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1.1O glorïoso e trionfante Amore,
1.2che ciò che non si può o può comprendere
1.3governi e volgi col tuo gran valore,
2.1non si posson gli dei da te difendere,
2.2quando Cupido il suo arco diserra,
2.3che già gli fé di cielo in terra iscendere;
3.1né non fu mai veruno in cielo e 'n terra
3.2in alto grado o in infimo di rota,
3.3che non provasse da te pace o guerra.
4.1I' son fanciulla a te, Vener, divota,
4.2innamorata del gentil signore
4.3ch'ebbe da te la disïata dota:
5.1ond'io ricorro a te, sagrato Amore,
5.2che da me levi l'ignorante velo,
5.3empiendomi di grazia e virtù 'l core.
6.1Amor, concedi a me con pronto zelo
6.2ch'i' possa colla mia debil memoria
6.3ridire in terra ciò ch'io vidi in cielo;
7.1non perch'io creda che tu cerchi boria,
7.2ma seguiratti di quest'opra degna
7.3onor, trïonfo, fama, galdio e gloria:
8.1e 'l mio debole stil pronto s'ingegna
8.2di dar prencipio a quest'opera bella
8.3sotto la guida di tua chiara insegna.
9.1I' son di teneri anni ancor pulzella,
9.2onesta, vaga, adorna e costumata,
9.3suggetta e serva della terza istella:
10.1a voi ch'avete l'anima ' Amor data
10.2chiarir vi vo', perché di voi mi fido,
10.3di chi e come i' sono innamorata;
11.1a voi che siete suggette a Cupido,
11.2donne, donzelle, giovani e garzoni,
11.3grazioso parlo e tutti gli altri sgrido;
12.1a voi racconterò con be' sermoni,
12.2acciò che etterno il tegnate a memoria,
12.3ciò ch'io vidi e udi' ne' sacri troni.
13.1E certi vi farò della gran gloria
13.2del terzo cielo e 'l trïonfar d'Amore,
13.3e chi ne recò in terra la vittoria,
14.1acciò che far voi gli possiate onore,
14.2sì come merta sua gentil persona,
14.3com'io che dato gli ho li spirto e 'l core:
15.1del terzo cielo e' porta la corona,
15.2com'è suto in piacer di Vener bella,
15.3la quale a molti toglie e a molti dona.
16.1A voi la pulcra lingua mia favella,
16.2intendo di chiarirvi con efetto
16.3la gloria c'ha nel ciel la terza stella.
17.1I' mi coricai sola intro 'l mio letto,
17.2e dal sonno costretta a dormir forte,
17.3come s'i' fussi fuor d'ogni sospetto,
18.1quando due belle mani a me fùr porte:
18.2e presonmi le mie e sì menommi
18.3là 've d'Amor trïonfa la sua corte,
19.1e proprio a mezzo el terzo ciel lasciommi,
19.2là ove io vidi un razzante isprendori,
19.3che 'ntorno tutto quanto circulommi.
20.1Quivi er' un prato d'erbette e di fiori,
20.2e mammole vivuole eron con essi,
20.3con sermollin di centomila odori;
21.1e 'ntorno abeti, pini e arcipressi,
21.2mortine, ramerin, persa e fiorranci,
21.3vivuole e gigli, e ginepri fra essi.
22.1Eranvi milïon, cederni e aranci,
22.2ch'avieno e fiori e' frutti nuovi e vecchi,
22.3lauri verdi e ritti come lanci;
23.1ed eranvi, lucenti più che specchi,
23.2rosai e gensomini e melagrani,
23.3sopra de' qual non ha bronchi né stecchi.
24.1Fra le lor piante eran covili e tani
24.2di vai, d'ermellini e di lattizi,
24.3continovo iscorrendo e verdi piani,
25.1benigni tutti quanti e sanza vizi,
25.2lepri, conigli, cervi e cavriuoli,
25.3che di piacer mi davon molti indizi.
26.1Eravi gran quantità d'usignuoli,
26.2ch'a gara canton colle rondinelle,
26.3calderugi, fringuelli e calenzuoli,
27.1faccendo versi con lor lingue belle,
27.2soavi sì ch'Orfeo e Anfïone
27.3le cetre lor sarien vinte da quelle.
28.1Questi augelletti, come vuol ragione,
28.2l'un dietro all'altro colle voglie pronte
28.3givon come concede la stagione.
29.1Poi, volteggiando attorno la mia fronte,
29.2sì vidi presso a me in sulla man ritta
29.3tutta d'argento una leggiadra fonte,
30.1ch'avea nel mezzo una colonna fitta
30.2d'un chiar cristallo rilucente e snello,
30.3che 'n sulla sommità molt'acqua gitta
31.1e che in giù ricadea con un suon bello,
31.2con una mellodia che dell'acqua esce,
31.3che faceva il tinore a ogni uccello.
32.1Questa fonte era pien d'un vario pesce,
32.2che va di qua di là notando a gara,
32.3e mai di quella fuori alcun non esce;
33.1ed è quest'acqua tanto pulcra e chiara
33.2che pare argento vivo tremolante,
33.3e dolce sì ch'ogni altra pare amara.
34.1Io rimiravo queste cose sante
34.2coll'animo pensoso e spaventato,
34.3tanta dolcezza mi vedea davante;
35.1poi mi rivolsi al dirimpetto lato
35.2e vidi un carro pien di fuoco ardente,
35.3che terribili fiamme ha fuor gittato.
36.1Vedesigli davanti a chi pon mente
36.2quattro bianchi destrier tutti isfrenati,
36.3che parieno ermellin veracemente.
37.1A quattro ruote d'or sono attaccati,
37.2in sulle quali el carro s'ha a posare,
37.3pien di figure e 'ntagli molti ornati.
38.1Po' vidi ritto in sulle fiamme istare
38.2un corpo giovinil, pulito e ignudo,
38.3con alie che di mille color pare,
39.1e nello aspetto suo acerbo e crudo,
39.2però che in mano ha l'arco e la saetta,
39.3la qual non può parare arme né scudo.
40.1E 'nnanzi alla suo vista benedetta
40.2di pannilin sottili e naturali
40.3porta una benda ben legata e stretta;
41.1un turcasso ha pien di pungenti strali
41.2e impennati ben di piombo e d'oro,
41.3co' quali ha fatti mille beni e mali.
42.1É circulato d'un celeste coro
42.2d'angioletti puliti; e ciascun dire
42.3divotamente «Te, Cupido, adoro»
43.1sentiesi e un canto di lor voci uscire
43.2di tal dolcezza ch'io restai conquiso
43.3e non sapea né che far né che dire.
44.1Poi mi rivolsi, e rimiravo fiso
44.2nel mezzo di quel prato adorno e bello,
44.3e vidi un trïonfabil paradiso.
45.1Quivi era un letto a sesta col pennello,
45.2tanto maraviglioso e tanto ornato
45.3che unqua non si vide un pari a quello;
46.1e coperto è d'un chermisi broccato,
46.2con perle grosse e chiare e be' gioielli
46.3intorno tutto quanto ricamato,
47.1e circundato da mille angiolelli
47.2ignudi tutti, e sopra gli omer ale
47.3di color varî rilucenti e belli.
48.1Era 'n sul letto un magno capezzale,
48.2il quale ha sopra sé da ogni parte
48.3un rilucente, ricco e bel guanciale.
49.1E tanto bene ogni cosa comparte
49.2ch'i' tengo certo che l'ottava ispera
49.3di simigliarlo non arebbe l'arte.
50.1Su' quatro canti quatro carbonchi era,
50.2e quai porgevan sì grande sprendore
50.3che 'l sol parebbe al vespro in sulla sera;
51.1or questo è 'l letto ove si posa Amore.
51.2Innamorati mia, con gran piacere
51.3tenete atento ben lo spirto e 'l core.
52.1Venere bella si vedea giacere
52.2ignuda a mezzo el letto con gran zelo,
52.3che ben potea chi la volea vedere,
53.1bench'ella avessi in sulle carni un velo
53.2sottile e bianco, che meno occupava
53.3el corpo suo che non fa l'aria el cielo.
54.1In questa bella immagin rimirava
54.2e 'nfra me non potevo esaminare
54.3se altri che se stessa somigliava.
55.1Ma quel che mi fa più maravigliare,
55.2ch'io vidi sopra la sua testa ornata
55.3una brocchetta molto singulare.
56.1Di pietre prezïose era ismaltata,
56.2d'oro, di perle e un diamante in mezzo,
56.3ch'una figura viva v'è intagliata.
57.1Non fùr sì scure mai tenebre e rezzo
57.2che questa chiara pietra luminante
57.3non facesse di lume un tal riprezzo.
58.1Allor mi feci un poco più avante,
58.2e rimiravo la sprendida dama,
58.3ch'era dal capo al piè tutta diamante.
59.1Subitamente Venere mi chiama;
59.2disse: «Che guardi?» Ed io risposi scorto:
59.3«I' guardo quel che molti al mondo brama,
60.1i' guardo il più bel fior che sia 'n tu' orto;
60.2beato a chi tal don concederai,
60.3che faria sucitare un corpo morto!»
61.1Rispuose: «Egli è venuto el tempo omai
61.2ch'i' vo' questo diamante bel donare
61.3a uno, il qual testé venir vedrai.
62.1Quasi finito fu 'l suo ragionare,
62.2ch'i' vidi un giovanetto pellegrino,
62.3che 'l sole, a petto a lui, tenebre pare.
63.1E' fé innanzi a Cupido un bello 'nchino,
63.2pien di costumi, grazïoso e biondo,
63.3che par celeste spirito divino.
64.1E fessi innanzi pel bel prato tondo,
64.2e tutti gli animali e gli uselletti
64.3miravon fiso quel volto giocondo.
65.1Poi vidi tutti quanti gli angioletti
65.2fare a questo garzone un bel saluto,
65.3tutti dicendo: «O Lorenzo Manetti,
66.1tu sia sopra degli altri el ben venuto
66.2e arai del trïonfo el grand'onore,
66.3ché 'l cielo e chi più può l'ha conceduto!
67.1Ciascun di noi t'è fedel servidore
67.2e sì t'ubbidireno in ogni parte,
67.3sì come naturale e gran signore.
68.1Il giovinetto, c'ha lo 'ngegno e l'arte
68.2dotato da natura e da virtute,
68.3da Giove, da Minerva, Apollo e Marte,
69.1grazie rendeva debite e dovute
69.2con leggiadro parlare e bello aspetto,
69.3perché tutte le cose ha conosciute.
70.1Poi vidi questo gentil giovinetto
70.2avanti farsi tanto ch'acostossi
70.3al trïonfante ricco e magno letto.
71.1E come appiè del letto ritrovossi,
71.2con quant'ordin gentil far si potea,
71.3in sulla piana terra inginocchiossi.
72.1Questo veggendo, la suplema iddea
72.2subitamente per nome chiamollo,
72.3fello rizzare, e per man lo prendea;
73.1e sopra 'l letto suo questa posollo,
73.2tenendol bene stretto tra le braccia,
73.3e mille volte o più in fronte baciollo.
74.1Po' disse: «A questa tua lucente faccia,
74.2onesta, vaga, bella, adorna e pia,
74.3convien ch'un trïonfabil dono i' faccia».
75.1E con suo man la brocchetta prendia
75.2e sì gli disse: «O giovinetto onesto,
75.3questo vivo diamante vo' che sia
76.1di tua persona, e vo' che sappi questo,
76.2che molti giovinetti, ognuno ornato,
76.3con molta divozion me l'hanno chiesto;
77.1ma io, ch'avevo in me diliberato
77.2donarlo alla più bella crïatura
77.3sì l'ebbi a ciaschedun sempre negato.
78.1Ma, quando guardo tua gentil figura,
78.2veggotel meritar, però tel dono,
78.3tanto dotato se' ben da natura.
79.1Ma vo' da te, gentil garzone, un dono,
79.2una grazia spezial vo' che mi faccia;
79.3or fa' che 'ntenda ben quel ch'io ragiono.
80.1Fa' ch'abbi sempre graziosa la faccia
80.2inverso quel che di buon cor t'amassi,
80.3e a chi ti compiace e tu compiaccia».
81.1E, detto questo, par Vener restassi
81.2le sue celeste e divine parole
81.3e subito a parlare incominciassi
82.1questo garzon assai più bel che 'l sole.
82.2Con atto umano e grazioso dicea,
82.3non altrimenti che la ragion vuole:
83.1«O sacra, santa, degna e giusta iddea,
83.2che 'l cielo e terra e aria e fuoco e mare
83.3guidi e conduci e schifi ogni alma rea,
84.1io non son degno innanzi a te di stare,
84.2né d'apressarmi al tuo sagrato letto,
84.3ma 'l costume gentil vo' seguitare;
85.1però graziosamente il dono accetto,
85.2che tu m'hai fatto, del vivo diamante,
85.3al qual volonteroso sto suggetto».
86.1E poi baciava quelle luci sante,
86.2che più risprendon che non fa el cristallo
86.3ch'alla bella Medusa era davante.
87.1E poi diceva: «O Vener, sanza fallo,
87.2qual grolioso fu o fia nel mondo
87.3che a me si potessi simigliallo?
88.1Nïun si trovò mai tanto giocondo
88.2quanto son io, cercando in cielo e 'n terra,
88.3all'alto, al basso e al traverso e 'l tondo,
89.1po' che 'l diamante bel, che 'l cor m'afferra,
89.2m'è stato da tue sante man concesso,
89.3che m'è cagion di non sentir ma' guerra;
90.1né fu, né fia a ciascun giammai promesso
90.2el disïato fin della tua bocca
90.3se non a uno al mondo, ed io son desso».
91.1Allor Venere bella il bacia e tocca,
91.2e disse: «O figliuol mio, gentil Laurenzio,
91.3tutta la grazia mia sopra te fiocca!»
92.1Ed egli a questo dir non fé silenzio,
92.2ma disse: «Ho compassione a chi nel fine
92.3il mèl diventa amaro più che assenzio.
93.1Recomi a mente le voci tapine
93.2di Pirramo, di Tisbe e di Medea
93.3e di Iansonne lor mortal rovine,
94.1e quanto la fortuna si mettea
94.2a Troiolo e a Paris per traverso
94.3con l'armi che 'l tuo figlio concedea.
95.1Oh, quanti innamorati ognuno isperso,
95.2famoso, furibondo, o greco Achille,
95.3che già facesti tremar l'universo!
96.1Potrêne contar mille e mille e mille,
96.2ch'ebbon del loro amor piacere assai,
96.3ch'alfin gl'inceson le mortal faville
97.1con pene, doglie, istrazi, angosce e guai,
97.2che mi spaventan più quanto più penso.
97.3Ma 'ntervenire a me non può giammai,
98.1perch'all'animo mio lo spirto e 'l senso
98.2e 'l fine trïonfabile e grazioso
98.3sì gli concede il tuo valore imenso.
99.1Nïun quant'io fu mai sì glorïoso,
99.2perché promesso m'ha tua santa voce
99.3principio e mezzo e fin vittorïoso.
100.1Adunque, ciò ch'io fo mi strugge e cuoce,
100.2ché sol ho adorar te, o sacra iddea,
100.3in ginocchione e colle braccia in croce».
101.1Allor Venere bella rispondea
101.2con leggiadro parlare e grande aldazia
101.3e proprio in questa forma gli dicea:
102.1«Tu hai trovato in me sì ampia grazia
102.2per la biltà che nel tuo corpo regna,
102.3che di mirarti i' non mi veggio sazia.
103.1Veggio la tua persona esser ben degna
103.2d'esser filice e sopra gli altri altero,
103.3e di portar vittorïosa insegna.
104.1E sappi certo che tu parli il vero,
104.2ch'a' colpi del mio figlio ognun conquiso
104.3è stato, e solo a te riman lo 'mpero».
105.1Allor questo garzone inchinò il viso,
105.2qual natura compose di cristallo
105.3e latte e sangue e oro e perle intriso,
106.1e disse: «I' ti ringrazio e sanza fallo,
106.2se almo alcuno arà di me mai voglia,
106.3i' son disposto a voler contentallo.
107.1Dunque, beata iddea, non ti dar doglia,
107.2ched io ti servirò coll'almo puro,
107.3se morte della vita non mi spoglia».
108.1E quando ta' parole udite fùro,
108.2udi' degli angioletti un canto in rima,
108.3che disson: «Gloria e galdio abbiàn sicuro».
109.1Allor vidi un trïonfo d'alta istima,
109.2massiccio, d'oro fin, tutto intagliato,
109.3e por questo garzon sopra la cima
110.1in una nugoletta, circundato
110.2da sette virtüose damigelle:
110.3ciascuna del suo senno l'ha dotato,
111.1le quali eran lucenti più che stelle;
111.2ond'io mi volsi al trïonfal signore
111.3e rimiravo le sue membra belle,
112.1nelle quali era sì grande sprendore
112.2ch'io giudicai di certo esser beato
112.3a chi costui vuol bene o porta amore.
113.1Miravo el suo crin biondo e pettinato,
113.2lucente molto più che razzi d'oro,
113.3che arebbero Dïana innamorato;
114.1miravo el fronte suo tanto decoro,
114.2con quella testa lucida e spaziosa,
114.3che or sopra la terra e 'l cielo adoro,
115.1in ogni guancia una 'ncarnata rosa,
115.2come pronta ragione ha terminato.
115.3E so che tu m'intendi sanza chiosa.
116.1Piccioli orecchi e bel naso affilato,
116.2la bella bocca dentro pien di perle
116.3collo sprendido mento trasforato.
117.1Chi potrà queste membra in terra avelle
117.2sì sarà glorïoso e benedetto,
117.3e 'n ciel beato chi potrà vedelle
118.1la gola e 'l collo adorno e ampio el petto
118.2e tutte l'altre membra a tal misura
118.3di questo rilucente giovinetto.
119.1Ma quella parte ov'io ponea più cura
119.2erano e razzi de' begli occhi sua,
119.3che di Febo farien la vista oscura.
120.1Pian disse Amor: «Quiv'è la grolia tua,
120.2però che son lucenti più che stelle,
120.3e, dove 'l sole è un, questi son dua ù.
121.1Mentre i' miravo queste membra belle,
121.2non dubitando del futuro male,
121.3mi senti' sopra 'l cor mille fiammelle,
122.1e intro 'l petto darmi d'uno istrale
122.2e quel passarmi per mezzo del core,
122.3ch'a' colpi di Cupido arme non vale.
123.1Allor del petto mio usciva fore
123.2un sospir che dicea: «Misericordia
123.3a te novello e trïonfal signore!
124.1Tu hai trovato in Vener gran concordia
124.2e hatti sì leggiadro dono offerto
124.3che tu debbi fuggire ogni discordia.
125.1Adunque tieni, o signor mio, per certo
125.2che, se il simigliante a me farai,
125.3arò gloria maggior più ch'io non merto.
126.1M'a Vener bella, a cui tu promesso hai
126.2di far graziosa la tua nobiltate,
126.3fa' che la fede tua non manchi mai.
127.1Deh, Laürenzo mio, abbi pietate
127.2di me, che mi consumo e struggo e moro
127.3per la biltà delle tue membra ornate!
128.1I' sento sopra 'l cor tanto martoro
128.2ch'i' giudico di tempo un poco ispazio
128.3ch'i' troverrò del monimento il foro.
129.1Se non m'aiuti, vedrai tanto strazio
129.2far di mie carni e dipoi Antroposso
129.3sopra me star vittorïoso e sazio.
130.1Questa pena crudel portar non posso
130.2per la tempesta orribile e feroce,
130.3la qual mi veggo rovinare adosso.
131.1Quando fia 'l giorno che la santa voce
131.2oda di te, Signor, siccom'io bramo,
131.3che spenga il crudel foco che mi cuoce?
132.1La notte e 'l giorno el tuo bel nome chiamo,
132.2e sanza quel non viverei nel mondo,
132.3però ch'egli è quel cibo ch'i' tanto amo.
133.1Adunque, sie magnanimo e giocondo:
133.2prima che 'l corpo mio rimanga isperso
133.3aiutami, ché corro e vonne in fondo!
134.1Tapina a me! Le lagrime ch'i' verso
134.2son tante che farien correre un fiume,
134.3che cerchierebbe tutto l'universo.
135.1Degli animi gentili è per costume
135.2aver piatà de' tribolati spirti,
135.3a' miseri dar parte, agli orbi el lume.
136.1O caro signor mio, i' vo' chiarirti
136.2ch'i' non mi partirò di questo loco
136.3infin che grazia farmi i' senta dirti,
137.1se star dovessi sempre mai nel foco
137.2o nella neve ben ghiacciata e fresca,
137.3mentre ch'i' vivo al mondo assai o poco,
138.1però che preso m'hai con sì dolce esca,
138.2ch'uscì degli occhi tuoi tanto lucenti,
138.3ch'è giusta cosa che di me t'incresca!
139.1Muova la luna, el sol, le stelle, e venti,
139.2e selve e boschi e mar e fiumi e fonti
139.3e tutti gli animal che son viventi,
140.1muovan le piagge, le pianure e' monti
140.2e l'acqua colla terra, l'aria e 'l foco
140.3e cittadi e castella e ville e ponti,
141.1e muovasi ogni festa e ogni giuoco,
141.2e chi ha vòlti e sua oppenïoni
141.3a' trionfi d'Amore assai o poco!
142.1Muovin le belle donne e' be' garzoni,
142.2che sono innamorati con piacere,
142.3muovino i canti, le dolcezze e' suoni;
143.1muova la Chiesa e muova lo 'mperiere,
143.2re, conti, duchi, marchesi e signori
143.3e ciò che non si può o può vedere!
144.1E tutti insieme, con uniti cori,
144.2in ginocchione a te co 'n croce braccia
144.3divotamente ciaschedun t'adori,
145.1innanzi sempre istando alla tua faccia,
145.2chiedendo miserere a tua possanza,
145.3infin che grazia il tuo isprendor mi faccia.
146.1Signore, i' porto pur ferma isperanza
146.2nel sangue tuo magnanimo e gentile,
146.3che dell'esser grazioso ha sempre usanza,
147.1che se' tanto benigno e signorile,
147.2incarnato di rose e di vivuole
147.3ch'a dirlo mancherebbe il divin stile.
148.1Abbi pietà di me, ché ragion vuole!
148.2I' te ne priego per quel bel diamante
148.3che luce in terra più che 'n cielo il sole,
149.1che Vener ti donò con sua man sante».
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