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1.1Mentre che i capitani erano intenti
1.2ad imbarcar quell'onorevol stuolo,
1.3il bel Giustino andò verso 'l palazzo
1.4per visitar Teodora imperadrice,
1.5e tòr da lei commiato anz'il partire;
1.6ed avea seco Amor, che quasi sempre
1.7gli facea compagnia dovunque andava.
1.8Giunto dunque al palazzo, e l'ampie scale
1.9salendo, ritrovò che la regina
1.10volea lavarsi per andare a mensa.
1.11Com'ella il vide, con allegra fronte
1.12l'accolse, e disse a lui queste parole:
1.13Gentil nipote, voi sarete a tempo
1.14venuto qui, ché cenerete nosco,
1.15e questa sera goderenvi alquanto,
1.16poi che sì tosta è la partenza vostra.
1.17Ed ei rispose con parole accorte:
1.18Signora, i' son parato ad ubidirvi
1.19in ogni dura impresa, non che in questa
1.20che si ha da trappassar con mio diletto.
1.21Or, mentre questo si dicea fra loro,
1.22sen venne la bellissima Sofia
1.23accompagnata da le sue donzelle;
1.24ma come giunta fu sopra la porta
1.25da la camera sua, che spunta in sala,
1.26vide Giustino: onde ritenne il passo,
1.27e quasi stette per tornarsi dentro;
1.28pur venne fuori, e gli occhi a terra fisse,
1.29sparsa nel volto d'un color di rose.
1.30Come fa il pellegrin che nel camino
1.31vede un serpente, e 'l piè rivolge in dietro
1.32tutto smarrito, e poi trapassa inanzi,
1.33spinto da la vergogna e dal disire
1.34d'arrivar tosto al suo fedele albergo;
1.35tal veramente fu il sembiante allora
1.36di quella vaga e vergognosa donna;
1.37poi, fatta riverenza a la regina,
1.38subitamente se n'andò da parte.
1.39Quando Amor vide lei che tanto schiva
1.40s'era condotta a l'onorata cena,
1.41disse fra sè sdegnosamente: Adunque
1.42costei fugge chi l'ama, e ne dispregia?
1.43Poi che non vide altr'amorosa fiamma
1.44che quella che conosce una donzella
1.45vaga di sua beltà, s'altri la mira,
1.46proviam di sottoporla al nostro impero.
1.47E detto questo, elesse una saetta
1.48ferma ed acuta, e l'addattò su l'arco;
1.49poi si raccolse dietro al bel Giustino
1.50e drizò gli occhi in lei, tirando forte
1.51la dura corda, onde sospinse il strale
1.52verso il bel petto e le percosse il cuore:
1.53ma come vide il colpo al segno aggiunto,
1.54partissi, e se n'andò ridendo al cielo.
1.55E fece come arcier che sta nascosto
1.56in qualche macchia, e vede di lontano
1.57libera cervia andar pascendo l'erbe,
1.58e l'arco tira e le percuote il fianco:
1.59poi lieto del bel colpo indi si parte,
1.60lasciando quivi lei ferita a morte.
1.61Quando la bella virginetta accolto
1.62si vide il cuor da l'amoroso strale,
1.63rivolse gli occhi lampeggianti al viso
1.64del bel Giustino, e 'l dilicato petto
1.65di lei da nuovo amor tutto commosso
1.66levossi, e mandò fuor qualche sospiro;
1.67poi tanto crebbe quella acerba piaga
1.68in poco spazio, che le belle guance
1.69si fer pallide e smorte, e poco stando
1.70divenner di color di fiamma viva.
1.71L'imperadrice a la già posta mensa
1.72s'assise sopra una gran sedia d'oro,
1.73e fece a lato a sè seder Giustino,
1.74nipote e successor del grande impero;
1.75dapoi sedette Asteria, e poi Sofia,
1.76che fur uniche figlie di Silvano,
1.77fratel de la regina: onde rimase
1.78erano eredi di ricchezza immensa.
1.79Qui si portaron ottime vivande
1.80in vasi d'oro e di mirabil arte
1.81da cento leggiadrissime donzelle,
1.82tutte vestite di damasco bianco
1.83col lembo azzuro e con la cinta d'oro;
1.84e cent'altre vestite pur di bianco
1.85come le prime stavano d'intorno
1.86la ricca mensa, e chi di lor poneva
1.87i piatti e chi e' levava e chi trinzava
1.88e chi porgeva prezïosi vini
1.89in coppe di finissimi cristalli.
1.90Come poi la gran cena al fine aggiunse,
1.91l'imperadrice con süave aspetto
1.92si volse al bel Giustino, e così disse:
1.93Io vi vedo, signor, disposto a gire
1.94con Belisario a la feroce guerra.
1.95Certo, figliuol, che a noi pareva il meglio
1.96che voi restassi a casa, e che l'impresa
1.97s'avesse ad espedir per quei soldati
1.98che sono esperti e che ci son suggetti,
1.99senza vostro periglio e vostri affanni.
1.100Ed egli a lei rispose in tal maniara:
1.101Veramente, regina, ho molta cura
1.102avuta, ed averò mentre ch'io viva,
1.103di non far cosa mai che si discosti
1.104punto dal vostro altissimo volere:
1.105che 'l mio sommo diletto è d'ubidirvi.
1.106Ma spier, se pensarete al gran bisogno
1.107che abbia chi è nato d'onorevol sangue
1.108d'avere esperïenza de le guerre,
1.109che non sarete al mio passaggio adversa.
1.110E poscia i' vado a la più degna impresa
1.111che fosse mai, sotto 'l divin governo
1.112del miglior capitan ch'al mondo sia:
1.113tal, che s'io non andasse a questa guerra,
1.114quando arei più già mai tanta ventura?
1.115Sì che non sia noiosa a vostra altezza
1.116la mia fervente e virtüosa voglia.
1.117Poi, s'io ritorno vivo, forse ancora
1.118sarò caro a qualcun ch'or mi dispregia;
1.119e s'io morrò, non sarò senza onore,
1.120se ben fia lieto altrui de la mia morte.
1.121Quest'ultime parole furo intese
1.122da la bella Sofia come eran dette,
1.123e tutta quanta si cangiò nel volto,
1.124e racolse nel petto un gran sospiro;
1.125ma per temenza poscia lo ritenne.
1.126L'imperadrice con parole dolci
1.127rispose al gentilissimo Giustino:
1.128Certo, figliuolo, il vostro alto pensiero
1.129non vo' se non lodar, ben ch'ei m'aggravi;
1.130ite dunque felice, e vi ricordo
1.131d'aver custodia de la vostra vita.
1.132Come ebbe udito questo, il bel Giustino
1.133si levò ritto, ed accostossi ad ella
1.134umilemente, e col genocchio in terra
1.135prese licenza e le basciò la mano.
1.136Poi volto per partir, volse ancor gli occhi
1.137verso la sua bellissima Sofia,
1.138la quale a caso in lui volgea la vista:
1.139onde si rincontrar le belle luci;
1.140di che la giovinetta ebbe vergogna,
1.141e i suoi rispinse sorridendo a terra.
1.142Poi mentre ch'egli andò verso la porta,
1.143ella postosi avanti il suo ventaglio
1.144con la coda de l'occhio il rimirava,
1.145e la mente di lei sì come in sogno
1.146seguìa le poste de l'amate piante;
1.147ma come uscì di corte, ad un balcone
1.148si trasse, e lo guardò fin che disparve.
1.149D'indi tornando al luogo ove cenaro,
1.150sempre sempre l'avea davanti a gli occhi,
1.151ramemorando ogni suo minim'atto
1.152ed ogni suo costume, e sempre avendo
1.153dentr'a le orecchie il suo parlar soave.
1.154E dicea fra se stessa: Il mondo mai
1.155non ebbe, e non arrà cosa più rara.
1.156Sedendo poi nel loco ov'egli a cena
1.157s'era seduto, e ciò che avea toccato
1.158toccar volendo per sfogare il cuore,
1.159dava nuov'esca a l'amorosa fiamma.
1.160Al fin partita quindi, e ritirata
1.161ne la camera sua, non si partiro
1.162i focosi pensier da la sua mente;
1.163ma d'uno in altro spesso trapassando,
1.164incominciò temer ch'ei non morisse
1.165in quel periculoso aspro passaggio:
1.166e ripensando circa la sua morte,
1.167gli occhi s'empier di lacrime, e cadero
1.168giù per le guance in su l'eburneo petto;
1.169poi dietro a l'onda d'un sospiro amaro
1.170disse fra se medesma este parole:
1.171O misera Sofia, come sei colta
1.172ne la rete d'amor senza pensarvi!
1.173Or se n'andrà il bellissimo Giustino,
1.174il qual t'amava e t'onorava tanto;
1.175né tu già mai del suo fervente amore
1.176pietade avesti, e non volesti mai,
1.177non che ambasciata udir, ma darli un sguardo.
1.178O degno frutto a l'aspra tua durezza:
1.179or ti conviene amar quel che fuggisti,
1.180e quel che quando t'era avanti gli occhi
1.181avesti a schivo, or che si fa lontano
1.182brami e disii. Deh come è ver che 'l bene
1.183non si conosce mai, se' non si perde!
1.184Chi sa se mosso da possente sdegno
1.185si parte, e cerca questa orribil guerra
1.186per andar quasi disperato a morte!
1.187O s'ei per caso alcun vi rimanesse,
1.188come viver potrò senza vederlo?
1.189E s'io vivrò, come sarò mai lieta,
1.190sendo stata cagion che a morte corra
1.191il più bel giovinetto e 'l più leggiadro
1.192e 'l più gentil che mai nascesse al mondo,
1.193e che m'amava più che la sua vita?
1.194Deh poni giù Sofia tanti rispetti,
1.195lascia il timor che t'occupava il cuore;
1.196cerca, cerca impedir l'aspro vïaggio
1.197al tuo Giustin, fa' ch'ei rimanga a casa;
1.198il che lieve ti sia, volendo porre
1.199la man sopra la carta, e farli nota
1.200la voglia tua: perch'ei t'onora tanto,
1.201che non lascierà voto il tuo disire.
1.202E detto questo, cominciò di nuovo
1.203dirotto pianto, e sospirando forte
1.204a se stessa rispose in tal maniera:
1.205Misera me, dove ho rivolto il cuore?
1.206Che mal pensier ne la mia mente alberga?
1.207Che ho da far io, se alcun trapassa il mare
1.208e vuol andare in sanguinose imprese?
1.209-Vadavi; e se morrà tanta bellezza
1.210che devria da la morte esser sicura,
1.211muoiasi, e non si macchi il nostro onore:
1.212anzi prima che la terra mi summerga,
1.213che mai s'avanti alcun di mie parole,
1.214né d'ambasciate o di lascivia alcuna.
1.215Ver'è, ch'io priego Iddio che lo riduca
1.216vivo nel suo nativo almo paese
1.217per non dar noia al correttor del mondo.
1.218Poi ch'ebbe detto questo, ripensando
1.219che se 'l vago Giustin non si partiva
1.220forse potrebbe per marito averlo:
1.221ché la sorella sua quei giorni avanti
1.222le conferì che avea questo pernsiero;
1.223onde da tal disio prendendo ardire
1.224tolse la carta inanzi, e pose mano
1.225al calamo; e volendo tor la tinta,
1.226forte pentissi, e gli gettò da parte;
1.227poscia pensò che saria meglio a dirlo
1.228a la sua cara Asteria, e per trovarla
1.229andò velocemente fin a l'uscio
1.230de la stanza di lei, ma per vergogna
1.231sopra quel limitar ritenne il piede;
1.232e lentamente ritornossi in dietro,
1.233volgendo per la mente un altro modo;
1.234né quel poi le aggradiva, ed al primiero
1.235tornando, un'altra volta lo dannava
1.236e ne trovava un'altro: onde 'l suo cuore
1.237in cosa alcuna mai non stava fermo.
1.238Come talor, se in un capace vaso
1.239che sia pien d'acqua tremolante e pura
1.240entra il raggio del sol, che si rifletta
1.241nel palco e sotto le aggravate travi,
1.242con spessissimo moto or quinci or quindi
1.243vola e rivola, e mai non si riposa;
1.244così facea il pensiero entr'al bel petto
1.245di quella vaga e giovinetta amante:
1.246onde nel mesto cuor tutta confusa
1.247si gettò sopra il letto, e sospirando
1.248a le lagrime triste allargò il freno;
1.249il che vedendo Fusca sua donzella
1.250diletta che per caso indi passava,
1.251corse dov'era Asteria, e poi le disse:
1.252Signora, la bellissima Sofia
1.253sospira, e piange seco, e nulla dice;
1.254temo che qualche infirmità l'offenda.
1.255Asteria come intese la sorella,
1.256che amava tanto, esser turbata e trista,
1.257andò senza dimora a la sua stanza;
1.258e ritrovando lei giacer su 'l letto
1.259con le guance di lagrime coperte
1.260le disse dolcemente este parole:
1.261Cara sorella mia, che cosa è questa?
1.262Chi t'ha noiato, o che dolor ti preme?
1.263Forse che qualche infirmità t'offende,
1.264di che ne fai sì doloroso pianto?
1.265Parla, non mel celar, fa' che ancor io
1.266conosca la cagion de i tuoi sospiri.
1.267Al ragionar d'Asteria la fanciulla
1.268s'arrossì fortemente, e per vergogna
1.269si tacque ciò che disïava aprirle:
1.270e le parole fin sopra la lingua
1.271vennero, e poi si ritornaro al cuore;
1.272pur tanto a poco a poco amor la spinse,
1.273e 'l dolce ragionar de la sorella,
1.274che la sua bocca in tal parlare aperse:
1.275Sorella che mi sei sorella e madre,
1.276ché nostra vera madre a morte corse
1.277come fui nata, e tu, che assai per tempo
1.278vedova e senza figli eri rimasa,
1.279m'allevasti dapoi come figliuola,
1.280e per te sono or qui: ben che sarebbe
1.281meglio per me ch'io fosse morta in fascie,
1.282poi che tu vuoi saper quel, che m'annoia,
1.283io tel dirò, che a te non vuo' celare
1.284cosa che si rinchiuda entr'al mio petto.
1.285Null'altra infirmità, null'altro male
1.286è causa de l'acerbo mio martire
1.287se non amor, che troppo mi tormenta.
1.288Amo Giustino, e 'l suo partir m'è grave
1.289tanto, che par che mi si parta il cuore;
1.290e se non fai tal opra ch'ei rimanga,
1.291la tua cara sorella a morte è giunta.
1.292D'indi abbassò la testa, e mandò fuori
1.293una fonte di lacrime, e tacette.
1.294Per tai parole Asteria entr'al suo petto
1.295rimase come stupida, e pensossi
1.296di riprenderla prima, e poi si tenne;
1.297e con molta prudenzia le rispose:
1.298Sorella che mi sei sorella e figlia,
1.299ben conosch'io che l'amorose forze
1.300son troppo grandi, e chi da lor si guarda
1.301ha cuor di sasso ed anima di pianta;
1.302poi, quanto è più fervente in duro ferro
1.303l'appreso fuoco che in söave lana,
1.304tanto penso che in te, ch'eri sì fredda,
1.305sia più veemente e più feroce ardore
1.306che non sarebbe in men gelata donna.
1.307Pur non si deve a lui tanto lasciarsi
1.308portar, che la ragion resti summersa.
1.309Noi donne non avemo altro tesoro
1.310che la nostra onestà, né d'altra cosa
1.311possiamo acquistar gloria in questa vita;
1.312però debbiam guardarla, e sempre mai
1.313più che l'anima propria averla cara.
1.314Dunque, servando lei, farò tal opra
1.315che forse forse resterai contenta;
1.316ch'io non ebbi già mai cosa più grata,
1.317né ch'io bramasse più de la tua vita.
1.318Ver'è, che far che 'l bel Giustin si resti
1.319d'andar, non si potrà, perché ne l'alba
1.320si dee partir quest'onorata gente;
1.321ma spero ben di far ch'ei torni in dietro
1.322prima che in terra abbia fermato il piede:
1.323e s'io conduco al fin quel ch'io maneggio,
1.324forse ancor ti vedrò con lui congiunta
1.325di matrimonio e di lodato amore.
1.326A sì bel fin sorrise la donzella,
1.327e diventò tutta vermiglia in fronte:
1.328poi racchetò l'addolorata mente,
1.329il che piacque ad Asteria, e dipartissi;
1.330e la bella Sofia se n'andò a letto.
1.331Né perché la fredd'ombra de la notte
1.332a tutti e' peregrin largisca il sonno,
1.333e facia riposar l'afflitta madre
1.334che i figliuoi morti acerbamente piange,
1.335e rechi triegua al vigilar de i cani,
1.336ebbe mai forza di serrar le luci
1.337e d'acquetare il cuor di quella amante:
1.338che sempre rivolgea dentr'al suo petto
1.339il bel Giustin, fin che s'aperse il giorno.
1.340La bella aurora con le aurate chiome
1.341rimenava a' mortali il giorno e 'l sole;
1.342quando il gran Belisario, avendo udita
1.343divotamente una solenne messa,
1.344prese licenza dal signor del mondo,
1.345e se n'andò subitamente al porto
1.346con tutti quei baron ch'eran con lui
1.347rimasi in terra e ne i diletti alberghi.
1.348Dapoi salì su l'onorata nave
1.349di raso cremisin coperta e d'oro:
1.350e parimente di color di fiamma
1.351era la vela, e d'un damasco eletto.
1.352ccQuivi adunossi un'infinita gente
1.353per veder dipartir sì bella armata;
1.354e molti cavalieri antichi e saggi
1.355e d'ogni qualità giovani e donne
1.356andavan riguardando con disio
1.357quelle gran navi e quel mirabile oste.
1.358E tra lor si dicea: Signor del cielo,
1.359quanti baroni e quanta bella gente
1.360passa in Italia! Veramente io credo
1.361ch'ella fia liberata al primo assalto,
1.362e i Gotti rimarran sconfitti e morti;
1.363chce 'l ciel non dureria contra costoro.
1.364Così s'udian le voci or quinci or quindi,
1.365ché tutta la cittade era commossa;
1.366e molte donne lacrimavan forte
1.367chi la partenza del söave sposo,
1.368chi del figliuol, chi de l'amato padre,
1.369chi d'altra lor carissima persona:
1.370e risguardando al ciel porgeano prieghi
1.371divoti a Dio per lo ritorno loro.
1.372L'imperador si stava ad una vista
1.373d'un gran palazzo che vagheggia il porto
1.374e lungo 'l lito molto si distende,
1.375per veder quinci dipartirsi insieme
1.376l'armate navi e dar le vele al vento.
1.377Come fu il capitan sopra la prora
1.378del suo naviglio, quivi ingenocchiossi:
1.379e verso 'l cielo alzando ambe le mani,
1.380disse divotamente este parole:
1.381O sempiterno Re che 'l ciel governi,
1.382né senza 'l tuo voler qua giuso in terra
1.383si può muover da sé pur una fronda;
1.384porgi le sante orecchie a i nostri prieghi,
1.385e mandaci, Signor, sì fatto vento
1.386che ci porti in Italia ancor col giorno.
1.387Poi fammi grazia che possiam levarla
1.388da le superbe man di quei tiranni,
1.389e con vittoria ritornarsi in dietro:
1.390ch'io facio voto di fondare un tempio
1.391in Roma, e far che quivi eternamente
1.392il nome tuo si celebri e s'adori.
1.393A questi prieghi il Re de l'universo
1.394volse la mente, e la divina testa
1.395mosse affermando, e fé tremare il mondo.
1.396Dapoi levossi Belisario in piedi,
1.397e comandò che dal tenace lito
1.398tutti solvessen le veloci navi:
1.399ed ei fu il primo, e sciolse quella fune
1.400che 'l vago legno suo legava in terra;
1.401onde tutti slegor di mano in mano
1.402le navi, e con i remi le allongaro
1.403dal porto, e poi spiegar le vele al vento,
1.404che tosto le gonfiò: tal che quei legni
1.405correan fendendo i liquidi sentieri,
1.406e l'onde gli fremean d'intorno i fondi.
1.407Né così spesse l'anitre nel verno
1.408che son gelate le riviere e i guazzi
1.409dolci si stan ne le paludi salse,
1.410né mai tanti stornei fur visti insieme
1.411volar per l'aere, onde s'adombri il sole,
1.412quanti navigli insieme eran ne l'onde.
1.413Ma come furon poi tanto lontani
1.414che la terra spario, né avanti gli occhi
1.415poteva altro apparir che cielo ed onda;
1.416l'angel Nettunio andò sopra la gabbia
1.417de la gran nave, e col tridente in mano
1.418teneva fermi e rinforzava i venti:
1.419i quai facen volar per entro il mare
1.420verso Brandizio quelli armati legni,
1.421tanto veloci che parean saette
1.422uscite d'archi poderosi e tratte
1.423da forti braccia, verso il suo bersaglio.
1.424Di questo tutti e' duchi erano allegri,
1.425vedendo come avean favor dal cielo;
1.426e così navigando, si trovaro
1.427presso a Brandizio al trapassar del giorno:
1.428onde per quella notte il capitano
1.429ritenne le sue genti entr'a le navi.
1.430Asteria, poi che fu la bella armata
1.431sciolta dal lito, e che solcando l'acque
1.432giva per l'ampio dorso di Nettuno,
1.433accompagnò l'imperadrice a casa,
1.434e lasciò star Sofia dentr'al palazzo
1.435ch'era sul lito, e discopriva il mare:
1.436la qual fin che poteo veder quei legni
1.437tenne gli occhi in lor fissi; e poi che furo
1.438spariti, ancor mirava in quella parte;
1.439e dove l'aria più vedea serena,
1.440giudicava esser quivi il bel Giustino.
1.441Al fin dal dolor vinta, abbandonando
1.442le lucide fenestre, si ritrasse
1.443in più rinchiusa e solitaria stanza.
1.444Quivi tornando Asteria, ritrovolla
1.445piangere, e sospirar sì duramente
1.446che aria mosso a pietà le piante e i marmi;
1.447onde per man la prese, e rasciugolle
1.448le lacrime da gli occhi, e poi basciolla:
1.449e dolcemente suspirando disse:
1.450A che sorella mia ritorni al pianto?
1.451Perché ti disconforti? Abbi speranza;
1.452ché se i negozi umani hanno i lor piedi
1.453tanto lenti talor, quanto son grandi:
1.454pur van con essi al destinato fine.
1.455I' vengo or da Teodora imperadrice,
1.456e le ho parlato; e truovola disposta
1.457molto a pregare il correttor del mondo
1.458che ti dia per marito il bel Giustino,
1.459e daragli principio in questo giorno.
1.460Sì che non pianger più, piglia conforto;
1.461che poi che fatta s'è questa gran parte
1.462ch'a noi s'aspetta, puoi sperar che 'l resto
1.463debbia essequir la Providenza eterna.
1.464Io voglio ritornare a la regina,
1.465non per spronar l'ardente suo volere,
1.466ch'ella è più calda assai che non son io;
1.467ma sol per ritrovarmi entr'al palazzo,
1.468se bisognasse a lei la mia presenza.
1.469Tu resta pure, e ciba la tua mente
1.470di pensier buoni e d'ottima speranza.
1.471Queste parole rallentaro alquanto
1.472il duol de la bellissima Sofia;
1.473né stette guari, come fu partita
1.474Asteria, che rendeo le membra al sonno
1.475stanche dal vigilar, vinte dal pianto.
1.476L'imperadrice, che disire immenso
1.477avea di collocare al bel Giustino
1.478la bellissima figlia di Silvano;
1.479fra se stessa pensava il tempo e 'l modo
1.480da poter essequir questa sua voglia.
1.481Al fin le parve un ottimo consiglio
1.482far pruova di svegliare un bel disio
1.483d'amor nel petto al correttor del mondo,
1.484tanto che prenda l'amoroso frutto;
1.485e poi pregarlo con preghiere ardenti,
1.486ché forse i prieghi aran felice effetto.
1.487Onde per espedir questo pensiero,
1.488ne la sua bella camera si chiuse
1.489e si spogliò de i consüeti panni;
1.490da poi lavò le dilicate membra
1.491tutte con acqua d'angeli e di mirto:
1.492e come fur ben nette, poscia l'unse
1.493d'olio di Zederbeno e d'altri odori.
1.494Dapoi si pose una camiscia bianca
1.495lavorata di seta, e sopra quella
1.496vestì la ricca sua sottana d'oro;
1.497poscia le calce di rosato in gamba
1.498si messe, e le legò sopra il genocchio
1.499con bei legami, onde le coscie bianche
1.500pareano avorio tra vermiglie rose.
1.501E d'indi tolse le pianelle in piedi,
1.502ch'eran pur d'oro, e con riccami eletti;
1.503dapoi si pettinò le bionde chiome
1.504ondose e vaghe, e d'un odor le asperse
1.505che l'ambrosia parean del paradiso,
1.506ed in due belle treccie le ristrinse:
1.507sopra le quai pose una cuffia d'oro
1.508che da diverse gemme era dipinta.
1.509Poi sopra la bellissima sottana
1.510messe una robba di damasco bianco
1.511tagliata a quadri, e i quadri eran congiunti
1.512con grosse perle in bei nodetti d'oro;
1.513in mezzo ciascun quadro eran diamanti
1.514tanto lucenti, che parean fiammelle
1.515di foco acceso in trasparente vetro.
1.516E fatto questo, entrò per un portello
1.517nel vago e secretissimo giardino:
1.518ove si stava il correttor del mondo
1.519solo, a pensar ne l'ordinata impresa.
1.520Era in quel bel giardino un praticello
1.521tondo e coperto di verdissim'erba
1.522e circondato d'una ombrosa selva
1.523tutta di mirti e di odorati arranzi;
1.524questa si dividea da un canaletto
1.525non molto largo di purissim'acqua
1.526che mormorando gìa fra l'erba verde:
1.527ne la cui ripa avea, quasi per centro
1.528del bel pratello, un platano vestito
1.529di larghe frondi e di dolcissim'ombra.
1.530Or sotto questo platano sedeva
1.531l'imperador de le mondane genti
1.532tutto pien di speranza e di disire
1.533di tòr l'Italia da le man de' Gotti,
1.534ma come vide la sua bella moglie
1.535venir soletta in quello erboso prato,
1.536ratto s'accese d'amorosa fiamma,
1.537simile a quella che nel cuor gli nacque
1.538quando primieramente la conobbe.
1.539Poi con occhi fiammanti riguardolla,
1.540e disse: Anima mia, che nuova cosa
1.541vi mena in questa solitaria selva?
1.542Ed ella: Signor caro, io son venuta
1.543a tòr da voi licenza, per ch'io voglio
1.544ir nel palazzo a lato a la marina
1.545per star con la diletta mia nipote
1.546a trastullarla, poi ch'io non le posso
1.547trovar, come vorrei, condegno albergo.
1.548Rispose il re de i re: Certo ella è tale
1.549che non le può mancar marito alcuno;
1.550scelgete pur qual voi volete, ch'io
1.551gli el farò avere: e senza alcun rispetto
1.552ditel, se ben volete il mio Giustino.
1.553Sì che per tal cagion non vi partite:
1.554ch'assai fia meglio, che restiate meco
1.555a trastullarvi in bel piacer d'amore,
1.556che gir con donne a lato a la marina;
1.557ché mai non appariste a gli occhi miei
1.558così bella come or, né sì diletta.
1.559Disse alor l'accortissima regina:
1.560Signor mio caro, quando voi vogliate
1.561che 'l vostro bel Giustin prenda per moglie
1.562la bellissima figlia di Silvano,
1.563ch'io tengo per nipote e per figliuola;
1.564di queste nozze arò tanto diletto
1.565quanto di cosa mai ch'al mondo avesse.
1.566E loderalle ognun, perché vedranno
1.567esser congiunta la più bella donna
1.568al più bel uom che mai vedesse il sole.
1.569Onde saran non solamente eredi
1.570del nostro aver, ma ancor del nostro amore;
1.571però volendo 'l far, sarebbe meglio
1.572rivocarlo d'Italia: e fatel tosto,
1.573dolce signor, ch'io n'ho tanto disio
1.574che mi par invecchiar quasi in un giorno.
1.575Rispose il sommo imperador del mondo:
1.576Anima dolce, io son molto contento
1.577d'essequir tutto il vostro almo volere.
1.578Scrivete di man vostra al bel Giustino,
1.579e fate che Marcello ancor gli scriva
1.580in nome mio ché se ne torni indietro;
1.581e questo anel vi dò, che è 'l mio sigillo,
1.582da sigillarle, e far molte altre cose
1.583perché sortiscan sì leggiadre nozze:
1.584ch'io bramo compiacervi ovunque io possa.
1.585Dopo questo parlar, le diede un bascio
1.586süave, e le gettò le braccia al collo;
1.587ed ella stette, e sorridendo disse:
1.588Signor mio dolce, or che volete fare?
1.589Ché se venisse alcuno in questo luogo
1.590e ci vedesse, arei tanta vergogna
1.591che più non ardirei levar la fronte.
1.592Entriamo ne le nostre usate stanze,
1.593chiudiamo gli usci, e sopra il vostro letto
1.594poniansi, e fate poi quel che vi piace.
1.595L'imperador rispose: Alma mia vita,
1.596non dubitate de la vista altrui,
1.597ché qui non può venir persona umana
1.598se non per la mia stanza; ed io la chiusi
1.599come qui venni, ed ho la chiave a canto;
1.600e penso che ancor voi chiudeste l'uscio
1.601che vien in esso da le stanze vostre;
1.602perché già mai non lo lasciaste aperto.
1.603E detto questo, subito abbracciolla;
1.604poi si colcar ne la minuta erbetta
1.605la quale allegra gli fioria d'intorno;
1.606e gli arboscelli e gli augelletti e i pesci
1.607tutti godean di sì soave amore.
1.608Come fur stati alquanto in quel diletto,
1.609levorsi, e lieti risedero a l'ombra;
1.610e quindi essendo riposati alquanto,
1.611tornaro insieme a l'onorate stanze.
1.612L'imperadrice oltra misura allegra
1.613per le gran nozze che dovean seguire
1.614fece chiamar Marcello, e gli commise
1.615che in nome del supremo suo signore
1.616scrivesse al bel Giustin che si tornasse
1.617verso Durazzo senza indugio alcuno:
1.618e gli mostrò l'anel da sigillarle,
1.619onde 'l buon cancellier tosto ubidilla.
1.620Ella poi se n'entrò nel suo scrittoio,
1.621e scrisse di sua mano in questa forma:
1.622Diletto mio figliuolo, il gran signore
1.623per sue lettre v'impone, ed io vi priego,
1.624che ritorniate a noi senza dimora:
1.625perch'ei vuole adottarvi per figliuolo,
1.626ed io vuo' darvi la più bella sposa
1.627e la più mansüeta e la più ricca
1.628che si ritruovi sotto il nostro impero.
1.629E questa è la bellissima Sofia,
1.630ch'io tengo per figliuola, poi ch'al cielo
1.631non piacque mai ch'i' avesse alcuna prole.
1.632Questa vi potrà fare esser contento,
1.633perché aver non si può sopra la terra
1.634cosa miglior d'una ottima consorte.
1.635Sì che passate arditamente il mare,
1.636venite tosto e senza alcuno indugio
1.637a sì cari piaceri, a tanta altezza.
1.638Così scriss'ella, e poi piegò la carta
1.639e la serrò con certe fila d'oro
1.640sopra le quai pose la cera verde;
1.641e prese il ricco anello, e con le labbra
1.642prima bagnò la prezïosa gemma,
1.643e con essa improntò l'alto sigillo,
1.644ch'era una nimfa in piè sopra una sfera
1.645con due grand'ali e una ghirlanda in mano.
1.646Dapoi chiamato il valoroso Ocipo
1.647avanti sé, le disse este parole:
1.648Eccoti Ocipo mio, questa è una carta
1.649nostra, e quest'altra è del signor del mondo,
1.650che vanno al bel Giustin: piglia partito
1.651d'ire in Italia, e darle in propria mano;
1.652poi torna seco, s'ei ritorna in dietro.
1.653Udito questo, subito partissi
1.654Ocipo, e ratto se ne venne al porto,
1.655e montò sopra un bregantin leggiero:
1.656e navigò con favorevol vento
1.657tanto che fu a Brandizio in quella notte;
1.658poi ricercò fra l'onorate navi
1.659e ritrovò Giustin ch'era nel letto,
1.660e fecelo svegliare, e appresentolli
1.661le care lettre de i signor del mondo.
1.662Come Giustin le lesse, al cuor gli nacque
1.663subitamente una letizia immensa:
1.664onde levossi prestamente in piedi,
1.665ed or faceva un passo, or si sedeva,
1.666ora le rileggeva, non sapendo
1.667per soverchio piacer quel che facesse.
1.668Poi disse al buon Ocipo: Anch'io mi voglio
1.669questa notte tornar verso Durazzo.
1.670D'indi vestissi, e poi chiamò il nocchiero
1.671e disse a lui queste parole tali:
1.672Slega la nave prestamente, e ponti
1.673ne l'alto mar, ch'io vuo' tornarmi in dietro
1.674al sommo imperador, che mi dimanda.
1.675Rispose il buon nocchier: Signor mio caro,
1.676non vi partite in questa oscura notte,
1.677che senza dubbio fia molta fortuna:
1.678il mar s'ingrossa, e fa qualche rimbombo;
1.679poi vidi ier sera uscir de l'onde i merghi
1.680e gir cridando a i liti, e vidi ancora
1.681le foleghe scherzare in su l'arena;
1.682ed era il sol rubecchio al tramontarsi,
1.683e tinto in parte di cerulee macchie.
1.684Né la sorella, dopo lui rimasa,
1.685avea men fiamma a le novelle corna:
1.686che tutti segni son d'aspra tempesta.
1.687Disse Giustino: Io vuo' partirmi al tutto;
1.688e la fortuna mia che verrà teco
1.689vincerà questa tua che ti spaventa.
1.690Sorrise il buon nocchiero, e poi rispose:
1.691Vincer mai non si può col mar turbato,
1.692né si truova difesa in mezzo a l'onde.
1.693Signor, crediate a me, che sono esperto
1.694di questo mar, che già trent'anni il solco:
1.695non vi partite, ch'io so dirvi chiaro
1.696che ci menate a manifesta morte.
1.697Sdegnossi il bel Giustino, e riguardollo
1.698con occhio torto, e poi così gli disse:
1.699Anima vile a i miei piaceri adversa,
1.700poi che tu temi di morir ne l'acque
1.701morrai di ferro, e poi darotti a i pesci.
1.702E così detto, trasse fuor la spada:
1.703onde 'l nocchier piangendo ingenocchiossi
1.704'nanzi i suoi piedi, e chieseli perdono;
1.705dapoi si dipartì contra sua voglia,
1.706pensando gire a più tardetta morte.
1.707E quindi navigando, se n'andaro
1.708travagliati da Argeste e da Vulturno
1.709tutta quanta la notte infino a l'alba;
1.710e fatto avean tre quarti del camino
1.711quando eccoti venir con gran furore
1.712Ponente insieme con Garbino ed Ostro
1.713e l'umido Sirocco, e contro a questi
1.714soffiar Maestro e Tramontana e Greco
1.715con quel che spira onde apparisce Apollo;
1.716l'aria poscia di nuvoli coperta
1.717tollendo il giorno ed oscurando il sole
1.718empìa ciascun d'altissima paura.
1.719Allor s'incominciaro udire i cridi
1.720de gli uomini e 'l stridor de le ritorte
1.721misto con quel de i troni e de i baleni;
1.722onde se indeboliro al bel Giustino
1.723le genocchia e la mente, e risguardando
1.724il ciel, piangendo e sospirando disse:
1.725Oh come ha detto il ver questo nocchiero
1.726che tosto in mar sarebbe aspra tempesta:
1.727eccola giunta; e mena tal furore
1.728ch'io non vedo con gli occhi altro che morte.
1.729O felici color che pongon freno
1.730a i lor disiri; o fortunati quelli
1.731che saran morti da le man de' Gotti
1.732nel por la bella Ausonia in libertade!
1.733Questi aran gloria eterna, e fian sepolti
1.734da le pietose man de i loro amici;
1.735ed io rimarrò morto in mezzo a l'onde
1.736senza sepulcro aver se non da i pesci,
1.737e morrò ne la mia fiorita etade
1.738quando teneva in man tutta la speme
1.739de i maggior ben ch'io disïasse al mondo.
1.740Ma tu, bella Sofia, poi ch'io veniva
1.741più per le nozze tue che per l'impero,
1.742deh manda un tuo sospiro a la mia morte.
1.743Mentre che ciò dicea, si mosse un'onda
1.744dal procelloso Greco in alto spinta
1.745che percosse la nave, e ruppe e sparse
1.746arbore e vela, e 'l misero nocchiero
1.747fece co 'l capo inanzi andar ne l'acque.
1.748Il legno poi correa senza governo
1.749per l'onde, che talora eran tant'alte
1.750che toccavano il cielo, ed or sì basse
1.751che 'l mar diviso dimostrava il fondo;
1.752piangeano, i marinari, e facean voti;
1.753piangea Giustino, e riprendeassi indarno.
1.754Al fin venne una furia per traverso
1.755d'Ostro e Garbino, impetüosi venti,
1.756che vinser gli altri e riversor la nave:
1.757e 'l misero Giustin se n'andò sotto;
1.758ma non molto dipoi rivenne sopra,
1.759e s'apprese ad un legno che natava,
1.760ch'era parte de l'arbore divulso;
1.761e poi sovr'esso timido salio
1.762sgorgando per la bocca onda marina.
1.763L'angel Nettunio ebbe di lui pietate,
1.764e in forma d'una folega gli apparve
1.765e disse a lui parlando in tal maniera:
1.766Non ti perder, Giustin, benché sia grave
1.767l'acerbo caso tuo; va pur natando,
1.768che non sei lunge al lito di Durazzo:
1.769ove passegia la tua bella sposa
1.770e per te priega il Re de l'universo
1.771che ti conduca salvo entr'al gran porto.
1.772Lascia poi questo legno, il quale intrica
1.773il tuo camino, e mettite ne l'onde;
1.774ché tosto aggiungerai natando a terra.
1.775Come ebbe detto questo, dipartissi,
1.776ponendo in quel bel corpo ardire e lena;
1.777e racchettando i venti, il sol ridusse.
1.778L'affannato Giustin prese conforto
1.779dal ragionar di quel celeste messo;
1.780pur non ardiva abandonare il legno,
1.781né lasciato l'aria, se non che un'onda
1.782venne feroce, e sottosopra il volse:
1.783tal che a forza convenne indi lasciarsi
1.784e gir sott'acqua, e quando venne sopra
1.785vide il legno da sé molto lontano;
1.786onde a natar si pose in vèr levante,
1.787e gustava il meschin natando spesso
1.788contra la voglia sua quell'onda amara:
1.789ma tanto a poco a poco inanzi il trasse
1.790il flusso, ed il valor de le sue braccia,
1.791che si potean veder le torri e i muri
1.792del gran Durazzo, ed ei non le conobbe;
1.793perché si ritrovava esser sì rotto
1.794dal faticoso mar, che appena appena
1.795movea le braccia e potea trare il fiato.
1.796Pur la fortuna sua tant'oltra il pinse
1.797che 'l pose come morto in su l'arena
1.798del palazzo regal vicino al porto.
1.799Quivi era la bellissima Sofia,
1.800che stava ad aspettar qualche novella
1.801del suo diletto ed onorato amante,
1.802perciò che Asteria già le avea narrato
1.803come deveva per marito averlo,
1.804e che l'imperador gli aveva scritto,
1.805e la regina, ch'ei tornasse in dietro:
1.806onde stava pensosa ad aspettarlo,
1.807e passeggiava sopra quell'arena
1.808maledicendo il mar ch'era turbato,
1.809e ritardava troppo il suo disio.
1.810Ma che s'asconde a gli occhi de gli amanti?
1.811Com'ella il vide, subito il conobbe,
1.812e poco vi mancò che non morisse.
1.813Poi come stupefatta da saetta
1.814scesa dal cielo, tacita n'andava
1.815intorno intorno a quel bel corpo estinto;
1.816e quivi non sapendo altro che farsi,
1.817chinossi, e gli basciò l'umida vesta:
1.818d'indi si dibatteo palma con palma
1.819e mandò fuori un smisurato crido;
1.820tal che la gente corse a quella voce
1.821fuor del palazzo, e giunta in su la riva
1.822videro il bel Giustin giacersi in terra:
1.823ma come fu riconosciuto, allora
1.824incominciossi un doloroso pianto.
1.825Quindi poi fu levato, e fu portato
1.826piangendo in una camera terrena,
1.827e sopra un ricco letto fu disteso.
1.828La misera Sofia se n'andò poi
1.829di sopra, e vista per ventura aperta
1.830la camera di Fusca sua donzella,
1.831e che non v'era dentro, ivi si chiuse;
1.832da poi piangendo e sospirando forte
1.833disse fra se medesma este parole:
1.834Pensa, pensa, Sofia, dove t'ha posto
1.835l'ingorda voglia e 'l smisurato amore:
1.836il tuo caro Giustino a morte è giunto
1.837per venirti a trovare, e tu pur vivi?
1.838Tu pur ardisci di guardare il sole,
1.839sendo stata cagion del suo morire?
1.840Lassa, non fia mai ver ch'io resti viva
1.841senza 'l diletto mio caro consorte.
1.842E detto questo, poi volea gettarsi
1.843da una fenestra, e terminar la vita,
1.844ma per tema d'infamia si ritenne;
1.845e pur disposta di morire al tutto
1.846in qualche modo, volse gli occhi e vide
1.847acqua con sullimato in un fiaschetto,
1.848che la donzella sua, per esser bruna,
1.849l'adoperava a far la faccia bianca.
1.850Questa, perché sapeva esser veneno,
1.851tutta quanta beveo senza paura,
1.852sperando andar subitamente a morte;
1.853e fatto questo, con sicura fronte
1.854ne l'usata sua stanza si ritrasse,
1.855quivi aspettando l'ultimo suspiro.
1.856La savia Asteria, come intese il caso
1.857del misero Giustin summerso in mare,
1.858venne con gran prestezza a ritrovarlo:
1.859ed avea seco un onorato vecchio
1.860nominato Filebo, uom di gran senno,
1.861che avea del mondo esperïenza molta;
1.862costui già s'allevò col buon Silvano
1.863padre d'Asteria, il qual venendo a morte
1.864lo lasciò per compagno a sue figliuole.
1.865Questi come qui giunse, riguardando
1.866il bel Giustino, e lui toccando, disse:
1.867Certo questo signor non è ancor morto.
1.868Onde lo pose con li piedi in alto
1.869e con la bocca in giù, perché gli uscisse
1.870l'acqua del petto, e risvegliasse i spirti.
1.871L'accortissima donna, quando vide
1.872che il giovine Giustino era ancor vivo,
1.873mandò a chiamare il buon Elpidio, ch'era
1.874medico eletto, e d'eccellenzia tale
1.875che darìa vita agli uomini defonti;
1.876questi subitamente a lei ne venne,
1.877ma ne la giunta sua trovò che l'acqua
1.878era uscita di corpo al giovinetto,
1.879e 'l spirito e la voce eran tornati:
1.880onde con vini eletti e sughi d'erbe
1.881rese le forze a le affannate membra.
1.882Come fu ristorato il bel Giustino,
1.883la buona Asteria se n'andò di sopra
1.884per narrare a Sofia questa novella;
1.885e quivi giunta allegramente disse:
1.886Diletta mia sorella, or ti rallegra,
1.887che 'l tuo caro Giustino è vivo e sano,
1.888e l'acqua, che 'l facea parere estinto,
1.889uscita è fuori, e son tornati i spirti:
1.890sì che tosto l'arai per tuo marito.
1.891Per marito non già, ch'io sarò morta,
1.892rispose la bellissima Sofia,
1.893e pose il capo suspirando in grembo.
1.894Il che vedendo Asteria, si confuse
1.895dentr'a la mente, e non potea pensarsi
1.896qual fosse la cagion del suo dolore,
1.897e perché di Giustin non s'allegrasse;
1.898però la prese per la mano, e disse:
1.899Se tu non credi, cara mia sorella,
1.900quel ch'io t'annunzio, tu potrai vederlo;
1.901ma s'altro male ancor t'offende o preme,
1.902non me 'l voler celar, ch'io te ne priego
1.903per quel perfetto amor che tu mi porti.
1.904Rispose allor Sofia: Non vuo' celarti
1.905cosa che si rinchiuda entr'al mio petto.
1.906Quando m'apparve morto in su l'arena
1.907l'infelice Giustin, tanto mi dolve
1.908che mi disposi anch'io voler morire;
1.909e giunta ne la camera di Fusca,
1.910volgendo gli occhi, vidi in un fiaschetto
1.911acqua con sullimato ch'ella usava
1.912perch'era bruna a far la faccia bianca:
1.913questa, perch'io sapeva esser veneno.
1.914tutta quanta bibb'io, per ire a morte.
1.915Or egli è vivo, ed io lasciar convengo
1.916lui che tant'amo e la mia vita insieme,
1.917ingannata da l'onde e da i martiri;
1.918né tanto duolmi ne i miei floridi anni
1.919morir, quanto mi duol di quella noia
1.920grave che arà Giustin de la mia morte.
1.921Così diss'ella, e lagrimando tacque.
1.922Come ebbe inteso Asteria il caso amaro
1.923de la sorella sua, che amava tanto,
1.924non stette a lacrimar né a far lamenti,
1.925come fanno le donne alcuna volta;
1.926ma se n'andò con fretta a ritrovare
1.927il buon Elpidio, e poi narrolli il bere
1.928di quel venen, ma la cagion si tacque,
1.929fingendo che l'avea bevuto in fallo.
1.930Il medico gentil vi venne, e tolse
1.931olio con acqua tiepida, e gli el porse:
1.932ed ella il bebbe, e vomitò il veneno.
1.933Poscia un perfetto antidoto le diede
1.934che ogni maligna qualità rimosse,
1.935e nel suo primo stato la ripose.
1.936Mentre che si facean questi rimedi,
1.937fu narrato a Giustin da una donzella
1.938che la sua donna avea preso il veneno;
1.939ond'ei si dolse amaramente e pianse,
1.940e seco stesso sospirando disse:
1.941Non credo mai che più infelice amante
1.942si trovasse di me sotto la luna.
1.943Arsi gran tempo di sì bella fiamma
1.944quant'alcun'altra mai che 'l mondo avesse;
1.945ma troppo era crudele, e troppo altera.
1.946Dapoi la fece amor tanto pietosa,
1.947che credendomi morto a lato al mare
1.948per soverchio dolor se stessa uccise;
1.949ed io dolente son tornato in vita,
1.950per provar doglia poi peggior che morte.
1.951Non starò vivo no, non starò vivo:
1.952anciderommi con le proprie mani.
1.953E poi che 'l ciel mi niega il mio bel sole
1.954in questa luce debile e terrena,
1.955forse morendo il vederò ne l'altra
1.956vita, vestito di bellezza eterna.
1.957E così detto furibondo uscìo
1.958de la camera sua piangendo forte,
1.959e venne per veder la donna estinta
1.960e quivi appresso lei finir la vita.
1.961Ma giunto in quella stanza, ritrovolla
1.962già liberata, e fuor d'ogni periglio:
1.963onde gli nacque al cuor tanta dolcezza
1.964che quasi non sapea dove si fosse.
1.965E come il mercatante, il quale ha nuova
1.966che 'l ricco suo naviglio è in mar sommerso
1.967ove ha il figliuolo ed ogni sua sustanza,
1.968corre sul lito, e si lamenta e plora;
1.969ma quivi poi lo vede entrar nel porto
1.970con le persone e con la robba salva,
1.971onde s'admira; e dentr'al cuor si sente
1.972diletto e gioia fuor d'ogni misura;
1.973così facea quel giovinetto amante,
1.974vedendo viva e fuor d'ogni periglio
1.975la donna sua che già tenea per morta.
1.976Quando Sofia volgendo intorno gli occhi
1.977vide Giustino, il pallido colore
1.978che paura di morte avea dipinto
1.979nel suo bel volto, in fiamma si converse;
1.980e parimente anch'ei divenne ardente:
1.981né mai però fu detta una parola
1.982da alcun di loro, anzi si stavan cheti,
1.983cibando gli occhi de le lor figure;
1.984né sarian mossi ancor, ma venne un messo,
1.985il qual mandolli il correttor del mondo
1.986come ebbe inteso quello orribil caso,
1.987che disse al bel Giustin queste parole:
1.988Signore, in cui riposa la speranza
1.989del nostro invitto e glorïoso impero,
1.990l'ordinator de le romane leggi
1.991vi fa saper che se voi state in modo
1.992che gir possiate agevolmente a corte
1.993sopra la mula over ne la lettica,
1.994che senza alcuno indugio a lui vegniate:
1.995perché ha gran desiderio di vedervi
1.996dopo 'l vostro acerbissimo periglio.
1.997Come Giustino udì quella ambasciata,
1.998dolente si partì da la sua donna;
1.999e montò poi sopra un gentil corsiero,
1.1000e se n'andò söavemente a corte.
1.1001Asteria poi mandò per la carretta
1.1002de la regina, che volea con essa
1.1003condur la nuova sposa entr'al palazzo,
1.1004e prestamente il carrattier menolla;
1.1005questa avea d'oro la coperta, ed era
1.1006il mattarasso tutto quanto d'oro,
1.1007d'oro i guanciali, e d'oro i fornimenti
1.1008de i gran corsieri, i quali erano quattro,
1.1009arditi e forti e come neve bianchi:
1.1010il primo a man sinistra avea la sella
1.1011coperta d'oro, e 'l carrattier sovr'essa,
1.1012che ne la destra mano avea la sferza
1.1013e le rétine d'oro avea ne l'altra;
1.1014né molto dimorò nel gran cortile
1.1015che venne la bellissima Sofia,
1.1016di panni eletti e di costumi adorna:
1.1017che parea proprio il sol ch'ascenda in cielo.
1.1018Poi con Asteria sopra la carretta
1.1019salì contenta e vergognosa in vista;
1.1020e da molti baroni acompagnate
1.1021adagio se n'andor verso 'l palazzo
1.1022per dar principio a l'onorate nozze,
1.1023ch'ebber poi lieto e glorïoso fine.
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