about
people
how to cite
dataset
versions
json schema
resources
browse
search
authors
books
1.1O esecrabile Avarizia, o ingorda
1.2fame d'avere, io non mi maraviglio
1.3ch'ad alma vile e d'altre macchie lorda,
1.4sì facilmente dar possi di piglio;
1.5ma che meni legato in una corda,
1.6e che tu impiaghi del medesmo artiglio
1.7alcun, che per altezza era d'ingegno,
1.8se te schivar potea, d'ogni onor degno.
2.1Alcun la terra e 'l mare e 'l ciel misura,
2.2e render sa tutte le cause a pieno
2.3d'ogni opra, d'ogni effetto di Natura,
2.4e poggia sì ch'a Dio riguarda in seno;
2.5e non può aver più ferma e maggior cura,
2.6morso dal tuo mortifero veleno,
2.7ch'unir tesoro: e questo sol gli preme,
2.8e ponvi ogni salute, ogni sua speme.
3.1Rompe eserciti alcuno, e ne le porte
3.2si vede entrar di bellicose terre,
3.3et esser primo a porre il petto forte,
3.4ultimo a trarre, in perigliose guerre;
3.5e non può riparar che sino a morte
3.6tu nel tuo cieco carcere nol serre.
3.7Altri d'altre arti e d'altri studi industri,
3.8oscuri fai, che sarian chiari e illustri.
4.1Che d'alcune dirò belle e gran donne
4.2ch'a bellezza, a virtù de fidi amanti,
4.3a lunga servitù, più che colonne
4.4io veggo dure, immobili e constanti?
4.5Veggo venir poi l'Avarizia, e ponne
4.6far sì, che par che subito le incanti:
4.7in un dì, senza amor (chi fia che 'l creda?)
4.8a un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà in preda.
5.1Non è senza cagion s'io me ne doglio:
5.2intendami chi può, che m'intend'io.
5.3Né però di proposito mi toglio,
5.4né la materia del mio canto oblio;
5.5ma non più a quel c'ho detto, adattar voglio,
5.6ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio.
5.7Or torniamo a contar del paladino
5.8ch'ad assaggiar il vaso fu vicino.
6.1Io vi dicea ch'alquanto pensar volle,
6.2prima ch'ai labri il vaso s'appressasse.
6.3Pensò, e poi disse: - Ben sarebbe folle
6.4chi quel che non vorria trovar, cercasse.
6.5Mia donna è donna, et ogni donna è molle:
6.6lasciàn star mia credenza come stasse.
6.7Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
6.8che poss'io megliorar per farne prova?
7.1Potria poco giovare e nuocer molto;
7.2che 'l tentar qualche volta Idio disdegna.
7.3Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto;
7.4ma non vo' più saper, che mi convegna.
7.5Or questo vin dinanzi mi sia tolto:
7.6sete non n'ho, né vo' che me ne vegna;
7.7che tal certezza ha Dio più proibita,
7.8ch'al primo padre l'arbor de la vita.
8.1Che come Adam, poi che gustò del pomo
8.2che Dio con propria bocca gl'interdisse,
8.3da la letizia al pianto fece un tomo,
8.4onde in miseria poi sempre s'afflisse;
8.5così, se de la moglie sua vuol l'uomo
8.6tutto saper quanto ella fece e disse,
8.7cade de l'allegrezze in pianti e in guai,
8.8onde non può più rilevarsi mai. -
9.1Così dicendo il buon Rinaldo, e intanto
9.2respingendo da sé l'odiato vase,
9.3vide abondare un gran rivo di pianto
9.4dagli occhi del signor di quelle case,
9.5che disse, poi che racchetossi alquanto:
9.6- Sia maledetto chi mi persuase
9.7ch'io facesse la prova, ohimè! di sorte,
9.8che mi levò la dolce mia consorte.
10.1Perché non ti conobbi già dieci anni,
10.2sì che io mi fossi consigliato teco,
10.3prima che cominciassero gli affanni,
10.4e 'l lungo pianto onde io son quasi cieco?
10.5Ma vo' levarti da la scena i panni;
10.6che 'l mio mal vegghi, e te ne dogli meco:
10.7e ti dirò il principio e l'argumento
10.8del mio non comparabile tormento.
11.1Qua su lasciasti una città vicina,
11.2a cui fa intorno un chiaro fiume laco,
11.3che poi si stende e in questo Po declina,
11.4e l'origine sua vien di Benaco.
11.5Fu fatta la città, quando a ruina
11.6le mura andâr de l'agenoreo draco.
11.7Quivi nacque io di stirpe assai gentile,
11.8ma in pover tetto e in facultade umìle.
12.1Se Fortuna di me non ebbe cura
12.2sì che mi desse al nascer mio ricchezza,
12.3al difetto di lei supplì Natura,
12.4che sopra ogni mio ugual mi diè bellezza.
12.5Donne e donzelle già di mia figura
12.6arder più d'una vidi in giovanezza;
12.7ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
12.8ben che stia mal che l'uom se stesso lodi.
13.1Ne la nostra cittade era un uom saggio,
13.2di tutte l'arti oltre ogni creder dotto,
13.3che quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
13.4contava gli anni suoi cento e ventotto.
13.5Visse tutta sua età solo e selvaggio,
13.6se non l'estrema; che d'Amor condotto,
13.7con premio ottenne una matrona bella,
13.8e n'ebbe di nascosto una cittella.
14.1E per vietar che simil la figliuola
14.2alla matre non sia, che per mercede
14.3vendé sua castità che valea sola
14.4più che quanto oro al mondo si possiede,
14.5fuor del commercio popular la invola;
14.6et ove più solingo il luogo vede,
14.7questo amplo e bel palagio e ricco tanto
14.8fece fare a' demonii per incanto.
15.1A vecchie donne e caste fe' nutrire
15.2la figlia qui, ch'in gran beltà poi venne;
15.3né che potesse altr'uom veder, né udire
15.4pur ragionarne in quella età, sostenne.
15.5E perch'avesse esempio da seguire,
15.6ogni pudica donna che mai tenne
15.7contra illicito amor chiuse le sbarre,
15.8ci fe' d'intaglio o di color ritrarre:
16.1non quelle sol che di virtude amiche
16.2hanno sì il mondo all'età prisca adorno;
16.3di quai la fama per l'istorie antiche
16.4non è per veder mai l'ultimo giorno:
16.5ma nel futuro ancora altre pudiche
16.6che faran bella Italia d'ogn'intorno,
16.7ci fe' ritrarre in lor fattezze conte,
16.8come otto che ne vedi a questa fonte.
17.1Poi che la figlia al vecchio par matura
17.2sì, che ne possa l'uom cogliere i frutti;
17.3o fosse mia disgrazia o mia aventura,
17.4eletto fui degno di lei fra tutti.
17.5I lati campi oltre alle belle mura,
17.6non meno i pescarecci, che gli asciutti,
17.7che ci son d'ogn'intorno a venti miglia,
17.8mi consegnò per dote de la figlia.
18.1Ella era bella e costumata tanto,
18.2che più desiderar non si potea.
18.3Di bei trapunti e di riccami, quanto
18.4mai ne sapesse Pallade, sapea.
18.5Vedila andare, odine il suono e 'l canto:
18.6celeste e non mortal cosa parea.
18.7E in modo all'arti liberali attese,
18.8che, quanto il padre, o poco men n'intese.
19.1Con grande ingegno, e non minor bellezza
19.2che fatta l'avria amabil fin ai sassi,
19.3era giunto un amore, una dolcezza,
19.4che par ch'a rimembrarne il cor mi passi.
19.5Non avea più piacer né più vaghezza,
19.6che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.
19.7Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:
19.8l'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo.
20.1Morto il suocero mio dopo cinque anni
20.2ch'io sottoposi il collo al giugal nodo,
20.3non stêro molto a cominciar gli affanni
20.4ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.
20.5Mentre mi richiudea tutto coi vanni
20.6l'amor di questa mia che sì ti lodo,
20.7una femina nobil del paese,
20.8quanto accender si può, di me s'accese.
21.1Ella sapea d'incanti e di malie
21.2quel che saper ne possa alcuna maga:
21.3rendea la notte chiara, oscuro il die,
21.4fermava il sol, facea la terra vaga.
21.5Non potea trar però le voglie mie,
21.6che le sanassin l'amorosa piaga
21.7col rimedio che dar non le potria
21.8senza alta ingiuria de la donna mia.
22.1Non perché fosse assai gentile e bella,
22.2né perché sapess'io che sì me amassi,
22.3né per gran don, né per promesse ch'ella
22.4mi fêsse molte, e di continuo instassi,
22.5ottener poté mai ch'una fiammella,
22.6per darla a lei, del primo amor levassi;
22.7ch'a dietro ne traea tutte mie voglie
22.8il conoscermi fida la mia moglie.
23.1La speme, la credenza, la certezza
23.2che de la fede di mia moglie avea,
23.3m'avria fatto sprezzar quanta bellezza
23.4avesse mai la giovane ledea,
23.5o quanto offerto mai senno e ricchezza
23.6fu al gran pastor de la montagna Idea.
23.7Ma le repulse mie non valean tanto,
23.8che potesson levarmela da canto.
24.1Un dì che mi trovò fuor del palagio
24.2la maga, che nomata era Melissa,
24.3e mi poté parlare a suo grande agio,
24.4modo trovò da por mia pace in rissa,
24.5e con lo spron di gelosia malvagio
24.6cacciar del cor la fé che v'era fissa.
24.7Comincia a comendar la intenzion mia,
24.8ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.
25.1"Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,
25.2prima che di sua fé prova non vedi.
25.3S'ella non falle, e che potria fallire,
25.4che sia fedel, che sia pudica credi.
25.5Ma se mai senza te non la lasci ire,
25.6se mai vedere altr'uom non le conciedi,
25.7onde hai questa baldanza, che tu dica
25.8e mi vogli affermar che sia pudica?
26.1Scòstati un poco, scòstati da casa;
26.2fa che le cittadi odano e i villaggi,
26.3che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa;
26.4agli amanti dà commodo e ai messaggi.
26.5S'a prieghi, a doni non fia persuasa
26.6di fare al letto maritale oltraggi,
26.7e che, facendol, creda che si cele,
26.8allora dir potrai che sia fedele".
27.1Con tal parole e simili non cessa
27.2l'incantatrice, fin che mi dispone
27.3che de la donna mia la fede espressa
27.4veder voglia e provare a paragone.
27.5"Ora pogniamo (le soggiungo) ch'essa
27.6sia qual non posso averne opinione:
27.7come potrò di lei poi farmi certo
27.8che sia di punizion degna o di merto?"
28.1Disse Melissa: "Io ti darò un vasello
28.2fatto da ber, di virtù rara e strana;
28.3qual già per fare accorto il suo fratello
28.4del fallo di Genevra, fe' Morgana.
28.5Chi la moglie ha pudica, bee con quello:
28.6ma non vi può già ber chi l'ha puttana;
28.7che 'l vin, quando lo crede in bocca porre,
28.8tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.
29.1Prima che parti, ne farai la prova,
29.2e per lo creder mio tu berai netto;
29.3che credo ch'ancor netta si ritrova
29.4la moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.
29.5Ma s'al ritorno esperienza nuova
29.6poi ne farai, non t'assicuro il petto:
29.7che se tu non lo immolli, e netto béi,
29.8d'ogni marito il più felice sei".
30.1L'offerta accetto; il vaso ella mi dona:
30.2ne fo la prova, e mi succede a punto;
30.3che, com'era il disio, pudica e buona
30.4la cara moglie mia trovo a quel punto.
30.5Dice Melissa: "Un poco l'abbandona;
30.6per un mese o per duo stanne disgiunto:
30.7poi torna; poi di nuovo il vaso tolli;
30.8prova se bevi, o pur se 'l petto immolli".
31.1A me duro parea pur di partire;
31.2non perché di sua fé sì dubitassi,
31.3come ch'io non potea duo dì patire,
31.4né un'ora pur, che senza me restassi.
31.5Disse Melissa: "Io ti farò venire
31.6a conoscere il ver con altri passi.
31.7Vo' che muti il parlare e i vestimenti,
31.8e sotto viso altrui te l'appresenti".
32.1Signor, qui presso una città difende
32.2il Po fra minacciose e fiere corna;
32.3la cui iuridizion di qui si stende
32.4fin dove il mar fugge dal lito e torna.
32.5Cede d'antiquità, ma ben contende
32.6con le vicine in esser ricca e adorna.
32.7Le reliquie troiane la fondaro,
32.8che dal flagello d'Attila camparo.
33.1Astringe e lenta a questa terra il morso
33.2un cavallier giovene, ricco e bello,
33.3che dietro un giorno a un suo falcone iscorso,
33.4essendo capitato entro il mio ostello,
33.5vide la donna, e sì nel primo occorso
33.6gli piacque, che nel cor portò il suggello;
33.7né cessò molte pratice far poi,
33.8per inchinarla ai desiderii suoi.
34.1Ella gli fece dar tante repulse,
34.2che più tentarla al fine egli non vòlse;
34.3ma la beltà di lei, ch'Amor vi sculse,
34.4di memoria però non se gli tolse.
34.5Tanto Melissa allosingommi e mulse,
34.6ch'a tor la forma di colui mi volse;
34.7e mi mutò (né so ben dirti come)
34.8di faccia, di parlar, d'occhi e di chiome.
35.1Già con mia moglie avendo simulato
35.2d'esser partito e gitone in Levante,
35.3nel giovene amator così mutato
35.4l'andar, la voce, l'abito e 'l sembiante,
35.5me ne ritorno, et ho Melissa a lato,
35.6che s'era trasformata, e parea un fante;
35.7e le più ricche gemme avea con lei,
35.8che mai mandassin gl'Indi o gli Eritrei.
36.1Io che l'uso sapea del mio palagio,
36.2entro sicuro, e vien Melissa meco;
36.3e madonna ritrovo a sì grande agio,
36.4che non ha né scudier né donna seco.
36.5I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
36.6stimulo inanzi del mal far le arreco:
36.7i rubini, i diamanti e gli smeraldi,
36.8che mosso arebbon tutti i cor più saldi.
37.1E le dico che poco è questo dono
37.2verso quel che sperar da me dovea:
37.3de la commodità poi le ragiono,
37.4che, non v'essendo il suo marito, avea:
37.5e le ricordo che gran tempo sono
37.6stato suo amante, com'ella sapea;
37.7e che l'amar mio lei con tanta fede
37.8degno era avere al fin qualche mercede.
38.1Turbossi nel principio ella non poco,
38.2divenne rossa, et ascoltar non volle;
38.3ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
38.4le belle gemme, il duro cor fe' molle:
38.5e con parlar rispose breve e fioco,
38.6quel che la vita a rimembrar mi tolle;
38.7che mi compiaceria, quando credesse
38.8ch'altra persona mai nol risapesse.
39.1Fu tal risposta un venenato telo
39.2di che me ne senti' l'alma traffissa:
39.3per l'ossa andommi e per le vene un gielo;
39.4ne le fauci restò la voce fissa.
39.5Levando allora del suo incanto il velo,
39.6ne la mia forma mi tornò Melissa.
39.7Pensa di che color dovesse farsi,
39.8ch'in tanto error da me vide trovarsi.
40.1Divenimmo ambi di color di morte,
40.2muti ambi, ambi restiàn con gli occhi bassi.
40.3Potei la lingua a pena aver sì forte,
40.4e tanta voce a pena, ch'io gridassi:
40.5"Me tradiresti dunque tu, consorte,
40.6quando tu avessi chi 'l mio onor comprassi?"
40.7Altra risposta darmi ella non puote,
40.8che di rigar di lacrime le gote.
41.1Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno
41.2ch'ella ha, da me veder farsi quella onta;
41.3e multiplica sì senza ritegno,
41.4ch'in ira al fine e in crudele odio monta.
41.5Da me fuggirsi tosto fa disegno;
41.6e ne l'ora che 'l Sol del carro smonta,
41.7al fiume corre, e in una sua barchetta
41.8si fa calar tutta la notte in fretta:
42.1e la matina s'appresenta avante
42.2al cavallier che l'avea un tempo amata,
42.3sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
42.4fu contra l'onor mio da me tentata.
42.5A lui che n'era stato et era amante,
42.6creder si può che fu la giunta grata.
42.7Quindi ella mi fe' dir ch'io non sperassi
42.8che mai più fosse mia, né più m'amassi.
43.1Ah lasso! da quel dì con lui dimora
43.2in gran piacere, e di me prende giuoco;
43.3et io del mal che procacciammi allora,
43.4ancor languisco, e non ritrovo loco.
43.5Cresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne muora;
43.6e resta omai da consumarci poco.
43.7Ben credo che 'l primo anno sarei morto,
43.8se non mi dava aiuto un sol conforto.
44.1Il conforto ch'io prendo, è che di quanti
44.2per dieci anni mai fur sotto al mio tetto
44.3(ch'a tutti questo vaso ho messo inanti),
44.4non ne trovo un che non s'immolli il petto.
44.5Aver nel caso mio compagni tanti
44.6mi dà fra tanto mal qualche diletto.
44.7Tu tra infiniti sol sei stato saggio,
44.8che far negasti il periglioso saggio.
45.1Il mio voler cercare oltre alla meta
45.2che de la donna sua cercar si deve,
45.3fa che mai più trovare ora quieta
45.4non può la vita mia, sia lunga o breve.
45.5Di ciò Melissa fu a principio lieta:
45.6ma cessò tosto la sua gioia lieve;
45.7ch'essendo causa del mio mal stata ella,
45.8io l'odiai sì, che non potea vedella.
46.1Ella d'esser odiata impaziente
46.2da me che dicea amar più che sua vita,
46.3ove donna restarne immantinente
46.4creduto avea, che l'altra ne fosse ita;
46.5per non aver sua doglia sì presente,
46.6non tardò molto a far di qui partita;
46.7e in modo abbandonò questo paese,
46.8che dopo mai per me non se n'intese. -
47.1Così narrava il mesto cavalliero:
47.2e quando fine alla sua istoria pose,
47.3Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,
47.4da pietà vinto, e poi così rispose:
47.5- Mal consiglio ti diè Melissa in vero,
47.6che d'attizzar le vespe ti propose;
47.7e tu fusti a cercar poco avveduto
47.8quel che tu avresti non trovar voluto.
48.1Se d'avarizia la tua donna vinta
48.2a voler fede romperti fu indutta,
48.3non t'ammirar: né prima ella né quinta
48.4fu de le donne prese in sì gran lutta;
48.5e mente via più salda ancora è spinta
48.6per minor prezzo a far cosa più brutta.
48.7Quanti uomini odi tu, che già per oro
48.8han traditi padroni e amici loro?
49.1Non dovevi assalir con sì fiere armi,
49.2se bramavi veder farle difesa.
49.3Non sai tu, contra l'oro, che né i marmi
49.4né 'l durissimo acciar sta alla contesa?
49.5Che più fallasti tu a tentarla parmi,
49.6di lei che così tosto restò presa.
49.7Se te altretanto avesse ella tentato,
49.8non so se tu più saldo fossi stato. -
50.1Qui Rinaldo fe' fine, e da la mensa
50.2levossi a un tempo, e domandò dormire;
50.3che riposare un poco, e poi si pensa
50.4inanzi al dì d'un'ora o due partire.
50.5Ha poco tempo, e 'l poco c'ha, dispensa
50.6con gran misura, e invan nol lascia gire.
50.7Il signor di là dentro, a suo piacere,
50.8disse, che si potea porre a giacere;
51.1ch'apparecchiata era la stanza e 'l letto:
51.2ma che se volea far per suo consiglio,
51.3tutta notte dormir potria a diletto,
51.4e dormendo avanzarsi qualche miglio.
51.5- Acconciar ti farò (disse) un legnetto,
51.6con che volando, e senz'alcun periglio
51.7tutta notte dormendo vo' che vada,
51.8e una giornata avanzi de la strada. -
52.1La proferta a Rinaldo accettar piacque,
52.2e molto ringraziò l'oste cortese:
52.3poi senza indugio là, dove ne l'acque
52.4da' naviganti era aspettato, scese.
52.5Quivi a grande agio riposato giacque,
52.6mentre il corso del fiume il legno prese,
52.7che da sei remi spinto, lieve e snello
52.8pel fiume andò, come per l'aria augello.
53.1Così tosto come ebbe il capo chino,
53.2il cavallier di Francia adormentosse;
53.3imposto avendo già, come vicino
53.4giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
53.5Restò Melara nel lito mancino;
53.6nel lito destro Sermide restosse:
53.7Figarolo e Stellata il legno passa,
53.8ove le corna il Po iracondo abbassa.
54.1De le due corna il nocchier prese il destro,
54.2e lasciò andar verso Vinegia il manco;
54.3passò il Bondeno: e già il color cilestro
54.4si vedea in oriente venir manco,
54.5che votando di fior tutto il canestro,
54.6l'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
54.7quando, lontan scoprendo di Tealdo
54.8ambe le ròcche, il capo alzò Rinaldo.
55.1- O città bene aventurosa (disse),
55.2di cui già Malagigi, il mio cugino,
55.3contemplando le stelle erranti e fisse,
55.4e constringendo alcun spirto indovino,
55.5nei secoli futuri mi predisse
55.6(già ch'io facea con lui questo camino)
55.7ch'ancor la gloria tua salirà tanto,
55.8ch'avrai di tutta Italia il pregio e 'l vanto. -
56.1Così dicendo, e pur tuttavia in fretta
56.2su quel battel che parea aver le penne,
56.3scorrendo il re de' fiumi, all'isoletta
56.4ch'alla cittade è più propinqua, venne:
56.5e ben che fosse allora erma e negletta,
56.6pur s'allegrò di rivederla, e fenne
56.7non poca festa; che sapea quanto ella,
56.8volgendo gli anni, saria ornata e bella.
57.1Altra fiata che fe' questa via,
57.2udì da Malagigi, il qual seco era,
57.3che settecento volte che si sia
57.4girata col monton la quarta sfera,
57.5questa la più ioconda isola fia
57.6di quante cinga mar, stagno o riviera;
57.7sì che, veduta lei, non sarà ch'oda
57.8dar più alla patria di Nausicaa loda.
58.1Udì che di bei tetti posta inante
58.2sarebbe a quella sì a Tiberio cara;
58.3che cederian l'Esperide alle piante
58.4ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
58.5che tante spezie d'animali, quante
58.6vi fien, né in mandra Circe ebbe né in hara;
58.7che v'avria con le Grazie e con Cupido
58.8Venere stanza, e non più in Cipro o in Gnido:
59.1e che sarebbe tal per studio e cura
59.2di chi al sapere et al potere unita
59.3la voglia avendo, d'argini e di mura
59.4avria sì ancor la sua città munita,
59.5che contra tutto il mondo star sicura
59.6potria, senza chiamar di fuori aita;
59.7e che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe
59.8padre il signor che questo e quel far debbe.
60.1Così venìa Rinaldo ricordando
60.2quel che già il suo cugin detto gli avea,
60.3de le future cose divinando,
60.4che spesso conferir seco solea.
60.5E tuttavia l'umil città mirando:
60.6- Come esser può ch'ancor (seco dicea)
60.7debban così fiorir queste paludi
60.8de tutti i liberali e degni studi?
61.1e crescer abbia di sì piccol borgo
61.2ampla cittade e di sì gran bellezza?
61.3e ciò ch'intorno è tutto stagno e gorgo,
61.4sien lieti e pieni campi di ricchezza?
61.5Città, sin ora a riverire assorgo
61.6l'amor, la cortesia, la gentilezza
61.7de' tuoi signori, e gli onorati pregi
61.8dei cavallier, dei cittadini egregi.
62.1L'ineffabil bontà del Redentore,
62.2de' tuoi principi il senno e la iustizia,
62.3sempre con pace, sempre con amore
62.4ti tenga in abondanzia et in letizia;
62.5e ti difenda contra ogni furore
62.6de' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
62.7del tuo contento ogni vicino arrabbi,
62.8più tosto che tu invidia ad alcuno abbi. -
63.1Mentre Rinaldo così parla, fende
63.2con tanta fretta il suttil legno l'onde,
63.3che con maggiore a logoro non scende
63.4falcon ch'al grido del padron risponde.
63.5Del destro corno il destro ramo prende
63.6quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
63.7San Georgio a dietro, a dietro s'allontana
63.8la torre e de la Fossa e di Gaibana.
64.1Rinaldo, come accade ch'un pensiero
64.2un altro dietro, e quello un altro mena,
64.3si venne a ricordar del cavalliero
64.4nel cui palagio fu la sera a cena;
64.5che per questa cittade, a dire il vero,
64.6avea giusta cagion di stare in pena:
64.7e ricordossi del vaso da bere,
64.8che mostra altrui l'error de la mogliere;
65.1e ricordossi insieme de la prova
65.2che d'aver fatta il cavallier narrolli;
65.3che di quanti avea esperti, uomo non trova
65.4che bea nel vaso, e 'l petto non s'immolli.
65.5Or si pente, or tra sé dice: - E' mi giova
65.6ch'a tanto paragon venir non volli.
65.7Riuscendo, accertava il creder mio;
65.8non riuscendo, a che partito era io?
66.1Gli è questo creder mio, come io l'avessi
66.2ben certo, e poco accrescer lo potrei:
66.3sì che, s'al paragon mi succedessi,
66.4poco il meglio saria ch'io ne trarrei;
66.5ma non già poco il mal, quando vedessi
66.6quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.
66.7Metter saria mille contra uno a giuoco;
66.8che perder si può molto, e acquistar poco. -
67.1Stando in questo pensoso il cavalliero
67.2di Chiaramonte, e non alzando il viso,
67.3con molta attenzion fu da un nocchiero
67.4che gli era incontra, riguardato fiso:
67.5e perché di veder tutto il pensiero
67.6che l'occupava tanto, gli fu aviso,
67.7come uom che ben parlava et avea ardire,
67.8a seco ragionar lo fece uscire.
68.1La somma fu del lor ragionamento,
68.2che colui malaccorto era ben stato,
68.3che ne la moglie sua l'esperimento
68.4maggior che può far donna, avea tentato;
68.5che quella che da l'oro e da l'argento
68.6difende il cor di pudicizia armato,
68.7tra mille spade via più facilmente
68.8difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
69.1Il nocchier suggiungea: - Ben gli dicesti,
69.2che non dovea offerirle sì gran doni;
69.3che contrastare a questi assalti e a questi
69.4colpi non sono tutti i petti buoni.
69.5Non so se d'una giovane intendesti
69.6(ch'esser pò che tra voi se ne ragioni),
69.7che nel medesmo error vide il consorte,
69.8di ch'esso avea lei condannata a morte.
70.1Dovea in memoria avere il signor mio,
70.2che l'oro e 'l premio ogni durezza inchina;
70.3ma, quando bisognò, l'ebbe in oblio,
70.4et ei si procacciò la sua ruina.
70.5Così sapea lo esempio egli, com'io,
70.6che fu in questa città di qui vicina,
70.7sua patria e mia, che 'l lago e la palude
70.8del rifrenato Menzo intorno chiude:
71.1d'Adonio voglio dir, che 'l ricco dono
71.2fe' alla moglie del giudice, d'un cane. -
71.3- Di questo (disse il paladino) il suono
71.4non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
71.5perché né in Francia, né dove ito sono,
71.6parlar n'udi' ne le contrade estrane:
71.7sì che di' pur, se non t'incresce il dire;
71.8che volentieri io mi t'acconcio a udire. -
72.1Il nocchier cominciò: - Già fu di questa
72.2terra un Anselmo di famiglia degna,
72.3che la sua gioventù con lunga vesta
72.4spese in saper ciò ch'Ulpiano insegna;
72.5e di nobil progenie, bella e onesta
72.6moglie cercò, ch'al grado suo convegna;
72.7e d'una terra quindi non lontana
72.8n'ebbe una di bellezza sopraumana;
73.1e di bei modi e tanto graziosi,
73.2che parea tutto amore e leggiadria;
73.3e di molto più forse, ch'ai riposi,
73.4ch'allo stato di lui non convenia.
73.5Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi
73.6al mondo fur, passò di gelosia:
73.7non già ch'altra cagion gli ne desse ella,
73.8che d'esser troppo accorta e troppo bella.
74.1Ne la città medesma un cavalliero
74.2era d'antiqua e d'onorata gente,
74.3che discendea da quel lignaggio altiero
74.4ch'uscì d'una mascella di serpente,
74.5onde già Manto, e chi con essa fêro
74.6la patria mia, disceser similmente.
74.7Il cavallier, ch'Adonio nominosse,
74.8di questa bella donna inamorosse.
75.1E per venire a fin di questo amore,
75.2a spender cominciò senza ritegno
75.3in vestire, in conviti, in farsi onore,
75.4quanto può farsi un cavallier più degno.
75.5Il tesor di Tiberio imperatore
75.6non saria stato a tante spese al segno.
75.7Io credo ben che non passâr duo verni,
75.8ch'egli uscì fuor di tutti i ben paterni.
76.1La casa ch'era dianzi frequentata
76.2matina e sera tanto dagli amici,
76.3sola restò, tosto che fu privata
76.4di starne, di fagian, di coturnici.
76.5Egli che capo fu de la brigata,
76.6rimase dietro, e quasi fra mendici.
76.7Pensò, poi ch'in miseria era venuto,
76.8d'andare ove non fosse conosciuto.
77.1Con questa intenzione una mattina,
77.2senza far motto altrui, la patria lascia;
77.3e con sospiri e lacrime camina
77.4lungo lo stagno che le mura fascia.
77.5La donna che del cor gli era regina,
77.6già non oblia per la seconda ambascia.
77.7Ecco un'alta aventura che lo viene
77.8di sommo male a porre in sommo bene.
78.1Vede un villan che con un gran bastone
78.2intorno alcuni sterpi s'affatica.
78.3Quivi Adonio si ferma, e la cagione
78.4di tanto travagliar vuol che gli dica.
78.5Disse il villan, che dentro a quel macchione
78.6veduto avea una serpe molto antica,
78.7di che più lunga e grossa a' giorni suoi
78.8non vide, né credea mai veder poi;
79.1e che non si voleva indi partire,
79.2che non l'avesse ritrovata e morta.
79.3Come Adonio lo sente così dire,
79.4con poca pazienza lo sopporta.
79.5Sempre solea le serpi favorire;
79.6che per insegna il sangue suo le porta
79.7in memoria ch'uscì sua prima gente
79.8de' denti seminati di serpente.
80.1E disse e fece col villano in guisa
80.2che, suo mal grado, abbandonò l'impresa;
80.3sì che da lui non fu la serpe uccisa,
80.4né più cercata, né altrimenti offesa.
80.5Adonio ne va poi dove s'avisa
80.6che sua condizion sia meno intesa;
80.7e dura con disagio e con affanno
80.8fuor de la patria appresso al settimo anno.
81.1Né mai per lontananza, né strettezza
81.2del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
81.3cessa Amor che sì gli ha la mano avezza,
81.4ch'ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
81.5È forza al fin che torni alla bellezza
81.6che son di riveder sì gli occhi vaghi.
81.7Barbuto, afflitto, e assai male in arnese,
81.8là donde era venuto, il camin prese.
82.1In questo tempo alla mia patria accade
82.2mandare uno oratore al Padre santo,
82.3che resti appresso alla sua Santitade
82.4per alcun tempo, e non fu detto quanto.
82.5Gettan la sorte, e nel giudice cade.
82.6Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
82.7Fe' scuse, pregò assai, diede e promesse
82.8per non partirsi; e al fin sforzato cesse.
83.1Non gli parea crudele e duro manco
83.2a dover sopportar tanto dolore,
83.3che se veduto aprir s'avesse il fianco,
83.4e vedutosi trar con mano il core.
83.5Di geloso timor pallido e bianco
83.6per la sua donna, mentre staria fuore,
83.7lei con quei modi che giovar si crede,
83.8supplice priega a non mancar di fede:
84.1dicendole ch'a donna né bellezza,
84.2né nobiltà, né gran fortuna basta,
84.3sì che di vero onor monti in altezza,
84.4se per nome e per opre non è casta;
84.5e che quella virtù via più si prezza,
84.6che di sopra riman quando contrasta,
84.7e ch'or gran campo avria per questa absenza,
84.8di far di pudicizia esperienza.
85.1Con tai le cerca et altre assai parole
85.2persuader ch'ella gli sia fedele.
85.3De la dura partita ella si duole,
85.4con che lacrime, oh Dio! con che querele!
85.5E giura che più tosto oscuro il sole
85.6vedrassi, che gli sia mai sì crudele,
85.7che rompa fede; e che vorria morire
85.8più tosto ch'aver mai questo desire.
86.1Ancor ch'a sue promesse e a suoi scongiuri
86.2desse credenza e si achetasse alquanto,
86.3non resta che più intender non procuri,
86.4e che materia non procacci al pianto.
86.5Avea uno amico suo, che dei futuri
86.6casi predir teneva il pregio e 'l vanto;
86.7e d'ogni sortilegio e magica arte,
86.8o il tutto, o ne sapea la maggior parte.
87.1Diegli, pregando, di vedere assunto,
87.2se la sua moglie, nominata Argia,
87.3nel tempo che da lei starà disgiunto,
87.4fedele e casta, o pel contrario fia.
87.5Colui da prieghi vinto, tolle il punto,
87.6il ciel figura come par che stia.
87.7Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno
87.8a lui per la risposta fa ritorno.
88.1L'astrologo tenea le labra chiuse,
88.2per non dire al dottor cosa che doglia,
88.3e cerca di tacer con molte scuse.
88.4Quando pur del suo mal vede c'ha voglia,
88.5che gli romperà fede gli concluse,
88.6tosto ch'egli abbia il piè fuor de la soglia,
88.7non da bellezza né da prieghi indotta,
88.8ma da guadagno e da prezzo corrotta.
89.1Giunte al timore, al dubbio ch'avea prima,
89.2queste minaccie dei superni moti,
89.3come gli stesse il cor, tu stesso stima,
89.4se d'amor gli accidenti ti son noti.
89.5E sopra ogni mestizia che l'opprima,
89.6e che l'afflitta mente aggiri e arruoti,
89.7è 'l saper come, vinta d'avarizia,
89.8per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
90.1Or per far quanti potea far ripari
90.2da non lasciarla in quel error cadere
90.3(perché il bisogno a dispogliar gli altari
90.4tra' l'uom talvolta, che sel trova avere),
90.5ciò che tenea di gioie e di danari
90.6(che n'avea somma) pose in suo potere:
90.7rendite e frutti d'ogni possessione,
90.8e ciò c'ha al mondo, in man tutto le pone.
91.1"Con facultade (disse) che ne' tuoi
91.2non sol bisogni te li goda e spenda,
91.3ma che ne possi far ciò che ne vuoi,
91.4li consumi, li getti, e doni e venda;
91.5altro conto saper non ne vo' poi,
91.6pur che, qual ti lascio or, tu mi ti renda:
91.7pur che, come or tu sei, mi sie rimasa
91.8fa che io non trovi né poder né casa".
92.1La prega che non faccia, se non sente
92.2ch'egli ci sia, ne la città dimora;
92.3ma ne la villa, ove più agiatamente
92.4viver potrà d'ogni commercio fuora.
92.5Questo dicea, però che l'umil gente
92.6che nel gregge o ne' campi gli lavora,
92.7non gli era aviso che le caste voglie
92.8contaminar potessero alla moglie.
93.1Tenendo tuttavia le belle braccia
93.2al timido marito al collo Argia,
93.3e di lacrime empiendogli la faccia,
93.4ch'un fiumicel dagli occhi le n'uscia;
93.5s'attrista che colpevole la faccia,
93.6come di fé mancata già gli sia;
93.7che questa sua sospizion procede,
93.8perché non ha ne la sua fede fede.
94.1Troppo sarà, s'io voglio ir rimembrando
94.2ciò ch'al partir da tramendua sia detto.
94.3"Il mio onor (dice al fin) ti raccomando":
94.4piglia licenzia, e partesi in effetto;
94.5e ben si sente veramente, quando
94.6volge il cavallo, uscire il cor del petto.
94.7Ella lo segue, quanto seguir puote,
94.8con gli occhi che le rigano le gote.
95.1Adonio intanto misero e tapino,
95.2e (come io dissi) pallido e barbuto,
95.3verso la patria avea preso il camino,
95.4sperando di non esser conosciuto.
95.5Sul lago giunse alla città vicino,
95.6là dove avea dato alla biscia aiuto,
95.7ch'era assediata entro la macchia forte
95.8da quel villan che por la volea a morte.
96.1Quivi arrivando in su l'aprir del giorno,
96.2ch'ancor splendea nel cielo alcuna stella,
96.3si vede in peregrino abito adorno
96.4venir pel lito incontra una donzella
96.5in signoril sembiante, ancor ch'intorno
96.6non l'apparisse né scudier né ancella.
96.7Costei con grata vista lo raccolse,
96.8e poi la lingua a tai parole sciolse:
97.1"Se ben non mi conosci, o cavalliero,
97.2son tua parente, e grande obligo t'aggio:
97.3parente son, perché da Cadmo fiero
97.4scende d'amenduo noi l'alto lignaggio.
97.5Io son la fata Manto, che 'l primiero
97.6sasso messi a fondar questo villaggio;
97.7e dal mio nome (come ben forse hai
97.8contare udito) Mantua la nomai.
98.1De le fate io son una; et il fatale
98.2stato per farti anco saper ch'importe,
98.3nascemo a un punto, che d'ogn'altro male
98.4siamo capaci, fuor che de la morte.
98.5Ma giunto è con questo essere immortale
98.6condizion non men del morir forte;
98.7ch'ogni settimo giorno ogniuna è certa
98.8che la sua forma in biscia si converta.
99.1Il vedersi coprir del brutto scoglio,
99.2e gir serpendo, è cosa tanto schiva,
99.3che non è pare al mondo altro cordoglio;
99.4tal che bestemmia ogniuna d'esser viva.
99.5E l'obligo ch'io t'ho (perché ti voglio
99.6insiememente dire onde deriva),
99.7tu saprai che quel dì, per esser tali,
99.8siamo a periglio d'infiniti mali.
100.1Non è sì odiato altro animale in terra,
100.2come la serpe; e noi, che n'abbiàn faccia,
100.3patimo da ciascuno oltraggio e guerra;
100.4che chi ne vede, ne percuote e caccia.
100.5Se non troviamo ove tornar sotterra,
100.6sentiamo quanto pesa altrui le braccia.
100.7Meglio saria poter morir, che rotte
100.8e storpiate restar sotto le botte.
101.1L'obligo ch'io t'ho grande, è ch'una volta
101.2che tu passavi per quest'ombre amene,
101.3per te di mano fui d'un villan tolta,
101.4che gran travagli m'avea dati e pene.
101.5Se tu non eri, io non andava asciolta,
101.6ch'io non portassi rotto e capo e schene,
101.7e che sciancata non restassi e storta,
101.8se ben non vi potea rimaner morta:
102.1perché quei giorni che per terra il petto
102.2traemo avvolte in serpentile scorza,
102.3il ciel ch'in altri tempi è a noi suggetto,
102.4niega ubbidirci, e prive siàn di forza.
102.5In altri tempi ad un sol nostro detto
102.6il sol si ferma e la sua luce ammorza;
102.7l'immobil terra gira e muta loco;
102.8s'infiamma il ghiaccio, e si congela il fuoco.
103.1Ora io son qui per renderti mercede
103.2del beneficio che mi festi allora.
103.3Nessuna grazia indarno or mi si chiede
103.4ch'io son del manto viperino fuora.
103.5Tre volte più che di tuo padre erede
103.6non rimanesti, io ti fo ricco or ora:
103.7né vo' che mai più povero diventi,
103.8ma quanto spendi più, che più augumenti.
104.1E perché so che ne l'antiquo nodo,
104.2in che già Amor t'avinse, anco ti trovi,
104.3voglioti dimostrar l'ordine e 'l modo
104.4ch'a disbramar tuoi desiderii giovi.
104.5Io voglio, or che lontano il marito odo,
104.6che senza indugio il mio consiglio provi;
104.7vadi a trovar la donna che dimora
104.8fuori alla villa, e sarò teco io ancora".
105.1E seguitò narrandogli in che guisa
105.2alla sua donna vuol che s'appresenti;
105.3dico come vestir, come precisa-
105.4mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;
105.5e che forma essa vuol pigliar, devisa;
105.6che, fuor che 'l giorno ch'erra tra serpenti,
105.7in tutti gli altri si può far, secondo
105.8che più le pare, in quante forme ha il mondo.
106.1Messe in abito lui di peregrino
106.2il qual per Dio di porta in porta accatti:
106.3mutosse ella in un cane, il più piccino
106.4di quanti mai n'abbia Natura fatti,
106.5di pel lungo, più bianco ch'armellino,
106.6di grato aspetto e di mirabili atti.
106.7Così trasfigurato, entraro in via
106.8verso la casa de la bella Argia:
107.1e dei lavoratori alle capanne,
107.2prima ch'altrove, il giovene fermosse;
107.3e cominciò a sonar certe sue canne,
107.4al cui suono danzando il can rizzosse.
107.5La voce e 'l grido alla padrona vanne,
107.6e fece sì, che per veder si mosse.
107.7Fece il romeo chiamar ne la sua corte,
107.8sì come del dottor traea la sorte.
108.1E quivi Adonio a comandare al cane
108.2incominciò, et il cane a ubbidir lui,
108.3e far danze nostral, farne d'estrane,
108.4con passi e continenze e modi sui,
108.5e finalmente con maniere umane
108.6far ciò che comandar sapea colui,
108.7con tanta attenzion, che chi lo mira
108.8non batte gli occhi, e a pena il fiato spira.
109.1Gran maraviglia, et indi gran desire
109.2venne alla donna di quel can gentile;
109.3e ne fa per la balia proferire
109.4al cauto peregrin prezzo non vile.
109.5"S'avessi più tesor, che mai sitire
109.6potesse cupidigia feminile
109.7(colui rispose), non saria mercede
109.8di comprar degna del mio cane un piede".
110.1E per mostrar che veri i detti fôro,
110.2con la balia in un canto si ritrasse,
110.3e disse al cane, ch'una marca d'oro
110.4a quella donna in cortesia donasse.
110.5Scossesi il cane, e videsi il tesoro.
110.6Disse Adonio alla balia, che pigliasse,
110.7soggiungendo: "Ti par che prezzo sia,
110.8per cui sì bello e util cane io dia?
111.1Cosa, qual vogli sia, non gli domando,
111.2di ch'io ne torni mai con le man vòte;
111.3e quando perle, e quando annella, e quando
111.4leggiadra veste e di gran prezzo scuote.
111.5Pur di' a madonna, che fia al suo comando;
111.6per oro no, ch'oro pagar nol puote:
111.7ma se vuol ch'una notte seco io giaccia,
111.8abbiasi il cane, e 'l suo voler ne faccia".
112.1Così dice; e una gemma allora nata
112.2le dà, ch'alla padrona l'appresenti.
112.3Pare alla balia averne più derata,
112.4che di pagar dieci ducati o venti.
112.5Torna alla donna, e le fa l'imbasciata;
112.6e la conforta poi, che si contenti
112.7d'acquistare il bel cane; ch'acquistarlo
112.8per prezzo può, che non si perde a darlo.
113.1La bella Argia sta ritrosetta in prima;
113.2parte, che la sua fé romper non vuole,
113.3parte, ch'esser possibile non stima
113.4tutto ciò che ne suonan le parole.
113.5La balia le ricorda, e rode e lima,
113.6che tanto ben di rado avvenir suole;
113.7e fe' che l'agio un altro dì si tolse,
113.8che 'l can veder senza tanti occhi vòlse.
114.1Quest'altro comparir ch'Adonio fece,
114.2fu la ruina e del dottor la morte.
114.3Facea nascer le doble a diece a diece,
114.4filze di perle, e gemme d'ogni sorte:
114.5sì che il superbo cor mansuefece,
114.6che tanto meno a contrastar fu forte,
114.7quanto poi seppe che costui ch'inante
114.8gli fa partito, è 'l cavallier suo amante.
115.1De la puttana sua balia i conforti,
115.2i prieghi de l'amante e la presenzia,
115.3il veder che guadagno se l'apporti,
115.4del misero dottor la lunga absenzia,
115.5lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti,
115.6fêro ai casti pensier tal violenzia,
115.7ch'ella accettò il bel cane, e per mercede
115.8in braccio e in preda al suo amator si diede.
116.1Adonio lungamente frutto colse
116.2de la sua bella donna, a cui la fata
116.3grande amor pose, e tanto le ne vòlse,
116.4che sempre star con lei si fu ubligata.
116.5Per tutti i segni il sol prima si volse,
116.6ch'al giudice licenzia fosse data:
116.7al fin tornò, ma pien di gran sospetto
116.8per quel che già l'astrologo avea detto.
117.1Fa, giunto ne la patria, il primo volo
117.2a casa de l'astrologo, e gli chiede,
117.3se la sua donna fatto inganno e dolo,
117.4o pur servato gli abbia amore e fede.
117.5Il sito figurò colui del polo,
117.6et a tutti i pianeti il luogo diede:
117.7poi rispose che quel ch'avea temuto,
117.8come predetto fu, gli era avvenuto:
118.1che da doni grandissimi corrotta,
118.2data ad altri s'avea la donna in preda.
118.3Questa al dottor nel cor fu sì gran botta,
118.4che lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
118.5Per esserne più certo, ne va allotta
118.6(ben che pur troppo allo indivino creda)
118.7ov'è la balia, e la tira da parte,
118.8e per saperne il certo usa grande arte.
119.1Con larghi giri circondando prova
119.2or qua or là di ritrovar la traccia;
119.3e da principio nulla ne ritrova,
119.4con ogni diligenzia che ne faccia;
119.5ch'ella, che non avea tal cosa nuova,
119.6stava negando con immobil faccia;
119.7e come bene instrutta, più d'un mese
119.8tra il dubbio e 'l certo il suo patron sospese.
120.1Quanto dovea parergli il dubio buono,
120.2se pensava il dolor ch'avria del certo!
120.3Poi ch'indarno provò con priego e dono,
120.4che da la balia il ver gli fosse aperto,
120.5né toccò tasto ove sentisse suono
120.6altro che falso; come uom ben esperto,
120.7aspettò che discordia vi venisse;
120.8ch'ove femine son, son liti e risse.
121.1E come egli aspettò, così gli avvenne;
121.2ch'al primo sdegno che tra loro nacque,
121.3senza suo ricercar, la balia venne
121.4il tutto a ricontargli, e nulla tacque.
121.5Lungo a dir fôra ciò che 'l cor sostenne,
121.6come la mente consternata giacque
121.7del giudice meschin, che fu sì oppresso,
121.8che stette per uscir fuor di se stesso:
122.1e si dispose al fin, da l'ira vinto,
122.2morir, ma prima uccider la sua moglie;
122.3e che d'amendue i sangui un ferro tinto
122.4levassi lei di biasmo, e sé di doglie.
122.5Ne la città se ne ritorna, spinto
122.6da così furibonde e cieche voglie;
122.7indi alla villa un suo fidato manda,
122.8e quanto esequir debba, gli commanda.
123.1Commanda al servo, ch'alla moglie Argia
123.2torni alla villa, e in nome suo le dica
123.3ch'egli è da febbre oppresso così ria,
123.4che di trovarlo vivo avrà fatica;
123.5sì che, senza aspettar più compagnia,
123.6venir debba con lui, s'ella gli è amica
123.7(verrà: sa ben che non farà parola);
123.8e che tra via le seghi egli la gola.
124.1A chiamar la patrona andò il famiglio,
124.2per far di lei quanto il signor commesse.
124.3Dato prima al suo cane ella di piglio,
124.4montò a cavallo et a camin si messe.
124.5L'avea il cane avisata del periglio,
124.6ma che d'andar per questo ella non stesse;
124.7ch'avea ben disegnato e proveduto
124.8onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.
125.1Levato il servo del camino s'era;
125.2e per diverse e solitarie strade
125.3a studio capitò su una riviera
125.4che d'Apennino in questo fiume cade;
125.5ov'era bosco e selva oscura e nera,
125.6lungi da villa e lungi da cittade.
125.7Gli parve loco tacito e disposto
125.8per l'effetto crudel che gli fu imposto.
126.1Trasse la spada, e alla padrona disse
126.2quanto commesso il suo signor gli avea;
126.3sì che chiedesse, prima che morisse,
126.4perdono a Dio d'ogni sua colpa rea.
126.5Non ti so dir com'ella si coprisse:
126.6quando il servo ferirla si credea,
126.7più non la vide, e molto d'ogn'intorno
126.8l'andò cercando, e al fin restò con scorno.
127.1Torna al patron con gran vergogna et onta,
127.2tutto attonito in faccia e sbigottito,
127.3e l'insolito caso gli racconta,
127.4ch'egli non sa come si sia seguito.
127.5Ch'a' suoi servigi abbia la moglie pronta
127.6la fata Manto, non sapea il marito;
127.7che la balia onde il resto avea saputo,
127.8questo, non so perché, gli avea taciuto.
128.1Non sa che far; che né l'oltraggio grave
128.2vendicato ha, né le sue pene ha sceme.
128.3Quel ch'era una festuca, ora è una trave,
128.4tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
128.5L'error che sapean pochi, or sì aperto have,
128.6che senza indugio si palesi, teme.
128.7Potea il primo celarsi; ma il secondo,
128.8publico in breve fia per tutto il mondo.
129.1Conosce ben che, poi che 'l cor fellone
129.2avea scoperto il misero contra essa,
129.3ch'ella, per non tornargli in suggezione,
129.4d'alcun potente in man si sarà messa;
129.5il qual se la terrà con irrisione
129.6et ignominia del marito espressa;
129.7e forse anco verrà d'alcuno in mano,
129.8che ne fia insieme adultero e ruffiano.
130.1Sì che, per rimediarvi, in fretta manda
130.2intorno messi e lettere a cercarne:
130.3ch'in quel loco, ch'in questo ne domanda
130.4per Lombardia, senza città lasciarne.
130.5Poi va in persona, e non si lascia banda
130.6ove o non vada o mandivi a spiarne:
130.7né mai può ritrovar capo né via
130.8di venire a notizia, che ne sia.
131.1Al fin chiama quel servo a chi fu imposta
131.2l'opra crudel che poi non ebbe effetto,
131.3e fa che lo conduce ove nascosta
131.4se gli era Argia, sì come gli avea detto;
131.5che forse in qualche macchia il dì reposta,
131.6la notte si ripara ad alcun tetto.
131.7Lo guida il servo ove trovar si crede
131.8la folta selva, e un gran palagio vede.
132.1Fatto avea farsi alla sua fata intanto
132.2la bella Argia con subito lavoro
132.3d'alabastri un palagio per incanto,
132.4dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.
132.5Né lingua dir, né cor pensar può quanto
132.6avea beltà di fuor, dentro tesoro.
132.7Quello che iersera sì ti parve bello,
132.8del mio signor, saria un tugurio a quello.
133.1E di panni di razza, e di cortine
133.2tessute riccamente e a varie foggie,
133.3ornate eran le stalle e le cantine,
133.4non sale pur, non pur camere e loggie;
133.5vasi d'oro e d'argento senza fine,
133.6gemme cavate, azzurre e verdi e roggie,
133.7e formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
133.8e senza fin d'oro e di seta drappi.
134.1Il giudice, sì come io vi dicea,
134.2venne a questo palagio a dar di petto,
134.3quando né una capanna si credea
134.4di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
134.5Per l'alta maraviglia che n'avea,
134.6esser si credea uscito d'intelletto:
134.7non sapea se fosse ebbro, o se sognassi,
134.8o pur se 'l cervel scemo a volo andassi.
135.1Vede inanzi alla porta uno Etiopo
135.2con naso e labri grossi; e ben gli è avviso
135.3che non vedesse mai, prima né dopo,
135.4un così sozzo e dispiacevol viso;
135.5poi di fattezze, qual si pinge Esopo,
135.6d'attristar, se vi fosse, il paradiso;
135.7bisunto e sporco, e d'abito mendico:
135.8né a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
136.1Anselmo che non vede altro da cui
136.2possa saper di chi la casa sia,
136.3a lui s'accosta, e ne domanda a lui;
136.4et ei risponde: "Questa casa è mia".
136.5Il giudice è ben certo che colui
136.6lo beffi e che gli dica la bugia:
136.7ma con scongiuri il negro ad affermare
136.8che sua è la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
137.1e gli offerisce, se la vuol vedere,
137.2che dentro vada, e cerchi come voglia;
137.3e se v'ha cosa che gli sia in piacere
137.4o per sé o per gli amici, se la toglia.
137.5Diede il cavallo al servo suo a tenere
137.6Anselmo, e messe il piè dentro alla soglia;
137.7e per sale e per camere condutto,
137.8da basso e d'alto andò mirando il tutto.
138.1La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
138.2va contemplando, e l'ornamento regio;
138.3e spesso dice: "Non potria quant'oro
138.4è sotto il sol pagare il loco egregio".
138.5A questo gli risponde il brutto Moro,
138.6e dice: "E questo ancor trova il suo pregio:
138.7se non d'oro o d'argento, nondimeno
138.8pagar lo può quel che vi costa meno".
139.1E gli fa la medesima richiesta
139.2ch'avea già Adonio alla sua moglie fatta.
139.3De la brutta domanda e disonesta,
139.4persona lo stimò bestiale e matta.
139.5Per tre repulse e quattro egli non resta;
139.6e tanti modi a persuaderlo adatta,
139.7sempre offerendo in merito il palagio,
139.8che fe' inchinarlo al suo voler malvagio.
140.1La moglie Argia che stava appresso ascosa,
140.2poi che lo vide nel suo error caduto,
140.3saltò fuora gridando: "Ah degna cosa
140.4che io veggo di dottor saggio tenuto!"
140.5Trovato in sì mal'opra e viziosa,
140.6pensa se rosso far si deve e muto.
140.7O terra, acciò ti si gettassi dentro,
140.8perché allor non t'apristi insino al centro?
141.1La donna in suo discarco, et in vergogna
141.2d'Anselmo, il capo gl'intronò di gridi,
141.3dicendo: "Come te punir bisogna
141.4di quel che far con sì vil uom ti vidi,
141.5se per seguir quel che natura agogna,
141.6me, vinta a' prieghi del mio amante, uccidi?
141.7ch'era bello e gentile; e un dono tale
141.8mi fe', ch'a quel nulla il palagio vale.
142.1S'io ti parvi esser degna d'una morte,
142.2conosci che ne sei degno di cento:
142.3e ben ch'in questo loco io sia sì forte,
142.4ch'io possa di te fare il mio talento;
142.5pure io non vo' pigliar di peggior sorte
142.6altra vendetta del tuo fallimento.
142.7Di par l'avere e 'l dar, marito, poni;
142.8fa, com'io a te, che tu a me ancor perdoni:
143.1e sia la pace e sia l'accordo fatto,
143.2ch'ogni passato error vada in oblio;
143.3né ch'in parole io possa mai né in atto
143.4ricordarti il tuo error, né a me tu il mio".
143.5Il marito ne parve aver buon patto,
143.6né dimostrossi al perdonar restio.
143.7Così a pace e concordia ritornaro,
143.8e sempre poi fu l'uno all'altro caro. -
144.1Così disse il nocchiero; e mosse a riso
144.2Rinaldo al fin de la sua istoria un poco;
144.3e diventar gli fece a un tratto il viso,
144.4per l'onta del dottor, come di fuoco.
144.5Rinaldo Argia molto lodò, ch'avviso
144.6ebbe d'alzare a quello augello un gioco
144.7ch'alla medesma rete fe' cascallo,
144.8in che cadde ella, ma con minor fallo.
145.1Poi che più in alto il sole il camin prese,
145.2fe' il paladino apparecchiar la mensa,
145.3ch'avea la notte il Mantuan cortese
145.4provista con larghissima dispensa.
145.5Fugge a sinistra intanto il bel paese,
145.6et a man destra la palude immensa:
145.7viene e fuggesi Argenta e 'l suo girone
145.8col lito ove Santerno il capo pone.
146.1Allora la Bastia credo non v'era,
146.2di che non troppo si vantâr Spagnuoli
146.3d'avervi su tenuta la bandiera;
146.4ma più da pianger n'hanno i Romagniuoli.
146.5E quindi a filo alla dritta riviera
146.6cacciano il legno, e fan parer che voli.
146.7Lo volgon poi per una fossa morta,
146.8ch'a mezzodì presso a Ravenna il porta.
147.1Ben che Rinaldo con pochi danari
147.2fosse sovente, pur n'avea sì alora,
147.3che cortesia ne fece a' marinari,
147.4prima che li lasciasse alla buon'ora.
147.5Quindi mutando bestie e cavallari,
147.6Arimino passò la sera ancora;
147.7né in Montefiore aspetta il matutino,
147.8e quasi a par col sol giunge in Urbino.
148.1Quivi non era Federico allora,
148.2né l'Issabetta, né 'l buon Guido v'era,
148.3né Francesco Maria, né Leonora,
148.4che con cortese forza e non altiera
148.5avesse astretto a far seco dimora
148.6sì famoso guerrier più d'una sera;
148.7come fêr già molti anni, et oggi fanno
148.8a donne e a cavallier che di là vanno.
149.1Poi che quivi alla briglia alcun nol prende,
149.2smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta.
149.3Pel monte che 'l Metauro o il Gauno fende,
149.4passa Apennino, e più non l'ha a man ritta;
149.5passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
149.6da Roma ad Ostia; e quindi si tragitta
149.7per mare alla cittade a cui commise
149.8il pietoso figliuol l'ossa d'Anchise.
150.1Muta ivi legno, e verso l'isoletta
150.2di Lipadusa fa ratto levarsi;
150.3quella che fu dai combattenti eletta,
150.4et ove già stati erano a trovarsi.
150.5Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
150.6ch'a vela e a remi fan ciò che può farsi;
150.7ma i venti avversi e per lui mal gagliardi,
150.8lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151.1Giunse ch'a punto il principe d'Anglante
151.2fatta avea l'utile opra e gloriosa:
151.3avea Gradasso ucciso et Agramante,
151.4ma con dura vittoria e sanguinosa.
151.5Morto n'era il figliuol di Monodante;
151.6e di grave percossa e perigliosa
151.7stava Olivier languendo in su l'arena,
151.8e del piè guasto avea martìre e pena.
152.1Tener non poté il conte asciutto il viso,
152.2quando abbracciò Rinaldo, e che narrolli
152.3che gli era stato Brandimarte ucciso,
152.4che tanta fede e tanto amor portolli.
152.5Né men Rinaldo, quando sì diviso
152.6vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:
152.7poi quindi ad abbracciar si fu condotto
152.8Olivier che sedea col piede rotto.
153.1La consolazion che seppe, tutta
153.2diè lor, ben che per sé tor non la possa;
153.3che giunto si vedea quivi alle frutta,
153.4anzi poi che la mensa era rimossa.
153.5Andaro i servi alla città distrutta,
153.6e di Gradasso e d'Agramante l'ossa
153.7ne le ruine ascoser di Biserta,
153.8e quivi divulgâr la cosa certa.
154.1De la vittoria ch'avea avuto Orlando,
154.2s'allegrò Astolfo e Sansonetto molto;
154.3non sì però, come avrian fatto, quando
154.4non fosse a Brandimarte il lume tolto.
154.5Sentir lui morto il gaudio va scemando
154.6sì, che non ponno asserenare il volto.
154.7Or chi sarà di lor, ch'annunzio voglia
154.8a Fiordiligi dar di sì gran doglia?
155.1La notte che precesse a questo giorno,
155.2Fiordiligi sognò che quella vesta
155.3che, per mandarne Brandimarte adorno,
155.4avea trapunta e di sua man contesta,
155.5vedea per mezzo sparsa e d'ogn'intorno
155.6di goccie rosse, a guisa di tempesta:
155.7parea che di sua man così l'avesse
155.8riccamata ella, e poi se ne dogliesse.
156.1E parea dir: - Pur hammi il signor mio
156.2commesso ch'io la faccia tutta nera:
156.3or perché dunque riccamata holl'io
156.4contra sua voglia in sì strana maniera? -
156.5Di questo sogno fe' giudicio rio;
156.6poi la novella giunse quella sera:
156.7ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
156.8ch'a lei con Sansonetto se ne venne.
157.1Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso
157.2vide di gaudio in tal vittoria privo;
157.3senz'altro annunzio sa, senz'altro avviso,
157.4che Brandimarte suo non è più vivo.
157.5Di ciò la resta il cor così conquiso,
157.6e così gli occhi hanno la luce a schivo,
157.7e così ogn'altro senso se le serra,
157.8che come morta andar si lascia in terra.
158.1Al tornar de lo spirto, ella alle chiome
158.2caccia le mani; et alle belle gote,
158.3indarno ripetendo il caro nome,
158.4fa danno et onta più che far lor puote:
158.5straccia i capelli e sparge; e grida, come
158.6donna talor che 'l demon rio percuote,
158.7o come s'ode che già a suon di corno
158.8Menade corse, et aggirossi intorno.
159.1Or questo or quel pregando va, che porto
159.2le sia un coltel, sì che nel cor si fera:
159.3or correr vuol là dove il legno in porto
159.4dei duo signor defunti arrivato era,
159.5e de l'uno e de l'altro così morto
159.6far crudo strazio e vendetta acra e fiera:
159.7or vuol passare il mare, e cercar tanto,
159.8che possa al suo signor morire a canto.
160.1- Deh perché, Brandimarte, ti lasciai
160.2senza me andare a tanta impresa? (disse).
160.3Vedendoti partir, non fu più mai
160.4che Fiordiligi tua non ti seguisse.
160.5T'avrei giovato, s'io veniva, assai,
160.6ch'avrei tenute in te le luci fisse;
160.7e se Gradasso avessi dietro avuto,
160.8con un sol grido io t'avrei dato aiuto;
161.1o forse esser potrei stata sì presta,
161.2ch'entrando in mezzo, il colpo t'avrei tolto:
161.3fatto scudo t'avrei con la mia testa;
161.4che morendo io, non era il danno molto.
161.5Ogni modo io morrò; né fia di questa
161.6dolente morte alcun profitto colto;
161.7che, quando io fossi morta in tua difesa,
161.8non potrei meglio aver la vita spesa.
162.1Se pur ad aiutarti i duri fati
162.2avessi avuti e tutto il cielo avverso,
162.3gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
162.4almen t'avrei di pianto il viso asperso;
162.5e prima che con gli angeli beati
162.6fossi lo spirto al suo Fattor converso,
162.7detto gli avrei: Va in pace, e là m'aspetta;
162.8ch'ovunque sei, son per seguirti in fretta.
163.1È questo, Brandimarte, è questo il regno
163.2di che pigliar lo scettro ora dovevi?
163.3Or così teco a Dammogire io vegno?
163.4così nel real seggio mi ricevi?
163.5Ah Fortuna crudel, quanto disegno
163.6mi rompi! oh che speranze oggi mi levi!
163.7Deh, che cesso io, poi c'ho perduto questo
163.8tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto? -
164.1Questo et altro dicendo, in lei risorse
164.2il furor con tanto impeto e la rabbia,
164.3ch'a stracciare il bel crin di nuovo corse,
164.4come il bel crin tutta la colpa n'abbia.
164.5Le mani insieme si percosse e morse,
164.6nel sen si cacciò l'ugne e ne le labbia.
164.7Ma torno a Orlando et a' compagni, intanto
164.8ch'ella si strugge e si consuma in pianto.
165.1Orlando, col cognato che non poco
165.2bisogno avea di medico e di cura,
165.3et altretanto, perché in degno loco
165.4avesse Brandimarte sepultura,
165.5verso il monte ne va che fa col fuoco
165.6chiara la notte, e il dì di fumo oscura.
165.7Hanno propizio il vento, e a destra mano
165.8non è quel lito lor molto lontano.
166.1Con fresco vento ch'in favor veniva,
166.2sciolser la fune al declinar del giorno,
166.3mostrando lor la taciturna diva
166.4la dritta via col luminoso corno;
166.5e sorser l'altro dì sopra la riva
166.6ch'amena giace ad Agringento intorno.
166.7Quivi Orlando ordinò per l'altra sera
166.8ciò ch'a funeral pompa bisogno era.
167.1Poi che l'ordine suo vide esequito,
167.2essendo omai del sole il lume spento,
167.3fra molta nobiltà ch'era allo 'nvito
167.4de' luoghi intorno corsa in Agringento,
167.5d'accesi torchi tutto ardendo 'l lito,
167.6e di grida sonando e di lamento,
167.7tornò Orlando ove il corpo fu lasciato,
167.8che vivo e morto avea con fede amato.
168.1Quivi Bardin di soma d'anni grave
168.2stava piangendo alla bara funèbre,
168.3che pel gran pianto ch'avea fatto in nave,
168.4dovria gli occhi aver pianti e le palpèbre.
168.5Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,
168.6ruggia come un leon ch'abbia la febre.
168.7Le mani erano intanto empie e ribelle
168.8ai crin canuti e alla rugosa pelle.
169.1Levossi, al ritornar del paladino,
169.2maggiore il grido, e raddoppiossi il pianto.
169.3Orlando, fatto al corpo più vicino,
169.4senza parlar stette a mirarlo alquanto,
169.5pallido come colto al matutino
169.6è da sera il ligustro o il molle acanto;
169.7e dopo un gran sospir, tenendo fisse
169.8sempre le luci in lui, così gli disse:
170.1- O forte, o caro, o mio fedel compagno,
170.2che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
170.3e d'una vita v'hai fatto guadagno,
170.4che non ti può mai tor caldo né gielo,
170.5perdonami, se ben vedi ch'io piagno;
170.6perché d'esser rimaso mi querelo,
170.7e ch'a tanta letizia io non son teco;
170.8non già perché qua giù tu non sia meco.
171.1Solo senza te son; né cosa in terra
171.2senza te posso aver più, che mi piaccia.
171.3Se teco era in tempesta e teco in guerra,
171.4perché non anco in ozio et in bonaccia?
171.5Ben grande è 'l mio fallir, poi che mi serra
171.6di questo fango uscir per la tua traccia.
171.7Se negli affanni teco fui, perch'ora
171.8non sono a parte del guadagno ancora?
172.1Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:
172.2sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
172.3Partecipe fatto è del dolor mio
172.4l'Italia, il regno franco e l'alemanno.
172.5Oh quanto, quanto il mio signore e zio,
172.6oh quanto i paladin da doler s'hanno!
172.7quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa,
172.8che perduto han la sua maggior difesa!
173.1Oh quanto si torrà per la tua morte
173.2di terrore a' nimici e di spavento!
173.3Oh quanto Pagania sarà più forte!
173.4quanto animo n'avrà, quanto ardimento!
173.5Oh come star ne dee la tua consorte!
173.6Sin qui ne veggo il pianto, e 'l grido sento.
173.7So che m'accusa, e forse odio mi porta,
173.8che per me teco ogni sua speme è morta.
174.1Ma, Fiordiligi, almen resti un conforto
174.2a noi che siàn di Brandimarte privi;
174.3ch'invidiar lui con tanta gloria morto
174.4denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
174.5Quei Decii, e quel nel roman foro absorto,
174.6quel sì lodato Codro dagli Argivi,
174.7non con più altrui profitto e più suo onore
174.8a morte si donâr, del tuo signore. -
175.1Queste parole et altre dicea Orlando.
175.2Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
175.3e tutti gli altri chierci, seguitando
175.4andavan con lungo ordine accoppiati,
175.5per l'alma del defunto Dio pregando,
175.6che gli donasse requie tra' beati.
175.7Lumi inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,
175.8mutata aver parean la notte in giorno.
176.1Levan la bara, et a portarla fôro
176.2messi a vicenda conti e cavallieri.
176.3Purpurea seta la copria, che d'oro
176.4e di gran perle avea compassi altieri:
176.5di non men bello e signoril lavoro
176.6avean gemmati e splendidi origlieri;
176.7e giacea quivi il cavallier con vesta
176.8di color pare, e d'un lavor contesta.
177.1Trecento agli altri eran passati inanti,
177.2de' più poveri tolti de la terra,
177.3parimente vestiti tutti quanti
177.4di panni negri e lunghi sin a terra.
177.5Cento paggi seguian sopra altretanti
177.6grossi cavalli e tutti buoni a guerra;
177.7e i cavalli coi paggi ivano il suolo
177.8radendo col lor abito di duolo.
178.1Molte bandiere inanzi e molte dietro,
178.2che di diverse insegne eran dipinte,
178.3spiegate accompagnavano il ferètro;
178.4le quai già tolte a mille schiere vinte,
178.5e guadagnate a Cesare et a Pietro
178.6avean le forze ch'or giaceano estinte.
178.7Scudi v'erano molti, che di degni
178.8guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
179.1Venian cento e cent'altri a diversi usi
179.2de l'esequie ordinati; et avean questi,
179.3come anco il resto, accesi torchi; e chiusi,
179.4più che vestiti, eran di nere vesti.
179.5Poi seguia Orlando, e ad or ad or suffusi
179.6di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;
179.7né più lieto di lui Rinaldo venne:
179.8il piè Olivier, che rotto avea, ritenne.
180.1Lungo sarà s'io vi vo' dire in versi
180.2le cerimonie, e raccontarvi tutti
180.3i dispensati manti oscuri e persi,
180.4gli accesi torchi che vi furon strutti.
180.5Quindi alla chiesa catedral conversi,
180.6dovunque andâr, non lasciaro occhi asciutti:
180.7sì bel, sì buon, sì giovene a pietade
180.8mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
181.1Fu posto in chiesa; e poi che da le donne
181.2di lacrime e di pianti inutil opra,
181.3e che dai sacerdoti ebbe eleisonne
181.4e gli altri santi detti avuto sopra,
181.5in una arca il serbâr su due colonne:
181.6e quella vuole Orlando che si cuopra
181.7di ricco drappo d'or, sin che reposto
181.8in un sepulcro sia di maggior costo.
182.1Orlando di Sicilia non si parte,
182.2che manda a trovar porfidi e alabastri.
182.3Fece fare il disegno, e di quell'arte
182.4inarrar con gran premio i miglior mastri.
182.5Fe' le lastre, venendo in questa parte,
182.6poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
182.7che quivi (essendo Orlando già partito)
182.8si fe' portar da l'africano lito.
183.1E vedendo le lacrime indefesse,
183.2et ostinati a uscir sempre i sospiri,
183.3né per far sempre dire uffici e messe,
183.4mai satisfar potendo a' suoi disiri;
183.5di non partirsi quindi in cor si messe,
183.6fin che del corpo l'anima non spiri:
183.7e nel sepolcro fe' fare una cella,
183.8e vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.
184.1Oltre che messi e lettere le mande,
184.2vi va in persona Orlando per levarla.
184.3Se viene in Francia, con pension ben grande
184.4compagna vuol di Galerana farla:
184.5quando tornare al padre anco domande,
184.6sin alla Lizza vuole accompagnarla:
184.7edificar le vuole un monastero,
184.8quando servire a Dio faccia pensiero.
185.1Stava ella nel sepulcro; e quivi attrita
185.2da penitenzia, orando giorno e notte,
185.3non durò lunga età, che di sua vita
185.4da la Parca le fur le fila rotte.
185.5Già fatto avea da l'isola partita,
185.6ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
185.7i tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
185.8che 'l quarto lor compagno a dietro resti.
186.1Non volean senza medico levarsi,
186.2che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
186.3la qual, perché a principio mal pigliarsi
186.4poté, fatt'era faticosa e dura:
186.5e quello udiano in modo lamentarsi,
186.6che del suo caso avean tutti paura.
186.7Tra lor di ciò parlando, al nocchier nacque
186.8un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
187.1Disse ch'era di là poco lontano
187.2in un solingo scoglio uno eremita,
187.3a cui ricorso mai non s'era invano,
187.4o fosse per consiglio o per aita;
187.5e facea alcuno effetto soprumano,
187.6dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,
187.7fermare il vento ad un segno di croce,
187.8e far tranquillo il mar quando è più atroce:
188.1e che non denno dubitare, andando
188.2a ritrovar quel uomo a Dio sì caro,
188.3che lor non renda Olivier sano, quando
188.4fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
188.5Questo consiglio sì piacque ad Orlando,
188.6che verso il santo loco si drizzaro;
188.7né mai piegando dal camin la prora,
188.8vider lo scoglio al sorger de l'aurora.
189.1Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,
189.2sicuramente s'accostaro a quello.
189.3Quivi aiutando servi e galeotti,
189.4declinano il marchese nel battello:
189.5e per le spumose onde fur condotti
189.6nel duro scoglio, et indi al santo ostello;
189.7al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
189.8per le cui mano ebbe Ruggier battesmo.
190.1Il servo del Signor del paradiso
190.2raccolse Orlando et i compagni suoi,
190.3e benedilli con giocondo viso,
190.4e de' lor casi dimandolli poi;
190.5ben che de lor venuta avuto avviso
190.6avesse prima dai celesti eroi.
190.7Orlando gli rispose esser venuto
190.8per ritrovare al suo Oliviero aiuto;
191.1ch'era, pugnando per la fé di Cristo,
191.2a periglioso termine ridutto.
191.3Levògli il santo ogni sospetto tristo,
191.4e gli promisse di sanarlo in tutto.
191.5Né d'unguento trovandosi previsto,
191.6né d'altra umana medicina instrutto,
191.7andò alla chiesa, et orò al Salvatore;
191.8et indi uscì con gran baldanza fuore:
192.1e in nome de le eterne tre Persone,
192.2Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
192.3ad Olivier la sua benedizione.
192.4Oh virtù che dà Cristo a chi gli crede!
192.5Cacciò dal cavalliero ogni passione,
192.6e ritornolli a sanitade il piede,
192.7più fermo e più espedito che mai fosse:
192.8e presente Sobrino a ciò trovosse.
193.1Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,
193.2che star peggio ogni giorno se ne sente,
193.3tosto che vede del monaco santo
193.4il miracolo grande et evidente,
193.5si dispon di lasciar Macon da canto,
193.6e Cristo confessar vivo e potente:
193.7e domanda con cor di fede attrito,
193.8d'iniciarsi al nostro sacro rito.
194.1Così l'uom giusto lo battezza, et anco
194.2gli rende, orando, ogni vigor primiero.
194.3Orlando e gli altri cavallier non manco
194.4di tal conversion letizia fêro,
194.5che di veder che liberato e franco
194.6del periglioso mal fosse Oliviero.
194.7Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;
194.8e molto in fede e in devozione accrebbe.
195.1Era Ruggier dal dì che giunse a nuoto
195.2su questo scoglio, poi statovi ogniora.
195.3Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto
195.4sta dolcemente, e li conforta et ora
195.5a voler, schivi di pantano e loto,
195.6mondi passar per questa morta gora
195.7c'ha nome vita, che sì piace a' sciocchi;
195.8et alla via del ciel sempre aver gli occhi.
196.1Orlando un suo mandò sul legno, e trarne
196.2fece pane e buon vin, cacio e persutti;
196.3e l'uom di Dio, ch'ogni sapor di starne
196.4pose in oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,
196.5per carità mangiar fecero carne,
196.6e ber del vino, e far quel che fêr tutti.
196.7Poi ch'alla mensa consolati fôro,
196.8di molte cose ragionâr tra loro.
197.1E come accade nel parlar sovente,
197.2ch'una cosa vien l'altra dimostrando,
197.3Ruggier riconosciuto finalmente
197.4fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
197.5per quel Ruggiero in arme sì eccellente,
197.6il cui valor s'accorda ognun lodando:
197.7né Rinaldo l'avea raffigurato
197.8per quel che provò già ne lo steccato.
198.1Ben l'avea il re Sobrin riconosciuto,
198.2tosto che 'l vide col vecchio apparire;
198.3ma vòlse inanzi star tacito e muto,
198.4che porsi in aventura di fallire.
198.5Poi ch'a notizia agli altri fu venuto
198.6che questo era Ruggier, di cui l'ardire,
198.7la cortesia e 'l valore alto e profondo
198.8si facea nominar per tutto il mondo;
199.1e sapendosi già ch'era cristiano,
199.2tutti con lieta e con serena faccia
199.3vengono a lui: chi gli tocca la mano,
199.4e chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
199.5Sopra gli altri il signor di Montalbano
199.6d'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
199.7Perch'esso più degli altri, io 'l serbo a dire
199.8ne l'altro canto, se 'l vorrete udire.
Supported by the Czech Science Foundation (GA23-07727S)