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IL BENEFICIO

Il beneficio

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1.1Una donna di forme alte e divine,
1.2Per lungo duolo attrita, e di squallore
1.3Sparsa l'augusto venerando crine,
1.4In vision m'apparve; e sì d'amore
1.5Sì di pietà mi prese e di rispetto,
1.6Che ancor la veggo, ancor mi balza il core
1.7Era un sasso al bel fianco duro letto,
1.8La sinistra alla gota: e, scisso il manto,
1.9Scopria le piaghe dell'onesto petto.
1.10Insultavan superbe al suo gran pianto
1.11Stranie donne scettrate: e la strignea
1.12Or questa or quella di catene; e vanto
1.13Traean dal lutto ond'ella si pascea,
1.14E crescean strazio ed onta alla meschina.
1.15Io le guardava, e d'ira il cor fremea.
1.16Ma l'afflitta, che pur nella ruina
1.17Delle prime fortune alma serbava
1.18Sdegnosa e dentro si sentía regina,
1.19— Ricordivi, lor disse (e il capo alzava),
1.20Ricordivi che tutte io v'ebbi ancelle,
1.21Tutte; — e, rotto un sospir, gli occhi inchinava.
1.22Poi, le luci nel pianto ancor più belle
1.23Girando ai figli, — Chi di voi m'aíta? —
1.24Sclamava. E i figli forsennate e felle
1.25Volgean l'arme in se stessi; e la ferita
1.26Del sen materno esacerbando, il poco
1.27Misero avanzo le togliean la vita.
1.28Mi corse all'empia vista e gelo e foco
1.29Per le vene; e gridai: — Pace, fratelli!
1.30Per dio, pace!: — e trovar non sapea loco.
1.31Pareami errar furente irto i capelli
1.32Per le sacre di Roma erme ruine;
1.33E percuoter col pugno i chiusi avelli,
1.34E agitarli, e svegliar l'ombre latine.
1.35Ah prisca gloria! ahi vani orgogli! ahi come
1.36L'italica virtù cadde a vil fine!
1.37Io chiamava le antiche ombre per nome;
1.38E quelle, alzati i coperchi e rimosse
1.39Dai fieri aspetti le scorrenti chiome,
1.40Sporgean le fronti per veder che fosse:
1.41E, de' nipoti la viltà veduta,
1.42Le fraterne discordie e le percosse,
1.43E l'arbitra del vinto orbe venuta
1.44In servitù del servo; dolorosi
1.45Quei divi spirti di sì gran caduta,
1.46In volto si guardar muti e pensosi.
1.47Indi qual vergognando giù cadea,
1.48Gli occhi nel cavo delle palme ascosi;
1.49Qual, ritto in pè spiccandosi, mettea
1.50Tutta fuori dell'arca la persona,
1.51E gridando vendetta armi chiedea.
1.52Altri, in cui più superba ira ragiona,
1.53Dicean: — Merta i suoi ceppi l'oziosa:
1.54Dàlle il fuso e di mirti una corona, —
1.55E la faccia torcean bieca e sdegnosa
1.56Da quella mesta; che tenea sembianza
1.57D'uom che cerca scolparsi e dir non osa,
1.58Chè di voce lo priva e di baldanza
1.59De' suoi falli il rimorso, e più tacendo
1.60Che parlando fa scusa alla mancanza.
1.61Mentr'io confuso il giudicar sospendo
1.62Su l'udite sentenze, e nel cor mio
1.63La pietà col rigor va combattendo;
1.64Tutta d'armi tonar l'Alpe s'udìo,
1.65E in maestade alteramente onesta
1.66Un guerrier discendea pari ad un dio.
1.67Qual fra' numi incedendo il ciel calpesta
1.68Di Saturno il gran figlio; ed alla scossa
1.69De' neri crini su l'ambrosia testa
1.70Trema l'olimpo, e sente la commossa
1.71Terra l'impulso dell'eterno piede:
1.72Tale il magno venía nella sua possa.
1.73Muta il guarda l'Europa, e a lui mercede
1.74Grida in segreto: ed ei ne libra il fato,
1.75Nè mortal occhio il suo librar mai vede.
1.76Gli vien fedele la Vittoria a lato;
1.77E non par ch'ei la curi, e che d'oliva
1.78Più che di lauro ir goda incoronato.
1.79Ma le apparse grand'ombre, in cui bolliva
1.80Alto il disdegno delle viste offese,
1.81E la patria piangean spenta o mal viva,
1.82Come vider l'eroe, corser comprese
1.83Di maraviglia, e il nome e di che gente
1.84Si fosse il prode si chiedean sospese:
1.85E di sè gli fe3r cerchio in riverente
1.86Atto; e abbracciarlo non ardía nessuna,
1.87Chè minor si sentía di quel possente.
1.88All'infelice, che giacea di niuna
1.89Speme in conforto e si parea pur degna
1.90Di riverenza e di men ria fortuna,
1.91Colla pietà che cor gentile insegna
1.92S'appressò quell'invitto, e, la man stesa,
1.93Magnanimo le disse: — Alzati, e regna. —
1.94Ed ella alzossi, e subito prostesa
1.95Suo signor l'adorò: volea dir, figlio!
1.96Ma la voce morì dal pianto offesa.
1.97Ed ei le terse affettuoso il ciglio,
1.98Ne trattò le ferite; e a lei, com'era
1.99D'armi nuda e d'ardire e di consiglio,
1.100Diè lo scudo, diè l'asta: e già guerriera,
1.101Già coronata, in trono la compose
1.102Con guardo che dicea — Fa' senno, e spera. —
1.103Allor torve guatarla, e dispettose
1.104Mordersi il dito le costei nemiche,
1.105De' suoi renduti onori invidiose;
1.106E rinfrescando le paure antiche
1.107Far consulta, e furtive alla vendetta
1.108Allacciarsi le maglie e le lorìche.
1.109Qui portento vid'io che al cor diè stretta.
1.110Vidi una nube su l'Egéo levarse,
1.111Che tutta ricopria l'onda suggetta:
1.112E fiammeggiante nella nube apparse
1.113Lunga una spada, la cui punta al seno
1.114Dell'alma Italia mi parea drizzarse.
1.115Il rubro che n'uscìa spesso baleno
1.116Fería le spalle d'Appennino e tutto
1.117Colorava di sangue il mar tirreno:
1.118La trista luce riflettean sul flutto
1.119Le britanniche antenne congiurate
1.120A por la nuova regnatrice in lutto.
1.121Ed ella, che fatal la sua beltate
1.122Sapea per prova, del suo stato in forse
1.123Già ritornava alle temenze usate.
1.124Ma colla man su l'elsa la soccorse
1.125D'un suo tal riso il gran guerrier, che piena
1.126Al cor fidanza e securtà le porse.
1.127A quel riso tornò l'aria serena:
1.128Mandò l'alpe splendor, che l'altro estinse
1.129Vivo nell'occhio della mente appena:
1.130Ogni riva di luce si dipinse;
1.131E di sue glorie a ragionar con Dori
1.132Più ratta l'Eridàn l'onda sospinse.
1.133E per tutto tripudii e danze e cori
1.134Di donzelle, e fragranti di profumi
1.135I sacri templi ed ogni via di fiori.
1.136Fatta Italia parea stanza di numi:
1.137Sì che, in vederla così bella, il pianto
1.138Della letizia mi fe velo ai lumi.
1.139Perdè la vista quelle larve intanto,
1.140La vista che nel gaudio si smarrìa:
1.141Nè più, fuor ch'una, le mi vidi accanto.
1.142Una sola ne vidi che venía,
1.143Di gran sembiante, ornata della fronda
1.144Che ninfa sul Penéo Febo fuggía.
1.145Il negro lucco ond'ella si circonda
1.146Moderna la palesa e fiorentina
1.147Di quella trista età d'ire feconda
1.148Cui diè nome la rabbia ghibellina.
1.149Lenta e grave procede e tal nel viso
1.150Che la delfica annunzia aura divina.
1.151Al macro aspetto che dall'arte inciso
1.152Già più volte adorando aveva veduto,
1.153E più del core al palpito improvviso,
1.154Ebbi tosto il cantor riconosciuto,
1.155Cui di carne vestito il trino regno
1.156Della morte veder fu conceduto.
1.157Pria severo guardò quel franco ingegno
1.158La risurta reina; indi, proteso
1.159Vers'ella il dito, di parlar fe segno;
1.160E cominciò: — Da' tuoi delitti offeso,
1.161Cara Italia, io ti punsi; e, tuo flagello,
1.162Sentir ti feci di mie note il peso:
1.163Serva ti dissi, e di dolore ostello,
1.164Nave senza nocchiero in gran tempesta,
1.165Non donna di provincie ma bordello.
1.166E tale ti lasciai quando la vesta
1.167Mortal deposi, dalla patria escluso
1.168A' suoi maligna ed a' non suoi molesta.
1.169Or che d'incauta libertà mal uso
1.170Ti partorì buon senno, e miglior sorte
1.171Alfin ti volge delle Parche il fuso;
1.172Degli eterni silenzi della morte
1.173A veder mi conduco di pentita
1.174Madre ancor bella le virtù risorte.
1.175S'io t'amai, s'io ti feci un dì scaltrita
1.176Del verace tuo meglio, e ti gridai
1.177Che sol lo scettro ti potea dar vita,
1.178Tu che ancor leggi le mie carte il sai.
1.179Divisa e sconcia da' tuoi vizi, in danno
1.180La libertà, diss'io, tu volgerai.
1.181E la volgesti, e ti crescesti affanno:
1.182Ch'ove concordia e amor di patria è morte
1.183Fu de' molti il regnar sempre tiranno.
1.184Dopo varia burrasca, alfin nel porto
1.185Riparasti la nave a salvamento,
1.186D'alte speranze carca e di conforto.
1.187Ma rugge ancora la procella e il vento;
1.188E ritornar t'è forza in mar crudele
1.189A far de' fianchi infermi esperimento.
1.190Ben marinari hai tu che sarte e vele
1.191Sanno trattar: ma chi al timon dà mano?
1.192O chi l'ardisce in tanta onda infedele?
1.193Dunque va' cauta; e di nocchier soprano
1.194Che di nembi non tèma ti provvedi,
1.195Finchè torbo e fremente è l'oceáno.
1.196A lui l'impero a lui l'arbitrio credi
1.197Delle dubbie tue sorti, e la donata
1.198Regal corona al donator concedi.
1.199Ei più ricca ei più bella e più temprata
1.200La farà. Non ben atta a tanto pondo
1.201È la tua fronte, e mal n'andrìa gravata.
1.202Nè menar vanto che il domato mondo
1.203Un dì tenesti in signoria; chè stolta
1.204È la superbia dei caduti al fondo. —
1.205Sì parlava l'acerbo. E, qual talvolta
1.206Muta loco una stella, e lungo dardo
1.207Di luce riga la siderea vo3lta;
1.208Tal ratta io vidi piegar del guardo
1.209Dal bel crin della donna scintillando
1.210La corona partir del Longobardo,
1.211E l'italico cielo illuminando
1.212Posarsi in fronte al suo signor, che fiero
1.213La presse al capo e la calcò col brando.
1.214Stretto alla tempia del fatal guerriero
1.215Mettea quel cerchio riverenza e tema:
1.216E sospeso del mondo era il pensiero.
1.217Dal travagliato Ispano e dall'estrema
1.218Elba, prudente l'agenorea figlia
1.219Salutò il raggio del novel diadema:
1.220Su la norica rupe ancor vermiglia
1.221Del suo sangue affacciossi l'Alemanno;
1.222Vide il suo meglio, ed abbassò le ciglia:
1.223Ma di navi potente e più d'inganno,
1.224Bestemmiò, corseggiando il porporino
1.225Ligure flutto, il predator britanno;
1.226Ed affrettava dall'aperto Eusino
1.227L'irto Russo, che anela il freddo polo
1.228Col bel cielo cangiar di Costantino.
1.229Qui di mia vision fu tronco il volo;
1.230Qui dagli occhi sparì l'alto cantore
1.231Del gaudio eterno e dell'eterno duolo;
1.232E un sorriso che parvemi d'amore
1.233Mi raggiò nel partir l'ombra gentile,
1.234Sì che dentro brillar m'intesi il core.
1.235Pien di questo il pensier, vate non vile
1.236Scrissi allor la veduta maraviglia:
1.237E fido al fianco mi reggea lo stile
1.238Il patrio amor che solo mi consiglia.
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