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Qui incomincia il primo capitolo.

Antonio di Meglio (1384–1448)
Poesie

PoeTree.it

1.1Poi che l'impia, crudel, aspra e rapace,
1.2subita, fera, irreparabil Morte
1.3che sì terribilmente ognun disface,
2.1il grato e bel gentil, robusto e forte
2.2corpo del bon Lorenzio al mondo tolse,
2.3tornando l'alma alla celeste corte,
3.1omè, quanto coralmente mi dolse
3.2scriver né immaginar si può né dire,
3.3ché sì gran colpo alcun già mai non colse!
4.1E non ho da sperar sanza morire
4.2poter cansar un sì aspro tormento,
4.3che sempre acresce in me di ciò il disire.
5.1Or pur, continüando il mio lamento,
5.2non però tal qual si dovrebbe al danno,
5.3ché ciò fare impossibile consento,
6.1un giorno, soperchiato da l'affanno,
6.2nella camera mia tutto soletto,
6.3com'un di quei ch'altro ripar non hanno,
7.1di lagrime rigato il volto e 'l petto,
7.2acompagnato da sospiri e guai,
7.3suppin disteso mi gittai sul letto.
8.1«O misero dolente, or che farai?
8.2— incominciai a dir — Con qual conforto
8.3tue acre aversità mitigherai?
9.1Spenta è la stella ch'a buon salvo porto
9.2d'ogni tempesta conducea il tuo legno,
9.3senza la qual tu se' peggio che morto »
10.1Ahi lasso, bench'io mi trovassi indegno
10.2d'essere accetto alla sua grazia tanto
10.3qual si vedea per manifesto segno,
11.1sendo sol el mio danno questo pianto,
11.2poco saria, quantunque a me gran male;
11.3ma ragion cresce el pianger d'ogni canto.
12.1Io piango il mio e 'l danno universale;
12.2o vedove, o pupilli, o orfanelli,
12.3Morte v'ha tolto il vostro capitale!
13.1O conventi, o spedali, o chiese, o quelli
13.2pover che avean lor figlie a maritare,
13.3impotenti a ciò far che facea elli,
14.1meco dovete pianger e lagnare
14.2e, nol facendo voi, il pianto mio
14.3cresce per quel che voi dovresti fare!
15.1O quarto Eugenio, pastor santo e pio,
15.2ch'onorando il suo corpo di tua insegna
15.3con quella ancor della Chiesa di Dio,
16.1n'hai mostro quanto quell'anima degna
16.2qua giù ti piacque per sua gran virtute
16.3e quanto il suo morir danno si tegna,
17.1qual uom disposto fermo alla salute
17.2di santa Chiesa a tua gloria ed onore,
17.3costante e saldo alle cose dovute!
18.1Né men conobber suo sommo valore
18.2e reverendi signor cardinali
18.3di quanto era al ben far suo gran fervore.
19.1Ancora al corpo non v'è principali
19.2a far l'officio di prieghi divoti,
19.3che, al volar l'alme al cielo, afforzan l'ali.
20.1O principi, o signori, o di lui noti,
20.2voi dimostrate per lo scriver vostro
20.3del ben che Morte ci ha lasciati vòti,
21.1trattando che con penna o con inchiostro
21.2non potria dirsi il duol che ne sentite,
21.3ché duolo è sopra duolo al dolor nostro!
22.1O intrigate quistion, discordie e lite,
22.2Morte ha spento colui che le spegnea
22.3con le parole ed opere gradite!
23.1La mente di costui sempre gaudea
23.2dell'altrui gaudio, e del gaudio cagione,
23.3gaudio non manco che 'l gaudente avea.
24.1Compagno, amico ed in conversazione
24.2degli amici compagni e conversanti
24.3puro perfetto e vero paragone,
25.1di gentili e d'artieri e mercatanti
25.2benefattore e suvventor sì fido
25.3che ragion gli costringe a grievi pianti,
26.1o patria eccelsa, io non men piango e strido
26.2che un così buon perfetto e caro figlio
26.3Morte abbia tolto al tuo florido nido!
27.1Questi con la persona e col consiglio,
27.2con ogni sua ricchezza e facultate
27.3mai ti mancò in qual maggior periglio,
28.1scudo, elmo e lancia di tua libertate,
28.2del reggimento baldanza e fortezza,
28.3d'amor, concordia, pace e unitate
29.1commettitore e legame e fermezza,
29.2riprensor degli errori, in forma e modo
29.3ch'era un freno agli erranti sanza asprezza,
30.1e con disio d'un amoroso nodo
30.2legar la patria coi circunvicini,
30.3sendo operar di sempiterno lodo,
31.1e sempre con pensier di dir divini
31.2veder Italia tutta in pace vera,
31.3non solamente i prossiman confini.
32.1O santa lega, la costui maniera
32.2tal fu in redurti e 'n conservarti unita,
32.3che simil mai ci fia, né ce ne era
33.1ne' Vinizian che mai portasse vita
33.2più che costui. L'illustre alma Vinegia
33.3amò gradita, amata e reverita
34.1con quel prencipe illustre, che si fregia
34.2d'ogni virtù più ch'altro ch'abbia il mondo,
34.3che' virtuosi onora, essalta e pregia,
35.1messer Francesco Foscari, giocondo
35.2per santo e giusto regger, tal che penso
35.3che mai in sua patria un tal surga secondo.
36.1Quanto questo gli dolga e l'abbia offenso
36.2dir non so io, però piangendo il taccio,
36.3perché duolo è in ardor d'amore immenso.
37.1Morte mi strugge come neve e ghiaccio
37.2da caldo sol percosso, e a tale onte
37.3non truovo alcun rimedio e nol procaccio.
38.1O Conte illustre Attendolo e Visconte,
38.2tu nel tuo scriver più che alcun dimostri
38.3con parole efficaci e ragion pronte
39.1pel costui caso e tuoi gran danni e' nostri,
39.2benché 'n ciò infin seguir ragion conforti
39.3colui che mai non fu fuor de' suoi chiostri!
40.1Ma 'l grande amor, qual hai portato e porti
40.2a Cosme e a Lorenzo, e' non m'è occulto,
40.3gran parte acceso già da' miei raporti.
41.1Ha' l'uno e l'altro sì ne' cuori isculto
41.2ch'è fatto uno individuo trino e uno:
41.3so se ti dee doler costui sepulto;
42.1ché non cred'io trovarsi autor alcuno
42.2che discriva d'alcuni amor sì grande
42.3quanto amor l'un dell'altro era in ciascuno.
43.1Or queste son continüe vivande,
43.2che nutriscono il pianto di mia doglia
43.3e che mi surgon da tutte le bande
44.1e che, piangendo, al pianger crescon voglia.
44.2Ora alla mensa mia sempre apparecchio
44.3ogni pensier ch'altrui conforto toglia,
45.1pover, carco d'errori, infermo e vecchio,
45.2fuor d'ogni refriger sanza costui
45.3ch'a tutto m'era di rimedî specchio.
46.1Così, piangendo i miei danni e gli altrui,
46.2con dubbio d'un maggior che qui non dico
46.3per buon respetto, e pur chiamando lui
47.1tormento in su tormento tanto abbico
47.2ch'io senti' quasi al celabro dar volta,
47.3fuor d'uso e modo natural suo antico.
48.1La forza corporal mi fu sì tolta
48.2che non può nulla più chi sia transito
48.3e l'anima da' membri abbia disciolta;
49.1o da sonno opilato, o tramortito
49.2per soperchio tormento, o che si fosse,
49.3a me parve di vita esser partito,
50.1ma 'l pronto spirto mai non si rimosse
50.2da Lorenzo chiamar, né da' pensieri,
50.3cagion delle penose mie percosse.
51.1Per luoghi strani e diversi sentieri
51.2gir mi parea, qual uom che errante vada,
51.3che non sa là dove arrivar si speri.
52.1Alfin, per longa e faticosa strada,
52.2giù traripai in uno abisso scuro,
52.3dal quale ogni chiarezza si dirada,
53.1e non però temente e non sicuro,
53.2perché i tormenti miei richiedon morse
53.3d'ogni qualunque gran martir più duro.
54.1Ver è che pur sospeso stavo in forse
54.2di peggio assai, quando fulgente luce
54.3la vista tenebrosa mia soccorse;
55.1e tal m'apparse che non sì riluce
55.2Febo, qualor più ci occupa le stelle
55.3e 'l carro a mezzo giorno ci conduce,
56.1tal che 'n principio le mie luci snelle
56.2parvon tornar del rïaver la vista,
56.3ma 'l superchio folgor rachiuse quelle.
57.1E quale è quel ch'un ben perso racquista
57.2che gli sia grato e riperdelsi presto,
57.3che in un punto s'alieta e si ratrista,
58.1tal divenn'io, quantunque più molesto
58.2mi fusse che 'l secondo il primo caso,
58.3quant'era per contrario quel da questo.
59.1Così, del ben della veduta raso,
59.2di racquistarla riprovato spesso
59.3m'ero, di più provar vinto rimaso,
60.1quando senti' chiamare: — O tu che presso
60.2ch'all'ultimo malvagio e tristo fine
60.3condotto hai fuor d'ogni ragion te stesso,
61.1e, possendo aver rose, hai colte spine,
61.2pur l'affezion mirabil grande tua,
61.3su penetrata alle parti divine,
62.1me del superno Amor la grazia sua
62.2mosse a 'mpetrar con sì divoti prieghi
62.3che qui mi manda, acciò che tu non rua.
63.1E perché la tua vista non s'anieghi
63.2nel pelago de' raggi, in ch'io risplendo,
63.3e 'l veder coll'udir non si ti nieghi,
64.1gli ho seperati —. Ond'io, ciò dire udendo,
64.2al suon delle parole gli occhi apersi;
64.3e quale io divenissi, lui vedendo,
65.1non si potria ridire in prosa o 'n versi
65.2con forza o 'ngegno d'intelletto umano,
65.3per la letizia e gaudio ch'io soffersi.
66.1E volligli parlar, ma ciò fu vano,
66.2ché la lingua annodossi e mandò voce,
66.3ond'io, per farlo di questo certano,
67.1gli fei piangendo delle braccia croce,
67.2invece di parlar, mirandol fiso.
67.3Per ch'e' mi disse: — Io so ciò che ti nuoce,
68.1ma pur, perché m'aspetta il paradiso,
68.2teco ho a star poco, e però t'adimando
68.3ch'ogni altro atto e pensier ti sia riciso,
69.1vedermi, udirmi e 'ntender riserbando —.
69.2Per ch'io con cenni mi mostrai qual suole
69.3servo a signor fervente al suo comando,
70.1ed egli incominciò queste parole:
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