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1.1Io pensava da me, Signor mio caro,
1.2Santo, immortale, invisibile, immenso,
1.3L'altra notte storcendomi nel letto.
1.4Come l'infermo fa quando la Luna
1.5O volge, o torna, o fa su' opre in cielo,
1.6(Ma per me sempre fa la Luna e 'l Sole,
1.7Per me son sempre ecclissi, e quarte, e volte,
1.8Per me son sempre rivoluzioni);
1.9Io pensava, Signor, per che cagione
1.10Fosse da me così sbandito il sonno,
1.11Che per erbe od incanti a me ritrarlo
1.12Fosse impossibil; perché, tante volte
1.13L'ho già provato, che ben dir lo posso.
1.14E dissi allor: – Da quel che già la Sorga
1.15Illustrò co' suoi amor, fu dimostrato,
1.16Ch'amor lascivo, amor senza ragione,
1.17Il toglieva a' mortai, con quei duo versi,
1.18Ch'io ho di sopra tratti di sue opre.
1.19Io non ho amor pur a me stesso, quando
1.20Io vorrei volentier tormi la vita
1.21Con le mie proprie man, se la paura
1.22De l'estremo giudicio non facesse
1.23Torcer la voglia forse a miglior voglia.
1.24Altri dicon la cura de la roba,
1.25E de l'accumular, de l'esser ricco
1.26Pone la mente umana in tanta angustia,
1.27In tanto pensamento, in tanto affanno,
1.28Che la notte non puote poi pigliare
1.29L'avaro quella requie, che natura
1.30Ha ritrovato a le fatiche umane.
1.31Quanto questo sia in me tu 'l sai, Signore;
1.32Ch'essendo omai nel quarantesimo anno,
1.33Mi trovo vecchio, infermo, e, come disse
1.34Lecore, ch' in Etruria fu pastore,
1.35A non avere un cacio a che por mano.
1.36Il culto, la polizie, l'esser grande
1.37Quanti ne premon sì, che giorno e notte
1.38Tribolano, a la guisa di coloro
1.39Che piedi e mani hanno da le podagre,
1.40Senza speranza di mai guarir, torti.
1.41Che io non curi culto uman, né curi
1.42Grandezze, non ne voglio altra chiamare
1.43Testimonianza che le mie quartane,
1.44La Francia, che la suol mala chiamare
1.45Febbre, i quartanari tutti quanti,
1.46Che divengono, in mentre che 'l mal dura,
1.47Sordidi, fastidiosi, stracurati,
1.48Senza tema d'onor, senza vergogna,
1.49Senza pregio d'altrui né di se stessi;
1.50E ch'è più (però sia detto a tua pace),
1.51Senza curarsi troppo del tuo grande
1.52Imperio, che pur poi è tanto grande,
1.53Che bisogna tornarvi a viva forza,
1.54Se ben fosse fuggito a Battro, a Tile.
1.55Dunque io non trovo, Signor, la cagione,
1.56Perché da me si sia fuggito il sonno;
1.57Anzi la trovo, e la vo' dire adesso,
1.58Per isfogarmi, non perch'io non sappia
1.59Che tu lo sai, che 'l vuoi, che lo permetti
1.60Per mie mal opre sì, te lo confesso.
1.61Ma io sol sono al mondo, o Dio divino,
1.62Esempio della tua somma giustizia?
1.63Io sono, ed esser debbo, io tel confesso.
1.64È dunque la cagion, perciocché il sonno
1.65È la quiete e pace de' mortali,
1.66E il fratello e l'imagin de la morte,
1.67A me, per tua troppo giusta sentenza,
1.68È interdetta e tolta ogni quiete,
1.69Ogni bene, ogni pace; anzi son fatto
1.70L'albergo de gli affanni, anzi son fatto
1.71Nido de le sventure, anzi son fatto
1.72La viltà, la schifezza, la bruttura
1.73Del mondo, e son per ciò mostrato a dito.
1.74E però s'io non dormo, egli è per questo:
1.75E però ch'io t'ho chiesto mille volte
1.76La morte per rimedio de' miei danni,
1.77E tu non vuoi consentirmela, vuoi
1.78Prolungarmi la vita a la miseria;
1.79E se pur la metà de l'ore il giorno,
1.80Com'hanno gli altri che vivono al mondo,
1.81Mi dessi il sonno, io sarei morto allora;
1.82E tu non vuoi, Signor, pe' miei peccati,
1.83Ch'io abbia pace in questo nostro mondo,
1.84Né ch'i' mora; e però senza dormire
1.85Mi tien vivo, o Signor troppo severo.
1.86S'io dico troppo, Signor mio pietoso,
1.87Perdona, e danne la colpa al dolore
1.88Del freddo, ch'or comincia, e siam di maggio,
1.89Al mezzo giorno, e non posso la penna
1.90Menar pe' 'l freddo, e così corro al fuoco:
1.91E lascio a questa carta e questo inchiostro
1.92Che ti chieggan per me misericordia.
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