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1.1Comincia il libro chiamato Ninfale:
1.2e primamente mostra il facitore
1.3che di far questo gli è cagione Amore.
2.1Amor mi fa parlar, che m´è nel core
2.2gran tempo stato e fatto n´ha su´ albergo,
2.3e legato lo tien con lo splendore
2.4e con que´ raggi a cui non valse usbergo,
2.5quando passaron dentro col favore
2.6degli occhi di colei, per cui rinvergo
2.7la notte e ´l giorno pianti con sospiri,
2.8e ch´è cagion di tutti e´ mie´ martìri.
3.1Amor è que´ che mi guida e conduce
3.2nell´opera la qual a scriver vegno;
3.3Amor è que´ ch´a far questo m´induce,
3.4e che la forza mi dona e lo ´ngegno;
3.5Amor è que´ ch´è mia scorta e mia luce,
3.6e che di lui trattar m´ha fatto degno;
3.7Amor è que´ che mi sforza ch´i´ dica
3.8un´amorosa storia molto antica.
4.1Però vo´ che l´onor sia sol di lui,
4.2poi ch´egli è que´ che guida lo mio stile,
4.3mandato dalla mia donna, lo cui
4.4valor è tal ch´ogni altro mi par vile,
4.5e che ´n tutte virtù avanza altrui,
4.6e sopra ogni altra è più bella e gentile:
4.7né non le mancheria veruna cosa,
4.8sed ella fosse un poco più pietosa.
5.1Or priego qui ciascun fedele amante
5.2che siate in questo mia difesa e scudo
5.3contro a ogni invidioso e mai parlante
5.4e contro a chi è d´amor povero e ´gnudo;
5.5e voi care mie donne tutte quante,
5.6che non avete il cor gelato e crudo,
5.7priego preghiate la mia donna altera
5.8che non sia contro a me servo sì fera.
6.1Prima che Fiesol fosse edificata
6.2di mura o di steccati o di fortezza,
6.3da molta poca gente era abitata:
6.4e quella poca avea presa l´altezza
6.5de´ circustanti monti, e abandonata
6.6istava la pianura per l´asprezza
6.7della molt´acqua ed ampioso lagume,
6.8ch´a piè de´ monti faceva un gran fiume.
7.1Era ´n quel tempo la falsa credenza
7.2degl´iddii rei, bugiardi e viziosi;
7.3e sì cresciuta la mala semenza
7.4era, ch´ognun credea che graziosi
7.5fosson in ciel come nell´apparenza;
7.6e lor sacrificavan con pomposi
7.7onori e feste, e sopra tutti Giove
7.8glorificavan qui sì come altrove.
8.1Ancor regnava in que´ tempi un´iddea
8.2la qual Diana si facea chiamare,
8.3e molte donne in divozion l´avea;
8.4e maggiormente quelle ch´osservare
8.5volean verginità, e che spiacea
8.6lor la lussuria e a lei si volean dare,
8.7costei le riceveva con gran feste,
8.8tenendole per boschi e per foreste.
9.1Ed ancor molte glien´erano offerte
9.2dalli lor padri e madri, che promesse
9.3l´avean a lei per boti, e chi per certe
9.4grazie o don che ricevuto avesse;
9.5Diana tutte con le braccia aperte
9.6le riceveva, pur ch´elle volesse
9.7servar verginità e l´uom fuggire,
9.8e vanità lasciar e lei servire.
10.1Così per tutto ´l mondo era adorata
10.2questa vergine iddea; ma ritornando
10.3ne poggi fiesolan, dove onorata
10.4più ch´altrove era, lei glorificando,
10.5vi vo´ contar della bella brigata
10.6delle vergini sue, che, lassù stando,
10.7tutte eran ninfe a quel tempo chiamate
10.8e sempre gìan di dardi e d´archi armate.
11.1Avea di queste vergini raccolte
11.2gran quantità Diana, del paese,
11.3per questi poggi, benché rade volte
11.4dimorasse con lor molto palese,
11.5sì come quella che n´aveva molte
11.6a guardar per lo mondo dall´offese
11.7dell´uom; ma pur, quando a Fiesol venìa,
11.8in cotal modo e guisa ella apparia:
12.1ell´era grande e schietta come quella
12.2grandezza richiedea, e gli occhi e ´l viso
12.3lucevan più ch´una lucente stella,
12.4e ben pareva fatta in paradiso,
12.5con raggi intorno a sé gittando quella,
12.6sì che non si potea mirar ben fiso;
12.7e´ cape´ crespi e biondi, non com´oro,
12.8ma d´un color che vie meglio sta loro.
13.1E le più volte sparti li tenea
13.2sopra ´l divelto collo, e ´l suo vestire
13.3a guisa d´una cioppa il taglio avea;
13.4d´un zendado era ch´a pena coprire,
13.5sì sottil era, le carni potea:
13.6tutta di bianco, sanz´altro partire
13.7cinta nel mezzo, e talor un mantello
13.8di porpora portava molto bello.
14.1Venticinque anni di tempo mostrava
14.2sua giovinezza, sanz´aver niun manco;
14.3nella sinistra man l´arco portava,
14.4e ´l turcasso pendea dal destro fianco,
14.5pien di saette, le qua´ saettava
14.6alle fiere selvagge, e talor anco
14.7a qualunque uom che lei noiar volesse
14.8e le sue ninfe gli uccidea con esse.
15.1In cotal guisa a Fiesole venìa
15.2Diana le sue ninfe a visitare,
15.3e con bel modo, graziosa e pia,
15.4assai sovente le facea adunare
15.5intorno a fresche fonti, o all´ombria
15.6di verdi fronde, al tempo ch´a scaldare
15.7comincia il sol la state, com´è usanza;
15.8e di verno al caldin faceano stanza.
16.1E quivi l´amoniva tutte quante
16.2nel ben perseverar verginitate;
16.3alcuna volta ragionan d´alquante
16.4cacce che fatte aveano molte fiate
16.5su per que´ poggi, seguendo le piante
16.6delle fiere selvagge, che pigliate
16.7e morte assai n´avean, ordine dando
16.8per girle ancor di nuovo seguitando.
17.1Cota´ ragionamenti tra costoro,
17.2com´io v´ho detto, tenean di cacciare;
17.3e quando si partia Diana da loro,
17.4tosto una ninfa si facea chiamare,
17.5la qual fosse di tutto il concestoro
17.6di lei vicaria, faccendo giurare
17.7all´altre tutte di lei ubidire,
17.8se pel suo arco non volean morire.
18.1Quella cotal da tutte era ubidita,
18.2come Diana fosse veramente;
18.3e ciascheduna d´un panno vestita
18.4di lin tessuto molto sottilmente,
18.5faccendo, con lor archi, d´esta vita
18.6passar molti animali assai sovente:
18.7e qual portava un affilato dardo,
18.8più destre che non fu mai liopardo.
19.1Qui tien Diana consiglio alla fonte;
19.2Africo vede, innamorarsi d´una
19.3di quelle ninfe che poi sale il monte:
19.4di sé si duole e de la sua fortuna.
20.1Era ´n quel tempo del mese di maggio,
20.2quando i be´ prati rilucon di fiori,
20.3e gli usignuoli per ogni rivaggio
20.4manifestan con canti i lor amori,
20.5e´ giovinetti, con lieto coraggio,
20.6senton d´amor i più caldi valori,
20.7quando la dea Diana a Fiesol venne,
20.8e con le ninfe sue consiglio tenne.
21.1Intorno ad una bella e chiara fonte
21.2di fresca erba e di fiori intorniata,
21.3la qual ancor dimora a piè del monte
21.4Cécer, da quella parte che ´l sol guata
21.5quand´è nel mezzogiorno a fronte a fronte.
21.6e fonte Aquelli è oggi nominata,
21.7intorno a quella Diana allor sì volse
21.8essere, e molte ninfe vi raccolse.
22.1Così a sedere tutte quante intorno
22.2si poson alla fonte chiara e bella,
22.3ed una ninfa, sanza far sogiorno,
22.4si levò ritta, leggiadretta e snella,
22.5ed a sonar incominciò un corno
22.6perch´ognuna tacesse: e poi, quand´ella
22.7ebbe sonato, a seder si fu posta,
22.8aspettando di Diana la proposta.
23.1La qual, com´usata era, così allora
23.2diceva lor ch´ognuna si guardasse
23.3che con niun uom facesse mai dimora,
23.4– E se avvenisse pur che l´uom trovasse
23.5fuggal come nimico ciascun´ora,
23.6acciò che ´nganno o forza non usasse
23.7contra di voi: ché, qual fosse ingannata,
23.8da me sarebbe morta e sbandeggiata. –
24.1Mentre che tal consiglio si tenea,
24.2un giovinetto ch´Africo avea nome,
24.3il qual forse venti anni o meno avea,
24.4sanz´ancor barba avere, e le sue chiome
24.5bionde e crespe, ed il suo viso parea
24.6un giglio o rosa, over d´un fresco pome;
24.7costui, ind´oltre abitava col padre,
24.8sanz´altra vicinanza, e con la madre;
25.1il giovane era quivi in un boschetto
25.2presso a Diana quando il ragionare
25.3delle ninfe sentì, ch´a suo diletto
25.4ind´oltre s´era andato a diportare;
25.5per che fattosi innanzi, il giovinetto
25.6dopo una grotta si mise a ´scoltare,
25.7per modo che veduto da costoro
25.8non era, ed e´ vedeva tutte loro.
26.1Vedea Diana sopra l´altre stante,
26.2rigida nel parlar e nella mente,
26.3con le saette e l´arco minacciante,
26.4e vedeva le ninfe parimente
26.5timide e paurose tutte quante,
26.6sempre mirando il suo viso piacente,
26.7istando ognuna cheta, umile e piana
26.8pel minacciar che facea lor Diana.
27.1Poi vide che Diana fece in piede
27.2levar ritta una ninfa, ch´Alfinea
27.3aveva nome, però ch´ella vede
27.4che più che niun´altra tempo avea,
27.5dicendo: – Ora m´intenda qual qui siede:
27.6i´ vo´ che questa nel mio loco stea,
27.7però ch´i´´ntendo partirmi da voi,
27.8sì che, com´io, ubidita sia poi. –
28.1Africo stante costoro ascoltando,
28.2fra l´altre una ninfa agli occhi li corse,
28.3la qual alquanto nel viso mirando,
28.4sentì ch´Amor per lei il cor gli morse
28.5sì che gli fe´ sentir, già sospirando,
28.6le fiaccole amorose: ché gli porse
28.7un sì dolce disio, che già saziare
28.8non si potea della ninfa mirare.
29.1E fra se stesso dicea: «Qual saria
29.2di me più grazioso e più felice,
29.3se tal fanciulla io avessi per mia
29.4isposa? Ché per certo il cor mi dice
29.5ch´al mondo sì contento uom non saria;
29.6e se non che paura mel disdice
29.7di Diana, i´ l´arei per forza presa,
29.8ché l´altre non potrebbon far difesa».
30.1Lo ´nnamorato amante in tal maniera
30.2nascoso stava infra le fresche fronde,
30.3quando Diana, veggendo che sera
30.4già si faceva, e che ´l sol si nasconde
30.5e già perduto avea tutta la spera,
30.6con le sue ninfe, assai liete e gioconde,
30.7si levâr ritte, ed al poggio salendo,
30.8di belle melodi´ e canzon dicendo.
31.1Africo, quando vide che levata
31.2s´era ciascuna, e simil la sua amante,
31.3udì che da un´altra fu chiamata:
31.4– Mensola, andianne –, e quella, su levante,
31.5con l´altre tosto si fu ritrovata.
31.6E così via n´andaron tutte quante:
31.7ognuna a sua capanna si tornoe,
31.8poi Diana si partì e lor lascioe.
32.1Avea la ninfa forse quindici anni:
32.2biondi com´oro e grandi i suoi capelli,
32.3e di candido lin portava i panni;
32.4du´ occhi in testa rilucenti e belli,
32.5che chi li vede non sente mai affanni;
32.6con angelico viso ed atti isnelli,
32.7e ´n man portava un bel dardo affilato.
32.8Or vi ritorno al giovane lasciato.
33.1Il qual soletto rimase pensoso,
33.2oltre modo dolente del partire
33.3che fe´ la ninfa col viso vezzoso,
33.4e ripiatando il passato disire,
33.5dicendo: «Lasso a me, che ´l bel riposo
33.6ch´ho ricevuto mi torna in martire,
33.7pensando ch´i´ non so dove o ´n qual parte
33.8cercarmene giammai, o con qual arte.
34.1Né conosco costei che m´ha ferito,
34.2se non ch´io udi´ che Mensola avea nome:
34.3e lasciato m´ha qui, solo e schernito,
34.4sanz´avermi veduto; ed almen come
34.5i´ l´amo sapesse ella, e a che partito
34.6Amor m´ha qui per lei carche le some!
34.7Omè, Mensola bella, ove ne vai,
34.8e lasci Africo tuo con molti guai?».
35.1Poi, ponendosi a seder in quel loco
35.2ove prima seder veduto avea
35.3la bella ninfa, e nel suo petto il foco
35.4con più fervente caldo s´accendea;
35.5così continovando questo gioco,
35.6il viso bel nell´erba nascondea:
35.7baciandola dicea: – Ben se´ beata,
35.8sì bella ninfa t´ha oggi calcata. –
36.1E poi dicea: «Lasso a me,» sospirando
36.2«qual ria fortuna, o qual altro destino,
36.3oggi qui mi condusse lusingando,
36.4perché, di lieto, dolente e tapino
36.5io divenissi una fanciulla amando,
36.6la qual m´ha messo in sì fatto cammino,
36.7sanz´aver meco scorta o guida alcuna,
36.8ma sol Amore è meco e la fortuna!
37.1Almen sapesse ella pur quanto amata
37.2ell´è da me, o veduto m´avesse!
37.3Ben ch´i´ credo che tutta spaventata
37.4se ne sarebbe, sed ella credesse
37.5esser da me o da uom disiata;
37.6e son ben certo, in quanto ella potesse,
37.7ella si fuggiria, sì come quella
37.8c´ha ´n odio l´uomo ed a lui si rubella.
38.1Che farò dunque, lasso, poi ch´io veggio
38.2ch´a palesarmi saria ´l mio piggiore,
38.3e s´io mi taccio, veggio ch´è ´l mio peggio,
38.4però ch´ognor mi cresce più l´ardore?
38.5Dunque, per miglior vita, morte cheggio,
38.6la qual sarebbe fin di tal dolore:
38.7bench´io mi credo ch´ella penrà poco
38.8a venir, se non si spegne esto foco.»
39.1Cotali ed altre simili parole
39.2diceva il giovinetto innamorato;
39.3ma poi, veggendo che già tutto ´l sole
39.4era tramonto, e che ´l cielo stellato
39.5già si facea, il che forte gli dole
39.6per lo partir; ma poi ch´alquanto stato
39.7sopra sé fu, e´ disse: «O me tapino,
39.8ch´or foss´egli di domane il mattino!».
40.1Ma pur levato, piede innanzi piede,
40.2pien di molti pensier, per la rivera
40.3si mise vêr l´ostello, che ben vede
40.4che non ritorna qual venuto v´era;
40.5così pensoso che non se n´avvede
40.6alla casa pervenne, la qual era,
40.7scendendo verso ´l pian, della fontana
40.8forse un quarto di miglio o men lontana.
41.1Quivi tornato, nella cameretta
41.2dove dormia, soletto se n´entroe,
41.3e sospirando in sul letto si getta,
41.4ch´a padre o madre prima non parloe;
41.5quivi con gran disio il giorno aspetta,
41.6né ´n tutta notte non s´adormentoe,
41.7ma in qua e ´n là si volge sospirando
41.8e ne´ sospir Mensola sua chiamando.
42.1Acciò che voi, allora, non crediate
42.2che vi fosson palagi o casamenti,
42.3com´or vi son, sì vo´ che voi sappiate
42.4che sol d´una capanna eran contenti;
42.5sanz´esser con calcina allor murate,
42.6ma sol di pietre e legname le genti
42.7facean lor case, e qual facea capanne
42.8tutte murate con terra e con canne.
43.1E forse quattro eran gli abitatori
43.2che facevano stanza nel paese,
43.3giù nelle piaghe de´ monti minori,
43.4che son a piè de´ gran poggi distese;
43.5ma ritornar vi voglio a´ gran dolori
43.6che Africo sentia, che presso a un mese
43.7stette sanza veder Mensola mai,
43.8benché dell´altre ne scontrasse assai.
44.1Venere ad Africo viene in visione;
44.2promettegli aiuto; ricerca per lei,
44.3truova altre ninfe, domanda di lei:
44.4fuggon sanza rispondere al garzone.
45.1Amor, volendo crescer maggior pena,
45.2come usato è di fare, al giovinetto,
45.3parendogli ch´avesse alquanto lena
45.4ripresa e spento il foco nel suo petto,
45.5legar lo volle con maggior catena,
45.6e con più lacci tenerlo costretto,
45.7modo trovando a fargli risentire
45.8le fiaccole amorose col martìre.
46.1Per ch´una notte il giovane, dormendo,
46.2veder in visione gli parea
46.3una donna con raggi risplendendo,
46.4ed un piccol garzone in collo avea,
46.5ignudo tutto ed un arco tenendo;
46.6e del turcasso una freccia traea
46.7per saettar, quando la donna: – Aspetta, –
46.8gli disse – figliuol mio: non aver fretta. –
47.1E poi la donna, ad Africo rivolta,
47.2sì gli diceva: – Qual mala ventura,
47.3o qual pensier, o qual tua mente stolta
47.4t´ha fatto volger? Credo che paura
47.5o negligenza Mensola t´ha tolta,
47.6ché di suo amor non par che facci cura,
47.7ma com´uom vile stai tristo e pensoso,
47.8quando cercar dovresti il tuo riposo.
48.1Leva su, dunque, e cerca queste piagge
48.2di questi monti, e tu la troverai,
48.3ch´a lor diletto le fiere selvagge
48.4con l´altre ninfe seguir la vedrai:
48.5e ben ch´al correr le sien preste e sagge,
48.6sanza niun fallo tu la vincerai,
48.7né ti bisogna temer di Diana,
48.8però ch´ell´è di qui molto lontana.
49.1E i´ ti prometto di darti il mio aiuto,
49.2al qual niuno può far mai resistenza,
49.3pur che questo mio figlio abbi voluto
49.4ferir con l´arco per la mia sentenza;
49.5ch´i´ son colei che sì ben ho saputo
49.6adoperar con questa mia scienza,
49.7che, non ch´altri, ma Giove ho vinto e preso
49.8con molti iddii, che niun non s´è difeso. –
50.1Poi disse: – Figliuol mio, apri le braccia,
50.2fagli sentire il tuo caldo valore;
50.3fa´ che tu rompa ogni gelata ghiaccia,
50.4dentro al suo petto e nel gelato core;
50.5or fa´, figliuol mio, fa´ sì che mi piaccia,
50.6come far suoi –; e poi parea ch´Amore
50.7per sì gran forza quell´arco tirasse,
50.8che ´nsieme le duo cocche raccozzasse.
51.1Quando Africo volea chieder mercede,
51.2sentì nel petto giugner la saetta,
51.3la qual, dentro passando, il cor gli fiede
51.4sì che, svegliato, la man puose in fretta
51.5al petto, ché la freccia trovar crede:
51.6trovò la piaga esser salda e ristretta;
51.7poi guardò se la donna rivedea
51.8col suo figliuol che fedito l´avea.
52.1Ma non la vide, perch´era sparita,
52.2e ´l sonno rotto che gliel dimostrava;
52.3e battendogli ´l cor per la ferita
52.4che ricevuto avea, si ricordava
52.5della sua amante, quando fe´ partita
52.6dalla fontana, e nel cor gli tornava
52.7gli atti gentili col vezzoso modo,
52.8e ta´ pensier al cor gli facean nodo.
53.1E poi dicea: «Questa donna mi pare,
53.2ch´ora m´apparve, Vener col figliuolo:
53.3e, s´io bene intesi il suo parlare,
53.4promesso m´ha di far sentir quel duolo
53.5a Mensola, ch´a me ha fatto fare;
53.6però, s´ella esce mai fuor dello stuolo
53.7dell´altre ninfe, i´ pur m´arrischieroe:
53.8per forza o per amor la piglieroe».
54.1Così, racceso di questo disio
54.2la fiamma nel suo petto, si dispose
54.3di Mensola cercar per ogni rio,
54.4fin che la troverà; e cota´ cose
54.5pensando, intanto il bel giorno appario,
54.6il qual egli aspettava con bramose
54.7voglie: e soletto di casa s´usciva
54.8e ´nvêr la fonte Aquelli se ne giva.
55.1E quivi giunto, alquanto vi ristette,
55.2i sospiri amorosi rinnovando,
55.3«Di qui» dicendo «mi fêr le saette
55.4d´Amor già partir forte sospirando».
55.5Ma poi che tai parole egli ebbe dette,
55.6saliva ´l poggio, la fonte lasciando,
55.7ascoltando e mirando tuttavia
55.8se ninfa alcuna vedeva o sentia.
56.1Così salendo suso verso il monte,
56.2trasviato d´amor e dal pensiero,
56.3alto portando sempre la sua fronte
56.4per veder me´ per ciaschedun sentiero,
56.5e le gambe tenendo preste e pronte,
56.6se gli facesse di correr mestiero;
56.7ed ogni foglia che menar vedea,
56.8credea che fosse ninfa e là correa.
57.1Ma poi che cota´ beffe ed altre assai
57.2avean più volte il giovane ingannato,
57.3sanza niuna ninfa trovar mai,
57.4e´ presso che ´n sul monte era montato,
57.5quando un pensier gli disse: «Dove vai
57.6pur su salendo, e nulla ci hai trovato,
57.7e già è terza? I´ non vo´ più salire,
57.8ma per quest´altra via vogli´ or gire».
58.1E ´nverso Fiesol vòlto, piaggia piaggia
58.2guidato d´Amor, ne gìa pensoso,
58.3caendo la sua amante aspra e selvaggia,
58.4e che facea lui star malinconoso;
58.5ma pria ch´un mezzo miglio passato aggia,
58.6ad un luogo pervenne assai nascoso,
58.7dove una valle i duo monti divide:
58.8quivi udì cantar ninfe, e poi le vide.
59.1Quando appressato fu a quel vallone
59.2alquanto, udì un´angelica boce
59.3con duo tinori. Ad ascoltar si pone,
59.4faccendo delle braccia a Giove croce,
59.5con umil priego stando ginocchione,
59.6dicendo: «Iddio, sarebbe in questa foce
59.7Mensola tra costoro? Or voglia Iddio
59.8ch´ella vi sia, ch´i´ v´anderò anch´io».
60.1Qual è colui che ´l grillo vuol pigliare,
60.2che va con lunghi e radi e leggier passi
60.3sanza far motto, tal era l´andare
60.4che Africo facea su per que´ massi,
60.5pur dietro andando a quel dolce cantare
60.6che nella valle udia, e ´nnanzi fassi
60.7tanto che vide dimenar le fronde
60.8d´alcun querciuol che le ninfe nasconde.
61.1Per che, sanza scoprirsi, s´appressava
61.2tanto che vide donde uscia quel canto:
61.3vide tre ninfe, ch´ognuna cantava;
61.4l´una era ritta, e l´altre duo in un canto
61.5a un acquitrin, che ´l fossato menava,
61.6sedeano, e le lor gambe vide alquanto,
61.7ché si lavavan i piè bianchi e belli,
61.8con loro cantando dimolti augelli.
62.1L´altra che stava in piè colse due frondi,
62.2e d´esse una ghirlanda si facea,
62.3poi sopra suoi capelli crespi e biondi
62.4la si ponea, perché ´l sol l´offendea;
62.5poi, per le sue compagne, folte e fondi
62.6ne fece due, e poi quelle ponea
62.7in sulle trecce lor non pettinate,
62.8le quali eran di frondi spampanate.
63.1Africo sì diceva infra se stesso:
63.2«E´ non mi par che Mensola ci sia».
63.3E poi, fattosi a lor un po´ più presso,
63.4la sua mala ventura maladia,
63.5dicendo: «Vener, quel che m´hai promesso
63.6non mi par ch´avvenuto ancor mi sia;
63.7ma che farò? Domanderò costoro
63.8s´elle la sanno, e scoprirommi a loro».
64.1Diliberato adunque ´l giovinetto
64.2di scoprirsi a costor, si fece avanti
64.3oltre vicino a lor; poi ebbe detto
64.4con bassa boce e con umil sembianti:
64.5– Diana, a cui ´l cor vostro sta suggetto,
64.6vi mantenga nel ben ferme e costanti!
64.7O belle ninfe, non vi spaventate,
64.8ma priegovi ch´un poco m´ascoltiate.
65.1I´ vo caendo una di vostra schiera,
65.2la qual Mensola credo che chiamata
65.3sia da voi per ciascuna rivera,
65.4e ben è un mese ch´io l´ho seguitata;
65.5ma ella è tanto fuggitiva e fera,
65.6che sempre innanzi a me s´è dileguata:
65.7però vi priego, dilettose e belle,
65.8che la ´nsegniate a me, care sorelle. –
66.1Quali sanza pastor le pecorelle,
66.2assalite dal lupo e spaventate,
66.3fuggon or qua or là, le tapinelle,
66.4gridando bè con boci sconsolate;
66.5e qual fanno le pure gallinelle,
66.6quand´elle son dalla volpe assaltate,
66.7quanto più posson ognuna volando
66.8verso la casa, forte schiamazzando;
67.1tal fêr le ninfe belle e paurose:
67.2quando vidon costui, – Omè – gridaro;
67.3alzando i panni, le gambe vezzose,
67.4per correr meglio, tutte le mostraro;
67.5e già niuna ad Africo rispose,
67.6ma, ricogliendo lor archi, n´andaro
67.7su verso ´l monte, e qual pur per la piaggia,
67.8forte fuggendo com fiera selvaggia.
68.1Africo grida: – Aspettatemi un poco,
68.2o belle ninfe, ascoltate ´l mio dire;
68.3sacciate ch´io non venni in questo loco
68.4per voi noiar o per farvi morire,
68.5ma sol per darvi allegrezza con gioco,
68.6in quanto voi non vogliate fuggire;
68.7io vengo a voi come di voi amico,
68.8e voi fuggite me come nimico. –
69.1Ma che ti vale, o Africo, pregalle?
69.2elle si fuggon pur su per la costa,
69.3e tu soletto riman nella valle,
69.4sanza da lor aver altra risposta.
69.5Rimanti, dunque, di più seguitalle,
69.6poi ch´ognuna a fuggir è pur disposta;
69.7le tue lusinghe col vento ne vanno,
69.8e le ninfe di correr non ristanno.
70.1Ell´eran già da lui tanto lontane
70.2che di veduta perdute l´avea:
70.3per che di più seguirle si rimane,
70.4e ´nfra se stesso forte si dolea
70.5di quelle ninfe sì selvagge e strane.
70.6«Che farò dunque, lasso a me?» dicea.
70.7«I´ non ci veggio modo niun pel quale
70.8i´ possa aver da lor altro che male.
71.1E´ non mi val lusinghe né pregare,
71.2e nulla fare´ mai s´io mi tacessi;
71.3né non posso con lor la forza usare,
71.4che volentier l´userei, s´i´ potessi.
71.5E s´io potessi almen pure spiare
71.6dove Mensola fosse, o pur sapessi
71.7dove cercarne, o dove si riduce
71.8Ma vo errando com´uom sanza luce».
72.1Tanto ´l diletto l´avea tranquillato,
72.2di Mensola cercare, e poi di quelle
72.3ninfe che nel vallone avea trovato
72.4istare all´ombra di fresche ramelle,
72.5e poi dal seguitarle trasviato,
72.6sol per saper di Mensola novelle,
72.7che non s´accorse ch´egli era già sera,
72.8e poco già lucea del sol la spera.
73.1Per che, malinconoso e malcontento,
73.2sé maladiva e la vegnente notte
73.3che sì tosto venia; e poi con lento
73.4passo scendeva giù per quelle grotte,
73.5perché di star più quivi avea pavento
73.6degli anima´ crudeli, ch´a quell´otte
73.7cominciavan andar pe´ folti boschi,
73.8donando a chi trovavan di lor tòschi.
74.1Così, sanz´aver punto il dì mangiato,
74.2verso la casa sua prese la via,
74.3ove quel giorno dal padre aspettato
74.4era stato con gran malinconia,
74.5paura avendo che non fosse stato
74.6da qualche bestia morto ove che sia,
74.7e divorato con doglia l´avesse:
74.8però a casa tornar non potesse.
75.1Ed ancor di Diana avea temenza,
75.2che non si fosse con lei abbattuto,
75.3come nimica della sua semenza
75.4sempre mai stata, e da lei fosse suto
75.5morto, o fattolo, per più penitenza,
75.6diventar pietra o albero fronzuto;
75.7e ´n tai pensieri stava lui aspettando,
75.8or una cosa or altra imaginando.
76.1Di Girafone ad Africo suo figlio
76.2un esempletto perché più non vada
76.3dietro alle ninfe, ché corre periglio.
77.1Il sol era già corso in occidente,
77.2e sì nascoso che più non lucea,
77.3e già le stelle e la luna lucente
77.4nell´aria cilestrina si vedea;
77.5e l´usignuol più cantar non si sente,
77.6ma cantan que´ che ´l giorno nascondea
77.7per lor natura, e scuopreli la notte;
77.8Africo giunse a casa a cota´ otte.
78.1Alla qual giunto, l´aspettante padre
78.2con gran letizia ricevette il figlio,
78.3sì come que´ che temea che le ladre
78.4fiere non gli avesson dato di piglio;
78.5e la pietosa e piangente sua madre
78.6l´abracciava dicendo: – O fresco giglio,
78.7ove se´ tu stato oggi, car figliuolo,
78.8che tu ci hai dato tanta pena e duolo? –
79.1E similmente il padre il domandava
79.2ove stato era il dì, sanza mangiare.
79.3Africo sopra sé alquanto stava
79.4per legitima scusa a ciò trovare,
79.5la quale Amore tosto gl´insegnava,
79.6come far suol gli animi assottigliare
79.7de´ veri amanti; ed al padre rispose,
79.8e una bugia cotal sì gli dispose:
80.1– O padre mio, egli è gran pezzo ch´io
80.2in questi poggi vidi una cerbietta,
80.3la qual tanto bella era, al parer mio,
80.4mai non credo ch´una sì diletta
80.5se ne vedesse, e veramente Iddio
80.6con le sue man la fe´ sì leggiadretta;
80.7e nell´andar come gru era leve,
80.8e bianca tutta come pura neve.
81.1Sì ne ´nvaghii, ch´io la seguii gran pezza,
81.2di bosco in bosco, credendo pigliarla;
81.3ma ella tosto de´ monti l´altezza
81.4prese; per ch´io, di più seguitarla
81.5sì mi rimasi con molta gramezza,
81.6e ´n cor mi puosi d´ancor ritrovarla,
81.7e con più agio seguirla altra volta;
81.8e così, a casa tornando, die´ volta.
82.1Io mi levai staman e, a dire il vero,
82.2veggendo il tempo bel, mi ricordai
82.3della cerbietta, e vennemi in pensiero
82.4di lei cercar: così diliberai.
82.5Così mi misi su per un sentiero,
82.6ch´io non m´accorsi ch´io mi ritrovai
82.7a mezzo ´l poggio quando ´l sol già era
82.8a mezzo ´l ciel, con la lucente spera;
83.1quando sentii e vidi menar foglie
83.2di freschi quercioletti, ond´io più presso
83.3mi feci alquanto. Dietro alcune scoglie
83.4tacitamente per veder fu´ messo:
83.5vidi tre cerbie gir con pari voglie
83.6l´erba pascendo, per che, ´nfra me stesso
83.7avvisando pigliarne una, pian piano
83.8vêr lor n´andai con un po´ d´erba in mano.
84.1Ma com´elle mi vidon, si fuggiro
84.2suso al monte, sanza punto aspettarmi,
84.3ed io di questo alquanto me n´adiro,
84.4veggendo quivi beffato lasciarmi;
84.5e così dietro loro un pezzo miro
84.6poi a seguirle, sanz´aver altre armi
84.7che ora m´abbia, infin che di veduta
84.8non me le tolse la notte venuta.
85.1Or sai della mia stanza la cagione,
85.2o caro padre, e di questo sie certo. –
85.3Il padre, ch´avea nome Girafone,
85.4gli parve intender quel parlar coperto,
85.5e ben s´avvide e tenne oppinione,
85.6sì come savio e di tai cose sperto,
85.7che ninfe state dovean esser quelle
85.8ch´e´ dicea ch´eran cerbie tanto belle.
86.1Ma per non farlo di ciò mentitore,
86.2e non paresse ch´e´ se n´accorgesse,
86.3e per non crescergli ´l disio maggiore
86.4di più seguirle, ed ancor se potesse
86.5far che lasciasse da sé questo amore,
86.6e, sanza palesargliel, giù ´l ponesse,
86.7ciò c´ha detto fa vista di credègli;
86.8poi ´ncominciò in tal guisa a parlar egli:
87.1– Caro figliuolo, e dolce mio diletto,
87.2per Dio ti priego ti sacci guardare
87.3da quelle cerbie che tu or m´hai detto
87.4ed in malora via le lascia andare:
87.5ché sopra la mia fé io ti prometto
87.6che di Diana son, ch´a diportare
87.7si van pascendo su per questi monti,
87.8l´acque bevendo delle fresche fonti.
88.1Diana, le più volte, va con esse
88.2con le saette e l´arco micidiale,
88.3e se per tua sventura s´avvedesse
88.4che tu le seguitassi, con lo strale
88.5morte ti donerebbe, come spesse
88.6volte ell´ha fatto a chi vuol far lor male;
88.7sanza ch´ell´è grandissima nimica
88.8di noi e della nostra schiatta antica.
89.1Omè, figliuol, ch´a lagrimar mi muove
89.2la morte del mio padre sventurato,
89.3tornandomi a memoria il come e ´l dove
89.4fu da Diana morto e consumato;
89.5o figliuol mio, così m´aiuti Giove,
89.6com´io dirò il vero del suo peccato,
89.7che, come sai, ebbe nome Mugnone
89.8il padre mio, sì com´io Girafone.
90.1La storia saria lunga, a voler dire
90.2ogni parte del suo misero danno,
90.3ma per tosto all´effetto pervenire,
90.4per questi monti andava, come vanno
90.5i cacciator, per le bestie ferire;
90.6e così andando, dopo molto affanno,
90.7´n una piaggia sopra un fiume arrivoe,
90.8il qual Mugnon poi per lui si chiamoe.
91.1E quivi giunto, ad una bella fonte
91.2trovò una ninfa star tutta soletta,
91.3la qual, vedutol, tutta nella fronte
91.4impalidio, e su si levò in fretta
91.5«Omè, omè» dicendo, e giù pel monte
91.6si fuggìa paurosa e pargoletta;
91.7il volonteroso padre a pregarla
91.8incominciò, e poi a seguitarla.
92.1O miser padre, tu non t´avvedevi
92.2che tu correvi dietro alla tua morte;
92.3e´ lacci suoi, tapin, non conoscevi,
92.4dove preso tu fosti con rie sorte;
92.5gl´iddii volesson che, quando correvi
92.6dietro alla ninfa sì veloce e forte,
92.7Diana l´avesse in uccel trasmutata,
92.8o ´n pietra, o ´n alber l´avesse piantata!
93.1Ella non era al fiume giunta appena,
93.2che la raccolta e sottil sua guarnacca
93.3tra le gambe le cadde, e già la lena
93.4perdea, di correr e di dolor fiacca;
93.5lo sciagurato Mugnon gioia ne mena,
93.6avendola già giunta per istracca,
93.7e presa la tenea infra le braccia,
93.8donando baci alla vergine faccia.
94.1Quivi usò forza e quivi violenza,
94.2quivi la ninfa fu contaminata,
94.3quivi ella non poté far resistenza:
94.4o misero garzone, o sventurata
94.5ninfa, quanto dogliosa penitenza
94.6divise amendue voi quella fiata!
94.7Diana, di sul soprastante monte,
94.8abracciati gli vide a fronte a fronte.
95.1Ella gridò: «O miser, quest´è l´ora
95.2che ´nsieme n´anderete nello ´nferno!
95.3voi sarete oggi d´esto mondo fora,
95.4sanza veder di questa state il verno;
95.5e´ vostri nomi faranno dimora
95.6nel fiume dove siete, in sempiterno!».
95.7E poscia l´arco tese con grand´ira,
95.8faccendo de´ duo amanti una sua mira.
96.1A un´otta giunson l´ultime parole
96.2e la freccia che ´nsieme li confisse.
96.3O figliuol mio, io non ti dico fole:
96.4così gl´iddii volesson ch´io mentisse,
96.5che per dolor ancor il cor mi dole!
96.6E´ convenne ch´ognun di lor morisse:
96.7un ferro sol tenea fitti i duo cori;
96.8così finiron quivi i loro amori.
97.1Il sangue del mio padre doloroso
97.2il fiume tinse di rosso colore,
97.3e corse tutto quanto sanguinoso,
97.4e manifesto fe´ questo dolore;
97.5e ´l corpo suo ancor vi sta nascoso,
97.6che mai non se ne seppe alcun sentore
97.7né dove s´arrivasse poi e ´l come,
97.8salvo che ´l fiume ritenne il suo nome.
98.1Dissesi che Diana ragunoe
98.2il sangue della ninfa tutto quanto,
98.3e ´l corpo, insieme con quel, trasmutoe
98.4in una bella fonte dall´un canto
98.5allato al fiume; e così la lascioe,
98.6acciò che manifesto fosse quanto
98.7ell´è crudele, forte e dispietata
98.8a chi l´offende solo una fiata.
99.1Così di mille te ne potre´ dire
99.2che ´n questi monti son fonti ed uccelli,
99.3e qua´ in alber ha fatto convertire,
99.4che misfatto hanno a lei, i tapinelli;
99.5ancor del sangue tuo fece morire,
99.6anticamente, duo carnal fratelli;
99.7però ti guarda, per l´amor di Dio,
99.8dalle sue mani, caro figliuol mio! –
100.1Qui truova Africo Mensola sua
100.2e priegala; ella fugge e non risponde;
100.3lanciali un dardo, e poi si nasconde.
101.1Posto avea fine al suo ragionamento
101.2il vecchio Girafone lagrimando;
101.3Africo ad ascoltarlo molto attento
101.4istava, bene ogni cosa notando;
101.5e come che alquanto di pavento
101.6avesse per quel dir, pur fermo stando
101.7nella sua oppinione, al padre disse:
101.8– Deh, non temer cotesto a me venisse!
102.1Da or innanzi, i´ le lascerò andare,
102.2sed egli avien ch´i´ le truovi più mai;
102.3andianci dunque, padre, omai a posare,
102.4ch´i´ sono stanco, sì m´affaticai
102.5oggi per questi monti, per tornare
102.6di dì a casa, che mai non finai
102.7ch´i´ son qui giunto con molta fatica,
102.8sì ch´io ti priego che tu più non dica. –
103.1Giti a dormir, non fu sì tosto il giorno
103.2ch´Africo si levava prestamente
103.3e negli usati poggi fe´ ritorno,
103.4dove sempre tenea ´l cor e la mente;
103.5sempre mirandosi avanti e dintorno,
103.6se Mensola vedea poneva mente;
103.7e com piacque ad Amor, giunse ad un varco
103.8dov´ella gli era presso ad un trar d´arco.
104.1Ella lo vide prima ch´egli lei,
104.2per ch´a fuggir del campo ella, prendea
104.3Africo la sentì gridar – Omei –
104.4e poi, guardando, fuggir la vedea,
104.5e ´nfra sé disse: «Per certo costei
104.6è Mensola» e poi dietro le correa,
104.7e sì la priega e per nome la chiama,
104.8dicendo: – Aspetta que´ che tanto t´ama!
105.1Deh, o bella fanciulla, non fuggire
105.2colui che t´ama sopra ogni altra cosa;
105.3io son colui che per te gran martìre
105.4sento, dì e notte, sanz´aver mai posa;
105.5io non ti seguo per farti morire,
105.6né per far cosa che ti sia gravosa:
105.7ma sol Amor mi ti fa seguitare,
105.8non nimistà, né mal ch´i´ voglia fare.
106.1Io non ti seguo come falcon face
106.2la volante pernice cattivella,
106.3né ancor come fa lupo rapace
106.4la misera e dolente pecorella,
106.5ma sì come colei che più mi piace
106.6sopra ogni cosa, e sia quanto vuol bella;
106.7tu se´ la mia speranza e ´l mio disio,
106.8e se tu avessi mal, sì l´are´ io.
107.1Se tu m´aspetti, Mensola mia bella,
107.2i´ t´imprometto e giuro sopra i dèi
107.3ch´io ti terrò per mia sposa novella,
107.4ed amerotti sì come colei
107.5che se´ tutto ´l mio bene, e come quella
107.6c´hai in balìa tutti i sensi miei;
107.7tu se´ colei che sol mi guidi e reggi,
107.8tu sola la mia vita signoreggi.
108.1Dunque, perché vuo´ tu, o dispietata,
108.2esser della mia morte la cagione?
108.3Perch´esser vuoi di tanto amor ingrata
108.4verso di me, sanz´averne ragione?
108.5Vuo´ tu ch´i´ mora per averti amata,
108.6e ch´io n´abbia di ciò tal guiderdone?
108.7S´i´ non t´amassi, dunque, che faresti?
108.8So ben che peggio far non mi potresti.
109.1Se tu pur fuggi, tu se´ più crudele
109.2che non è l´orsa quand´ha gli orsacchini,
109.3e se´ più amara che non è il fiele,
109.4e dura più che sassi marmorini;
109.5se tu m´aspetti, più dolce che ´l mèle
109.6sei, o che l´uva ond´esce i dolci vini
109.7e più che ´l sol se´ bella ed avvenente,
109.8morbida e bianca, ed umile e piacente.
110.1Ma i´ veggio ben che ´l pregar non mi vale,
110.2né parola ch´io dica non ascolti,
110.3e di me servo tuo poco ti cale,
110.4e mai indietro gli occhi non hai volti;
110.5ma com´egli esce dell´arco lo strale,
110.6così ten vai per questi boschi folti,
110.7e non ti curi di pruni o di sassi,
110.8che graffian le tue gambe, o di gran massi.
111.1Or poi che di fuggir se´ pur disposta
111.2colui che t´ama, secondo ch´i´ veggio,
111.3sanza a´ mie´ prieghi far altra risposta,
111.4e par che per pregar tu facci peggio,
111.5i´ priego Giove che ´l monte e la costa
111.6ispiani tutta, e questa grazia cheggio,
111.7e pianura diventi umile e piana,
111.8ch´al correr non ti sia cotanto strana.
112.1E priego voi, iddii, che dimorate
112.2per questi boschi e nelle valli ombrose,
112.3che, se cortesi foste mai, or siate
112.4verso le gambe candide e vezzose
112.5di quella ninfa, e che voi convertiate
112.6alberi e pruni e pietre ed altre cose,
112.7che noia fanno a´ piè morbidi e belli,
112.8in erba minutella e ´n praticelli.
113.1Ed io, per me, omai mi rimarroe
113.2di più seguirti, e va´ ove ti piace,
113.3e nella mia malora mi staroe
113.4con molte pene, sanz´aver mai pace;
113.5e sanza dubbio al fin ch´i´ ne morroe,
113.6ch´i´ sento ´l cor che già tutto si sface
113.7per te, che ´l tieni in sì ardente foco,
113.8e mancali la vita a poco a poco. –
114.1La ninfa correa sì velocemente,
114.2che parea che volasse, e´ panni alzati
114.3s´avea dinnanzi per più prestamente
114.4poter fuggir, e aveasegli attaccati
114.5alla cintura, sì ch´apertamente,
114.6di sopra a´ calzerin ch´avea calzati,
114.7mostra le gambe e ´l ginocchio vezzoso,
114.8ch´ognun ne diverria disideroso.
115.1E nella destra mano aveva un dardo
115.2il qual, quand´ella fu un pezzo fuggita,
115.3si volse indietro con rigido sguardo,
115.4e diventata per paura ardita
115.5quello lanciò col buon braccio gagliardo,
115.6per ad Africo dar mortal ferita;
115.7e ben l´arebbe morto, se non fosse
115.8che ´n una quercia innanzi a lui percosse.
116.1Quand´ella il dardo per l´aria vedea
116.2zufolando volar, e poi nel viso
116.3guardò del suo amante, il qual parea
116.4veracemente fatto in paradiso,
116.5di quel lanciar forte se ne pentea,
116.6e tocca di pietà lo mirò fiso,
116.7e gridò forte: – Omè, giovane, guarti,
116.8ch´i´ non potrei omai di questo atarti! –
117.1Il ferro era quadrato e affusolato
117.2e la forza fu grande, onde si caccia
117.3entro la quercia, e tutt´oltre è passato,
117.4come se dato avesse in una ghiaccia;
117.5ell´era grossa sì ch´aggavignato
117.6un uomo non l´arebbe con le braccia;
117.7ella s´aperse, e l´aste oltre passoe,
117.8e più che mezza per forza v´entroe.
118.1Mensola allor fu lieta di quel tratto,
118.2che non aveva il giovane ferito,
118.3perché già Amor l´avea del cor tratto
118.4ogni crudel pensiero, e fatto ´nvito;
118.5non però ch´ella aspettarlo a niun patto
118.6più lo volesse, o pigliasse partito
118.7d´esser con lui, ma lieta saria stata
118.8di non esser da lui più seguitata.
119.1E poi da capo a fuggir cominciava
119.2velocissimamente, poi che vide
119.3che ´l giovinetto pur la seguitava
119.4con ratti passi e con prieghi e con gride;
119.5per ch´ella innanzi a lui si dileguava,
119.6e grotte e balzi passando ricide,
119.7e ´n sul gran colle del monte pervenne,
119.8dove sicura ancor non vi si tenne.
120.1Ma di là passa molto tostamente,
120.2dove la piaggia d´alberi era spessa,
120.3e sì di fronde folta, che niente
120.4vi si scorgeva dentro: per che messa
120.5si fu la ninfa là tacitamente,
120.6e come fosse uccel, così rimessa
120.7nel folto bosco fu, tra verdi fronde
120.8di bei querciuol, che lei cuopre e nasconde.
121.1Africo qui nell'amor si raccese
121.2quando il parlare di Mensola intese.
122.1Diciamo un poco d´Africo, che, quando
122.2vide il lanciar che la ninfa avea fatto,
122.3alquanto sbigottì, ma poi ascoltando
122.4il gridar «Guarti guarti» con un atto
122.5assai pietoso verso lui mostrando
122.6con la luce degli occhi, che ´n un tratto
122.7gli ferì ´l core e fecel più bramoso
122.8di seguitarla, e più volonteroso.
123.1E come fa ´l tizzon ch´è presso a spento,
123.2e sol rimasa v´è una favilla,
123.3ma poi che sente il gran soffiar del vento,
123.4per forza il foco fuor d´esso ne squilla,
123.5e diventa maggior per ognun cento;
123.6tal Africo sentì, quando sentilla
123.7a lui parlar con sì pietosa boce,
123.8maggiore ´l foco che lo ´ncende e coce.
124.1E gridò forte: – Ora volesse Giove,
124.2poi che tu vuo´, che tu m´avessi morto
124.3a questo tratto, acciò che le tue pruove
124.4fosson compiute, avendomi al cor porto
124.5l´aguto ferro, il qual percosse altrove;
124.6e come che tu abbia di ciò ´l torto,
124.7i´ pur sare´ contento d´esser fore,
124.8per le tue man, delle fiamme d´Amore. –
125.1Ismarrisce Africo Mensola; torna
125.2a casa e dice si sente gran duolo;
125.3duolsi di Vener e Amor suo figliuolo,
125.4po´ s´adormenta in sul suo letticciuolo.
126.1Appena avea finito il suo parlare
126.2Africo, quando Mensola giugnea
126.3in sul gran monte, e videla passare
126.4dall´altra parte, e più non la vedea;
126.5onde di ciò molto mal gliene pare,
126.6perch´ella innanzi a lui tal campo avea
126.7ch´e´ temea forte che lei di veduta,
126.8com´egli avvenne, non aver perduta.
127.1E lassù giunto dopo molto affanno,
127.2gli occhi a mirar di lei subito pone;
127.3e come i cacciatori spesso fanno
127.4quando levata s´è la cacciagione,
127.5e di veduta poi perduta l´hanno,
127.6con la testa alta vanno baloccone,
127.7correndo or qua or là, or fermi stando,
127.8e come smemorati dimorando;
128.1tal Africo faceva in sul gran monte,
128.2di lei mirando con alzato volto,
128.3e con le man si percotea la fronte,
128.4e di fortuna ria si dolea molto,
128.5che già gli aveva fatte dimolte onte;
128.6e poi ne giva verso il bosco folto,
128.7poi ritornava indietro e dicea: «Forse
128.8ch´ella da questa mano il cammin torse».
129.1E tosto là, correndo, se n´andava,
129.2se vederla potesse in nessun lato,
129.3e poi che non la vede, ritornava
129.4in altro loco, molto addolorato;
129.5e poi ch´andata fosse s´avvisava
129.6da un´altra parte, ma ´l pensier fallato
129.7tuttavia li venìa, onde che farsi
129.8e´ non sapea, né dove più cercarsi.
130.1E ben dicea fra sé: «Forse costei
130.2in questo bosco grande s´è nascosa;
130.3e s´ella v´è, mai non la troverei,
130.4se menar non vedessi alcuna cosa,
130.5e più d´un mese cercar ne potrei
130.6la piaggia tutta per le fronde ombrosa;
130.7e non ci veggio donde entrata sia,
130.8né fatta per lo bosco alcuna via.
131.1Né ´l cor giammai mi dare´ d´avvisare
131.2in qual parte sia ita, tante sono
131.3le vie dond´ella se ne puote andare:
131.4e se a cercar di lei più m´abandono,
131.5per avventura il contrario cercare
131.6potre´ dov´ella fosse, onde tal dono,
131.7chente aver mi parea, non prender mai,
131.8ond´io rimaso son con molti guai.
132.1Né so s´io me ne vo, né s´io m´aspetti
132.2se riuscir la veggio in nessun lato,
132.3benché sì folti son questi boschetti,
132.4che vi staria a cavallo un uom celato
132.5sanza d´esser veduto aver sospetti;
132.6e pognàn pur ch´ella uscisse d´aguato:
132.7più ch´un buon mezzo miglio di lontano
132.8da me uscirebbe, ond´io correrei ´nvano».
133.1E poi guardò il sol, che presso all´ora
133.2di nona era venuto, onde dicea:
133.3«Poi che io son d´ogni speranza fora
133.4d´aver colei, la qual i´ mi credea,
133.5i´ non vo´ più quinci oltre far dimora»,
133.6tornandogli a memoria quel ch´avea
133.7raccontatogli il padre, il dì davanti,
133.8come fûr morti insieme i due amanti.
134.1Dall´altra parte Amor gli facea dire:
134.2«I´ non curo Diana, pur che io
134.3sol una volta empiessi il mio disire,
134.4ché poi contento sarebbe il cor mio;
134.5e se mi convenisse poi morire,
134.6n´andre´ contento ringraziando Iddio;
134.7ma di lei più che di me mi dorrebbe:
134.8s´ella morisse per me, mal sarebbe».
135.1Cota´ ragionamenti rivolgendo
135.2Africo in sé, vi dimorò gran pezza,
135.3né che si far né che dir non sappiendo,
135.4tanto Amor lo lusinga e sì l´avvezza;
135.5e nella fin pur partito prendendo,
135.6che, per non dar al padre suo gramezza,
135.7d´a casa ritornar contro a sua voglia;
135.8così si mise in via con molta doglia.
136.1Così sen torna Africo malcontento,
136.2rivolgendosi indietro ad ogni passo,
136.3istando sempre ad ascoltare attento
136.4se Mensola vedea, dicendo: «Lasso
136.5a me tapino, in quanto rio tormento
136.6rimango, e d´ogni ben privato e casso!».
136.7E – Tu rimani, o Mensola? – chiamando,
136.8più e più volte indietro ritornando.
137.1Molto sarebbe lungo chi volesse
137.2le volte raccontar che e´ tornava
137.3indietro e innanzi, tant´erano spesse,
137.4per ogni foglia che si dimenava;
137.5e quanta doglia dentro al cor avesse,
137.6ognuno il pensi, e quanto gli gravava
137.7di partir quindi; ma per dir più brieve,
137.8a casa si tornò con pena grieve.
138.1Alla qual giunto, in camera ne gìa
138.2sanza da padre o madre esser veduto,
138.3e ´n sul suo picciol letto si ponia,
138.4sentendosi già al cor esser venuto
138.5Cupìdo, il qual già sì forte ´l feria,
138.6che volentieri arebbe allor voluto,
138.7morendo, uscir di tanta pena e noia,
138.8veggendosi privato di tal gioia.
139.1E tutto steso in sul letto bocconi,
139.2Africo sospirando dimorava;
139.3e sì lo punson gli amorosi sproni,
139.4che – Omè, omè – per tre volte gridava
139.5sì forte, ch´agli orecchi que´ sermoni
139.6della sua madre vennon, che si stava
139.7´n un orticello allato alla casetta,
139.8e ciò udendo in casa corse in fretta.
140.1E nella cameretta ne fu andata,
140.2del suo figliuol la boce conoscendo,
140.3e giunta là, si fu maravigliata,
140.4il suo figliuol boccon giacer veggendo;
140.5per che con boce rotta e sconsolata
140.6lui abbracciò, – Caro figliuol, – dicendo –
140.7deh, dimmi la cagion del tuo dolere,
140.8e donde vien cotanto dispiacere.
141.1Deh, dimmel tosto, caro figliuol mio,
141.2dove ti senti la pena e ´l dolore,
141.3sì che io possa, medicandoti io,
141.4cacciar da te ogni doglia di fore;
141.5deh, leva ´l capo, dolce mio disio,
141.6ed un poco mi parla per mio amore:
141.7i´ son la madre tua che t´allattai,
141.8e nove mesi in corpo ti portai. –
142.1Africo, udendo quivi esser venuta
142.2la sua tenera madre, fu cruccioso
142.3perch´ella s´era di lui avveduta;
142.4ma fatto già per amor malizioso,
142.5tosto nel cor gli fu scusa caduta,
142.6e ´l capo alzò col viso lagrimoso,
142.7e disse: – Madre mia, quando tornava,
142.8istaman, caddi, e tutto mi fiaccava.
143.1Poi mi rizzai, e rimasemi al fianco
143.2una gran doglia, ch´appena tornare
143.3potei ´nfin qui, e divenni sì stanco
143.4che sopra me non pote´ dimorare,
143.5ma come neve al sol veniva manco;
143.6per ch´io mi venni in sul letto a posare,
143.7e parmi alquanto la doglia ita via,
143.8che prima tanto forte m´impedia.
144.1E però, madre mia, se tu m´hai caro,
144.2ti priego che di qui facci partenza,
144.3e, per Dio, questo non ti sia discaro,
144.4ché ´l favellar mi dà gran penitenza,
144.5né veggio alla mia doglia altro riparo;
144.6or te ne va´, sanza più resistenza
144.7far al mio dir, ché per certo conosco
144.8che ´l più parlar m´è velenoso tòsco. –
145.1E questo detto, il capo giù ripose,
145.2sanza più dir, ma forte sospirando.
145.3La madre, avendo udito queste cose,
145.4con seco venne alquanto ripensando,
145.5dicendo: «E´ mi s´accosta che gravose
145.6e maggior pena gli sia favellando,
145.7ché forse gli rimbomba quella boce
145.8dove la doglia nel fianco gli nuoce».
146.1E della camera uscita, in sul letto
146.2lasciò ´l figliuol pien di molti sospiri,
146.3il qual po´ che si vide esser soletto,
146.4d´Amor si dolea forte e de´ martirî,
146.5i qua´ crescean nel non usato petto
146.6con maggior forza e più caldi disiri
146.7che prima non facean, dicendo: «I´ veggio
146.8ch´Amor mi tira pur di mal in peggio.
147.1I´ mi sento arder dentro tutto quanto
147.2dall´amorose fiamme, e consumare
147.3mi sento ´l petto e ´l core da ogni canto,
147.4né non mi può di questo alcuno atare,
147.5né conforto donar, poco né quanto;
147.6sol una è quella che mi può donare,
147.7s´ella volesse, aiuto e darmi pace,
147.8e di me sol può far quanto le piace.
148.1E tu sola, fanciulla bionda e bella,
148.2morbida, bianca, angelica e vezzosa,
148.3con leggiadro atto e benigna favella,
148.4fresca e giuliva più che bianca rosa
148.5ed isplendente sopra ogni altra stella,
148.6se´, che mi piaci più ch´ogni altra cosa,
148.7e sola te con disidèro bramo,
148.8e giorno e notte ed ognora ti chiamo.
149.1Tu se´ colei ch´alle mie pene e guai
149.2sola potresti buon rimedio porre;
149.3tu se´ colei che nelle tue mani hai
149.4la vita mia, e non la ti posso tôrre;
149.5tu se´ colei la qual, se tu vorrai
149.6me da misera morte potrai storre;
149.7tu se´ colei che mi puo´ atar, se vuoi:
149.8così volessi tu, come tu puoi!».
150.1E poi diceva: «Oh me lasso dolente,
150.2che tu se´ tanto dispietata e dura,
150.3e tanto se´ selvaggia dalla gente,
150.4che hai di chi ti mira gran paura;
150.5e di mia vita non curi niente,
150.6la qual in carcer tenebrosa e scura
150.7istà per te, e tu, lasso, nol credi
150.8ch´i´ per te senta quel che tu non vedi».
151.1Poi, sospirando, a Vener si volgea,
151.2dicendo: – O santa iddea, la quale suoi
151.3ogni gran forza vincer, che volea
151.4difesa far contro a li dardi tuoi,
151.5e niun da te difendersi potea,
151.6ora mi par che vincer tu non puoi
151.7una fanciulla tenera, la quale
151.8la forza tua contra lei poco vale.
152.1Tu hai perduto ogni forza e valore
152.2contro di lei; e lo ´ngegno sottile,
152.3che suol aver il tuo figliuol Amore
152.4contro ad ogni cor villano e gentile,
152.5perduto l´ha contro al gelato core,
152.6il qual ogni tua forza tien a vile,
152.7e sprezza l´arco e l´agute saette
152.8che solea far con esse tue vendette.
153.1Tu ti credesti forse lei pigliare
153.2agevolmente come me pigliasti
153.3e nel gelato petto tosto entrare
153.4co´ tuoi ´ngegni, come nel mio entrasti:
153.5ma ella fe´ le frecce rintuzzare
153.6con le qua´ di passarla t´ingegnasti;
153.7ed io, tapin, che non fe´ difensione,
153.8rimaso son in eterna prigione.
154.1Né spero d´essa giammai riuscire,
154.2né pace aver né triegua né riposo,
154.3ma ben aspetto che maggior martìre
154.4mi cresca ognor col pensier amoroso,
154.5il qual al fin farà del corpo uscire
154.6l´anima trista con pianto noioso,
154.7e gir fra l´ombre nere a suo dispetto:
154.8e questo fia di me l´ultimo effetto.
155.1Ed io ti cheggio, Morte, poi che dèi
155.2medicina esser di mia amara vita;
155.3perché contro a mia voglia viverei,
155.4se non mi dài nel cor la tua ferita,
155.5e sempre mai di te io mi dorrei,
155.6e se tu vien, sarai da me gradita;
155.7dunque, vien tosto, e scio´ questa catena,
155.8con la qual son legato in tanta pena. –
156.1Poi, detto questo, forte lagrimando,
156.2si ricordò del dardo il qual lanciato
156.3gli avea la bella ninfa, e poscia quando
156.4con pietose parole avea parlato
156.5ch´egli schifasse il dardo, che volando
156.6venìa vêr lui per l´aria affusolato;
156.7quelle parole gli davan fidanza
156.8alcuna di pietà con isperanza.
157.1Così piangendo e sospirando forte
157.2lo ´nnamorato giovane in sul letto,
157.3bramando vita e chiamando la morte,
157.4isperando e temendo con sospetto,
157.5lo dio del sonno uscì delle gran porte
157.6e fece adormentare il giovinetto,
157.7il qual per le fatiche era sì stanco,
157.8che quasimente venìa tutto manco.
158.1La maestrevol madre colto avea
158.2d´erbe gran quantità, per un bagnuolo
158.3far a quel mal, il qual ella credea
158.4che nel fianco sentisse il suo figliuolo,
158.5sì come quella che non conoscea
158.6onde veniva l´angoscioso duolo;
158.7e mentre che tal opera dispone,
158.8a casa ritornava Girafone.
159.1Il qual del caro figlio domandava,
159.2se in quel giorno a casa era tornato.
159.3La donna, ch´Alimena si chiamava,
159.4di sì rispose, e poi gli ha raccontato
159.5il fatto tutto, e come gli gravava
159.6sì lo parlar che solo l´ha lasciato,
159.7perché si possa a suo modo posare:
159.8– Però ti priego che tu ´l lasci stare.
160.1I´ ho fatto un bagnuol molto verace
160.2a quella doglia, il qual, poscia ch´alquanto
160.3riposato sarà quanto a lui piace,
160.4il bagneren´ con esso tutto quanto;
160.5questo bagnuol ogni doglia disface
160.6e sanerallo dentro in ogni canto:
160.7però lo lascia star quanto si vuole,
160.8ché quando parla, il fianco più gli duole. –
161.1Il paterno amor non sofferse stare
161.2che non vedesse subito ´l figliuolo;
161.3udendo quelle cose raccontare
161.4alla sua donna, al cor sentì gran duolo,
161.5e nella cameretta volle andare,
161.6ov´Africo dormia ´n sul letticciuolo;
161.7e veggendol dormir, lo ricopria
161.8e tostamente quindi se n´uscia.
162.1E disse alla sua donna: – O cara sposa,
162.2nostro figliuol mi pare adormentato,
162.3e molto ad agio in sul letto si posa,
162.4si ch´a destarlo mi parria peccato,
162.5e forse gli saria cosa gravosa,
162.6se io l´avessi del sonno isvegliato. –
162.7– E tu di´ ver, – rispondeva Alimena –
162.8lascial posar, e non gli dar più pena. –
163.1Poscia che ´l sonno ebbe Africo tenuto
163.2nelle sue reti gran pezza legato,
163.3e fu nel petto suo tutto soluto,
163.4un gran sospir gittando, fu svegliato;
163.5e poi che vide non esser veduto,
163.6nel suo primo dolor fu ritornato,
163.7e non gli era però di mente uscito
163.8il dolce sguardo che l´avea ferito.
164.1Ma per non far la cosa manifesta
164.2al padre, che sentito già l´avea,
164.3su si levò faccendo sopravesta,
164.4col viso infinto, ad Amor che ´l pungea;
164.5e poi ch´alquanto il bel viso e la testa
164.6e gli occhi col lenzuol netto s´avea,
164.7perch´era ancor di lagrime bagnato,
164.8poi uscì fuori, un pochetto turbato.
165.1Girafon, quando ´l vide, tostamente
165.2gli si faceva incontro, domandando
165.3del caso suo e poi come si sente;
165.4ed Alimena ancora, lui mirando,
165.5il domandava, e que´ diceva: – Niente
165.6quasi mi sento, e dicovi che, quando
165.7i´ mi destai, mi senti´ andato via
165.8la doglia che sì forte m´impedia. –
166.1Nondimen fece il padre apparecchiare
166.2il bagnuol caldo perché si bagnasse:
166.3ed e´ vi si bagnò, per dimostrare
166.4ch´altra pena non fosse che ´l noiasse.
166.5O Girafon, tu nol sai medicare,
166.6e non potresti far che si saldasse
166.7con bagnuol la ferita che fe´ Amore:
166.8e non la vedi, ch´è nel mezzo al core!
167.1Ma lasciàn qui che, poi che fu bagnato,
167.2passò quel giorno assai malinconoso;
167.3e l´altro e ´l terzo e ´l quarto egli ha passato
167.4con molte pene senz´alcun riposo,
167.5e già, ogni diletto abandonato,
167.6sanza mai rallegrarsi sta pensoso;
167.7né mai partiva il pensier da colei,
167.8per cui dì e notte chiamava gli omei.
168.1Già padre e madre e tutt´altre faccende
168.2gli uscian di mente sanz´averne cura,
168.3né più a niuna cosa non attende,
168.4lasciandole menare alla ventura;
168.5ma ogni suo pensier in quella spende,
168.6la qual il tien in tal prigione oscura,
168.7e solo in lei ha posto ogni sua speme,
168.8e di lei ha paura, e lei sol teme.
169.1Esso, quando poteva in nessun loco
169.2che veduto non fosse ritrovarsi,
169.3quivi, sfogando l´amoroso foco,
169.4dogliendosi d´Amor poneva a starsi;
169.5e sol questo era suo sollazzo e gioco,
169.6quando potea con agio lamentarsi
169.7e ricordar i casi intervenuti,
169.8ch´eran tra lui e la sua amante suti.
170.1Continovando adunque in tal lamento
170.2Africo, ognora crescendogli pena,
170.3e già sì stanco l´aveva il tormento,
170.4ch´avea perduto la forza e la lena;
170.5vivea contra sua voglia, malcontento,
170.6e già sì stretto l´avea la catena
170.7d´Amor, che quasi punto non mangiava,
170.8e più di giorno in giorno lo stremava.
171.1Già fuggito era il vermiglio colore
171.2del viso bello, e magro divenuto,
171.3e ´n esso già si vedea ´l palidore
171.4e gli occhi in dentro col mirar aguto;
171.5e trasformato sì l´avea il dolore,
171.6ch´appena si saria riconosciuto
171.7a quel ch´esser solea prima che preso
171.8fosse d´Amor, e dalle fiamme offeso.
172.1Sì gran dolor il padre ne portava,
172.2che raccontar non vel potre´ giammai;
172.3e con parole spesso il confortava,
172.4dicendo: – Figliuol mio, dimmi che hai
172.5e che è quella cosa che ti grava:
172.6ch´i´ ti prometto che, se ´l mi dirai,
172.7pur che sia cosa che possibil sia,
172.8per certo tu l´arai in fede mia.
173.1E s´ell´è cosa che non si potesse
173.2aver per forza o per ingegno umano,
173.3provederem s´altro modo ci avesse
173.4a cacciar via questo pensier villano,
173.5acciò che tanta noia non ti desse,
173.6e che tu torni, com´esser suoi, sano;
173.7e non può esser che qualche consiglio
173.8non ti doni buon, caro mio figlio. –
174.1Simile ancora la sua madre cara
174.2il domandava spesso qual cagione
174.3fosse della sua vita tanto amara,
174.4che ´l conduceva a tanta turbagione,
174.5dicendo: – Figlio, tanto me discara
174.6questa tua angoscia, ch´a disperazione
174.7i´ credo venir tosto, poi ch´i´ veggio
174.8che ogni giorno vai di mal in peggio. –
175.1Niun´altra cosa Africo rispondea,
175.2se non che nulla di mal si sentia,
175.3e la cagion di questo non sapea;
175.4alcuna volta pur acconsentia
175.5ch´un poco il capo o altro gli dolea,
175.6perché di più domandarlo ristia;
175.7onde più volte egli era medicato
175.8non di quel mal che saria bisognato.
176.1Adunque, in cotal vita dimorando,
176.2Africo, un giorno, essendo con l´armento
176.3del suo bestiame, quind´oltre guardando,
176.4sen giva in qua e ´n là con passo lento;
176.5sempre della sua amante gìa pensando,
176.6per la qual dimorava in tal tormento;
176.7poi una fonte vide molto bella
176.8presso di lui, più chiara ch´una stella.
177.1Ell´era tutta d´alber circundata,
177.2e verdi fronde che faceano ombria
177.3ad essa; e poi ch´alquanto l´ha mirata,
177.4a piè di quella a seder si ponia,
177.5pensando alla sua vita sventurata,
177.6e dove Amor condotto già l´avia;
177.7poi si specchiava nell´acqua, e pon cura
177.8quanto fatta era la sua faccia scura.
178.1Per che, pietà di se stesso gli venne,
178.2veggendosi sì forte sfigurato,
178.3e le lagrime punto non ritenne,
178.4ma forte a pianger ch´egli ha cominciato,
178.5maladicendo ciò che gl´intervenne
178.6il primo giorno che fu ´nnamorato,
178.7dicendo: «Lasso a me, a che periglio
178.8veggio la vita mia sanza consiglio!».
179.1E con la man la gota sostenendo,
179.2in sul ginocchio il gomito posava,
179.3e sì diceva, tuttavia piangendo:
179.4«Oh me dolente, la mia vita prava!
179.5ch´ella si va come neve struggendo
179.6al sol, tanto questa doglia la grava,
179.7e come legno al fuoco mi divampo,
179.8né veggio alcun riparo allo mio scampo.
180.1Io non posso fuggir che io non ami
180.2questa crudel fanciulla che m´ha preso
180.3il cor, e ch´io non lei sempre ma´ brami
180.4sopra ogni cosa; e poi veggio ch´offeso
180.5i´ son sì forte da questi legami,
180.6che giorno e notte i´ sto in foco acceso,
180.7sanza speranza d´uscirne giammai,
180.8se morte non pon fine a questi guai».
181.1E poi, guardando, vide nel suo armento
181.2le belle vacche e´ giovenchi scherzare;
181.3vedea ciascuno il suo amor far contento,
181.4e l´un con l´altro si vedea baciare;
181.5sentia gli uccei con dolce cantamento
181.6ed amorosi versi rallegrare,
181.7e gir l´un dietro all´altro sollazzando,
181.8e gli amorosi effetti gir pigliando.
182.1Africo, questo veggendo, dicea:
182.2«O felici animai, quanto voi sete
182.3più di me amici di Venere iddea,
182.4e quanto i vostri amor più lieti avete,
182.5e con maggior piacer ch´i´ non credea,
182.6e quanto più di me lodar dovete
182.7or de´ vostri amori e bei piaceri,
182.8ch´e´ v´ha prestati sì compiuti e ´nteri!
183.1Voi ne cantate e menatene gioia,
183.2manifestando la vostra allegrezza,
183.3ed io ne piango con tormento e noia,
183.4e giorno e notte menando gramezza,
183.5e veggio pur ch´al fin convien ch´i´ muoia:
183.6così mi liberrò d´ogni gravezza,
183.7sanz´aver mai avuto alcun diletto,
183.8di quella che m´ha ´l cor tanto costretto!».
184.1E dopo un gran sospir, sì fortemente
184.2a pianger cominciava il giovinetto,
184.3e le lagrime sì abondevolmente
184.4gli uscian degli occhi, che le guance e ´l petto
184.5parevan fatte un fiumicel corrente
184.6tant´era dalla gran doglia costretto;
184.7poi nella fonte bella si specchiava,
184.8e con l´ombra di se stesso parlava.
185.1Poi che si fu con lei molto doluto,
185.2e la fonte di lagrime ripiena,
185.3e molti pensier vari avendo avuto,
185.4alquanto di più pianger si raffrena,
185.5per un pensier che nel cor gli è venuto
185.6ch´alquanto mitigò la grieve pena,
185.7tornandogli a memoria la speranza,
185.8che gli diè Vener sopra sua leanza.
186.1Ma veggendo l´effetto non venire
186.2di tal promessa, e sé condotto a tale
186.3che ´n brieve tempo gli convien morire,
186.4disse: «Forse che Vener, del mio male
186.5non si ricorda, né del mio martire,
186.6né vede come morte ria m´assale».
186.7Per che, con sacrificio ed onor farle,
186.8propose la ´mpromessa rammentarle.
187.1E ´n piè levato, se ne giva in parte,
187.2donde vedeva il ciel meglio scoperto:
187.3e quivi, con fucile e con su´ arte,
187.4il foco accese molto chiaro e aperto,
187.5e poi con un coltel taglia e diparte
187.6dimolte legne, e ´l foco n´ha coperto;
187.7e ratto poi prese una pecorella
187.8del suo armento, molto grassa e bella.
188.1E quella presa, la condusse al foco
188.2e quivi tra le gambe la si mise,
188.3e come que´ che ben sapeva il gioco,
188.4nella gola ferendola l´uccise,
188.5e ´l sangue uscendo fuori a poco a poco
188.6sopra ´l foco lo sparse; e poi divise
188.7la pecorella, e duo parti n´ha fatto,
188.8e nel foco la mise molto ratto.
189.1L´una parte per Mensola vi misse,
189.2l´altra in suo nome volle che v´ardesse,
189.3per veder se miracol n´avenisse
189.4per lo quale speranza ne prendesse,
189.5o buona o rea, pur che ella venisse,
189.6acciò sapesse che sperar dovesse;
189.7e poi si mise in terra ginocchione,
189.8faccendo a Vener cotale orazione:
190.1– O santa iddea, la cui forza e valore
190.2ogni altra passa mondana e celesta,
190.3o Vener bella, col tuo figlio Amore,
190.4che fere i cori e gli animi molesta,
190.5a te ricorro con divoto core,
190.6sì come quella c´hai in tua podesta
190.7il cor di tutti, ché questo mio priego
190.8degni ascoltar, e non mi facci niego.
191.1Tu sai, iddea, come agevolmente
191.2i´ mi lascia´ pigliar al tuo figliuolo,
191.3il giorno che Diana parimente
191.4vidi alla fonte con l´adorno stuolo
191.5delle sue ninfe, e come tostamente
191.6nel cor sentii delle tue frecce il duolo,
191.7per una ch´io vi vidi tanto bella
191.8che sempre poi m´è stata nel cor quella.
192.1E quanti sien poi stati i miei martiri,
192.2ch´i´ ho per lei patiti e sostenuti,
192.3e l´angosciose pene ed i sospiri,
192.4assai ben chiar gli puo´ aver conosciuti;
192.5e quanto la fortuna a´ miei disiri
192.6contraria è stata, posson esser suti
192.7ver testimoni i boschi tutti quanti
192.8di questa valle, sì gli ho pien di pianti!
193.1Ancora il viso mio assai palese
193.2fa manifesto come la mia vita
193.3è stata e sta ancora in fiamme accese,
193.4e che tosto morendo fia finita,
193.5e fuor di tutte quante le tue offese,
193.6se prima la tua forza non l´aita;
193.7e se non pon´ rimedio alla mia pena,
193.8morte mi scioglierà di tal catena.
194.1Tu prima fosti che principio desti
194.2alla mia angoscia, e che in visione
194.3venendo a me col tuo figliuol, dicesti
194.4ch´io seguissi la mia oppinione;
194.5e detto questo, poi mi promettesti,
194.6come tu sai, che sanza tardagione,
194.7che tosto il mio amor verria in effetto;
194.8poi mi lasciasti ferito in sul letto.
195.1Per che del tuo parlar presi speranza,
195.2e l´animo disposi ad amar quella
195.3avendo in te di ciò ferma fidanza
195.4ed un giorno trovandola, quand´ella
195.5mi vide, di me prese gran dottanza,
195.6ed a fuggir si diè crudele e fella,
195.7e sì veloce che una saetta,
195.8quand´esce d´arco, non va tanto in fretta.
196.1Né mai pote´, con lusinghe o preghiera,
196.2far ch´ella mai aspettar mi volesse,
196.3ma com´un veltro se ne gìa leggiera,
196.4mostrando ben che poco le calesse
196.5della mia vita; e poi ardita e fera,
196.6veggendo ch´a seguirla aveva messe
196.7tutte mie forze, si volse, ed un dardo
196.8ver me lanciò col bel braccio gagliardo.
197.1Allor potestù ben vedere, o dea,
197.2che morto da quel colpo saria stato,
197.3se un albero non fosse, il qual avea
197.4davanti a me, che ´l colpo ebbe arestato.
197.5Poi passò ´l monte, e più non la vedea,
197.6lasciando me tapino e sconsolato;
197.7né pote´ poi ritrovarla giammai,
197.8ond´io rimaso son con molti guai.
198.1Ond´io ti priego, iddea, per tutti i prieghi
198.2che far si posson per l´umana gente,
198.3ch´un poco gli occhi tuoi verso me pieghi,
198.4e mira la mia vita aspra e dolente
198.5pietosamente, e che nel cor tu leghi
198.6di Mensola il tuo figlio strettamente,
198.7sì ch´a lei facci come a me sentire
198.8le fiaccole amorose col martìre.
199.1E se tu questo non volessi fare,
199.2ti priego almen che, quando la mia vita
199.3verrà a morte, che poco più stare
199.4potrà che le converrà far partita
199.5di questo mondo e ´l corpo abandonare,
199.6che la mia amante veggia mia finita,
199.7e che la morte mia non le sia gioia
199.8almen, poi che la vita mia l´è noia. –
200.1A pena avea finita l´orazione
200.2Africo, quando, nel foco mirando,
200.3vide che ´n esso era arso ogni tizzone,
200.4e che la pecorella, su levando,
200.5l´una parte con l´altra s´accozzone,
200.6come fu mai, e poi, forte belando,
200.7sanz´arder punto stette ritta un poco,
200.8e poi, ardendo, ricadde nel foco.
201.1Questo miracol donò gran conforto
201.2ad Africo ch´ancora lagrimava,
201.3parendogli vedere assai iscorto,
201.4che Vener l´orazion sua accettava,
201.5la qual divotamente l´avea porto;
201.6per che sovente la dea ringraziava,
201.7parendogli il miracol buon segnale
201.8da dover aver fine omai ´l suo male.
202.1E perché già il sol era calato
202.2in occidente, e poco si vedea,
202.3tutto l´armento suo ebbe adunato,
202.4e ´nverso il suo ostello il conducea,
202.5dove, nel volto assai più che l´usato
202.6e nella vista allegro, vi giugnea,
202.7e dove fu dal padre suo raccolto
202.8e dalla madre ancor con lieto volto.
203.1Ma poi che nel ciel già tutte le stelle
203.2si vedean e la notte era venuta,
203.3cenaron tutti, e dopo assai novelle
203.4d´una cosa e d´un´altra intervenuta,
203.5Africo, ch´avea poco il core a quelle,
203.6la stanza quivi gli era rincresciuta;
203.7per che a dormir s´andò tutto soletto,
203.8da speranza e pensier nuovi costretto.
204.1Ma prima che dormir punto potesse,
204.2o che sonno gli entrasse nella testa,
204.3migliaia di volte credo si volgesse
204.4pel letticciuol, d´altra parte or da questa,
204.5mostrando ben che tutto il core avesse
204.6fisso a colei che tanto lo molesta;
204.7ma pure, atato forte da speranza,
204.8del sì e del no stava in dubitanza.
205.1Pur alla fine, già press´al mattino,
205.2il sonno vinse gli occhi dell´amante:
205.3e leggiermente dormendo supino,
205.4Venere iddea gli venne davante,
205.5e ´n collo avea Amor, picciol fantino,
205.6con l´arco e le saette minacciante;
205.7poi gli pareva che Venere iddea
205.8cota´ parole verso lui dicea:
206.1– Lo sacrificio tuo e l´orazione
206.2che mi facesti fu da me accettata,
206.3per modo che n´arai buon guiderdone
206.4da me, di quel che fu´ da te pregata:
206.5ed abbi certa e ferma oppinione
206.6che la mia forza non ti fia negata
206.7in tuo aiuto e quella del mio figlio,
206.8se tu seguir vorrai il mio consiglio.
207.1Fatti una vesta fatta in tale stile
207.2ch´ella sia larga e lunga insino a´ piedi,
207.3tutta ritratta ad atto feminile;
207.4poi d´un arco e d´un dardo ti provedi,
207.5a modo d´una ninfa tutto umile;
207.6poi ti metti a cercar se tu la vedi.
207.7Tu parrai, come lor, ninfa per certo,
207.8se tu saprai con lor andar coperto.
208.1E se tu truovi Mensola, con lei
208.2piacevolmente a parlare enterrai
208.3di cose sante e di cose d´iddei,
208.4e con lei ragionando ti starai.
208.5E perché sappi ben ciò che far déi,
208.6questo mio figlio nel cor tu arai,
208.7e ben t´insegnerà dire ogni cosa
208.8che fia a lei piacente e graziosa.
209.1E quando ´l tempo ti vedi più bello,
209.2e tu a lei allor ti manifesta:
209.3ella si fuggirà, sì come uccello
209.4seguito dal falcon per la foresta,
209.5ma fa´ che tu non fossi tanto fello
209.6che, quando ti palesi, ella più presta
209.7fosse a fuggir che tu presto a pigliarla:
209.8che non ti varria poi più lo ´ngannarla.
210.1Non temer di sforzarla, ché ´l mio figlio
210.2la ferirà in tal modo e tal maniera
210.3che non potrà uscir del tuo artiglio,
210.4e di lei arai ogni tua voglia intera.
210.5Or fa´ che tu t´attenga al mio consiglio,
210.6e adempierai ciò che ´l tuo disio spera. –
210.7E poi sparì, quand´Africo sentissi,
210.8ch´era già dì, e tosto rivestissi.
211.1E come que´ che molto ben avea
211.2la vision di Venere compresa,
211.3e molto questo modo gli piacea,
211.4onde si fu allor la fiamma accesa
211.5più nel suo core, sì che tutto ardea
211.6per la speranza che già n´avea presa:
211.7per che pensava come aver potesse
211.8una gonnella, la qual si mettesse.
212.1Ma dopo assai pensar, si ricordava
212.2che la sua madre aveva un bel vestire,
212.3il qual non mai o poco lo portava,
212.4e fra sé disse: «S´i´´l posso carpire,
212.5ottimo fia»; poi la madre aspettava,
212.6se fuor di casa la vedesse uscire,
212.7per quel vestir in tal parte riporre
212.8che d´imbolìo non l´avesse più a tòrre.
213.1E fugli assai in questo la fortuna
213.2favorevole e buona: ché, già sendo
213.3ispenti tutti i raggi della luna
213.4e delle stelle, e già ´l giorno venendo,
213.5si levò Girafone, e sanza alcuna
213.6stanza quivi, fuori di casa uscendo,
213.7dandosi a fare certi suoi lavori;
213.8così la donna ancor s´uscì di fuori.
214.1Africo non fu lento a questo tratto,
214.2veggendo ognun di lor di fuor andato;
214.3ma dov´era il vestire n´andò ratto,
214.4e, sanza cercar troppo, l´ha trovato;
214.5e ben gli venne ciò che volea fatto,
214.6ché, sanz´esser veduto, l´ha portato
214.7fuor dalla casa un gran pezzo lontano,
214.8e nascoselo in luogo molto strano.
215.1Poi verso casa faccendo ritorno,
215.2gli pareva il suo avviso aver fornito,
215.3né però metter si volle quel giorno
215.4a Mensola trovar, ma ´n casa gito
215.5ritrovò tosto un suo bell´arco adorno,
215.6ed un turcasso a saette guernito,
215.7e d´ogni cosa si fu proveduto.
215.8Passò quel giorno, e l´altro fu venuto.
216.1Febo era già, co´ veloci cavalli,
216.2col fin di Leo venuto in oriente,
216.3e già faceva gli alti monti gialli,
216.4e rosseggiava l´aria in occidente,
216.5ma non luceva ancor per tutte valli,
216.6quand´Africo, levato prestamente,
216.7l´arco e ´l turcasso prese, e fuor si caccia
216.8alla madre dicendo: – I´ vo alla caccia. –
217.1E dove il dì d´innanzi aveva messo
217.2il vestir della madre ne fu gito,
217.3e quivi giunto, i panni di lui stesso
217.4si trasse, e tosto quel s´ebbe vestito
217.5e una vitalba si cinse sopr´esso,
217.6per poter esser più presto e spedito;
217.7e certamente che Vener l´atava
217.8acconciar quel vestir, sì ben gli stava.
218.1Po´ i suoi capelli, non già pettinati,
218.2pendean in giù con non troppa grandezza,
218.3ma biondi sì che d´or parean filati,
218.4e ricciutelli con somma bellezza;
218.5ma come che, per gli affanni passati,
218.6nel viso avesse ancor la palidezza,
218.7pur nondimen, quel color era tale
218.8che più gli dava feminil segnale.
219.1E poi che s´ebbe acconcio in tal maniera,
219.2il turcasso si cinse al destro lato,
219.3e l´arco in mano, e una freccia leggiera;
219.4e poi ch´alquanto sé ebbe mirato,
219.5gli parve essere quel ched e´ non era,
219.6e femina di maschio trasmutato.
219.7E certo chi non l´avesse saputo,
219.8per maschio non l´arìa mai conosciuto.
220.1Poscia i suoi panni in quel loco rimise,
220.2donde ´l vestir feminile avea tratto;
220.3poi verso i monti fiesolan si mise
220.4così acconcio, non già troppo ratto,
220.5e molte fiere in questo mezzo uccise,
220.6prima che su fosse salito affatto;
220.7ma poi che fu in sul monte maggiore
220.8de´ tre, sentì di là un gran romore.
221.1Africo, vòlto verso quelle stride,
221.2vide più ninfe ind´oltre gir cacciando
221.3ed accennar vêr lui con alte gride:
221.4– Sta´ ferma, al passo la fiera aspettando. –
221.5Africo pose mente, e venir vide
221.6un fier cinghiar fortemente rugghiando,
221.7con frecce molte fitte nel suo dosso.
221.8Alrico sbarra l´arco suo dell´osso,
222.1e d´una freccia, nel petto, al cinghiale
222.2ferì, che li passò insino al core,
222.3ché pelle dura o callo non gli vale,
222.4e poco andò che gli mancò ´l furore,
222.5e cadde in terra pel colpo mortale;
222.6e come piacque a Vener ed Amore
222.7Mensola era in luogo che assai scorto
222.8vide quel colpo, e ´l cinghiar cader morto.
223.1Quivi trasse di ninfe gran brigata,
223.2credendo ben ch´Africo ninfa fosse,
223.3e Mensola con lor si fu adunata,
223.4e poi alle compagne a parlar mosse,
223.5ed a lor la novella ha raccontata,
223.6dicendo: – I´ vidi com´ella il percosse,
223.7né sì bel colpo vidi alla mia vita
223.8quanto fe´ questa ninfa qui apparita. –
224.1Quanto Africo sentisse di piacere
224.2dentro dal cor, udendosi a colei
224.3lodar cotanto che già dispiacere
224.4le fu vederlo, dir non vel potrei,
224.5ma color sol lo posson ben sapere
224.6c´hanno d´Amor sentiti i colpi rei;
224.7e a chi non lo sapesse fo palese
224.8che presso fu più volte non la prese.
225.1Ma credo il tenne, più ch´altro, paura
225.2delle compagne e degli archi ch´avièno;
225.3ma poi ch´alquanto con lor s´assicura
225.4cominciò a dir di quel ch´elle dicièno,
225.5e ragionar con lor della sventura
225.6di quel cinghiar che morto lì tenièno,
225.7e come lo trovaro, e tutti i tratti
225.8ch´ognuna avea adosso al cinghiar fatti.
226.1Mensola disse: – Or ci fosse Diana,
226.2che noi le faren questo bel presento. –
226.3Africo, udendo che di lì lontana
226.4era Diana, fu molto contento;
226.5ma poi ch´ebbon assai di questa strana
226.6bestia tenuto lì ragionamento,
226.7fecion da parte un berzaglio tra loro
226.8e cominciaro a saettar costoro.
227.1Ognuna quivi l´animo assottiglia
227.2con gli archi loro, e qual dardo lanciava.
227.3Mensola tosto il suo dardo in man piglia,
227.4e più presso che l´altre al segno dava;
227.5Africo di ciò si fe´ maraviglia,
227.6e tosto l´arco suo ´n man si recava,
227.7e allato al dardo di Mensola ha messo
227.8la freccia, sì ch´amenduo fûr più presso.
228.1E come Amor sa ben far quando vuole
228.2far l´un dell´altro tosto innamorare,
228.3quel giorno usò gl´ingegni ch´usar suole,
228.4quando le cose ad effetto menare
228.5vuole e non menarle per parole;
228.6così quel giorno seppe sì ben fare,
228.7che d´Africa e di Mensola lo strale
228.8sempre mai eran più presso al segnale.
229.1Per la qual cosa Mensola, veggendo
229.2che sempre di lor due era l´onore,
229.3ognora più le veniva piacendo
229.4e già gli aveva posto molto amore.
229.5Africo, sempre gli occhi a lei tenendo,
229.6piacevolmente le dava favore
229.7e acconsentiva ciò ch´ella dicea,
229.8ed ella a lui il simile facea.
230.1Ma poi ch´ell´ebbon molto saettato,
230.2a rincrescer cominciò loro il gioco;
230.3per che tutte partîrsi da quel lato,
230.4ed ivi presso ne giron a un loco
230.5dov´era una caverna, e lì trovato
230.6una di quelle ninfe ch´avea il foco
230.7acceso e messo a cuocer del cinghiale,
230.8e con esso non so ch´altro animale.
231.1Aveva il sole già la terza via
231.2fatta del corso suo, quando costoro
231.3s´adunar tutte ad una bell´ombria
231.4che facea lì un grandissimo alloro;
231.5e sopra un masso grande si ponia
231.6la cotta carne, senz´altro savoro,
231.7e pan che di castagne allor facièno,
231.8ché grano ancor le genti non avièno.
232.1Per bere, usavan acqua con mèl cotta
232.2e con cert´erbe, e quello era lor vino;
232.3e li nappi con che beveano allotta
232.4di legname era, il grande e ´l piccolino;
232.5e apparecchiata tutta quella frotta
232.6delle ninfe, mangiando di cor fino,
232.7Africo a Mensola si sedea allato,
232.8con l´altre avendo il masso circondato.
233.1Venuto il fin dell´allegro mangiare,
233.2le ninfe tutte quante si levaro,
233.3e per lo monte, con dolce cantare,
233.4a due a tre a quattro se n´andaro,
233.5chi qua chi là, come ad ognuna pare;
233.6Africo e Mensola non si scevraro,
233.7ma con tre altre ninfe si partiro:
233.8su per lo colle inver Fiesol ne giro.
234.1Com´i´ v´ho detto, Mensola invaghita
234.2era d´Africo sì, pel saettare
234.3che sì ben avea fatto, e per l´ardita
234.4presenza sua, e pel dolce parlare,
234.5che già l´amava come la sua vita,
234.6né saziar si potea di lui guatare;
234.7ma non pensi niun che già mai questo
234.8amor fosse con pensier disonesto,
235.1però che fermamente ella credea
235.2che ninfa fosse ind´oltre del paese,
235.3perché segnal mascolin non avea
235.4nella persona, che fosse palese;
235.5ché, se saputo quel che non sapea
235.6avesse, non saria suta cortese,
235.7com´ella fu, con l´altre a fargli onore,
235.8ma dànno gli arìan fatto e disonore.
236.1S´Africo innamorato di lei era
236.2non bisogna più dir, ch´assai n´ho detto;
236.3ma ´nsieme andando per cotal maniera,
236.4portava ascoso il foco dentr´al petto,
236.5e più ardeva che non fa la cera;
236.6veggendosi mirar al suo diletto,
236.7e parlar e toccar e farsi onore,
236.8per peritezza gli batteva il core.
237.1E fra sé dicea: «Come farò io?
237.2i´ non so ch´i´ mi dica, o ch´i´ mi faccia:
237.3se io scuopro a costei il mio disio,
237.4i´ temo forte che poi i´ non le piaccia,
237.5e che ´l suo amor non mi tornasse in rio
237.6odio, e con l´altre mi desson la caccia;
237.7e s´io non me le scuopro questo giorno,
237.8non so quando a tal caso mi ritorno.
238.1Se queste ninfe almen si gisson via,
238.2che son con noi, i´ pur mi rimarrei
238.3qui solo nato con Mensola mia,
238.4e più sicuramente mi potrei
238.5a lei scoprire, e mostrar quel ch´i´ sia;
238.6e se fuggir volesse, allor sarei
238.7a pigliarla sì accorto, che fuggire
238.8non si potrebbe, né da me partire.
239.1Ma io mi credo che punto da noi
239.2in questo giorno non si partiranno;
239.3e s´io m´indugio, non so se mai poi
239.4queste venture innanzi mi verranno;
239.5meglio è che tu facci or quel che tu puoi,
239.6ché molti per indugio perduto hanno».
239.7E fu tutto che mosso per pigliarla;
239.8poi si ritenne, e non volle toccarla.
240.1«Ora m´insegna, Vener, or m´aiuta,
240.2ora mi dona il tuo caro consiglio;
240.3ora mi par che l´ora sia venuta,
240.4nella qual debbo a costei dar di piglio.»
240.5E poi, pensando, il pensier suo rimuta,
240.6parendogli a far questo pur periglio:
240.7e ´l sì e ´l no nel capo gli contende,
240.8e l´amoroso foco più lo ´ncende.
241.1Ell´eran già tanto giù per lo colle
241.2gite, ch´eran vicine a quella valle
241.3ch´e´ duo monti divide, quando volle
241.4d´Africo Amor le voglie contentalle,
241.5né più oltre che quel giorno indugiolle,
241.6trovando modo ad effetto menalle;
241.7ché, mentre in tal maniera insieme gièno,
241.8nella valle acqua risonar sentièno.
242.1Né furon guari le ninfe oltre andate,
242.2che trovaron due ninfe tutte ignude,
242.3che ´n un pelago d´acqua erano entrate,
242.4dove l´un monte con l´altro si chiude;
242.5e giunte lì, s´ebbon le gonne alzate,
242.6e tutte quante entrâr nell´acque crude,
242.7con l´altre ragionando del bagnare:
242.8– Che faren noi? Voglianci noi spogliare? –
243.1Perch´allor era la maggior calura
243.2che fosse in tutto ´l giorno, e dal diletto
243.3tirate di quell´acqua alla frescura,
243.4e veggendosi sanz´alcun sospetto,
243.5e l´acqua tanto chiara e netta e pura,
243.6diliberaron far com´avean detto,
243.7e per bagnarsi ognuna si spogliava;
243.8e Mensola con Africo parlava,
244.1e sì diceva: – O compagna mia cara,
244.2bagnera´ti tu qui con esso noi? –
244.3Africo disse con la boce chiara:
244.4– Compagna mia, i´ farò quel che vòi,
244.5né cosa che vogliate mi fia amara. –
244.6E fra se stesso sì diceva poi:
244.7«S´elle si spoglian tutte, al certo ch´io
244.8non terrò più nascoso il mio disio».
245.1Ed avvisossi di prima lasciarle
245.2tutte spogliar, e poi egli spogliarsi,
245.3acciò che le lor armi adoperarle
245.4contra lui non potessono, ed a trarsi
245.5cominciò lento il vestir, per poi farle,
245.6quando nell´acqua entrasse per bagnarsi,
245.7per vergogna fuggir pe´ boschi via:
245.8e Mensola per forza riterria.
246.1E ´nnanzi che spogliato tutto fosse,
246.2le ninfe eran nell´acqua tutte quante;
246.3e poi spogliato verso lor si mosse,
246.4mostrando tutto ciò ch´avea davante.
246.5Ciascuna delle ninfe si riscosse,
246.6e, con boce paurosa e tremante,
246.7cominciarono urlando: – Omè, omè,
246.8or non vedete voi chi costui è? –
247.1Non altrimenti lo lupo affamato
247.2percuote alla gran turba degli agnelli,
247.3ed un ne piglia, e quel se n´ha portato,
247.4lasciando tutti gli altri tapinelli:
247.5ciascun belando fugge spaventato,
247.6pur procacciando di campar le pelli;
247.7così correndo Africo per quell´acque,
247.8sola prese colei che più gli piacque.
248.1E tutte l´altre ninfe molto in fretta
248.2uscîr dell´acqua, a´ lor vestir correndo;
248.3né però niuna fu che lì sel metta,
248.4ma coperte con essi via fuggendo,
248.5ché punto l´una l´altra non aspetta,
248.6né mai indietro si givan volgendo;
248.7ma chi qua e chi là si dileguoe,
248.8e ciascuna le sue armi lascioe.
249.1Africo tenea stretta nelle braccia
249.2Mensola sua nell´acqua, che piangea,
249.3e baciandole la vergine faccia,
249.4cota´ parole verso lei dicea:
249.5– O dolce la mia vita, non ti spiaccia
249.6se io t´ho presa, ché Venere iddea
249.7mi t´ha promessa, cuor del corpo mio;
249.8deh, più non pianger, per l´amor di Dio. –
250.1Mensola, le parole non intende
250.2ch´Africo le dicea, ma quanto puote
250.3con quella forza ch´ell´ha si difende,
250.4e fortemente in qua e ´n là si scuote
250.5dalle braccia di colui che l´offende,
250.6bagnandosi di lagrime le gote;
250.7ma nulla le valea forza o difesa,
250.8ch´Africo la tenea pur forte presa.
251.1Per la contesa che facean si desta
251.2tal che prima dormia malinconoso,
251.3e, con superbia rizzando la cresta,
251.4cominciò a picchiar l´uscio furioso;
251.5e tanto dentro vi diè della testa,
251.6ch´egli entrò dentro, non già con riposo,
251.7ma con battaglia grande ed urlamento
251.8e forse che di sangue spargimento.
252.1Ma poi che messer Mazzone ebbe avuto
252.2Monteficalli, e nel castello entrato,
252.3fu lietamente dentro ricevuto
252.4da que´ che prima l´avean contastato;
252.5ma poi che molto si fu dibattuto,
252.6per la terra lasciare in buono stato,
252.7per pietà lagrimò, e del castello
252.8uscì poi fuor, umìl più ch´un agnello.
253.1Poi che Mensola vide esserle tolta
253.2la sua verginità contro a sua voglia,
253.3forte piangendo ad Africo fu volta
253.4e disse: – Poi c´hai fatto la tua voglia
253.5ed hai ´ngannata me, fanciulla stolta,
253.6usciàn dell´acqua almen, ch´i´ muo´ di doglia,
253.7però ch´i´ vo´ del mondo far partita,
253.8togliendomi con le mie man la vita. –
254.1Africo, udendo il suo pietoso dire,
254.2con lei insieme uscì dell´acqua fuori,
254.3e veggendo la doglia sua e ´l martire,
254.4dentro dal cor ne sentia gran dolori;
254.5e ben ch´avesse in parte il suo disire
254.6contento, gli crescevan vie maggiori
254.7le fiamme dentro al petto e più cocenti,
254.8veggendo a lei cotanti turbamenti.
255.1Ma poi che rivestiti amenduo furo,
255.2Mensola il dardo suo prendeva presta,
255.3e al petto si poneva il ferro duro,
255.4per morte darsi sanz´altra richiesta.
255.5Veggendo Africo il suo pensier oscuro,
255.6prestamente là corse, e prese questa
255.7alle gavigne, e quel dardo gittava
255.8per lo boschetto, e poi così parlava:
256.1– Omè, anima mia, o che è quello
256.2che tu volevi far? O che sciocchezza
256.3è questa? O qual pensier fu tanto fello,
256.4che qui ti conducea a cotal fierezza?
256.5O lasso a me, che fare´ io tapinello
256.6se io perdessi la tua gran bellezza?
256.7Ché solo un´ora in vita non starei,
256.8ma con le propie man m´ucciderei! –
257.1Sì gran dolore a Mensola al cor venne
257.2che, nelle braccia d´Africo cascata,
257.3tramortì tutta; ond´egli la sostenne,
257.4e poi che nel bel viso l´ha mirata,
257.5le lagrime negli occhi più non tenne,
257.6temendo ch´ella non fosse passata
257.7di questa vita: per che tra le fronde
257.8de´ molti albori con lei si nasconde.
258.1Quivi a seder con lei ´nsieme si pose,
258.2in sul sinestro braccio lei tenendo,
258.3e con la destra man le lagrimose
258.4guance di lei asciugava, e poi piangendo
258.5diceva con parole aspre e pietose:
258.6– O Morte, or hai ciò ch´andavi caendo:
258.7che, poi che tolto m´hai ogni mia gioia,
258.8con lei insieme converrà ch´i´ muoia. –
259.1E poi baciando il tramortito viso,
259.2lei chiamando, diceva: – O amor mio,
259.3perché da te si tosto m´ha diviso
259.4la ria fortuna e questo giorno rio?
259.5E questo ed altro, mirandola fiso,
259.6diceva, bestemmiando il suo disio
259.7che fu troppo corrente a tal impresa,
259.8e che sì forte avea Mensola offesa.
260.1Ma poi ch´egli ebbe fatto gran lamento
260.2sopra ´l palido viso tramortito,
260.3e mille volte e più con gran tormento
260.4baciato, e delle lagrime forbito,
260.5non più avendo di viver talento,
260.6di morte darsi avea preso partito;
260.7e per morir già si volea levare
260.8quando Mensola sentì sospirare.
261.1Gli spiriti di Mensola, errando
261.2eran per l´aria buona pezza andati,
261.3e dopo molto nel corpo tornando
261.4nelli lor luoghi si fûr rientrati,
261.5quando Mensola, forte sospirando,
261.6si risentì, con atti spaventati
261.7dicendo: – Omè, omè, lassa, ch´i´ moro! –
261.8E a pianger cominciò sanza dimoro.
262.1Africo, quando vide ch´era viva
262.2Mensola sua, che prima parea morta,
262.3tutto nel cor di letizia ravviva,
262.4e poi con tai parole la conforta:
262.5– O fresca rosa aulente e giuliva,
262.6per cui la vita mia gran pena porta,
262.7deh, non ti sgomentar, né aver paura,
262.8ché tu puo´ star con meco ben sicura.
263.1Tu sei ´n braccio di colui il quale
263.2sopra ogni cosa t´ama e vuolti bene;
263.3ed ogni tuo spiacere ed ogni male
263.4sono, nel cor mio, angosciose pene.
263.5Oh, lasso a me, ch´i´ mi credetti aguale
263.6che morte ti tenesse in sue catene,
263.7e voleami levar per morte dare,
263.8se non che ora ti senti´ sospirare! –
264.1– Oh me dolente, lassa, sventurata! –
264.2diceva Mensola Africo mirando.
264.3– Tapina a me, perché fu´ i´ mai nata,
264.4o mai vivuta? – dicea lagrimando.
264.5– Or foss´io stata il giorno strangolata
264.6ch´io prima fu´ veduta, o almen, quando
264.7le veste di Diana mi fûr messe,
264.8ch´un feroce cinghiar morta m´avesse! –
265.1– Deh, non ti sgomentare, anima mia, –
265.2Africo disse – ché ´l cor mi si sface,
265.3veggendo a te tanta malinconia,
265.4sanza prender consolazione o pace,
265.5e menar la tua vita tanto ria;
265.6e certo che bisogno non ti face,
265.7però che se´ con colui che più t´ama
265.8che non fa sé, e che sola te brama.
266.1Acciò che tu mi creda che sia vero
266.2ch´io t´ami tanto quanto ora t´ho detto,
266.3io ti vo´ raccontare il fatto intero:
266.4ch´egli è ben quattro mesi che soletto
266.5giva cacciando sanza alcun pensiero
266.6per questa costa, quando in un boschetto
266.7sentii mormorar boci, onde più presso,
266.8per veder chi parlava, mi fu´ messo.
267.1I´ vidi intorno a una bella fontana
267.2molte ninfe sedere, e vidi poi,
267.3sopra tutte, seder la dea Diana,
267.4che sermonando amoniva voi
267.5con rigido parlar e molto strana;
267.6poi a´ miei occhi corson gli occhi tuoi
267.7e la tua gran bellezza, ché nel core
267.8sentii ferirmi dello stral d´Amore. –
268.1Poi le diceva com´ivi nascoso
268.2gran pezza stette sol per lei mirare,
268.3e come venne sì desideroso
268.4di lei, che non potea gli occhi saziare
268.5di mirar questo bel viso vezzoso
268.6(e sì dicendo lo volle baciare)
268.7e come poi, quando ognuna partie,
268.8– Mensola, andianne – chiamarla sentie.
269.1Raccontò poi le lagrime e´ sospiri
269.2che per lei avea sparte in abondanza,
269.3e l´angosciose pene co´ martirî;
269.4e come Vener, sopra sua leanza,
269.5gli avea promesso lei ne´ suoi dormiri,
269.6e datogli di ciò grande speranza;
269.7e quante volte l´era ita cercando,
269.8ed ogni cosa le venìa narrando.
270.1E poi com´egli un giorno la trovoe
270.2tutta soletta, e com´ella fuggiva,
270.3e quanto umilemente la pregoe,
270.4e com´ella, crudele, non l´udiva;
270.5e poi del dardo ch´ella gli lancioe,
270.6e della quercia dove quel feriva,
270.7e come disse: – Guarti! – e poi smarrilla,
270.8né più la vide poi, né più sentilla;
271.1ancor del sacrificio ch´avea fatto
271.2alla dea Venere, e della risposta
271.3ch´ella gli fe´, e come tosto e ratto
271.4si contrafe´, e poi per quella costa,
271.5a modo d´una ninfa contrafatto,
271.6a cercar lei si mise sanza sosta,
271.7e com´ora in sul monte la trovoe:
271.8– Da poi sai tu com´io che seguitoe.
272.1Ora t´ho raccontato il gran tormento
272.2ch´i´ ho, per te, portato e sostenuto;
272.3però se io ho usato isforzamento,
272.4l´ho fatto sol perché forza me suto,
272.5non perch´i´ sia di noiarti contento;
272.6ma sol Amor, che m´ha per te tenuto
272.7in queste pene, n´ha colpa e cagione.
272.8Duolti di lui, ché n´arai più ragione! –
273.1Mensola, avendo Africo bene inteso
273.2ciò ch´avea detto del suo innamorare,
273.3e come fu da prima per lei preso,
273.4e poi le cose ch´Amor gli fe´ fare,
273.5alquanto nel suo cor si fu acceso
273.6il foco, e cominciava a sospirare:
273.7e pure Amore l´avea già ferita,
273.8come che le paresse esser tradita.
274.1Poi disse: – Omè, e´ mi ricorda bene
274.2ch´i´ fu´, l´altrier, gran pezza seguitata
274.3da un, non so se tu quel desso sene
274.4che ora m´hai così vituperata;
274.5e ben so io che, per donarli pene,
274.6inverso lui mi rivolsi crucciata,
274.7e ´l dardo mio a lui forte lanciava,
274.8veggendo pur ched e´ mi seguitava.
275.1E ricordami ancor che, se non fosse
275.2che quando vidi ´l dardo vêr lui gire,
275.3non so perché, pietà allor mi mosse,
275.4ch´io gridai: – Guarti guarti! – e po´ a fuggire
275.5mi die´, e vidi che ´l dardo percosse
275.6in una quercia e félla tutta aprire;
275.7poi mi nascosi ivi presso in un bosco:
275.8se tu se´ desso, i´ non ti riconosco.
276.1Non mi ricorda mai più ne´ dì miei,
276.2da poi ch´i´ fu´ a Diana consacrata,
276.3ch´io vedessi uomo; e volesson gl´iddei
276.4che anche tu non m´avessi trovata,
276.5né mai veduta: ch´ancora sarei
276.6da Diana con l´altre annoverata,
276.7dov´or sarò da lei, omè, sbandita,
276.8e sanza fallo mi torrà la vita.
277.1E tu, o giovinetto, il qual cagione
277.2sarai della mia morte e del mio danno,
277.3come tu sai, sanz´averne ragione,
277.4ti rimarrai sanz´alcuno affanno;
277.5ma sian di me a Diana testimone
277.6alberi e fiere, che veduta m´hanno,
277.7com´io mi sono a mia possa difesa,
277.8e come tu per forza m´hai pur presa,
278.1ed io, fanciulla pura ed innocente,
278.2son da te stata ingannata e tradita.
278.3Ma di questo peccato veramente
278.4m´assolverò, togliendomi la vita
278.5con le mie mani; e poi che del presente
278.6mondo sarò, tapina, dipartita,
278.7ti rimarrai contento, né giammai,
278.8lassa, di me non ti ricorderai. –
279.1Africo allora l´abracciava stretta,
279.2e lagrimando disse: – Oh me tapino,
279.3non creder che giammai così soletta
279.4i´ ti lasciassi, dolce amor mio fino!
279.5ma vo´ che, per mio amor, tu mi prometta
279.6di levar via questo pensier meschino,
279.7o in pria che tu, la vita mi torroe,
279.8sì che dietro da te non rimarroe.
280.1I´ non potre´ giammai stare diviso
280.2da te, dolce mio bene. – E poi baciando
280.3la dolce bocca e l´angelico viso,
280.4e con la mano i begli occhi asciugando,
280.5dicendo: – Veramente in paradiso
280.6tu fosti fatta; – e´ capei rispianando,
280.7giva dicendo: – Mai sì be´ capelli
280.8non fûr veduti, tanto biondi e belli.
281.1Benedetto sia l´anno e ´l mese e ´l giorno,
281.2e l´ora e ´l tempo, ed ancor la stagione,
281.3che fu creato questo viso adorno
281.4e l´altre membra con tanta ragione!
281.5ché chi cercasse il mondo a torno a torno,
281.6e nel cielo ancor tra la legione
281.7delle dee sante, non poria trovarsi
281.8una ch´a te potesse ma´ agguagliarsi.
282.1Tu se´ viva fontana di bellezza,
282.2e d´ogni bel costume chiara luce;
282.3tu sei adatta e piena di franchezza;
282.4tu se´ colei, ´n cui sola si riduce
282.5ogni vertù ed ogni gentilezza,
282.6e quella che la mia vita conduce;
282.7tu se´ vezzosa e se´ morbida e bianca:
282.8niuna cosa bella non ti manca!
283.1Dunque, deh, non voler, Mensola mia,
283.2guastar una sì bella e tanta cosa
283.3chente tu se´, con tua malinconia,
283.4né con niun´altra cosa niquitosa:
283.5ma da te caccia ogni rio pensier via
283.6e non istar con meco più crucciosa,
283.7ch´esser non può non fatto quel ch´è fatto,
283.8perch´io con teco ancor fossi disfatto.
284.1Però ti priego che tu ora facci
284.2sì come savia, e di questi partiti
284.3il miglior prendi e ´l piggior da te cacci;
284.4e gli spiriti tuoi ispauriti
284.5conforta un poco, e fa´ che tu m´abracci,
284.6e bacia me con baci savoriti,
284.7anima mia, si com´io bacio tene;
284.8prendi diletto, se tu vuoi, di mene! –
285.1Amor legava tuttavia il core,
285.2con le parole ch´Africo dicea,
285.3di Mensola, sì che ´n parte il dolore
285.4s´era partito già, perché vedea
285.5ch´altro esser non potea, e poi l´amore,
285.6ch´ad Africo portò quando credea
285.7che ninfa fosse, or più forte s´accende
285.8quando le sue dolci parole intende.
286.1E, per volerlo in parte contentare,
286.2gli gittò in collo il suo sinistro braccio,
286.3ma non lo volle ancor però baciare,
286.4forse parendole ancor troppo avaccio
286.5di doversi con lui sì assicurare;
286.6e disse: – Oh me tapina, ch´i´ non saccio
286.7com´io possa campar, se tal peccato
286.8sarà a Diana giammai appalesato.
287.1Né ardirò giammai con ninfa alcuna,
287.2com´io solea, nell´acqua più bagnarmi,
287.3né anco, poi che vuol la mia fortuna
287.4dove ne sia niuna ritrovarmi:
287.5ché, s´elle ciò sapesson, ciascheduna
287.6tosto a Diana andrebbon accusarmi
287.7onde pur sola mi converrà stare,
287.8fuggendo quel che già solea cercare.
288.1E ben conosco che, s´io m´uccidessi,
288.2che ´l mio peccato minor non sarebbe;
288.3e quel che tu hai fatto non avessi,
288.4son molto certa ch´esser non potrebbe;
288.5e se ´l contradio di questo credessi,
288.6a quest´otta, doman non giugnerebbe
288.7la vita mia, ché di cotal fallenza
288.8m´are´ ben data degna penitenza.
289.1Ma poi ch´e´ tuoi conforti son sì buoni
289.2che rivolto hanno tutto ´l mio pensiero,
289.3e sì legata m´hanno i tuoi sermoni
289.4che ´l mio voler tanto crudel e fiero
289.5ho via levato; ma quel che ragioni
289.6di rimanerti meco, a dirti ´l vero,
289.7non consentire´ mai, perché sarebbe
289.8mal sopra mal, e saper si potrebbe.
290.1Perché riconosciuto tu saresti
290.2da tutte quelle ninfe che veduto
290.3questo dì t´hanno, e forse che potresti
290.4esser morto da lor, se conosciuto
290.5fossi da loro; e creder lor faresti
290.6quel che non è ancor per lor saputo,
290.7ch´i´ dirò sempre, a chi di lor mi truova,
290.8ch´i´ abbia teco vinto la mia pruova;
291.1come che lor compagnia sempre mai,
291.2a giusto ´l mio potere, i´ fuggirò;
291.3e priego te, o giovane, poi c´hai
291.4toltomi quel che giammai non riarò,
291.5che tu ne vadi, e me con questi guai
291.6lascia star sola, ché ´l me´ ch´i´ potrò
291.7mi passerò, dandomi di ciò pace;
291.8deh, fallo, i´ te ne priego, se ti piace! –
292.1Africo aveva molto ben compreso,
292.2per le parole sue, che già il foco
292.3Amor l´aveva dentr´al petto acceso,
292.4ma pur ancor si vergognava un poco;
292.5e poi ch´egli ebbe tutto bene inteso,
292.6disse fra sé: «Prima che d´esto loco
292.7mi parta, tu farai meco ragione:
292.8e farotti cantar d´altra canzone».
293.1Poi baciandola disse: – O savorita
293.2dolce mia bocca, cor del corpo mio;
293.3o faccia bella, fresca e colorita,
293.4nella qual i´ ho messo il mio disio,
293.5tu donna sola se´ della mia vita
293.6ed amo te più ch´ i´ non faccio Iddio;
293.7io son risuscitato, poi ch´i´ veggio
293.8che pigli ´l meglio e lasci andar il peggio.
294.1Ma come potre´ io mai sofferire
294.2di partirmi da te, che t´amo tanto
294.3che sanza te mi par ognor morire?
294.4Essendo teco, non so giammai quanto
294.5più ben mi possa aver, né più disire;
294.6ma sallo ben Amor, in quanto pianto
294.7istà la vita mia, la notte e ´l giorno,
294.8mentre non veggio questo viso adorno.
295.1E pognàn pur che partirmi potessi
295.2come tu di´: mai non sarei contento
295.3che sì malinconosa rimanessi
295.4e gissi, a mia cagion, faccendo stento;
295.5e non so se mai più ti rivedessi:
295.6onde la vita mia maggior tormento
295.7non sentì mai quanto allor sentirei,
295.8e più che vita, morte bramerei.
296.1Ma poi che tu non vuogli che con teco
296.2rimanga qui, venirtene potrai
296.3qui presso a casa mia, con esso meco,
296.4e con la madre mia lì ti starai:
296.5la qual, mentre che tu sarai con seco,
296.6sempre come figliuola tu sarai
296.7da lei trattata, e da mio padre ancora,
296.8e potrai esser d´amenduo lor nuora. –
297.1– Cotesto ancora per nulla vo´ fare, –
297.2Mensola disse – ch´io teco ne venga
297.3a casa tua, per voler palesare
297.4il mio peccato, ed ancor mi convenga
297.5in questo sì gran mal perseverare;
297.6prima la vita mia morte sostenga,
297.7ch´i´ vada mai là dove sia persona,
297.8poi c´ho perduta sì bella corona.
298.1I´ non mi misi a seguitar Diana
298.2per al mondo tornar per niuna cosa;
298.3ché, s´i´ avessi voluto filar lana
298.4con la mia madre, e divenire sposa,
298.5di qui sarei ben tre miglia lontana
298.6col padre mio, che sopra ogni altra cosa
298.7m´amava e volea bene; ed è cinqu´anni
298.8che mi fûr messi di Diana i panni.
299.1Però ti priego, se ´l mio pregar vale,
299.2per quell´amor che tu ora m´hai detto
299.3che fu cagion di far far questo male,
299.4che te ne vadi a casa tua soletto;
299.5ed io ti giuro per colei la quale
299.6tu di´ che ti ferì per me nel petto,
299.7ch´io bramerò la vita per tuo amore
299.8ed amerotti sempre di buon core. –
300.1– Se io credessi – Africo disse allora
300.2– che tu facessi quel che mi prometti,
300.3e che nel cor m´avessi ciascun´ora,
300.4alquanto andrebbon via li miei sospetti;
300.5ma quel che più m´offende e più m´accora,
300.6si è ch´i´ temo, se ´n questi boschetti
300.7ti lascio sola, di mai ritrovarti,
300.8e però temo sanza me lasciarti. –
301.1Mensola disse: – Io verrò molto spesso
301.2in questo loco, sì che tu potrai
301.3meco parlar e vedermi da presso,
301.4onestamente, quanto tu vorrai;
301.5e certamente quel ch´i´ t´ho promesso
301.6i´ t´atterrò, se mai ci tornerai,
301.7però che tu m´hai già mezza legata
301.8e parmi esser venuta innamorata. –
302.1Africo, quando tai parole intende,
302.2infra se stesso si rallegra molto,
302.3veggendo che Amor forte l´accende
302.4e che ´l pensier suo rio avea rivolto;
302.5più stretta con le braccia allor la prende
302.6e poi, baciando l´angelico volto,
302.7le disse: – Intendi un poco mia parola,
302.8poi che disposta se´ di star pur sola.
303.1I´ vo´, se t´è ´n piacer, rosa novella,
303.2da te una grazia prima ch´io mi parti:
303.3tu sai quanto la tua persona bella
303.4i´ ho bramata, e quanti ingegni ed arti
303.5usato ho per averti, o chiara stella;
303.6or, per piacerti, mi convien lasciarti;
303.7però ti priego sia di tuo volere,
303.8ch´io teco prenda un poco di piacere.
304.1E più contento poi mi partirò,
304.2poi che pur vuoi ch´io mi parta da te;
304.3or dammi la parola, ch´io farò
304.4cosa, che fia diletto a te e a me,
304.5e poi, doman, qui a te tornerò
304.6a rivederti, però che tu se´
304.7colei in cui ho messo i miei diletti.
304.8Deh, di´ ch´io prenda gli amorosi effetti! –
305.1– Oh me dolente, che vuo´ tu più fare, –
305.2Mensola disse – o che altro diletto
305.3puo´ tu di me sventurata pigliare,
305.4che tu preso hai? E però, giovinetto,
305.5ti priego che omai ne debbi andare,
305.6ed io mi rimarrò com´io t´ho detto;
305.7tu vedi che del giorno omai ci ha poco,
305.8e potremmo esser trovati in sto loco. –
306.1– Tu sai ben che ´l diletto ch´i´ ho avuto
306.2di te, insino a qui chent´egli è stato,
306.3e quel che tra noi due è addivenuto,
306.4e con quanti dolor s´è mescolato,
306.5che ´n verità poco piacer m´è suto;
306.6ma or ch´ognun di noi è consolato,
306.7sarà il nostro diletto assai maggiore
306.8e più compiuto e con maggior dolzore. –
307.1– Deh, non volere, o giovane piacente,
307.2che sopra ´l mal c´ho fatto i´ faccia peggio:
307.3ché, s´i´ fossi di ciò consenziente,
307.4gran pena ancor n´arei, e chiaro il veggio,
307.5se mai Diana ne saprà niente;
307.6però di grazia questo don ti cheggio:
307.7che ti piaccia partir, come ch´a me
307.8non sia, forse, minor doglia ch´a te. –
308.1– Anima mia, quel mal arai di questo,
308.2ch´aver tu dèi di quello ch´abbiàn fatto, –
308.3Africo disse – benché manifesto
308.4non fia a Diana mai questo misfatto,
308.5né a persona, sì ch´alcun molesto
308.6per questo non arai, ché tanto piatto
308.7è suto e sì nascoso, che veduti,
308.8se non da Dio, non possiam esser suti.
309.1E certissima sia che, s´io ne voe
309.2sanza da te aver niun´altra cosa,
309.3per gran dolor, tosto me ne morroe;
309.4deh, sia un poco verso me pietosa! –
309.5Ed una volta e due la ribacioe
309.6dicendo: – Or bacia me, o fresca rosa,
309.7assicurati meco e prendi gioia,
309.8e non voler che per amarti io muoia! –
310.1Molte lusinghe e molte pregherie,
310.2più ch´i´ non dico, ben per ognun cento,
310.3Africo fece a Mensola quel die,
310.4baciandole la bocca e ´l viso e ´l mento
310.5sì forte che più volte ella stridie,
310.6come che ciò le fosse in piacimento;
310.7ancor la gola le baciava e ´l seno,
310.8il qual pareva di viole pieno.
311.1Qual torre fu già mai sì ben fondata
311.2in sulla terra, che, sendo ella suta
311.3da tanti colpi percossa e scalzata,
311.4che non si fosse piegata o caduta?
311.5O qual fu quella mai sì dispietata,
311.6col cor d´acciaio, che non fosse arrenduta
311.7per le lusinghe d´Africo e ´l baciare,
311.8ch´arebbon fatto le montagne andare?
312.1Mensola, che d´acciaio non avea ´l core,
312.2s´era gran pezza scossa e ancor difesa
312.3ma non potendo alle forze d´Amore
312.4risister, fu da lui legata e presa;
312.5ed avendo ella il suo dolce sapore
312.6prima assaggiato con alquanta offesa,
312.7pensò portar quel poco del martìre
312.8mescolato con sì dolce disire.
313.1E tant´era la sua semplicitade,
313.2che non pensò che altro ne potesse
313.3addivenir, come quella che rade
313.4fiate o forse mai niuna avesse
313.5giammai udito per qual degnitade
313.6l´uom si creasse, e poi come nascesse;
313.7né sapea che quel tal congiugnimento
313.8fosse ´l seme dell´uomo e ´l nascimento.
314.1Ella ´l baciò, e disse: – Amico mio,
314.2non so qual destino o qual fortuna
314.3vuol pur ch´io faccia tutto ´l tuo disio,
314.4né vuol ch´io faccia più difesa alcuna
314.5contro di te, e però m´arrendo io,
314.6come colei che non ha più niuna
314.7forza a poter contastar ad Amore,
314.8che m´ha, per te, ferito a mezzo ´l core.
315.1Però, farai omai ciò che ti piace;
315.2ché tu puo´ far di me ciò che tu vuoi,
315.3poi c´ho perduta ogni forza ed aldace
315.4contro ad Amor, e contro a´ prieghi tuoi;
315.5ma ben ti priego, se non ti dispiace,
315.6che poi ne vadi il più tosto che puoi,
315.7ché mi par esser tuttavia trovata
315.8dalle compagne mie e da lor cacciata. –
316.1Sentì Africo allora gran letizia,
316.2veggendo che a ciò era contenta,
316.3e donandole baci a gran dovizia,
316.4a quel che bisognava s´argomenta;
316.5più da natura che da lor malizia
316.6atati, s´alzar su le vestimenta,
316.7faccendo che lor due parevan uno,
316.8tanto natura insegnò a ciascheduno.
317.1Quivi l´un l´altro baciava e mordeva,
317.2e strignean forte, e chi le labbra prende:
317.3– Anima mia! – ciaschedun diceva.
317.4– All´acqua all´acqua, ché il foco s´accende! –
317.5Il mulin macina quanto poteva,
317.6e ciaschedun si dilunga e distende:
317.7– Attienti bene! Omè, omè, omè,
317.8aiuta aiuta, ch´i´ moio ´n buona fé! –
318.1L´acqua ne venne, e ´l foco fu ispento,
318.2il mulin tace, e ciascun sospirava;
318.3e come fu di Dio in piacimento,
318.4d´Africo Mensola s´ingravidava
318.5d´un fantin maschio, di gran valimento
318.6e di virtù, sì ch´ogni altro avanzava
318.7al tempo suo, sì come questa storia
318.8più ´nnanzi al fin ne fa chiara memoria.
319.1Il giorno tutto quasi se n´era ito,
319.2e molto poco si vedea del sole,
319.3quando ciascuno i suoi fatti ha fornito,
319.4e preso quel piacer che ciascun vuole.
319.5Africo, poi ch´avea preso partito
319.6di doversene andar, forte si duole,
319.7e, Mensola tenendo infra le braccia,
319.8dicea, baciando l´amorosa faccia:
320.1– Maladetta sia tu, o notte scura,
320.2tanto invidiosa de´ nostri diletti;
320.3perché mi fai da sì nobil figura
320.4partir sì tosto, come ch´io aspetti
320.5ancor riaver questa cotal ventura? –
320.6E con cotali e con molt´altri detti,
320.7quanto poteva il più, si dolea forte,
320.8parendogli il partir più dur che morte.
321.1Mensola bella, tutta vergognosa
321.2stava, parendole aver fatto fallo,
321.3come che non le fosse sì gravosa,
321.4come la prima volta, il contentallo,
321.5e che paruta le fosse la cosa
321.6molto più dolce, sanza risalgallo.
321.7Pur, di non esser trovata col frodo
321.8avea paura, e parlò in questo modo:
322.1– Or non so io che tu possa più fare,
322.2né che di non partirti abbia cagione;
322.3però, per lo mio amor ti vo´ pregare
322.4che, poi che ´nteramente tua intenzione
322.5da me avuta hai, te ne deggi andare,
322.6sanza far meco più dimoragione:
322.7ché sicura non mi terrò giammai,
322.8se non quando tu gito ne sarai.
323.1E com´i´ veggio menar una foglia,
323.2le mie compagne mi credo che sièno;
323.3però ´l partir da me non ti sia doglia,
323.4ché sopra me le colpe tornerièno.
323.5Come che sia ´l partir anche a me doglia,
323.6io il consento perché ´l mal sia meno,
323.7e perché si fa sera, e noi abbiàno
323.8andar ciascun di qui assai lontano.
324.1Ma dimmi prima, giovane, il tuo nome,
324.2ch´accompagnata mi parrà con esso
324.3esser, e più leggier mi fian le some
324.4d´Amor, che non sarian sendo sanz´esso. –
324.5Africo disse: – Anima mia, o come
324.6potrò io viver, non sendoti presso? –
324.7E ´l nome suo le disse e fece chiaro,
324.8e mille volle insieme si baciaro.
325.1I´ non potrei giammai raccontar quante
325.2fiate fûr per partirsi i duo amanti,
325.3né i baci e le parole, che fûr tante
325.4che non si potrian dire in mille canti;
325.5ma puollo ben saper ciascun amante,
325.6se di questi piaceri ebbe mai tanti,
325.7e che gran doglia sia e che martìre
325.8il dipartir da sì dolce disire.
326.1E´ si baciaron non solo una volta,
326.2ma più di mille, e poi che dipartiti
326.3s´erano un poco, indietro davan volta,
326.4dandosi baci a´ visi coloriti.
326.5– Anima mia, perché mi se´ tu tolta? –
326.6diceva l´uno all´altro; ed infiniti
326.7sospir gittando, partir non si sanno,
326.8ma or si parton, or tornan, or vanno.
327.1Ma poi che vidon che più dilungare
327.2non si potea ´l partire, alle gavigne
327.3si preson amenduo, ed abracciare
327.4si cominciaro, e sì l´un l´altro strigne
327.5che ´n mena furon di non ne scoppiare,
327.6sì forte Amor di pari gli costrigne;
327.7e così stetton gran pezza abracciati
327.8insieme, i due amanti innamorati.
328.1Pur alla fine l´un l´altro ha lasciato,
328.2e per partirsi le man si pigliaro,
328.3e poi ch´alquanto fiso s´han mirato,
328.4il modo a ritrovarsi lì ordinaro;
328.5così preson l´un dall´altro commiato,
328.6sendo ad ognun di lor molto discaro:
328.7– Vatti con Dio, Mensola mia, addio! –
328.8– Va´, che Dio mi ti guardi, Africo mio! –
329.1Africo se ne giva verso ´l piano;
329.2Mensola al monte su pel colle tira
329.3molto pensosa, col suo dardo in mano,
329.4e del malfatto forte ne sospira.
329.5Africo, ch´era ancor poco lontano
329.6da lei, con gli occhi la segue e rimira,
329.7e ad ogni passo indietro si voltava
329.8a rimirar colei che tanto amava.
330.1Mensola ancora spesso si volgea
330.2a rimirar colui ch´a forza amava,
330.3e che ferita sì forte l´avea
330.4che poco altro che lui disiderava;
330.5e l´un all´altro di lontan facea
330.6ispesso cenni ed atti, e salutava,
330.7infin che non fu lor dal bosco folto
330.8e dalle coste e ripe il mirar tolto.
331.1Tornossi Africo là dove nascoso
331.2aveva il suo vestir quella mattina,
331.3e quivi giunto, sanz´altro riposo,
331.4si vestì la gonnella mascolina,
331.5poi verso casa tornando gioioso;
331.6e giunto lì, la vesta feminina
331.7ripose nel suo luogo, che la madre
331.8non se n´accorse, né ancora il padre.
332.1E come che assai malinconia
332.2avesse avuto, il giorno, Girafone
332.3ed Alimena, mirando la via
332.4se ritornar vedevano il garzone,
332.5pur, quando ritornato lo vedia,
332.6amenduo n´ebbon gran consolazione,
332.7e domandarlo perché tanto stato
332.8era, ch´a casa non era tornato.
333.1Molte bugie e scuse Africo fece
333.2per ricoprir l´amoroso disire,
333.3il qual, più che non fa ´l foco la pece,
333.4l´ardeva più che mai, a non mentire;
333.5e pareali aver fatto men ch´un cece,
333.6e ´nfra se stesso incominciava a dire:
333.7«Sarà giammai doman, che io ritorni
333.8a baciar quella bocca e gli occhi adorni?»
334.1Così ogni cosa venìa raccontando,
334.2con seco stesso, di ciò ch´avea fatto,
334.3molto diletto di questo pigliando,
334.4rammentandosi ben di ciascun atto
334.5ch´avean insieme fatto; ma poi, quando
334.6il tempo fu, per dormir n´andò ratto,
334.7come che punto dormir non potette,
334.8ma tutta notte in tai pensieri stette.
335.1Torniamo un poco a Mensola, la quale
335.2sen gìa, pensosa e sola, su pel monte;
335.3e parendole aver fatto pur male,
335.4forte pentiasi, e con la man la fronte
335.5si percotea, dicendo: «Poi che tale
335.6fortuna m´ha percossa con tant´onte,
335.7deh, Morte, vieni a me: i´ te ne priego,
335.8che non mi facci d´uccidermi niego».
336.1Così passò del gran monte la cima,
336.2e poi scendendo giù per quella costa,
336.3là dove ´l sol percuote quando prima
336.4si leva, e ch´a oriente è contraposta;
336.5e secondo che ´l mio avviso stima,
336.6era la sua caverna, in quella, posta,
336.7forse un trar d´arco sopra ´l fiumicello,
336.8ch´a piè vi corre con grosso ruscello.
337.1E giunta alla caverna sua, in quella
337.2entrò occupata di molti pensieri,
337.3e quivi ogni sua doglia rinnovella,
337.4dicendo: «Lassa a me, perché l´altr´ieri,
337.5quand´Africo mi vide tanto bella
337.6con Diana alla fonte, da primieri,
337.7non fu´ io morta, o ´l giorno maladetto
337.8ch´i´ mi scontrai in questo giovinetto?
338.1Non so giammai, tapina, con qual faccia
338.2vada innanzi a Diana, né che modo
338.3i´ mi debba tener, né ch´io mi faccia;
338.4ché di paura mi consumo e rodo,
338.5ed ogni senso dentro mi s´agghiaccia,
338.6e nella gola mi s´è fatto un nodo,
338.7per la malinconia e pel dolore
338.8ch´i´ sento, che m´offende dentro al core.
339.1Deh, Morte, vieni a questa sventurata,
339.2vieni a questa mondana peccatrice,
339.3vieni a colei che ´n malora fu nata;
339.4non t´indugiar, ché mi fia più felice,
339.5morir agual, poi che contaminata
339.6i´ ho verginità: ché ´l cor mi dice
339.7che, se da te non verrai molto tosto,
339.8di farmi incontro a te ho ´l cor disposto.
340.1Omè, compagne mie, voi non pensate
340.2ch´i´ sia uscita fuor di vostra schiera;
340.3omè, compagne mie, che solavate
340.4tenermi tanto cara, quand´io era
340.5sanza peccato e con verginitate,
340.6ora mi caccerete come fiera,
340.7e come quella che ha al tutto corrotta
340.8verginità, e vostra legge rotta.
341.1I´ posso esser annoverata omai,
341.2o Caliston, con teco, che com´io
341.3già fosti ninfa, e poi con molti guai
341.4Diana ti cacciò per ogni rio,
341.5perché Giove t´ingannò, come sai,
341.6ed in orsa, crudel, ti convertio;
341.7e givi errando, e le cacce temevi,
341.8mugghiando quando favellar volevi.
342.1O Cialla ninfa, di Diana compagna,
342.2la quel fosti sforzata da Mugnone,
342.3Diana, che di te ancor si lagna,
342.4t´uccise nelle braccia col garzone;
342.5ed or se´ fatta fonte, e Mugnon bagna,
342.6a piè di te, le rive del vallone;
342.7i´ son di vostra schiera, a mio dispetto:
342.8così sia questo giorno maladetto!
343.1E´ mi par già che Diana trasmuti
343.2le membra mie in un corrente fiume,
343.3overo in fiera co´ dossi velluti,
343.4o com´uccel mi par già aver le piume,
343.5o alber fatta co´ rami fronzuti,
343.6e di persona perduto ´l costume;
343.7né son più degna del dardo portare,
343.8né anco come ninfa più cacciare.
344.1O padre, o madre, o fratelli e sorelle,
344.2quando a Diana voi mi consecrasti
344.3e vestistimi le sacre gonnelle,
344.4ben mi ricorda che mi comandasti
344.5che Diana ubidissi, e tutte quelle
344.6che seguon lei, e poi m´accompagnasti
344.7in questi monti, non perch´io peccassi,
344.8ma sempre mai verginità osservassi.
345.1Voi non pensate ch´i´ abbia rotta fede
345.2alla sacra Diana, né ch´i´ sia
345.3in tanta angoscia, e niun di voi vede
345.4in quanta pena sta la vita mia:
345.5ché, se ´l sapesse, pietà né merzede
345.6non aresti di me, ma come ria
345.7e peccatrice me uccideresti,
345.8e certamente molto ben faresti».
346.1Sì grande era la doglia e ´l gran lamento
346.2che Mensola menava, e l´angoscioso
346.3e duro pianto con grieve tormento,
346.4ch´i´ nol potre´ mai pôr sì doloroso
346.5in iscrittura che, per ognun cento,
346.6maggior non fosse: il suo parlar pietoso
346.7arebbe fatto le pietre e gli albòri
346.8sol per pietà di lei menar dolori.
347.1E con cota´ lamenti e pianto amaro
347.2logorò quella notte; ma apparito
347.3che poi fu ´l giorno bellissimo e chiaro,
347.4perché la notte non avea dormito,
347.5sì gli occhi lagrimosi la gravaro,
347.6ch´ogni spirito fu da lei partito,
347.7e adormentossi, mentre che piangea
347.8per la gran doglia che patito avea.
348.1Africo, che nell´amoroso foco
348.2ardeva più che mai, si fu levato,
348.3come vide ´l mattin, che molto poco
348.4la notte avea dormito, e fu ´nviato
348.5sus´alto al monte, e giunto fu nel loco
348.6dove con Mensola, il giorno passato,
348.7avea preso piacer, diletto e gioia,
348.8come ch´al fine gli tornasse in noia.
349.1Quivi credette Mensola trovare,
349.2ma non trovando lei, infra sé disse:
349.3«Egli è ancor assai tosto» ed a ´spettare
349.4la cominciò, perché, quando venisse,
349.5quivi ´l trovasse; e perché ´l soprastare
349.6non gli paresse lungo, sì si misse,
349.7per far ghirlande, ind´oltre a coglier fiori
349.8piccioli e grandi e di vari colori.
350.1E fatta che n´ebbe una, in su´ capelli
350.2biondi di lui si mise, e la seconda
350.3cominciò a far, d´alquanti fior più belli,
350.4mescolando con essi alcuna fronda
350.5d´odoriferi e gentili albuscelli,
350.6dicendo: «Questa in sulla treccia bionda,
350.7con le mie man, di Mensola porroe
350.8quando verrà, e poi la baceroe».
351.1Così aspettando invano il giovinetto
351.2Mensola sua, la qual ancor dormia,
351.3cogliendo ind´oltre fiori a suo diletto
351.4perch´aspettarla grave non gli sia,
351.5e riguardando spesso pel boschetto
351.6e ´n qua e ´n là, se Mensola venìa;
351.7ed ogni busso che ode, o che vede
351.8foglia menar, che Mensola sia crede.
352.1Ma, sendo l´ora già più che di terza,
352.2e non veggendo Mensola venire,
352.3aspettò tanto, che del sol la ferza
352.4era sì calda che già sofferire
352.5non si potea; onde più non ischerza
352.6con fiori o con ghirlande, ma a sentire
352.7cominciò pena e farsi maraviglia,
352.8alzando spesso or qua or là le ciglia.
353.1E cominciò: «Omè,» seco dicendo
353.2«che vorrà questo dir, ch´ella non viene?»
353.3E ´nfra sé pensier nuovi va volgendo,
353.4scuse trovando spesso alle sue pene,
353.5e di lei mille casi al core avendo,
353.6sì come ad altri assai spesso interviene,
353.7che, disiando che la cosa venga,
353.8imagina ch´assai cose intervenga.
354.1Passò la nona e ´l vespro, e già la sera
354.2era venuta, e ´l giorno era fuggito,
354.3che Mensola venuta mai non v´era:
354.4ond´Africo rimase sbigottito,
354.5forte doglioso, e con turbata cera
354.6di partirsi di lì prese partito,
354.7dicendo: «Forse ch´ella arà trovato,
354.8tra via, le sue compagne in qualche lato,
355.1le quai l´aranno forse ritenuta,
355.2e però l´aspettar mio saria ´nvano;
355.3e veggio già la notte esser venuta,
355.4ed i´ ho andar di qui molto lontano:
355.5e bench´i´ abbia oggi la beffe avuta,
355.6per aspettarla in questo luogo strano,
355.7i´ ci ritornerò pur domattina».
355.8E per girsene scese la collina.
356.1Mensola s´era in su la nona desta
356.2tutta dogliosa e forte addolorata,
356.3sendole molte cose per la testa
356.4gite, ch´ella se n´era spaventata;
356.5ma non tanto la ´mpedì la tempesta,
356.6ch´ella avesse, però, dimenticata
356.7ciò che ´l giorno davanti avea promesso
356.8ad Africo, di ritornar ad esso.
357.1Ma tanto s´era di quel ch´avea fatto
357.2pentuta, che disposto ha non tornare
357.3dove avea fatto con Africo patto
357.4di doversi con lui il dì trovare;
357.5ma, quant´ella potesse, in ciascun atto
357.6volere il fallo suo grande occultare,
357.7acciò che, quando Diana venisse,
357.8il fallo ch´avea fatto non sentisse.
358.1Non però le poté giammai del core
358.2Africo uscir, che continovamente
358.3non gli portasse grandissimo amore,
358.4e che nol disiasse occultamente;
358.5ma tanto la costringeva il timore
358.6ch´aveva di Diana nella mente,
358.7ch´ella non andò mai dove credesse
358.8ch´Africo fosse, o trovarlo potesse.
359.1Così passò ´l secondo e ´l terzo giorno,
359.2e ´l quarto e ´l quinto e ´l sesto, e ancora il mese
359.3ch´Africo mai non vide il viso adorno
359.4della sua amante, ma con molte offese
359.5vivea, faccendo sovente ritorno
359.6nel luogo là dove Mensola prese,
359.7e qua e là per lo monte cercando.
359.8molte cose di lei imaginando.
360.1Ma nulla venìa a dir la sua fatica:
360.2ché la Fortuna, già fatta invidiosa
360.3di lui, e d´ogni suo piacer nimica,
360.4volle pôr fine misera e angosciosa
360.5alla sua vita dolente e mendica,
360.6come colei che non truova mai posa,
360.7ma sempre va le cose rivolgendo
360.8del mondo, nulla mai fermo tenendo.
361.1Per che, già sendo un mese e più passato
361.2che non poté mai Mensola vedere,
361.3e sendogli pel gran dolor mancato
361.4sì la natura e la forza e ´l podere,
361.5ch´un animal parea già diventato
361.6nel viso e nel parlar e nel tacere,
361.7e ´l capo biondo smorto era venuto
361.8e sanza parlar quasi stava muto.
362.1E sendo un giorno a guardia del suo armento,
362.2ind´oltre a piè del monte, come spesso
362.3egli era usato, gli venne talento
362.4di gir al luogo là dove promesso
362.5da Mensola gli fu, con saramento,
362.6di ritornare a lui; e fussi messo,
362.7lassando del bestiame il grande stuolo,
362.8sol con un dardo in man, nel cammin solo.
363.1E pervenuto all´acqua del vallone,
363.2ove Mensola sua sforzato avea,
363.3quivi mirandosi intorno, il garzone
363.4«O Mensola,» infra se stesso dicea
363.5«i´ non credetti mai tal tradigione
363.6della tua fé, che promesso m´avea
363.7di ritornar con saramenti e giuri:
363.8or par che poco di Dio o di me curi!
364.1Non ti ricorda quando con le mani
364.2insieme in questo luogo ci pigliamo,
364.3e con tuoi saramenti falsi e vani
364.4dicesti di tornar, poi ci baciamo
364.5insieme gli occhi, che stann´or lontani,
364.6ed in quel luogo poi ci partavamo?
364.7Non ti ricorda quanti testimoni
364.8aggiugnesti alle tue promessioni?».
365.1I´ non potre´ mai dir tanti lamenti,
365.2quant´Africo facea quivi piangendo;
365.3e´, per crescer maggiori i suoi tormenti
365.4giva ogni cosa quivi rivolgendo
365.5de´ suoi amori, ciascuni accidenti,
365.6buoni e cattivi; per questo, crescendo
365.7la doglia sua ognor molto maggiore,
365.8diliberò d´uscir di tal dolore.
366.1E sopra l´acqua del fossato gito,
366.2l´aguto dardo si recava in mano,
366.3e al petto si ponea ´l ferro pulito,
366.4e ´n terra l´asta, dicendo: «O villano
366.5Amor, che m´hai condotto a tal partito,
366.6ch´i´ moro in questo modo tanto strano!
366.7e pure, innanzi ch´i´ voglia più stare
366.8in cotal vita, mi vo´ disperare.
367.1O padre, o madre, fatevi con Dio!
367.2i´ me ne vo nello ´nferno angoscioso;
367.3e tu, fiume, riterrai ´l nome mio,
367.4e manifesterai il doloroso
367.5caso, ch´è occorso sì crudel e rio;
367.6a chiunque ti vedrà sì sanguinoso
367.7correr, o lasso, del mio sangue tinto,
367.8paleserai dove Amor m´ha sospinto».
368.1E detto questo, Mensola chiamando,
368.2il ferro tutto nel petto si mise,
368.3il qual, al cor tostamente passando
368.4del giovinetto, con doglia l´uccise;
368.5per che, morto nell´acqua allor cascando,
368.6l´anima da quel corpo si divise,
368.7e l´acqua che correa per la gran fossa,
368.8del sangue tinta, venne tutta rossa.
369.1Facea quel fiume, sì come fa ancora,
369.2di sé duo parti alquanto giù più basso;
369.3e quella parte che fa minor gora,
369.4presso alla casa del giovane lasso,
369.5correva sanguinoso: e sendo allora
369.6Girafon fuori, e´ vide il fiume grasso
369.7di sangue, per che subito nel core
369.8gli venne annunzio di futur dolore.
370.1Per che, sanza dir nulla, di presente
370.2n´andò dove sentì ch´era ´l suo armento;
370.3e non trovando Africo, immantanente
370.4su per lo fiume, non con passo lento,
370.5tenne per trovar donde primamente
370.6di quel sangue venia ´l cominciamento,
370.7e di chi fosse, e chi n´era cagione;
370.8e giunse al loco ov´Africo trovòne.
371.1Quando vide ´l figliuol morto giacere,
371.2col dardo fitto nel giovanil petto,
371.3appena in piè si potea sostenere,
371.4sì fu dal dolor subito costretto
371.5e per l´un braccio con gran dispiacere
371.6il prese, e disse: – Omè, qual maladetto
371.7braccio fu quel che ti diè tal ferita,
371.8o figliuol mio, che t´ha tolto la vita? –
372.1Egli ´l trasse dell´acqua, e ´n sulla riva
372.2il pose lagrimando, il padre vecchio,
372.3e con dolor quel giorno maladiva,
372.4dicendo: – O figliuol, del tuo padre specchio,
372.5or che farà la madre tua cattiva,
372.6che non arà mai più un tuo parecchio?
372.7Che faren noi, tapini e pien di duoli,
372.8poi che rimasi siàn di te sì soli? –
373.1E ´l fitto dardo gli cavò del core,
373.2e ´l ferro rimirava con tristizia,
373.3e poi dicea con pianto e con dolore:
373.4– Chi ti lanciò così crudel nequizia
373.5nel petto, o figliuol mio. con tal furore
373.6ch´i´ n´ho perduto ogni ben e letizia?
373.7Credo che fu Diana dispietata,
373.8che non fia ancor del mio sangue saziata. –
374.1Ma poi ch´egli ha quel dardo rimirato
374.2più e più volte, conobbe ch´egli era
374.3quel che ´l suo figlio sempre avea portato;
374.4per che, con trista e lagrimosa cera,
374.5disse: – O tapin figliuolo sventurato,
374.6qual fu quella cagion cotanto fera
374.7che ti condusse qui, a sì rie sorte?
374.8o chi ti diè col dardo tuo la morte? –
375.1Poi, dopo molto ed infinito pianto,
375.2Girafone il figliuol si gittò ´n collo,
375.3e con quel dardo, doloroso tanto,
375.4alla casetta lor così portollo,
375.5ed alla madre il fatto tutto quanto,
375.6piangendo tuttavia, raccontollo;
375.7e ´l dardo le mostrava, e sì dicea
375.8come del petto tratto gliel´avea.
376.1Se la madre fe´ quivi gran lamento
376.2non ne domandi persona nessuna,
376.3ché dir non si potrebbe a compimento
376.4le grida e ´l pianto, per cosa veruna,
376.5e quanta doglia sentì con tormento,
376.6bestemmiando gl´iddei e la fortuna;
376.7e ´l viso stretto con quel del figliuolo
376.8tenea, piangendo e menando gran duolo.
377.1Pure alla fine, sì com´era usanza
377.2a quel tempo di far de´ corpi morti,
377.3così allor, dopo gran lamentanza
377.4ed urli e pianti durissimi e forti,
377.5arson quel corpo con grande abondanza
377.6di lagrime e dolor sanza conforti,
377.7come color ch´altro ben non avièno,
377.8il qual si veggon or venuto meno.
378.1E poi raccolson la polver dell´ossa
378.2del lor figliuol, e al fiume se n´andaro,
378.3là dove l´acqua ancor correva rossa
378.4del propio sangue del lor figliuol caro;
378.5e ´n sulla riva feciono una fossa
378.6e dentro quella polver sotterraro,
378.7acciò che ´l nome suo non si spegnesse,
378.8ma sempre mai quel fiume il ritenesse.
379.1Da poi in qua quel fiume dalla gente
379.2Africo fu chiamato, e ancor si chiama.
379.3Quivi rimase sol tristo e dolente
379.4il padre e la sua madre molto grama.
379.5Tal fu la fine d´Africo piacente,
379.6e così al fiume rimase la fama.
379.7Or lasciam qui, e ritorniamo omai
379.8a Mensola, la qual io vi lasciai.
380.1Mensola, in questo mezzo, assai dolente
380.2era vivuta e con malinconia,
380.3ma pur, veggendo che levar niente
380.4di ciò che fatto avea non si poria,
380.5de´ casi avversi venne paziente,
380.6e cominciò con la sua compagnia
380.7alcuna volta pur a ritrovarsi,
380.8e contro alla sua voglia a rallegrarsi.
381.1E più fiate si trovò con quelle
381.2ninfe che ´l giorno con lei eran sute
381.3che Africo la prese; e le novelle
381.4per tutte l´altre già eran sapute,
381.5non dico del peccato, ma com´elle
381.6dal giovane pigliar furon volute;
381.7e Mensola con suoi casi e bugie
381.8fe´ creder lor ch´anch´ella si fuggie.
382.1Così più ogni giorno assicurata
382.2Mensola s´era, da poi ch´ella vede
382.3che dalle sue compagne era onorata
382.4sì come mai, e ch´ognuna si crede
382.5che com´elle non sia contaminata,
382.6e ch´alle sue bugie si dava fede,
382.7e perché, ancor, a Diana credea
382.8il peccato celar che fatto avea.
383.1Né però Amor l´avea tratto del petto
383.2Africo, ch´ella non si ricordasse
383.3del nome suo e del preso diletto,
383.4e che tacitamente nol chiamasse
383.5quand´avea ´l tempo, ed alcun sospiretto
383.6assai sovente per lui non gittasse;
383.7sì come innamorata e paurosa,
383.8tenea la fiamma dentro al cor nascosa.
384.1E come far solea, già cominciava
384.2con le compagne sue, col dardo in mano,
384.3a gir cacciando, e quand´ella arrivava
384.4dove Africo la prese, di lontano
384.5quel luogo rimirando, sospirava,
384.6dicendo infra se stessa molto piano:
384.7«O Africo mio, quanta gioia avesti
384.8già in quel luogo, quando mi prendesti!
385.1Or non so io più che di te si sia,
385.2ma credo ben che stai in gran tormento
385.3per me; ma non è già la colpa mia:
385.4paura è che mi toglie ogni ardimento».
385.5Così dicendo, volentier vorria
385.6Africo suo aver fatto contento,
385.7ove credesse che giammai saputo
385.8da Diana o da ninfa fosse suto.
386.1Vivendo adunque Mensola in tal vita,
386.2innamorata e suggetta a temenza,
386.3alquanto nel bel viso impalidita
386.4era venuta, per quella semenza
386.5che nel suo ventre già era fiorita;
386.6passò tre mesi sanz´aver credenza
386.7di partorir giammai o far figliuolo,
386.8com´ella fece poscia con gran duolo.
387.1Ma faccendo suo corso la natura,
387.2in capo di tre mesi incomincioe
387.3a manifesto far la creatura
387.4che dentro al ventre suo s´ingeneroe;
387.5per la qual cosa, a ciò ponendo cura,
387.6Mensola forte si maraviglioe,
387.7veggendosi ingrossare il corpo e´ fianchi,
387.8e di gravezza pieni e fatti stanchi.
388.1Di questo si facea gran maraviglia
388.2Mensola, la cagion non conoscendo,
388.3come colei che mai figliuol né figlia
388.4non avea avuto, ma fra sé dicendo:
388.5«Saria, questo, difetto, che mi piglia
388.6sì la persona, ch´ognor va crescendo,
388.7ed ogni giorno vengo più pesante,
388.8e fatta tutta svogliata e cascante?».
389.1Una ninfa abitava in quella piaggia,
389.2un mezzo miglio a Mensola vicina,
389.3a una spelonca profonda e selvaggia,
389.4la qual, maestra d´ogni medicina,
389.5sopra dell´altre ell´era la più saggia,
389.6e ben sapea di ciascuna dottrina;
389.7e di cent´anni e più ell´era vecchia,
389.8e chiamata era ninfa Sinedecchia.
390.1Mensola puramente n´andò a questa,
390.2e disse, : – O madre nostra, il tuo consiglio
390.3m´è di bisogno – e poi le manifesta
390.4il caso suo e ciascun suo periglio;
390.5Sinedecchia, con la crollante testa,
390.6rispose tosto con turbato piglio:
390.7– Figliuola mia, tu hai con uom peccato,
390.8e non puoi più tener questo celato. –
391.1Mensola nel bel viso venne rossa,
391.2udendo tai parole, per vergogna,
391.3e non veggendo che negarlo possa,
391.4con gli occhi bassi timida trasogna,
391.5volendosi mostrar di questo grossa;
391.6ma poi, veggendo che non le bisogna
391.7celar a lei che tutto conoscea,
391.8sanza guatarla, o risponder, piangea.
392.1Sinedecchia, veggendo il suo lamento,
392.2e la vergogna e la sua puritade,
392.3avvisò che di suo consentimento
392.4non fosse questo, né sua volontade,
392.5ma fosse stato con isforzamento;
392.6perché alquanto gliene venne pietade,
392.7e per volerla un poco confortare,
392.8in questo modo cominciò a parlare:
393.1– Figliuola mia, questo peccato è tale,
393.2che nol potrai celar lungamente;
393.3e come ch´abbi fatto pur gran male,
393.4non vo´ però che tanto fieramente
393.5tu ti sconforti, ch´omai poco vale,
393.6se tu te n´uccidessi veramente;
393.7ma veniamo a´ rimedi, e dimmi come
393.8e chi ti tolse di castità il pome. –
394.1Niente a questo Mensola risponde,
394.2ma, per vergogna, in grembo il capo pose
394.3a Sinedecchia, e ´l bel viso nasconde,
394.4udendo rammentarsi cota´ cose;
394.5e gli occhi suoi parean fatti due gronde
394.6che fosson d´acqua molto doviziose,
394.7tanto forte piangea e dirottamente,
394.8sanza parlar o risponder niente.
395.1Ma Sinedecchia pur le disse tanto,
395.2con sue parole, ch´ella confessoe,
395.3con boce rotta e con singhiozzi e pianto,
395.4sì come un giovinetto la ´ngannoe,
395.5ed in che modo è ´l fatto tutto quanto,
395.6e come ultimamente la sforzoe;
395.7e poi a pianger cominciò più forte
395.8per la vergogna, chiamando la morte.
396.1La vecchia ninfa, quando questo intese,
396.2come per sottil modo fu ingannata
396.3e quanti lacci quel giovane tese,
396.4pietà le venne della sventurata;
396.5poi con parole alquanto la riprese
396.6del fallo suo, perch´un´altra fiata,
396.7sotto cotal fidanza, non peccasse,
396.8e perché più ´ngannar non si lasciasse.
397.1Poi tanto seppe dire e confortarla,
397.2ch´ella la fe´ di piangere restare,
397.3promettendole di sempre ma´ atarla
397.4come figliuola, in ciò che potrà fare;
397.5poi, d´ogni cosa volendo avvisarla,
397.6in questo modo cominciò a parlare:
397.7– Figliuola mia, quel ch´io ti dico intendi,
397.8e fa´ che bene ogni cosa comprendi.
398.1Quando compiuti i nove mesi arai,
398.2dal giorno che peccasti cominciando,
398.3una creatura tu partorirai;
398.4allor la dea Lucina tu chiamando,
398.5il suo aiuto l´addomanderai,
398.6e la pietosa tel darà; e poi, quando
398.7nato sarà, quel che fia noi ´l vedremo,
398.8e ben ad ogni cosa provedremo.
399.1E tu di questo non ti dar pensiero:
399.2lascialo a me, ch´i´ ho ben già pensato
399.3dentro dal cor ciò che farà mestiero,
399.4e ciò che far dovrò quando fia nato;
399.5ma fa´ che tu fuor di questo sentiero
399.6non vadi ´n questo mezzo, che ´l peccato
399.7non sia palese a quelle che nol sanno,
399.8ché tornar ti potrebbe in troppo danno.
400.1Ma sola ti starai alla caverna,
400.2e´ panni porta larghi quanto puoi,
400.3sanza cintura, che non si discerna
400.4il corpo grande pe´ peccati tuoi;
400.5e quivi pianamente ti governa,
400.6dandoti pace, sì come far suoi,
400.7e spesso vieni a me, ed io ti dirò
400.8ciò che far tu dovrai intorno a ciò. –
401.1Queste parole dieron gran conforto
401.2alla fanciulla, e disse: – Madre mia,
401.3poi che condotta sono a questo porto
401.4pel mio peccato e per la mia follia,
401.5perch´io conosco molto chiaro e scorto
401.6che ´l vostro aiuto molto buon mi fia,
401.7a voi mi raccomando e al vostro aiuto,
401.8poi ch´ogn´altro consiglio i´ ho perduto. –
402.1– Or te ne va, – Sinedecchia rispose
402.2– ch´i´ t´atterrò ben ciò ch´io t´ho promesso,
402.3e non ti dar pensier di queste cose:
402.4tien´ pur celato il peccato commesso. –
402.5Mensola, con le guance lagrimose,
402.6disse: – I´´l farò – e pel cammin più presso
402.7si mise, e ritornò alla sua stanza
402.8alquanto confortata da speranza.
403.1Quivi si stava pensosa e dolente
403.2sanza gir mai, come soleva, attorno,
403.3e per compagno tenea nella mente
403.4Africo sempre col suo viso adorno;
403.5e perché sempre continovamente
403.6il corpo suo più crescea ogni giorno,
403.7sanza cintura i panni suoi portava;
403.8e assai sovente a Sinedecchia andava.
404.1E cominciolle a crescer sì nel core,
404.2per la creatura ancor non partorita,
404.3contro ad Africo un sì fervente amore,
404.4che volentier ne vorrebbe esser gita
404.5con esso lui a starsi a tutte l´ore,
404.6il giorno ch´ella si tenne tradita;
404.7e ´l dì se ne pentea mille fiate,
404.8chiamando lui, con lagrime versate.
405.1Questo pensier la fe´ più volte andare
405.2al loco ov´ella fu contaminata,
405.3sol per saper s´Africo può trovare,
405.4per essersene a casa con lui andata;
405.5ma non si seppe mai tanto arrischiare,
405.6per la vergogna, d´andar sola nata
405.7a casa sua; e pur presso v´andoe,
405.8alcuna volta, e poi ´ndietro tornoe.
406.1Ma invan cercava, perché non sapea
406.2ched e´ si fosse per lei disperato.
406.3E già ´l suo corpo sì cresciuto avea,
406.4e ´l peso del fantin tanto aggravato,
406.5ch´andare attorno omai più non potea;
406.6per che, sanza cercar più ´n nessun lato,
406.7si stava alla caverna, ed aspettava
406.8del parto il tempo ch´omai s´appressava.
407.1E tanta grazia le fe´ la fortuna,
407.2che ´n questo mezzo non s´accorse mai
407.3ch´ell´avesse peccato ninfa alcuna,
407.4e già trovate pur n´aveva assai;
407.5come che maraviglia ciascheduna
407.6di lei si desse, ne´ tempi sezzai,
407.7veggendola sì magra nella faccia,
407.8e non andar, come solea, alla caccia.
408.1Diana a Fiesol in quel tempo venne,
408.2com´usata era sovente di fare;
408.3grande allegrezza pe´ monti si tenne,
408.4sentendo di Diana il ritornare,
408.5e ciascheduna ninfa festa fenne:
408.6e cominciârsi tutte a ragunare,
408.7com´usate eran, con lei molto spesso
408.8tutte le ninfe, da lunge e da presso.
409.1Mensola sentì ben la sua venuta,
409.2ma comparir non volle innanzi a lei
409.3per non esser da lei mal ricevuta,
409.4dicendo: «S´io v´andassi, non potrei
409.5tener celata la cosa ch´è suta,
409.6e grande strazio di me far vedrei».
409.7E fu da Sinedecchia consigliata
409.8di non v´andar, ma stessisi celata.
410.1Avvenne adunque in questi giorni, un die,
410.2ch´alla caverna sua Mensola stando,
410.3per tutto ´l corpo doglie si sentie;
410.4per che, la dea del parto allor chiamando,
410.5un fantin maschio quivi partorie,
410.6il qual Lucina di terra levando
410.7gliel mise in collo e disse: – Questi fia
410.8ancor gran fatto – e poi isparì via.
411.1Come che doglia grande e smisurata
411.2Mensola avea sentita, come quella
411.3ch´a tal partito mai non era stata,
411.4veggendo aversi fatto una sì bella
411.5creatura, ogn´altra pena fu alleggiata;
411.6e subito gli fece una gonnella,
411.7com´ella seppe il meglio, e poi lattollo,
411.8e mille volte quel giorno baciollo.
412.1Il fantin era sì vezzoso e bello
412.2e tanto bianco, ch´era maraviglia,
412.3e ´l capel com´òr biondo e ricciutello,
412.4e ´n ogni cosa il padre suo somiglia
412.5sì propiamente, che parea, a vedello,
412.6Africo ne´ suoi occhi e nelle ciglia,
412.7e tutta l´altra faccia sì verace,
412.8ch´a Mensola per questo più le piace.
413.1E tanto amore già posto gli avea,
413.2che di mirarlo non si può saziare;
413.3e a Sinedecchia portar nol volea,
413.4per non volerlo da sé dilungare,
413.5parendo a lei, mentre che lui vedea,
413.6Africo veder propio: ed a scherzare
413.7cominciava con lui, e fargli festa,
413.8e con le man gli lisciava la testa.
414.1Diana avea più volte domandato
414.2quel che di Mensola era le compagne:
414.3fulle risposto, da chi l´era allato,
414.4che gran pezzo era che ´n quelle montagne
414.5veduta non l´avean in nessun lato;
414.6altre dicean che, per certe magagne,
414.7e per difetto ch´ella si sentia,
414.8davanti a lei con l´altre non venìa.
415.1Per che un dì, di vederla pur disposta,
415.2perché l´amava molto e tenea cara,
415.3con tre ninfe se ne gì ´n quella costa
415.4dove la sventurata si ripara;
415.5e giunta alla caverna sanza sosta,
415.6innanzi all´altre Diana si para,
415.7credendola trovar, ma non trovolla;
415.8per ch´a chiamar ciascuna cominciolla.
416.1Ell´era andata col suo bel fantino
416.2inverso ´l fiume giù poco lontana,
416.3e ´l fanciul trastullava ad un caldino,
416.4quando sentì la boce prossimana
416.5chiamar sì forte, con chiaro latino.
416.6Allor mirando in su, vide Diana
416.7con le compagne sue che giù venièno,
416.8ma lei ancor veduta non avièno.
417.1Sì forte sbigottì Mensola, quando
417.2vide Diana, che nulla rispose;
417.3ma tutta quanta per paura tremando,
417.4in un cespuglio tra´ pruni nascose
417.5il bel fantino, e lui solo lasciando,
417.6di fuggir quindi l´animo dispose:
417.7e ´nverso ´l fiume ne gìa quatta quatta,
417.8tra quercia e quercia fuggendo via ratta.
418.1Ma non poté sì coperta fuggire,
418.2che Diana, fuggendo, pur la vide,
418.3e poi cominciò quel fanciullo a udire,
418.4il qual forte piangea con alte stride.
418.5Diana incominciò allotta a dire
418.6inverso lei con grandissime gride:
418.7– Mensola, non fuggir, ché non potrai,
418.8se io vorrò, né ´l fiume passerai.
419.1Tu non potrai fuggir le mie saette
419.2se l´arco tiro, o sciocca peccatrice! –
419.3Mensola già per questo non ristette,
419.4ma fugge quanto può alla pendice,
419.5e giunta al fiume, dentro vi si mette
419.6per valicarlo; ma Diana dice
419.7certe parole, ed al fiume le manda,
419.8e che ritenga Mensola comanda.
420.1La sventurata era già a mezzo l´acque,
420.2quand´ella i piè venir men si sentia,
420.3e quivi, sì come a Diana piacque,
420.4Mensola in acqua allor si convertia;
420.5e sempre poi in quel fiume si giacque
420.6il nome suo, ed ancor tuttavia
420.7per lei quel fiume è Mensola chiamato.
420.8Or v´ho del suo principio raccontato.
421.1Le ninfe ch´eran con Diana, veggendo
421.2come Mensola era acqua diventata,
421.3e giù per lo gran fiume va correndo,
421.4perché molto l´avean in prima amata,
421.5per pietà tutte dicevan piangendo:
421.6– O misera compagna sventurata,
421.7qual peccato fu quel che t´ha condotta
421.8a correr sì com´acqua a fiotta a fiotta? –
422.1Diana disse lor che non piangessono,
422.2ché quel martir molto ben meritava;
422.3e perché ´l suo peccato elle vedessono,
422.4dove ´l fanciul piangeva le menava;
422.5poi disse lor che elle lo prendessono,
422.6e traessol de´ prun dov´egli stava;
422.7allor le ninfe sel recaro in braccio,
422.8e trassol del cespuglio molto avaccio.
423.1Molta festa le ninfe gli facièno,
423.2veggendol tanto piacevole e bello,
423.3e racchetandol, volentier vorrièno
423.4con esso loro in que´ monti tenello;
423.5ma a Diana dirlo non volièno,
423.6la qual comandò lor che tosto quello
423.7fantin portato a Sinedecchia sia,
423.8e con lor ella ancor si mise in via.
424.1Giunta Diana a Sinedecchia, disse
424.2com´ella avea quel fantolin trovato
424.3in un cespuglio, ove Mensola il misse
424.4per celato tenere il suo peccato:
424.5– Ma ella dopo questo poco visse,
424.6ché, fuggendo ella, e volendo ´l fossato
424.7di là passare, il fiume la ritenne,
424.8e com´io volli, allor acqua divenne. –
425.1Mentre Diana dicea tai parole,
425.2la vecchia ninfa per pietà piangea,
425.3tanto ´l caso di Mensola le dole,
425.4e quel fanciullo in braccio poi prendea,
425.5ed a Diana disse: – O chiaro sole
425.6di tutte noi, altri ch´io non sapea
425.7questo peccato, e a me sola lo disse,
425.8e tutta nelle mie man si rimisse. –
426.1Poi ogni cosa a Diana ebbe detto,
426.2come Mensola era stata sforzata,
426.3e ´l dove e ´l come, da un giovinetto,
426.4e ´n che modo da lui fu ingannata;
426.5e disse poi: – O iddea, i´ ti ´mprometto
426.6sopra la fé ch´i´ t´ho sempre portata,
426.7che, s´io non fossi, morta si sarebbe,
426.8ma io non la lasciai, sì me ne ´ncrebbe.
427.1Ma poi che tu l´hai fatta diventare
427.2acqua, ti priego, almen, che tu mi doni
427.3questo fanciullo, ché ´l vorrò portare
427.4di qui lontano assai, ´n certi valloni,
427.5ov´io ricordo anticamente stare
427.6uomini con lor donne a lor magioni,
427.7e a loro il donerò, che car l´aranno,
427.8e me´ di noi allevare lo sapranno. –
428.1Quando Diana tai parole intende,
428.2come Mensola era stata tradita,
428.3alquanto del suo mal pietà le prende,
428.4perché molto l´amò quand´era in vita;
428.5ma perché l´altre da cota´ faccende
428.6si guardasson, si mostrò ´ncrudelita,
428.7e disse a Sinedecchia che facesse,
428.8di quel fantin, quel che me´ le paresse.
429.1Poi si partì con la sua compagnia,
429.2e a Sinedecchia quel fantin lascioe;
429.3la qual, poscia che vide andata via
429.4Diana, tostamente s´ invioe
429.5con esso in collo, e ´n quelle parti gìa
429.6ove Mensola bella l´acquistoe;
429.7ché ben sapea per tutto ogni rivera,
429.8tanto tempo in que´ monti usata era.
430.1E già aveva da Mensola udito,
430.2com´avea nome que´ che la sforzone,
430.3e più da lei ancora avea sentito,
430.4quando partissi, in qual parte n´andone;
430.5per che, considerato ogni partito,
430.6istimò troppo ben che quel garzone
430.7in quella valle stesse, ove vedea
430.8una casetta che fummo facea.
431.1Là giù n´andò, non con poca fatica,
431.2e per ventura trovò Alimena,
431.3alla qual disse: – O carissima amica,
431.4grande è quella cagion ch´a te mi mena,
431.5ed è pur di bisogno ch´io tel dica;
431.6però ti priego che non ti sia pena
431.7d´ascoltar una gran disavventura,
431.8e com´e nata questa creatura. –
432.1Poi ogni cosa le venne narrando:
432.2com´un giovane, ch´Africo avea nome,
432.3sforzò una ninfa, e ´l dov´ e ´l com´ e ´l quando
432.4a parte a parte disse, e poscia come
432.5ell´era ita gran pezza tapinando,
432.6poi partorì quel bello e fresco pome,
432.7e poi come Diana trasmutoe
432.8la ninfa in acqua, e dove la lascioe;
433.1e come quel fantin avea trovato
433.2Diana, tra molti pruni, e come a lei,
433.3con altre ninfe, poi l´avean donato;
433.4ma mentre che cota´ cose costei
433.5raccontava, Alimena ebbe mirato
433.6nel viso quel fantino, e disse: – Omei,
433.7questo fanciul propiamente somiglia
433.8Africo mio! – e poi in braccio il piglia.
434.1E lagrimando per grande allegrezza,
434.2mirando quel fantin, le par vedere
434.3Africo propio in ogni sua fattezza,
434.4e veramente gliel par riavere;
434.5e lui baciando con gran tenerezza,
434.6diceva: – Figliuol mio, gran dispiacere
434.7mi fia a contare, e grandissimo duolo,
434.8la morte del tuo padre e mio figliuolo. –
435.1Poi cominciò alla vecchia ninfa a dire
435.2del suo figliuol, per ordine, ogni cosa,
435.3e come stette gran tempo in martìre,
435.4e della morte sua tanto angosciosa.
435.5Sinedecchia, stando questo a udire,
435.6venne del caso d´Africo pietosa,
435.7e con lei ´nsieme di questo piangea,
435.8e Girafon quivi tra lor giugnea.
436.1Quand´egli intese il fatto, similmente
436.2per letizia piangeva e per dolore:
436.3e mirando ´l fanciul, veracemente
436.4Africo gli pareva, onde maggiore
436.5allegrezza non ebbe in suo vivente;
436.6poi faccendogli festa con amore,
436.7e quel fantin, quando Girafon vide,
436.8da naturale amor mosso, gli ride.
437.1Sì grande fu l´allegrezza e la festa
437.2che fêr costor, che ´n buona veritade,
437.3che, se non fosse che pur lor molesta
437.4il cor de´ due amanti la pietade,
437.5niuna ne fu mai simile a questa;
437.6ma poi che Sinedecchia l´amistade
437.7con lor ebbe acquistata, sen vuol gire
437.8alla montagna, e da lor dipartire.
438.1Girafon mille grazie l´ha renduto,
438.2ed Alimena similmente ancora,
438.3del buon servigio da lei ricevuto,
438.4e molto ciaschedun quivi l´onora;
438.5ma poi che Sinedecchia ebbe ´l saluto
438.6renduto a lor, sanza far più dimora
438.7alla spelonca sua si ritornava,
438.8e quel fantin a lor quivi lasciava.
439.1La novella fu subito saputa
439.2per tutti i monti, ed ha ciascun palese
439.3come Mensola era acqua divenuta,
439.4e a molte ninfe gran pietà ne prese;
439.5ma dopo alquanto Diana si muta
439.6da questi luoghi, ed in altro paese
439.7n´andò, com´era usata, e primamente
439.8amonì le sue ninfe parimente.
440.1Rimase adunque le ninfe in tal mena,
440.2sempre quel fiume Mensola chiamaro.
440.3Torniamo a Girafone ed Alimena,
440.4che con latte quel fantin allevaro
440.5del lor bestiame, non con poca pena,
440.6e per nome Pruneo lo chiamaro,
440.7perché tra´ pruni pianger fu trovato,
440.8e così fu sempre mai poi chiamato.
441.1E crescendo Pruneo venne sì bello
441.2della persona che, se la natura
441.3l´avesse fatto in pruova col pennello,
441.4non potre´ dargli sì bella figura;
441.5e venne destro più ch´un lioncello,
441.6arditissimo e forte oltre misura,
441.7e tanto propio il padre era venuto,
441.8che da lui non si saria conosciuto.
442.1Gran guardia ne faceva Girafone
442.2ed Alimena, la notte e lo die,
442.3e più volte gli disson la cagione,
442.4sì come Africo suo padre morie,
442.5perché paura n´avesse il garzone,
442.6di mai voler andar per quelle vie,
442.7e della madre sua i grievi danni;
442.8e così stando venne in diciott´anni.
443.1Passò poi Atalante in questa parte
443.2d´Europa con infinita gente;
443.3e per Toscana ultimamente sparte,
443.4come scritto si truova apertamente,
443.5Appollin vide, faccendo su´ arte,
443.6che ´l poggio fiesolan veracemente
443.7era ´l me´ posto poggio, e lo più sano
443.8di tutta Europa, di monte e di piano.
444.1Atalante vi fece allotta fare
444.2una città che Fiesole chiamossi;
444.3le genti cominciaron a pigliare
444.4di quelle ninfe che lassù trovossi,
444.5e qual poté dalle lor man campare,
444.6da tutti questi poggi dileguossi;
444.7e così fûr le ninfe allor cacciate,
444.8e quelle che fûr prese, maritate.
445.1Tutti gli abitator di quel paese,
445.2Atalante gli volle alla cittade.
445.3Girafon, quando questo fatto intese,
445.4tosto v´andò con buona volontade,
445.5e menò seco il piacente e cortese
445.6Pruneo, adorno d´ogni dignitade,
445.7ed Alimena, e comparì davante
445.8con riverenza al signore Atalante.
446.1Quando Atalante vide il vecchio antico,
446.2graziosissimamente il ricevette,
446.3e presol per la man, sì come amico,
446.4cota´ parole verso lui ha dette:
446.5– O vecchio savio, intendi quel ch´io dico,
446.6che la mia fede ti giura e promette
446.7che, se tu ´n questa terra abiterai,
446.8de´ miei maggior consiglier tu sarai,
447.1e meco abiterai nella mia rocca,
447.2insiememente con questo tuo figlio. –
447.3Girafon tai parole vêr lui scocca:
447.4– O Atalante, sempre il mio consiglio
447.5fia apparecchiato a quel che la tua bocca
447.6comanderà; ma io mi maraviglio,
447.7ch´avendo teco uomini tanto savi,
447.8più ch´io non sono, a far questo mi gravi. –
448.1– Tu di´ ver ch´i´ ho meco savia gente, –
448.2Atalante rispose – ma perch´io
448.3veggio ch´esser tu déi anticamente
448.4´n questi paesi stato, al parer mio,
448.5e sapere déi tutto ´l convenente
448.6di questi luoghi, qual è buono o rio,
448.7a molte cose mi puoi esser buono
448.8in questi luoghi ove arrivato sono. –
449.1Girafon disse lagrimando quasi:
449.2– Omè, Atalante, che tu parli ´l vero
449.3ch´i´ son antico, e´ miei gravosi casi
449.4manifestano il fatto tutto intero:
449.5e´ non è molto tempo ch´io rimasi
449.6sol con la donna mia ´n questo sentiero
449.7se non che poi costui mi fu recato,
449.8ch´è figliuol d´un mio figliuol sventurato. –
450.1Poi gli contava il fatto com´era ito
450.2d´Africo suo e Mensola sua amante,
450.3e poscia di Mugnon che fu fedito
450.4e morto da Diana, e tutte quante
450.5le sue sventure disse; e poi col dito
450.6gli dimostrava, di dietro e davante
450.7i fiumi, ed i lor nomi gli dicea,
450.8e la cagion per che sì nome avea.
451.1E poi ad Atalante si voltoe
451.2dicendo: – I´ vo´ far ogni tuo comando. –
451.3Atalante di questo il ringrazioe,
451.4e poi, ´nverso Pruneo rimirando
451.5e piacendogli molto, lo chiamoe,
451.6e poscia inverso lui così parlando
451.7disse: – I´ vo´ che tu sia mio servidore
451.8alla tavola mia, per lo mio amore. –
452.1Così Atalante fece Girafone
452.2suo consigliere, e ´l giovane Pruneo
452.3dinnanzi a lui serviva per ragione,
452.4e tanto bene a far questo imprendeo,
452.5ch´era a vederlo grande ammirazione;
452.6ed oltre a questo la natura il feo
452.7ardito e forte tanto, che non truova
452.8niuno che ´l vinca a far niuna pruova.
453.1E d´ogni caccia maestro divenne
453.2tanto, che fiera non potea campare
453.3dinnanzi a lui, tant´ottimo e solenne
453.4corridor era, e destro nel saltare;
453.5e sì ben l´arco nelle sue man tenne,
453.6che vinto arìa Diana a saettare;
453.7costumato e piacevol era tanto,
453.8ch´io non potre´ mai raccontar il quanto.
454.1Atalante gli pose tanto amore,
454.2veggendo ch´era sì savio e valente,
454.3che siniscalco il fe´, con grande onore,
454.4sopra la terra e sopra la sua gente,
454.5e di tutto ´l paese guidatore;
454.6ed e´ reggeva sì piacevolmente,
454.7che da tutti era amato e ben voluto,
454.8tanto dava ad ognuno il suo dovuto.
455.1E già più di venticinque anni avea,
455.2quando Atalante gli diè per mogliera
455.3una fanciulla, la qual Tironea
455.4era ´l suo nome, e figliuola sì era
455.5d´un gran baron che con seco tenea;
455.6e donògli tutta quella rivera,
455.7ch´è in mezzo tra Mensola e Mugnone:
455.8e questa fu la dota del garzone.
456.1Pruneo fe´ far, dalla chiesa a Maiano
456.2un po´ disopra, un nobil casamento,
456.3donde vedeva tutto quanto il piano,
456.4ed afforzollo d´ogni guernimento;
456.5e quel paese, ch´era molto strano,
456.6tosto dimesticò, sì com´io sento,
456.7e questo fece sol per grande amore
456.8ch´al paese portava di buon core.
457.1Quivi gran parte del tempo abitava,
457.2dandosi sempre diletto e piacere;
457.3dicesi che sovente i fiumi andava
457.4del padre e della madre sua a vedere
457.5e che cogli spiriti lor parlava,
457.6dell´acque uscendo boci chiare e vere,
457.7e piene di sospiri e di pietate,
457.8le cose rammentandogli passate.
458.1Girafon, ristorato de´ suoi danni,
458.2gran tempo visse, ma poi che sua vita
458.3ebbe compiuti i suoi lunghissimi anni,
458.4di questo mondo faccendo partita,
458.5Alimena lasciò con molti affanni;
458.6la qual, poi che l´età sua fu fornita,
458.7con Girafon fu messa in un avello
458.8nella città, qual era molto bello.
459.1Pruneo rimase in grandissimo stato
459.2con la sua Tironea, della qual ebbe
459.3dieci figliuol, ciascun pro´ e costumato
459.4tanto, che maraviglia a dir sarebbe;
459.5e poi ch´egli ebbe a ciascun moglie dato,
459.6in molta gente questa schiatta crebbe,
459.7e sempre furo a Fiesol cittadini,
459.8grandi e possenti sopra lor vicini.
460.1Morto Pruneo, con grandissimo duolo
460.2di tutta la città fu seppellito;
460.3così rimase a ciascun suo figliuolo
460.4tutto ´l paese libero e spedito,
460.5ch´Atalante donato avea a lui solo;
460.6e ben lo s´ebbon tra lor dipartito,
460.7e sempre poi la schiatta di costoro
460.8signoreggiaro questo tenitoro.
461.1Ma poi che Fiesol fu la prima volta
461.2per li Roman consumata e disfatta,
461.3e poi ch´a Roma la gente diè volta,
461.4que´ che rimason dell´africhea schiatta
461.5alla disfatta fortezza a raccolta
461.6tutti si fur, che Pruneo avea fatta,
461.7e quivi il me´ che seppon s´allogaro,
461.8faccendo case assai per lor riparo.
462.1Poi fu Firenze posta pe´ Romani,
462.2acciò che Fiesol non si rifacesse
462.3pe´ nobili e possenti Fiesolani
462.4ch´eran campati, ma così si stesse:
462.5per la qual cosa in molte parti strani,
462.6le genti fiesolane si fûr messe
462.7ad abitar, come gente scacciata,
462.8sanz´aiuto o consiglio abandonata.
463.1Ma poi ch´uscita fu l´ira di mente,
463.2per ispazio di tempo, e pace fatta
463.3tra li Romani e la scacciata gente,
463.4quasi tutta la gente fu ritratta
463.5ad abitare in Firenze possente:
463.6fra´ qual vi venne l´africhea schiatta,
463.7i quai vi fûr volentier ricevuti
463.8da´ cittadini, e molto car tenuti.
464.1E per levar lor ogni sospeccione,
464.2sed e´ l´avesson, d´esser oltraggiati,
464.3e ancor per dare lor maggior cagione
464.4d´amar la terra e d´esser anco amati,
464.5e fatto fosse a ciaschedun ragione,
464.6si furo insieme tutti imparentati,
464.7e fatti cittadin con grande amore,
464.8avendo la lor parte d´ogni onore.
465.1Così multiplicando la cittade
465.2di Firenze in persone e ´n gran ricchezza,
465.3gran tempo resse con tranquillitade;
465.4ma, come molti libri fan chiarezza,
465.5già era in essa la cristianitade
465.6venuta, quando, presa ogni fortezza,
465.7fu da Totile infin da´ fondamenti
465.8arsa e disfatta, e cacciate le genti.
466.1Poi fece il crudel Totile rifare
466.2ogni fortezza di Fiesole e mura
466.3ed un bando per lo paese andare,
466.4che qual fosse che dentro alla chiusura
466.5di Fiesole tornasse ad abitare,
466.6vi fosse ogni persona ben sicura,
466.7giurando prima di far sempre guerra
466.8con li Romani e con ogni lor terra.
467.1Per la qual cosa la schiatta africhea,
467.2per grande sdegno, tornar non vi volle,
467.3ma nel contado ognun si riducea,
467.4ciò è nel lor primaio antico colle,
467.5ove ciascuno abitazione avea,
467.6faccendo quivi un forte battifolle
467.7per lor difesa, se bisogno fosse,
467.8da´ Fiesolani e dalle lor percosse.
468.1Così gran tempo quivi dimoraro,
468.2infin che ´l buon re Carlo Magno venne
468.3al soccorso d´Italia, ed a riparo
468.4della città di Roma, che sostenne
468.5gran novità; allor si raunaro
468.6l´africhea gente, e consiglio si tenne
468.7con gli altri nobil che s´eran fuggiti
468.8per lo contado, e preson tai partiti:
469.1ch´a Roma si mandasse, al padre santo
469.2ed al re Carlo Magno, un´ambasciata,
469.3significando il fatto tutto quanto,
469.4come la lor figliuola rovinata
469.5giaceva in terra, e´ cittadin con pianto
469.6l´avean per forza tutta abandonata,
469.7e perché avean de´ Fiesolan paura,
469.8non vi potean rifar casa né mura.
470.1Ma perch´altrove chiara questa storia
470.2si truova scritta, fo con brievitade.
470.3Tornando al papa Fiorenza a memoria
470.4per l´ambasciata, glien venne pietade;
470.5ma poi che Carlo Magno ebbe vittoria,
470.6passò di qua nelle nostre contrade,
470.7e rifece la città di Fiorenza,
470.8la qual poi crebbe ogni dì sua potenza.
471.1Per la qual cosa quei d´Africo nati
471.2con gli altri vi tornaro ad abitare;
471.3e come poi si siano traslatati
471.4di grado in grado non potre´ contare,
471.5e d´uno in altro, ma in molti lati
471.6son, di lor, gente scesa d´alto affare,
471.7e d´altri che son di lassù venuti,
471.8che per lor gente non son conosciuti.
472.1Ma sia come si vuole omai la cosa,
472.2son venuto al porto disiato,
472.3ove ´l disio e la mente amorosa
472.4per lunghi mari ha gran pezza cercato;
472.5e qui donando omai alla penna posa,
472.6ho fatto quel che mi fu comandato
472.7da tal, ch´i´ non potre´ nulla disdire,
472.8tant´è sopra di me fatto gran sire.
473.1Adunque, poi ch´i´ son al fin venuto
473.2d´esto lavoro, a colui ´l vo´ portare,
473.3il qual m´ha dato la forza e l´aiuto
473.4e lo stile e lo ´ngegno del rimare:
473.5dico ad Amor, di cui son sempre suto
473.6ed esser voglio; e lui vo´ ringraziare
473.7e a lui ´l libro portar là dov´egli usa,
473.8e poi davanti a lui porre una scusa:
474.1– Altissimo signore, Amor sovrano,
474.2sotto cui forza, valor e potenza,
474.3è sottoposto ciascun cor umano,
474.4e contro a cui non può far resistenza
474.5nessuno, e sia quanto si vuol villano,
474.6il qual non venga tosto a tua ubidienza,
474.7pur che tu voglia; ma pur più ti giova
474.8d´usar contro a´ gentili la tua prova;
475.1tu se´ colui che sai, quando ti piace,
475.2ogni gran fatto ad effetto menare;
475.3tu se´ colui che doni guerra e pace
475.4a´ servi tuoi, secondo che ti pare;
475.5tu se´ colui che li lor cori sface,
475.6e che gli fai sovente suscitare;
475.7tu se´ colui che gli assolvi e condanni,
475.8e qual conforti, e qual arrogi affanni.
476.1I´ son un de´ tuoi servi, al qual imposto
476.2mi fu per te, com´a servo leale,
476.3di compôr questa storia; e io, disposto
476.4sempre a ubidirti, come quegli al quale
476.5una donna m´ha dato e sottoposto,
476.6col tuo aiuto ho il libro fatto tale,
476.7chent´è suto possibile al mio ingegno,
476.8il qual i´ ho acquistato nel tuo regno.
477.1Ma ben ti priego, per gran cortesia,
477.2e per dover, e per giusta ragione,
477.3che questo libro mai letto non sia
477.4per l´ignoranti e villane persone,
477.5e che non seppon mai chi tu ti sia,
477.6né di voler saperlo hanno intenzione:
477.7ché molto certo son che biasimato
477.8saria da lor ogni tuo bel trattato.
478.1Lascial leggere agli animi gentili,
478.2e che portan nel volta la tua ´nsegna,
478.3e a´ costumati, angelichi ed umìli,
478.4nel cor de´ quali la tua forza regna;
478.5costor le cose tue non terran vili,
478.6ma esser la faran di lode degna.
478.7Te´ ch´i´ tel rendo, dolce il mio signore,
478.8al fin recato pel tuo servidore. –
479.1– Ben venga l´ubidente servo mio
479.2quanto niun altro che sia a me suggetto,
479.3il qual ha messo tutto il suo disio
479.4in recar al suo fin il mio libretto;
479.5e perché certo son ch´è tal, qual io
479.6il disiava, volentier l´accetto,
479.7e nell´armar´, tra gli altri miei contratti,
479.8appresso il metterò, de´ miei gran fatti.
480.1E ´l priego tuo sarà ottimamente,
480.2di ciò che m´hai pregato, esaudito,
480.3ché ben guarderò ´l libro dalla gente,
480.4la qual tu di´ che non m´ha mai servito;
480.5non perch´io tema lor vento niente
480.6né perch´io sia per lor meno ubbidito,
480.7ma perché ricordato il nome mio
480.8tra lor non sia; e tu riman´ con Dio! –
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