga pioggia,
1.602come se avesse a rüinarsi il mondo.
1.603I fiumi tutti eran ridotti insieme
1.604verso la terra, ed il gonfiato mare
1.605sorse tant'alto, che copria le mura
1.606de l'infelici e sventurate case,
1.607piene di pianti e gemiti e sospiri
1.608di genti che moriano: e sopra i tetti
1.609vedeansi star le scapigliate madri
1.610co i figliolini in collo, che piangendo
1.611tendeano indarno le manine al cielo.
1.612L'angel Nettunnio col tridente in mano
1.613andava intorno, e gli angeli nocivi
1.614gli tenean dietro, e con cridori orrendi
1.615facean tremare e suffocar le genti,
1.616le quai volean natando uscir de l'onde.
1.617Ma quando l'acqua fu vicina al loco
1.618ov'io mi stava a l'ombra d'un sacello
1.619che mi copria da la terribil pioggia,
1.620allor sgridommi la divina voce:
1.621Che fai misero qui? Vattene omai,
1.622non aspettare Antinoa tua consorte:
1.623ch'ella è affogata dentr'a la cittade
1.624per non voler seguire il tuo consiglio.
1.625Com'i' udi' questo, subito partimmi;
1.626e son venuto qui, come vedeste,
1.627lasciando tutta la città summersa.
1.628Così parlò il buon vecchio: a cui Traiano
1.629söavemente sospirando disse:
1.630Eugenio, questa vostr'aspra sciagura
1.631mi pesa sì, ch'a lagrimar m'invita;
1.632ma pur mi piace che 'l presidio eterno
1.633da la vostra virtù non s'allontana.
1.634Poi, se la nostra compagnia v'aggrada,
1.635ve la offerisco pronta a darvi aiuto,
1.636e farvi parte de la mia sustanza.
1.637Questo disse Traiano, ed ei rispose:
1.638Gentil barone e di regale aspetto,
1.639il sommo Iddio per me premio vi renda
1.640di queste gentilissime proferte,
1.641le quali io serbo a mio maggior bisogno.
1.642Or voglio andar qui presso ad un castello,
1.643e ritrovare alcuni miei parenti
1.644per star con essi, e con l'aiuto loro
1.645dar nutrimento a questa mia famiglia.
1.646Così tra lor fu detto, e poi Traiano
1.647e tutti gli altri si partiro insieme;
1.648e tanto cavalcor, che a mezza notte
1.649giunsero appresso l'acquistata rocca
1.650ov'era preso Faulo e i suoi giganti.
1.651Quivi gridò tre volte il buon Achille:
1.652Areto, Areto, apriteci le porte,
1.653che siam tornati con vittoria grande.
1.654Areto, che conobbe la sua voce,
1.655subito scese, e poi per un portello
1.656tolse entro ad un ad un tutti e' baroni;
1.657e poste in prigionia quelle due maghe
1.658si riposaro insino a la mattina.
1.659Ma come venne fuor la bella aurora
1.660coronata di rose in vesta d'oro,
1.661subitamente quei signori allegri
1.662si levor su da l'ozïoso letto
1.663e si vestiro i panni e poscia l'armi.
1.664In questo venne la prudente Areta
1.665a visitarli, e poi così gli disse:
1.666Signori illustri e di mirabil forza,
1.667poiché,vostra mercé, condotta sono
1.668vicina al caro mio fedele albergo
1.669ch'è di rimpetto là sopra quel monte,
1.670piacciavi infino ad esso accompagnarci,
1.671acciò che ancora più vi siam tenute:
1.672benché i meriti vostri son tant'alti,
1.673e ci han legate d'obligo sì grande,
1.674che poca o nulla vi si può far giunta.
1.675Se volete condurre anco i prigioni
1.676al nostr'albergo, vi porrem tal guardia
1.677che non saranci traffurati o tolti.
1.678Così diss'ella, e quei baron cortesi
1.679senza far scuse o replicar parole
1.680seguir con l'opra la dimanda onesta;
1.681e fatti ben legar tutti e' prigioni,
1.682andaro insieme a l'onorato monte.
1.683Quivi trovar due strade: una era larga
1.684e piana e senza impedimento alcuno,
1.685tal, che vi potean ir cavalli e carri;
1.686l'altra era stretta, e sì sassosa ed erta,
1.687ch'a pena l'uom potea salirvi a piedi,
1.688e non senza fatica e senza affanni.
1.689Il bel Lucillo, il quale andava inanzi,
1.690già s'avviava per la larga strada,
1.691però che Edonia, giovinetta allegra
1.692che si trovava in essa, a lui si volse
1.693e lo sospinse con parole tali:
1.694Leggiadro cavalier cortese e saggio,
1.695come dimostra la sembianza vostra,
1.696questo sentier che è quivi a man sinistra
1.697è più söave e di minor fatica
1.698assai de l'altro ch'a man destra sale.
1.699Entrate adunque arditamente in esso,
1.700ch'io ne verrò con voi parlando sempre
1.701di rime e versi e bei pensier d'amore,
1.702e la mia compagnia forse fia tale
1.703che v'agevolerà tutto 'l camino.
1.704Questo diss'ella; e quel barone, acceso
1.705da le parole dolci e da i begli occhi
1.706di quella vaga e grazïosa donna,
1.707già s'avviava dietro a le sue piante:
1.708quando lo rivocò la buona Areta,
1.709e disse: Almo baron, quell'ampia via
1.710che par sì piana al cominciar primiero,
1.711sempre s'inaspra, e ne la fine ha molti
1.712sassi precipitosi, onde non puote
1.713senza miracol grande uscirci uom vivo;
1.714e quella damigella che or v'essorta
1.715non verrà vosco poi per quei perigli,
1.716ma lascieravvi senza alcuna scorta
1.717in mezzo i precipizi, in mezzo i scogli.
1.718Però volgete in dietro i vostri passi:
1.719gite per l'altra via che voi vedete
1.720ivi a man destra, e se vi par noiosa
1.721e stretta ed erta ne i primieri ingressi,
1.722non vi smarrite, che dapoi fia piana
1.723quando s'appressi al disïato fine:
1.724il qual vi mena in certi ameni campi
1.725che han bei riposi e dilettevoli ombre.
1.726Quivi vedrete ancor sott'altri panni
1.727la bella Edonia ch'or v'aggrada tanto:
1.728la qual starà con voi la notte e 'l giorno.
1.729Così gli disse l'onorata areta;
1.730onde venne il baron vermiglio in faccia
1.731per la vergogna del commesso errore,
1.732e prestamente ritornossi indietro:
1.733poi s'avviò con gli altri al destro calle.
1.734Ma prima tutti dismontaro a piedi
1.735e lasciaro i cavalli appresso il monte,
1.736ché non potea salir destriero alcuno
1.737per quelle pietre discoscese ed aspre:
1.738ed anco i buon guerrier, ch'eran pedoni,
1.739spesse fïate, per fermar le piante,
1.740convenian tòr da le lor mani aiuto.
1.741Quivi un bel vecchio rubicondo e grasso
1.742stava da l'un de' lati de la strada,
1.743e accompagnava quei baroni afflitti
1.744su per gli alpestri e faticosi balzi.
1.745Da l'altro lato v'era una vecchietta
1.746con gli occhi gravi e con le membra lasse
1.747ch'avea una lonza incatenata seco;
1.748questa iva inanzi a l'onorata Areta,
1.749ed aiutava i cavalieri erranti
1.750ne i più dubbiosi e più difficil passi.
1.751Poi ne l'andare in su sempre più lata
1.752venìa la strada, e men sassosa ed erta,
1.753onde i dui vecchi ritornaro a basso:
1.754però che Areta a lor si volse, e disse:
1.755Tornate in dietro, o miei fedeli amici,
1.756a custodir la strada in cui vi pose
1.757il grande Architettor de l'universo;
1.758e quivi accompagnate ogni persona
1.759ch'ascender voglia al glorïoso monte:
1.760sopra il qual senza voi non può salirsi.
1.761Ma tu, Sudor, perché sei grasso e lento,
1.762lascia pur gire avanti la Fatica,
1.763e siegui poi gli amati suoi vestigi.
1.764Come udir questo, i dui concordi vecchi
1.765subitamente quindi si partiro;
1.766poscia i baroni al fin di quella via
1.767sassosa ed aspra e malagevol tanto
1.768si ritrovaro in un söave piano
1.769pien d'ogni frutto che è salubre al mondo:
1.770ove trovaro ancor sott'un gran lauro
1.771la bella Edonia in abito regale,
1.772che 'n contra se gli fé tanto gioconda,
1.773che porse a gli occhi lor nuovo diletto.
1.774Nel mezzo di quel pian sopra una pietra
1.775viva era posto un forte e bel castello,
1.776cinto di quattro altissime muraglie:
1.777la prima, che chiudea tutto quel loco
1.778da la parte di fuori, era d'acciale,
1.779e la seconda cinta ad andar dentro
1.780parea di lucidissimo ametisto,
1.781la terza or fino, e l'intima diamante.
1.782Questa fortezza poi, ch'è la più bella
1.783che si trovasse mai sotto la luna,
1.784era la stanza u' solea far dimora
1.785la buona Areta pria che fosse presa:
1.786e stando in prigionia, fu poi tenuta
1.787da Leuteria gentil sua fida amica.
1.788Come la dama vide il suo bel nido
1.789s'allegrò molto, e dolcemente pianse
1.790per la memoria de l'amato albergo;
1.791poi si volse a i baroni, e così disse:
1.792Signori eletti a liberare il mondo
1.793da la superba servitù de' Gotti,
1.794quest'è l'antico alloggiamento nostro,
1.795che sarà sempre parimente vostro:
1.796perché non ho da voi cosa divisa.
1.797E detto questo, andò presso a la entrata,
1.798e dimandò Carterio e 'l presto Anchino,
1.799e disse: O fedelissimi ministri,
1.800aprite omai queste serrate porte:
1.801ché la vostra regina si ritorna
1.802dopo molti travagli al suo terreno.
1.803Così diss'ella, e i portinari allegri
1.804apriro un picciol fenestrin, volendo
1.805veder con gli occhi lor se questo è vero;
1.806ma come vider la regina salva,
1.807calaro i ponti e spalancar le porte
1.808per onorar l'altissima lor donna:
1.809e come entrata fu dentr'al seraglio,
1.810se le gettor per adorarla a i piedi,
1.811e per letizia lagrimavan sempre.
1.812Dapoi chiamaron tutta la famiglia
1.813che venisse a mirar tanto diletto:
1.814onde subito corse la Clemenza,
1.815corse la Castità, corse l'Onore,
1.816la Magnanimità, la Cortesia,
1.817la Liberalità, con altre molte;
1.818e accompagnate da la Gloria, tutte
1.819vennero ad abbracciar la lor regina.
1.820Fornite le accoglienze oneste e liete,
1.821la buona Areta co i baroni eccelsi
1.822entror per gli altri cerchi ad uno ad uno:
1.823ché le lor porte ritrovaro aperte,
1.824e i fidi portenari esser sovr'esse
1.825giocondi e lieti per sì gran venuta.
1.826Quindi arrivaron poi sopra la piazza
1.827ch'era davanti al suo regale albergo;
1.828questo avea ne l'ingresso una gran loggia
1.829più ricca assai che dilicata o molle,
1.830con tanta simmetria, con sì bell'arte,
1.831che dava a gli occhi altrui molto diletto.
1.832Ciascun de i canti di quel gran palazzo,
1.833ch'erano quattro, aveano un'alta torre
1.834fatta di larghe punte di diamante;
1.835nel mezzo poi s'apriva un bel cortile
1.836da quattro logge circondato intorno.
1.837Di queste l'una, ove finia l'entrata,
1.838e l'altra opposta a quella eran più lunghe
1.839de l'altre due che lo cingean da i lati,
1.840perciò che le più lunghe fur distinte
1.841in trentadui pilastri e trentun vano,
1.842sì come l'altre che chiudeano i capi
1.843ognuna in ventun foro era divisa.
1.844Quei gran pilastri poscia avean nel mezzo
1.845colonne eccelse sopra piedistali
1.846che sosteneano il solido architrave,
1.847ch'avea sovr'esso e zoforo e cornice.
1.848Poi quel palazzo tutto era composto
1.849con gran giudizio in dorica misura,
1.850ed era ancor d'una materia eterna
1.851che vincea di bellezza ogni altro marmo.
1.852Ma come i nobilissimi baroni
1.853entraro in esso, e vider quelle logge,
1.854rimaser pieni sì di meraviglia
1.855che non potean formar parola alcuna:
1.856ma rivolgeano gli occhi intorno intorno
1.857tacitamente, e lo miravan tutto;
1.858dapoi vedendo una concordia grande
1.859di camere, di sale e d'altri luochi,
1.860con bella rispondenza d'ogni cosa,
1.861si generava in lor piacere estremo;
1.862onde gli disse la divina Areta:
1.863Valorosi, leggiadri, alti baroni,
1.864a me non par che sia da spender tempo
1.865nel contemplar questo edificio nostro,
1.866ché veder lo potrete a più bell'agio.
1.867Entriamo prima in questa destra sala,
1.868che voi riposarete i corpi lassi
1.869e darete a le forze alcun ristauro
1.870con cibi eletti e prezïosi vini.
1.871Così gli disse l'onorata Areta;
1.872e quei baroni entrar ne l'ampia sala
1.873che di mirabil gemme era dipinta,
1.874e poi s'assiser ne le sedie d'oro
1.875ch'eran vicine a l'ordinate mense,
1.876u' ristoraron le affannate membra.
1.877Poi che la sete e l'importuna fame
1.878fur rintuzzate, disse il buon Traiano:
1.879Donna gentil d'ogni bellezza adorna
1.880e di costumi altissimi e reali,
1.881or che v'abbiam condotte al vostro albergo
1.882ritorneremo a Belisario il grande,
1.883che forse accusa la tardanza nostra:
1.884e qui si rimaran tutti e' prigioni
1.885ch'entrar con noi ne la primiera cinta;
1.886perché volemo a voi lasciar la cura
1.887di custodirli, e porvi intorno nodi
1.888tai, che non possan più fuggirsi quindi.
1.889Così diss'egli, e poi rispose Areta:
1.890Gentil signor, sì come egli è il dovere
1.891d'accarezzar quell'ospite che avemo
1.892ne i nostri alberghi fin che vi dimora;
1.893così sta ben, quando vuol ir, mandarlo
1.894con le commodità del suo vïaggio.
1.895Dunque, se star volete in questi luochi,
1.896voi ci sarete sommamente cari;
1.897e se pur ir vi piace, i' son per darvi
1.898ogni cosa opportuna al vostro andare;
1.899e farò che le quattro mie figliuole
1.900vi faran compagnia dovunque andrete,
1.901e sempre vi saran ministre e guide.
1.902Né vi prendete poi pensiero alcuno
1.903di questi prigionier ch'a noi lasciate,
1.904ch'userem diligenza in custodirli.
1.905Ben voglio fare al mio Traiano un dono
1.906di questa bella e prezïosa gemma;
1.907la qual, se voi la porterete in bocca,
1.908farà che asseguirete ogni dimanda.
1.909E detto questo, un bel anel gli diede,
1.910la cui pietra era di color di mele
1.911ma scintillava come fiamma ardente;
1.912dapoi si volse a Corsamonte, e disse:
1.913A voi, che siete oltra misura forte,
1.914voglio donare una maniglia d'oro,
1.915la quale ha in sè questa virtù miranda,
1.916che chi la tien vicina a la sua carne
1.917non può da ferro alcuno esser trafitto.
1.918Così diss'ella, e si slegò dal braccio
1.919la sua bella maniglia, e a lui la porse;
1.920l'altra volea donare ad Aquilino,
1.921ma non la poté svilupar da quello.
1.922Poi Corsamonte con la faccia allegra
1.923prese l'alta maniglia, e le rispose:
1.924Nobilissima donna, io non saprei
1.925né con lingua mostrar né con sembianti
1.926quanto grato mi sia questo bel dono;
1.927pur sforzerommi farlo a voi palese
1.928con l'onorarvi sempre e sempre amarvi.
1.929Ma ben però non vuo' restar di dirvi
1.930che 'l mandar or con noi le vostre figlie
1.931mi par cosa soverchia, perché tutti
1.932sapremo al campo andar senz'altra scorta.
1.933e se venisser damigelle nosco,
1.934ci darian qualche biasmo apò le genti,
1.935che 'l vulgo mai non suol pensare il dritto:
1.936sì che meglio sarà lasciarle a casa.
1.937Così diss'egli, a cui rispose Areta:
1.938Quel che dentr'al suo cuor sa ch'e' non erra
1.939non dee aver tema de l'altrui menzogne;
1.940pur, per schiffar le suspettose lingue,
1.941queste mie figlie, che con voi verranno,
1.942saran coperte d'una nebbia oscura
1.943che non potrà vederle umana vista;
1.944onde staransi a i ministeri vostri
1.945senza potervi dare infamia alcuna.
1.946Questo gli disse Areta, e 'l buon Traiano
1.947rispose a lei: Poi che così v'aggrada,
1.948noi menerem queste donzelle nosco,
1.949e non rifiuterem sì care scorte.
1.950E così detto, ognun prese licenza
1.951da l'onorata Areta e si partiro;
1.952e come furon giù de l'alto colle,
1.953trovaro i lor cavai ch'avean lasciati
1.954al piè di quella faticosa costa.
1.955Quivi montar subitamente in sella
1.956e tolser quelle damigelle in groppa:
1.957Traian tolse Fronesia, e Corsamonte
1.958tolse Andria, e tolse Dicheosina Achille
1.959e Sofrosina il giovane Lucillo;
1.960poi tutti insieme se n'andaro al campo.
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