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PARTE SECONDA

Filostrato

PoeTree.it

1.1Standosi in cotal guisa un dì soletto
1.2nella camera sua Troiol pensoso,
1.3vi sopravvenne un troian giovinetto
1.4d'alto legnaggio e molto coraggioso;
1.5il qual veggendo lui sopra il suo letto
1.6giacer disteso e tutto lacrimoso,
1.7— Che è questo — gridò — amico caro?
1.8Hatti già così vinto il tempo amaro? —
2.1— Pandaro, — disse Troiol — qual fortuna
2.2t'ha qui guidato a vedermi languire?
2.3Se la nostra amistà ha forza alcuna,
2.4piacciati quinci doverti partire,
2.5ch'io so che grave più ch'altra nessuna
2.6cosa ti fora il vedermi morire;
2.7ed io non son per più istare in vita,
2.8tant'è la mia virtù vinta e smarrita.
3.1Né creder tu che l'assediata Troia,
3.2o d'arme affanno, od alcuna paura
3.3cagion mi sia della presente noia;
3.4quest'è tra l'altre la mia minor cura.
3.5Altro mi strigne a pur voler ch'i' moia,
3.6dond'io mi dolgo per la mia sciagura;
3.7che ciò si sia non ten curare, amico,
3.8ch'i' 'l taccio per lo meglio e nol ti dico. —
4.1Di Pandar crebbe allora la pietate
4.2ed il disio di ciò voler sapere.
4.3Ond'el seguì: — Se la nostra amistate,
4.4come soleva, t'è ora in piacere,
4.5discopri a me qual sia la crudeltate
4.6che di morir ti fa tanto calere;
4.7ch'atto non è d'amico, alcuna cosa
4.8al suo amico ritener nascosa.
5.1Io vo' con teco patir queste pene,
5.2se dar non posso a tua noia conforto,
5.3perciocché all'amico si convene
5.4ogni cosa partir, noia e diporto;
5.5ed io mi credo che tu sappi bene
5.6s'i' t'ho amato a diritto ed a torto,
5.7e s'io farei per te ogni gran fatto,
5.8e fosse che volesse, od in che atto. —
6.1Troiolo trasse allora un gran sospiro
6.2e disse: — Pandar, poscia che ti piace
6.3pur di voler sentire il mio martiro,
6.4dirotti brievemente che mi sface;
6.5non perch'io speri che al mio disiro
6.6per te si possa porre fine o pace,
6.7ma sol per soddisfare al tuo gran priego,
6.8al qual non so com'io mi metta al niego.
7.1Amore, incontro al qual chi si difende
7.2più tosto pere ed adopera invano,
7.3d'un piacer vago tanto il cor m'accende,
7.4ch'io n'ho per quel da me fatto lontano
7.5ciaschedun altro, e questo sì m'offende
7.6come tu puoi veder, che la mia mano
7.7appena mille volte ho temperata,
7.8ch'ella non m'abbia la vita levata.
8.1Bastiti questo, caro amico mio,
8.2sentir de' miei dolor, li quai giammai
8.3più non scoversi; e priegoti per Dio,
8.4s'alcuna fede al nostro amor tu hai,
8.5ch'ad altri non discovra tal disio,
8.6ché noia men poria seguire assai.
8.7Tu sai quel c'hai voluto; vanne, e lascia
8.8qui me combatter colla mia ambascia. —
9.1— Oh, — disse Pandar — com'hai tu potuto
9.2tenermi tanto tal foco nascoso?
9.3ché t'avrei dato consiglio od aiuto,
9.4e trovato alcun modo al tuo riposo. —
9.5A cui Troiolo disse: — Come avuto
9.6da te l'avrei, che sempre te doglioso
9.7per amor vidi, e non ten sai atare?
9.8Me, dunque, come credi soddisfare? —
10.1Pandaro disse: — Troiolo, i' conosco
10.2che tu di' 'l ver, ma spesse volte avvene
10.3che quei che sé non sa guardar dal tosco,
10.4altrui per buon consiglio salvo tene,
10.5e già veduto s'è andare il losco
10.6dove l'alluminato non va bene;
10.7e benché l'uom non prenda buon consiglio
10.8donar lo puote nell'altrui periglio.
11.1Io ho amato sventuratamente
11.2ed amo ancora per lo mio peccato;
11.3e ciò avvien perché celatamente
11.4non ho, sì come tu, altrui amato.
11.5Sarà che Dio vorrà ultimamente:
11.6l'amore ch'io t'ho sempre mai portato,
11.7ti porto e porterò, né giammai fia
11.8chi sappia che da te detto mi sia.
12.1Però ti rendi, amico mio, sicuro
12.2di me, e dimmi chi ti sia cagione
12.3di questo viver sì noioso e duro,
12.4né temer mai di mia riprensione
12.5d'amor, perciocché quei che savi furo
12.6ne dichiarar, con lor savio sermone,
12.7ch'amor di cuor non potea esser tolto
12.8se non da sé per lungo tempo sciolto.
13.1Lascia l'angoscia tua, lascia i sospiri
13.2e ragionando mitiga il dolore,
13.3ché sì faccendo passano i martiri,
13.4e molto ancora menoma l'ardore
13.5quando compagni in simili disiri
13.6colui si vede il quale è amadore;
13.7ed io, come tu sai, oltre mia voglia
13.8amo, né men può trar crescer di doglia.
14.1Forse fia tal colei che ti tormenta,
14.2che 'n tuo piacer potrò oprare assai,
14.3ed io farei la tua voglia contenta,
14.4se io potessi, più ch'io non fei mai
14.5la mia; tu il vedrai, purché io senta
14.6chi sia colei per cui questa pena hai.
14.7Leva su, non giacer, pensa che meco
14.8ragionar puoi come con esso teco. —
15.1Istette alquanto Troiolo sospeso,
15.2e dopo il trarre d'un sospiro amaro,
15.3e di rossor nel viso tutto acceso
15.4per vergogna, rispose: — Amico caro,
15.5cagione assai onesta m'ha difeso
15.6di farti il mio amor palese e chiaro,
15.7perciocché quella che qui m'ha condotto,
15.8è tua parente. — E più non fece motto.
16.1E sopra il letto ricadde supino,
16.2piangendo forte e nascondendo il viso.
16.3A cui Pandaro disse: — Amico fino,
16.4poca fidanza t'ha nel petto miso
16.5cotal sospetto; orsù, lascia 'l tapino
16.6pianto che fai, ché, s'io non sia ucciso,
16.7se quella ch'ami fosse mia sorella,
16.8al mio poter, avrai tuo piacer d'ella.
17.1Leva su, dimmi, dì chi è costei,
17.2dimmi, dì tosto, sì ch'io veggia via
17.3al tuo conforto, ch'altro non vorrei.
17.4È ella donna che sia 'n casa mia?
17.5Deh, dilmi tosto, ché, s'ell'è colei
17.6ch'io vo meco pensando ch'ella sia,
17.7non credo che trapassi il giorno sesto,
17.8ch'io ti trarrò di stato sì molesto. —
18.1Troiolo a questo nulla rispondea,
18.2ma ciascuna ora più 'l viso turava;
18.3e pure udendo ciò che promettea
18.4Pandaro, seco alquanto più sperava,
18.5e volea dire e poi si ritenea,
18.6tanto d'aprirlo a lui si vergognava;
18.7ma stimolandol Pandaro, si volse
18.8ver lui piangendo, e ta' parole sciolse:
19.1— Pandaro mio, io vorrei esser morto,
19.2pensando a quel ch'amore m'ha sospinto,
19.3e s'io potessi, sanza farti torto,
19.4celarlo, già non men sarei infinto;
19.5ma più non posso, e se tu se' accorto
19.6sì come suo', veder puoi che distinto
19.7Amor non ha qual uom ami per legge,
19.8fuor che colei cui l'appetito elegge.
20.1Altri, come tu sai, aman le suore,
20.2e le suore i fratelli, e le figliuole
20.3talvolta i padri, e' suoceri le nuore,
20.4le matrigne i figliastri talor suole
20.5anche avvenir; ma me ha preso Amore
20.6per tua cugina, il che forte mi duole:
20.7io dico per Criseida. — E questo detto,
20.8boccon piangendo ricadde in sul letto.
21.1Come Pandaro udì colei nomare,
21.2così ridendo disse: — Amico mio,
21.3per Dio ti priego, non ti sconfortare.
21.4Amore ha posto in parte il tuo disio,
21.5tal che el nol potea meglio allogare,
21.6perch'ella il val veracemente, s'io
21.7m'intendo di costumi, o di grandezza
21.8d'animo, o di valore o di bellezza.
22.1Nulla donna fu mai più valorosa,
22.2nulla ne fu più lieta e più parlante,
22.3nulla più da gradir né più graziosa,
22.4nulla di maggiore animo tra quante
22.5ne furon mai; né è sì alta cosa
22.6ch'ella non imprendesse tanto avante
22.7quanto alcun re, e che 'l cor non le desse
22.8di trarla a fine, sol che si potesse.
23.1Solo una cosa alquanto a te molesta
23.2ha mia cugina in sé oltre alle dette,
23.3che ella è più che altra donna onesta,
23.4e più d'amore ha le cose dispette;
23.5ma s'altro non ci noia, credo a questa
23.6troverò modo con mie parolette
23.7qual ti bisogna. Possi tu soffrire,
23.8ben raffrenando il tuo caldo disire.
24.1Ben puoi dunque veder ch'Amor t'ha posto
24.2in loco degno della tua virtute;
24.3sta' dunque fermo nell'alto proposto
24.4e bene spera della tua salute,
24.5la quale io credo che seguirà tosto
24.6se tu col pianto tuo non la rifiute.
24.7Tu sei di lei ed ella di te degno,
24.8ed io ci adoprerò tutto 'l mio 'ngegno.
25.1Né creder, Troiol, ch'io non veggia bene
25.2non convenirsi a donna valorosa
25.3sì fatti amori, e quel ch'ancor ne vene
25.4ed a lei ed a' suoi, se cotal cosa
25.5alla bocca del vulgo mai pervene;
25.6ché, per follia di noi, vituperosa
25.7è divenuta, dove esser dovea
25.8onor, dappoi per amor si facea.
26.1Ma perciocché 'l disio s'è impedito
26.2all'operare, e tutto simigliante
26.3non conosciuto, parmi per partito
26.4poter pigliar, che ciaschedun amante
26.5possa seguir il suo alto appetito,
26.6sol che sia savio in fatto ed in sembiante,
26.7sanza vergogna alcuna di coloro
26.8a cui tien la vergogna e l'onor loro.
27.1Io credo certo ch'ogni donna in voglia
27.2vive amorosa, e null'altro l'affrena
27.3che tema di vergogna; e s'a tal doglia
27.4onestamente medicina piena
27.5si può donar, folle è chi non la spoglia
27.6e poco parmi le cuoca la pena.
27.7La mia cugina è vedova e disia,
27.8e se 'l negasse non gliel crederia.
28.1Per che, sentendo te saggio ed accorto,
28.2a lei e ad amendue posso piacere,
28.3ed a ciascun donar pari conforto,
28.4poscia ch'occulto il dobbiate tenere,
28.5e fia come non fosse; e farei torto,
28.6se 'n ciò non ne facessi il mio potere
28.7in tuo servigio; e tu sii savio poi,
28.8in tener chiusa tale opera altrui. —
29.1Udiva Troiol Pandaro contento
29.2sì nella mente, ch'esser gli parea
29.3quasi già fuor di tutto il suo tormento,
29.4e più nel suo amor si raccendea;
29.5ma poi ch'alquanto stato fu attento,
29.6a Pandaro si volse e gli dicea:
29.7— Io credo ciò che tu di' di costei,
29.8e troppo ne par più agli occhi miei.
30.1Ma come mancherà per ciò l'ardore
30.2ch'io porto dentro, che non vidi mai
30.3ch'ella s'accorgesse del mio amore?
30.4Ella nol crederà se tu 'l dirai;
30.5poi, per tema di te, questo furore
30.6biasimerà, e niente farai.
30.7E se nel cor l'avesse, per mostrarti
30.8d'essere onesta, non vorrà 'scoltarti.
31.1Ed oltre a questo, Pandar, non vorria
31.2che tu credessi che io desiassi
31.3di cotal donna alcuna villania.
31.4Che e' le fosse a grado ch'io l'amassi
31.5solamente vorrei: questo mi fia
31.6sovrana grazia se io la 'mpetrassi.
31.7Di questo cerca, e più non ti dimando. —
31.8Poi bassò 'l viso alquanto vergognando.
32.1A cui, ridendo, Pandaro rispose:
32.2— Niente nuoce ciò che tu ragioni.
32.3Lascia far me, ché le fiamme amorose
32.4ho per le mani e sì fatti sermoni,
32.5e seppi già recar più alte cose
32.6al fine suo con nuove condizioni.
32.7Questa fatica tutta sarà mia,
32.8e 'l dolce fine voglio che tuo sia. —
33.1Troiolo destro si gittò in terra
33.2del letto, lui abbracciando e basciando,
33.3giurando appresso che la greca guerra
33.4vincer nulla sariegli triunfando,
33.5a petto a questo ardor che tanto 'l serra:
33.6— Pandaro mio, io mi ti raccomando,
33.7tu savio, tu amico, tu sai tutto
33.8ciò che bisogna a dar fine al mio lutto. —
34.1Pandaro disioso di servire
34.2il giovinetto, il quale e' molto amava,
34.3lasciato lui dove gli piacque gire,
34.4sen gì ver dove Criseida stava;
34.5la qual, veggendo lui a sé venire,
34.6levata in piè, di lungi il salutava,
34.7e Pandar lei, cui per la man pigliata
34.8in una loggia seco l'ha menata.
35.1Quivi con risa e con dolci parole,
35.2con lieti motti e con ragionamenti
35.3parentevoli assai, sì come suole
35.4farsi talvolta tra congiunte genti,
35.5si stette alquanto come quei che vuole
35.6al suo proposto, con nuovi argomenti,
35.7venir, se el potrà, e nel bel viso
35.8cominciò forte a riguardarla fiso.
36.1Criseida che il vide, sorridendo
36.2disse: — Cugin, non mi vedesti mai
36.3che tu mi vai così mente tegnendo? —
36.4A cui rispose Pandaro: — Ben sai
36.5ch'i' t'ho veduta e di vedere intendo,
36.6ma tu mi par più che l'usato assai
36.7bella ed hai più di che lodare Iddio
36.8che altra bella donna, al parer mio.
37.1Criseida disse: — Che vuol dir cotesto?
37.2Perché più ora che per lo passato? —
37.3A cui Pandar rispose lieto e presto:
37.4— Però che 'l tuo è 'l più avventurato
37.5viso che donna avesse mai in questo
37.6mondo; se io non ne sono ingannato,
37.7a sì fatto uomo ho sentito che piace
37.8oltre misura sì che se ne sface. —
38.1Criseida alquanto arrossò vergognosa
38.2udendo ciò che Pandaro diceva,
38.3e risembrava mattutina rosa.
38.4Poi ta' parole a Pandaro moveva:
38.5— Non ti far beffe di me, che gioiosa
38.6d'ogni tuo ben sarei. Poco doveva
38.7avere a far colui a cui io piacqui,
38.8che mai più non avvenne poi ch'io nacqui. —
39.1— Lasciamo star li motti — disse allora
39.2Pandaro — e dimmi: se' ten tu accorta? —
39.3A cui ella rispose: — Non ancora
39.4più d'un che d'altro, se io non sia morta.
39.5È vero ch'io ci veggio ad ora ad ora
39.6passare alcun che sempre alla mia porta
39.7rimira, non so io s'el va cercando
39.8di veder me, o altro va musando. —
40.1Pandaro disse: — Chi è el colui? —
40.2A cui Criseida disse: — Veramente
40.3io nol conosco, né ti so di lui
40.4più oltre dire. — E Pandaro che sente
40.5che di Troiol non dice ma d'altrui,
40.6così seguì a lei subitamente:
40.7Non è colui il qual tu hai feruto,
40.8uom che non sia da tutti conosciuto. —
41.1— Chi è dunque costui che si diletta
41.2sì di vedermi? — Criseida disse.
41.3A cui Pandaro allora: — Giovinetta,
41.4poi che colui che 'l mondo circoscrisse
41.5fece il primo uom, non credo più perfetta
41.6anima mai 'n alcun altro venisse,
41.7che quella di colui che t'ama tanto,
41.8che dir non si potrebbe giammai quanto.
42.1Egli è d'animo altiero e di legnaggio
42.2onesto molto, e cupido d'onore,
42.3di senno natural più ch'altro saggio,
42.4né di scienza n'è alcun maggiore;
42.5prode ed ardito e chiaro nel visaggio,
42.6io non potrei dir tutto il suo valore.
42.7Deh, quanto ell'è felice tua bellezza,
42.8poi che tal uomo più ch'altro l'apprezza.
43.1Ben è la gemma posta nell'anello,
43.2se tu sei savia come tu sei bella:
43.3se tu diventi sua così com'ello
43.4è divenuto tuo, ben ha la stella
43.5giunta col sole; né mai fu donzello
43.6giunto sì bene ad alcuna donzella
43.7come tu seco, se savia sarai:
43.8beata te se tu 'l conoscerai!
44.1Solo una volta ha nel mondo ventura
44.2qualunque vive, s'ei la sa pigliare;
44.3chi lei vegnente lascia, sua sciagura
44.4pianga da sé sanza altrui biasimare;
44.5la tua vaga e bellissima figura
44.6la t'ha trovata, or sappi adoperare.
44.7Lascia me pianger che 'n malora nacqui,
44.8ch'a Dio, al mondo ed a Fortuna spiacqui. —
45.1— Tentimi tu, o parli daddovero,
45.2— Criseida disse — o sei del senno uscito?
45.3Chi dee aver di me piacere intero
45.4se già non divenisse mio marito?
45.5Ma chi è questi, dimmi, è el stranero
45.6o cittadin, che per me è smarrito?
45.7Dilmi s'tu vuoi e se dir lo mi dei,
45.8e non chiamar sanza cagion gli omei. —
46.1Pandaro disse: — Egli è pur cittadino,
46.2non de' minori, e mio amico è molto;
46.3dal qual, per forza forse di destino
46.4tratto ho del petto ciò che io t'ho sciolto.
46.5El vive in pianto misero e meschino,
46.6sì lo splendor l'accende del tuo volto;
46.7e perché sappi chi cotanto t'ama,
46.8Troiolo è quei che più ch'altro ti brama. —
47.1Dimorò sovra sé Criseida allora
47.2Pandaro riguardando, e tal divenne
47.3qual da mattina l'aer si colora,
47.4e con fatica le lagrime tenne
47.5venute agli occhi per cadere fora.
47.6Poscia come il perduto ardir rivenne,
47.7un poco seco prima mormorando,
47.8così a Pandar disse sospirando:
48.1— Io mi credeva, Pandaro, se io
48.2in tal follia giammai fossi caduta,
48.3che Troiolo venuto nel disio
48.4mi fosse mai, tu m'avessi battuta
48.5non che ripresa, sì come uom che 'l mio
48.6onor cercar dovresti: oh Dio aiuta!
48.7che faran gli altri, poi che tu t'ingegni
48.8di seguir farmi gli amorosi regni?
49.1Ben so che Troiolo è grande e valoroso,
49.2e ciascuna gran donna ne dovria
49.3esser contenta; ma poi che 'l mio sposo
49.4tolto mi fu, sempre la voglia mia
49.5da amore fu lontana, ed ho doglioso
49.6il core ancor della sua morte ria,
49.7ed avrò mentre che sarò in vita,
49.8tornandomi a memoria sua partita.
50.1E se alcuno il mio amor dovesse
50.2aver, per certo a lui il donerei,
50.3sol ch'io credessi che e' gli piacesse.
50.4Ma come tu conoscer chiaro dei,
50.5che or vaghezze si trovano spesse
50.6chente egli ha ora, e quattro dì o sei
50.7durano, e passan poscia di leggero,
50.8cambiando amor, così cambia il pensiero.
51.1Però mi lascia tal vita menare
51.2chente Fortuna apparecchiata m'have;
51.3el troverà ben donna da amare
51.4al piacer suo ed umile e soave;
51.5a me onesta si convien di stare.
51.6Pandar, per Dio, deh. non ti paia grave
51.7questa risposta, e lui fa che conforti
51.8con piacer nuovi e con altri diporti —
52.1Pandaro seco si tenea scornato
52.2udendo il ragionar della donzella,
52.3e per partirsi quasi fu levato;
52.4poi pure stette, e rivolsesi ad ella
52.5dicendo: — Io t'ho, Criseida, lodato
52.6quel ch'io farei a mia carnal sorella
52.7o a mia figlia o moglie s'io l'avessi,
52.8s'e miei piacer da Dio mi sian concessi.
53.1Però ch'io sento che Troiolo vale
53.2cosa maggiore assai che non sarebbe
53.3il tuo amore, e vidil ieri a tale,
53.4per questo amor, che forte me ne 'ncrebbe.
53.5Forse non credi e però non ten cale;
53.6ben so ch'a forza te ne 'ncrescerebbe,
53.7se sapessi quel ch'io del suo ardore.
53.8Deh, 'ncrescati di lui per lo mio amore!
54.1Io non credo ch'al mondo sia alcuno
54.2più segreto uom di lui né con più fede,
54.3ed è leal quanto ne sia nessuno,
54.4né più oltre di te disia o vede;
54.5ed a te, stando in vestimento bruno,
54.6giovane ancor, d'amare si concede.
54.7Non perder tempo, pensa che vecchiezza
54.8o morte torrà via la tua bellezza.
55.1— Oh me, — disse Criseida — tu di' vero,
55.2così cen portan gli anni a poco a poco,
55.3e' più si muoion prima che 'l sentiero
55.4si compia, dato dal celeste foco.
55.5Ma lasciamo ora di questo il pensiero,
55.6e dimmi se d'amor sollazzo e gioco
55.7ancor poss'io avere. In che maniera
55.8t'avvedesti di Troiol la primiera? —
56.1Sorrise allora Pandaro e rispose:
56.2— Io 'l ti dirò da poi che 'l vuoi sapere.
56.3L'altrieri, essendo in quiete le cose
56.4per la triegua allor fatta, fu 'n calere
56.5a Troiol ch'io con lui per selve ombrose
56.6m'andassi diportando; ivi a sedere
56.7postici, a ragionar cominciò meco
56.8d'amore, e poi di lui a cantar seco.
57.1Io non gli era vicin, ma mormorare
57.2udendol, ver di lui mi feci attento,
57.3e per quel ch'io mi possa ricordare,
57.4ad Amor si dolea nel suo tormento,
57.5dicendo: «Signor mio, già mi si pare
57.6nel viso e ne' sospiri ciò ch'io sento
57.7dentro dal cor per leggiadra vaghezza,
57.8la qual m'ha preso con la sua bellezza.
58.1Tu stai colà dov'io porto dipinta
58.2l'immagine che più ch'altro mi piace,
58.3e quivi vedi l'anima che vinta
58.4dalla folgore tua pensosa giace;
58.5la qual la tiene intorno stretta cinta,
58.6chiamando sempre quella dolce pace,
58.7che gli occhi belli e vaghi di costei
58.8sol posson dare, car signore, a lei.
59.1Dunque, per Dio, se 'l mio morir ti noia,
59.2fallo sentire a questa vaga cosa,
59.3e lei pregando, impetra quella gioia
59.4che suole a' tuoi suggetti donar posa.
59.5Deh, non voler, signor mio, che io moia,
59.6deh, fal, per Dio, tu ve' che l'angosciosa
59.7anima giorno e notte sempre grida,
59.8tale ha paura ch'ella non l'uccida.
60.1Dubiti tu sotto la bruna vesta
60.2d'accender le tue fiamme, signor mio?
60.3Nulla ti fia maggior gloria che questa;
60.4entra nel petto suo con quel disio
60.5che dimora nel mio e mi molesta;
60.6deh, fallo, i' te ne priego, signor pio,
60.7sì che per te li suoi dolci sospiri
60.8conforto portino alli miei disiri».
61.1E questo detto, forte sospirando,
61.2bassò la testa non so che dicendo,
61.3poscia si tacque quasi lagrimando.
61.4In me di quel che era, ciò veggendo,
61.5entrò sospetto, e proposi che, quando
61.6tempo più atto fosse, un dì ridendo
61.7di domandarlo ciò che la canzone
61.8volesse dire, e poi della cagione.
62.1Ma tempo a questo prima non occorse
62.2che oggi ch'io 'l trovai tutto soletto:
62.3andando io nella sua camera, in forse
62.4se el vi fosse, ed egli era in sul letto,
62.5e me vedendo, altrove si ritorse;
62.6di che io presi alquanto di sospetto,
62.7e fattomi più presso, ch'el piangea
62.8il trovai forte, e forte si dolea.
63.1Come io seppi il più lo confortai,
63.2e con nuova arte e con diverso ingegno,
63.3di bocca quel ch'avesse gli cavai,
63.4datagli pria la mia fede per pegno
63.5ch'io nol direi ad alcun uom giammai.
63.6Questa pietà mi mosse, e per lei vegno
63.7a te, a cui in brieve ho soddisfatto
63.8di quel che prieghi in ogni modo e atto.
64.1Tu che farai? Deh, dilmi, starai altera,
64.2e lascerai colui, che sé non cura
64.3per amar te, a morte tanto fera
64.4venire? O reo distino, o rea ventura
64.5ch'un sì fatto uom per te amando pera!
64.6Almanco della tua vaga figura
64.7non gli fostù né de' tuoi occhi cara,
64.8forse il campresti ancor da morte amara. —
65.1Criseida disse allora: — Di lontano
65.2il segreto scorgesti del suo petto,
65.3come ch'el ferma poi tenesse mano
65.4quando il trovasti pianger sopra il letto;
65.5e così 'l faccia Iddio lieto e sano
65.6e me ancora, come per tuo detto
65.7pietà me n'è venuta. Io non son cruda
65.8come ti par, né sì di pietà nuda. —
66.1E stata alquanto, dopo un gran sospiro,
66.2trafitta già, seguì: — Deh, io m'avveggio
66.3dove ti trae il pietoso disiro,
66.4ed io il farò, poi piacer ten deggio,
66.5ed egli il vale, e bastigli s'i' 'l miro;
66.6ma per fuggir vergogna e forse peggio,
66.7priegal ch'el sia saggio, e faccia quello
66.8ch'a me biasmo non sia, né anche ad ello. —
67.1— Sorella mia, — allor Pandaro disse —
67.2tu parli bene, ed io nel pregheraggio.
67.3Vero è che io non credo ch'el fallisse,
67.4tanto il conosco costumato e saggio,
67.5fuor se per isciagura non venisse;
67.6tolgalo Iddio, ed io ci metteraggio
67.7compenso tal che ti sarà 'n piacere;
67.8fatti con Dio e fa il tuo dovere. —
68.1Partito Pandar, se ne gì soletta
68.2nella camera sua Criseida bella,
68.3seco nel cor ciascuna paroletta
68.4rivolvendo di Pandaro e novella,
68.5in quella forma ch'era stata detta,
68.6e lieta seco ragiona e favella
68.7in cotal guisa, seco sospirando,
68.8oltre l'usato Troiol immaginando:
69.1«Io son giovane, bella, vaga e lieta,
69.2vedova, ricca, nobile ed amata,
69.3sanza figliuoli ed in vita quieta,
69.4perché esser non deggio innamorata?
69.5Se forse l'onestà questo mi vieta,
69.6io sarò saggia, e terrò sì celata
69.7la voglia mia, che non sarà saputo
69.8ch'io aggia mai nel core amore avuto.
70.1La giovinezza mia si fugge ogni ora,
70.2debbol'io perder sì miseramente?
70.3Io non conosco in questa terra ancora
70.4niuna sanza amante, e la più gente,
70.5com'io conosco, veggio s'innamora,
70.6ed io mi perdo il tempo per niente;
70.7e come gli altri far non è peccato,
70.8né ne può esser alcun biasimato.
71.1Chi mi vorrà se io c'invecchio mai?
71.2Certo nessuno, ed allora avvedersi
71.3altro non è se non crescer di guai.
71.4Niente vale il dì dietro pentersi
71.5e dir dolente: ‘perché non amai?’.
71.6Buon è adunque a tempo provvedersi:
71.7costui è bel, gentil, savio ed accorto,
71.8che t'ama, e fresco più che giglio d'orto,
72.1di real sangue e di sommo valore,
72.2e Pandar tuo cugin tel loda tanto;
72.3dunque che fai? Perché dentro dal core,
72.4com'egli ha te, lui non ricevi alquanto?
72.5Perché non gli dai tu il tuo amore?
72.6Non odi tu la pièta del suo pianto?
72.7Oh quanto bene ancora avrai con lui,
72.8se com'egli ama te, tu ami lui!
73.1Ed ora non è tempo da marito,
73.2e se pur fosse, la sua libertate
73.3servare è troppo più savio partito.
73.4L'amor che vien da sì fatta amistate
73.5è sempre tra gli amici assai gradito:
73.6ma, sia quanto vuol grande la biltate
73.7che a' mariti tosto non rincresca,
73.8vaghi d'avere ogni dì cosa fresca;
74.1l'acqua furtiva assai più dolce cosa
74.2è che il vin con abbondanza avuto;
74.3così d'amor la gioia che sia nascosa
74.4trapassa assai del sempre mai tenuto
74.5marito in braccio. Adunque vigorosa
74.6ricevi il dolce amore, il qual venuto
74.7t'è fermamente mandandolo Iddio,
74.8e soddisfa al suo caldo disio».
75.1E stando alquanto, poi si rivolgea
75.2nell'altra parte: «Misera», dicendo
75.3«che vuoi tu far? Non sai tu quanto re
75.4vita si trae con esso amor languendo,
75.5nella qual sempre convien che si stea
75.6in pianti ed in sospiri ed in dolendo,
75.7avendo poi per giunta gelosia
75.8che è peggio assai che ogni morte ria?
76.1Appresso, questi ch'al presente t'ama
76.2è di troppo più alta condizione
76.3che tu non sei; questa amorosa brama
76.4gli passerà, ed in abusione
76.5sempre t'avrà, e lasceratti grama,
76.6d'infamia piena e di confusione.
76.7Guarda che fai, ché il senno da sezzo
76.8né fu, né è, né fia mai d'alcun prezzo.
77.1Ma posto pur che questo amor lontano
77.2debba durar, come puoi tu sapere
77.3ch'el debba star celato? Assai è vano
77.4fidarsi alla Fortuna, e ben vedere
77.5quanto uopo fa non può consiglio umano;
77.6e se si scuopre aperto, puoi tenere
77.7la fama tua in etterno perduta,
77.8la qual sì buona hai fino a qui avuta.
78.1Dunque cotali amor lasciali stare
78.2a cui e' piaccion». Poi appresso il detto
78.3incominciava forte a sospirare,
78.4né si poteva già dal casto petto
78.5il bel viso di Troiolo cacciare;
78.6per che tornava sopra il primo effetto
78.7biasimando e lodando, in tale erranza
78.8seco faccendo lunga dimoranza.
79.1Pandar, che da Criseida dipartito
79.2s'era contento, sanza altrove gire,
79.3a Troiolo diritto s'è reddito,
79.4e di lontano gli cominciò a dire:
79.5— Confortati, fratel, ch'i' ho fornito
79.6gran parte, credo, del tuo gran disire. —
79.7E postosi a seder, gli disse ratto,
79.8sanza interpor, com'era stato il fatto.
80.1Quali i fioretti, dal notturno gelo
80.2chinati e chiusi, poi che 'l sol gl'imbianca,
80.3tutti s'apron diritti in loro stelo,
80.4cotal si fé di sua virtute stanca
80.5Troiolo allora, e riguardando il cielo,
80.6incominciò come persona franca:
80.7— Lodato sia il tuo sommo valore,
80.8Venere bella, e del tuo figlio Amore. —
81.1Poi Pandaro abbracciò mille fiate
81.2e basciollo altrettante, sì contento
81.3che più non saria stato se donate
81.4gli fosser mille Troie; e lento lento
81.5con Pandar solo, a veder la biltate
81.6di Criseida andò, guardando attento
81.7se alcun atto nuovo in lei vedeva,
81.8per quel che Pandar ragionato aveva.
82.1Ella si stava ad una sua finestra,
82.2e forse quel ch'avvenne ella aspettava;
82.3né si mostrò selvaggia né alpestra
82.4verso di Troiol che la riguardava,
82.5ma tutta volta in su la poppa destra,
82.6onestamente verso lui mirava.
82.7Di che allegro Troiol se ne gio,
82.8grazie rendendo a Pandaro ed a Dio.
83.1E quella trepidezza che 'ntra due
83.2Criseida tenea, sen fuggì via,
83.3seco lodando le maniere sue,
83.4gli atti piacevoli e la cortesia.
83.5E sì subitamente presa fue,
83.6che sopra ogni altro bene lui disia,
83.7e duolle forte del tempo perduto,
83.8che 'l suo amor non avea conosciuto.
84.1Troiolo canta e fa mirabil festa,
84.2armeggia e dona e spende lietamente,
84.3e spesso si rinnuova e cangia vesta,
84.4ogni ora amando più ferventemente;
84.5e per piacer non gli è cosa molesta
84.6ancor seguir, mirar discretamente
84.7Criseida, la qual, non men discreta,
84.8gli si mostrava a' tempi vaga e lieta.
85.1Ma come noi, per continua usanza,
85.2per più legne veggiam foco maggiore,
85.3così avvien, crescendo la speranza,
85.4assai sovente ancor cresce l'amore;
85.5e quinci Troiol con maggior possanza
85.6che l'usato sentì nel preso cuore
85.7l'alto disio spronarlo, onde i sospiri
85.8tornar più fier che prima e li martiri.
86.1Di che Troiol con Pandaro talvolta
86.2si dolea forte: — Lasso me, — dicendo —
86.3el m'ha Criseida sì l'anima tolta
86.4co' suoi begli occhi, che morire intendo
86.5per lo disio fervente che s'affolta
86.6sì sopra il cuor nel quale io ardo e 'ncendo.
86.7Deh, che farò? che contento dovria
86.8solo esser della sua gran cortesia.
87.1Ella mi guata e soffere ch'io guati
87.2onestamente lei; questo dovrebbe
87.3essere assai a' miei disii 'nfiammati
87.4ma l'appetito cupido vorrebbe
87.5non so che più, sì mal son regolati
87.6gli ardor che 'l muovon, e nol crederebbe
87.7chi nol provasse, quanto mi tormenta
87.8tal fiamma che maggiore ognor diventa.
88.1Che farò dunque? Io non so che mi fare,
88.2se non chiamarti, Criseida bella;
88.3tu sola sei che mi puoi aiutare,
88.4tu, valorosa donna, tu sei quella
88.5che sola puoi il mio foco attutare,
88.6o dolce luce e del mio cor fiammella:
88.7or stess'io teco una notte d'inverno,
88.8cento cinquanta poi stessi in inferno.
89.1Che farò, Pandar? Tu non di' niente?
89.2Tu mi vedi arder in sì fatto fuoco,
89.3e vista fai di non aver la mente
89.4a' miei sospir? Deh, ve' com'io mi cuoco?
89.5Aiutami, io ten priego caramente,
89.6dimmi ch'io faccia, consigliami un poco;
89.7se da te e da lei non ho soccorso,
89.8di morte nelle reti son trascorso. —
90.1Pandaro allora disse: — Io veggio bene
90.2ed odo quanto di', né sonmi infinto,
90.3né mai m'infingerò alle tue pene
90.4donare aiuto, e sempre son succinto
90.5a far non sol per te ciò che convene,
90.6ma ogni cosa sanza esser sospinto
90.7o da forza o da priego: fa tu ch'io
90.8aperto veggia il tuo alto disio.
91.1Io so che 'n ogni cosa, per un sei
91.2tu vedi più di me, ma tuttavia
91.3io fossi in te, intera scriverei
91.4ad essa di mia man la pena mia,
91.5e sopra ciò per Dio la pregherei,
91.6e per amore e per sua cortesia,
91.7che di me le calesse; e questo scritto
91.8io glielo porterò sanza rispitto.
92.1Ed oltre a questo, ancora a mio potere
92.2la pregherò ch'abbi di te mercede.
92.3Quel ch'ella rispondrà potrem vedere,
92.4e già di certo l'animo mio crede
92.5che sua risposta ti dovrà piacere;
92.6e però scrivi, e ponvi ogni tua fede,
92.7ogni tua pena, ed il disio appresso:
92.8nulla lasciar che non vi sia espresso. —
93.1Questo consiglio a Troiol piacque assai,
93.2ma, come amante timido, rispose:
93.3— Oh me, Pandaro, che tu vederai,
93.4come si vede che son vergognose
93.5le donne, ché lo scritto che portrai,
93.6Criseida, per vergogna, con noiose
93.7parole rifiutrà, e peggiorato
93.8avremo oltre misura il nostro stato. —
94.1A ciò Pandaro disse: — Se ti piace,
94.2fa quel ch'io dico e me poi lascia fare,
94.3ché, se Amor mi ponga in la sua pace,
94.4io te ne credo risposta arrecare
94.5di sua man fatta; se ciò ti dispiace,
94.6timido e tristo te ne puoi stare.
94.7Ripiaterai poi te del tuo tormento:
94.8ché per me non riman farti contento. —
95.1Allora disse Troiol: — Fatto sia
95.2il piacer tuo; io vado e scriveraggio,
95.3ed Amor priego, per sua cortesia,
95.4lo scrivere e la lettera e 'l viaggio
95.5fruttevol faccia. — E di quindi s'invia
95.6alla camera sua, e come saggio
95.7alla sua donna carissima scrisse
95.8una lettera presto, e così disse:
96.1«Come può quei che in affanno è posto,
96.2in pianto grave ed in stato molesto
96.3come sono io per te, donna, disposto,
96.4ad alcun dar salute? credo chesto
96.5esser non dee da lui; ond'io mi scosto
96.6da quel che gli altri fanno, e sol per questo
96.7qui da me salutata non sarai,
96.8perch'io non l'ho se tu non la mi dai.
97.1Io non posso fuggir quel ch'Amor vuole,
97.2il qual più vil di me già fece ardito,
97.3ed el mi strigne a scriver le parole
97.4che tu vedrai, e vuol pure obbedito
97.5esser da me sì come egli esser suole;
97.6perciò se per me fia in ciò fallito,
97.7lui ne riprendi, ed a me perdonanza
97.8ti priego doni, dolce mia speranza.
98.1L'alta bellezza tua, e lo splendore
98.2de' tuoi vaghi occhi e de' costumi ornati,
98.3l'onestà cara e 'l donnesco valore,
98.4li modi e gli atti più ch'altro lodati,
98.5nella mia mente hanno lui per signore
98.6e te per donna in tal guisa fermati,
98.7ch'altro accidente mai fuor che la morte
98.8a tirarvine fuor non saria forte.
99.1E che ch'io faccia, l'immagine bella
99.2di te sempre nel cor reca un pensiero,
99.3ch'ogni altro caccia che d'altro favella
99.4che sol di te, benché d'altro nel vero
99.5all'anima non caglia, fatta ancella
99.6del tuo valor, nel quale io solo spero:
99.7e 'l nome tuo m'è sempre nella bocca
99.8e 'l cor con più disio ognor mi tocca.
100.1Da queste cose, donna, nasce un foco
100.2che giorno e notte l'anima martira,
100.3sanza lasciarmi in posa trovar loco.
100.4Piangonne gli occhi e 'l petto ne sospira,
100.5e consumar mi sento a poco a poco
100.6da questo ardor che dentro a me si gira;
100.7per che ricorrere alla tua virtute
100.8sol mi convien, s'io voglio aver salute.
101.1Tu sola puoi queste pene noiose,
101.2quando tu vogli, porre in dolce pace,
101.3tu sola puoi l'afflizion penose,
101.4madonna, porre in riposo verace,
101.5tu sola puoi, con l'opre tue pietose,
101.6tormi il tormento che sì mi disface;
101.7tu sola puoi, sì come donna mia,
101.8adempier ciò che lo mio cor disia.
102.1Dunque, se mai per pura fede alcuno,
102.2se mai per grande amor, se per disio
102.3di ben servire ognora in ciascheduno
102.4caso, qual si volesse o buono o rio,
102.5meritò grazia, fa ch'io ne sia uno,
102.6cara mia donna, fa ch'io sia quello io,
102.7ch'a te ricorro sì come a colei
102.8che se' cagion di tutti i sospir miei.
103.1Assai conosco che mai meritato
103.2non fu per mio servir quel per che vegno,
103.3ma sola tu che m'hai il cor piagato,
103.4e altri no, di maggior cosa degno
103.5mi puoi far, quando vogli; o disiato
103.6ben del mio cor, pon giù l'altiero sdegno
103.7dell'animo tuo grande, e sii umile
103.8ver me, quanto negli atti sei gentile.
104.1Or io son certo che sarai pietosa
104.2come sei bella, e la mia grave noia,
104.3discretamente lieta e graziosa,
104.4sanza voler ch'io misero muoia
104.5per molto amarti, donna dilettosa,
104.6ancora tornerà in dolce gioia;
104.7ed io ten priego, se 'l mio priego vale,
104.8per quello amor del quale or più ti cale.
105.1Io come ch'io sia un piccol dono,
105.2e poco possa e vaglia molto meno,
105.3sanza fallo alcun tutto tuo sono;
105.4or tu sei savia: s'io non dico appieno,
105.5intenderai, so, me' ch'io non ragiono,
105.6e spero simil che l'opere fieno
105.7migliori assai che, miei merti e maggiori;
105.8Amore a ciò ti disponga ed incuori.
106.1El mi restava molte cose a dire,
106.2ma per non farti noia le vo' tacere,
106.3e 'n questa fine priego il dolce sire
106.4Amor che, come te nel mio piacere
106.5ha posta, così me nel tuo disire
106.6ponga con quel medesimo volere,
106.7sì che, com'io son tuo, alcuna volta
106.8tu mia diventi, e mai non mi sia tolta».
107.1Scritte adunque tutte queste cose
107.2in una carta, per ordin piegolla,
107.3e 'n sulle guance tutte lagrimose
107.4bagnò la gemma, e quindi suggellolla,
107.5e nelle mani a Pandaro la pose,
107.6ma mille volte e più prima basciolla:
107.7— Lettera mia — dicendo — tu sarai
107.8beata, in man di tal donna verrai. —
108.1Pandaro, presa la lettera pia,
108.2n'andò verso Criseida, la quale
108.3come 'l vide venir, la compagnia
108.4con la quale era lasciata, cotale
108.5gli si fé 'ncontro parte della via,
108.6qual pare in vista perla orientale,
108.7temendo e disiando; e' salutarsi
108.8di lunge assai, poi per le man pigliarsi.
109.1Quindi disse Criseida: — Quale affare
109.2or qui ti mena? Hai tu altre novelle? —
109.3Alla qual Pandar sanza dimorare
109.4disse: — Donna, per te l'ho buone e belle,
109.5ma non tai per altrui, come mostrare
109.6ti potran queste scritte tapinelle
109.7di colui che per te mi par vedere
109.8morir, sì poco te n'è in calere.
110.1Telle, e vedraile diligentemente,
110.2e d'alcuna risposta il farai lieto. —
110.3Stette Criseida temorosamente
110.4sanza pigliarle; un poco il mansueto
110.5viso cambiò, e quindi pianamente
110.6disse: — Deh, Pandar mio, se in quieto
110.7stato ti ponga Amore, abbi rispetto
110.8alquanto a me, non pure al giovinetto.
111.1Guarda se quel che vuogli or si convene,
111.2e tu stesso sia giudice in questo,
111.3e vedi se prendendole fo bene,
111.4e se 'l tuo domandare è tanto onesto.
111.5El non si vuole per levar le pene
111.6altrui, per sé fare atto disonesto.
111.7Deh, non le mi lasciar, Pandaro mio,
111.8portale indietro, per amor di Dio. —
112.1Pandaro, alquanto di questo turbato,
112.2disse: — Questo è a pensar nuova cosa,
112.3che quel ch'è più dalle donne bramato,
112.4di ciò ciascuna e ischifa e cruciosa
112.5si mostra innanzi altrui; io t'ho parlato
112.6tanto di questo, ch'omai vergognosa
112.7non dovresti esser meco: io te ne priego
112.8che or di questo non mi facci niego. —
113.1Criseida sorrise lui udendo,
113.2e quelle prese e miselesi in seno:
113.3— Quando avrò agio — poi a lui dicendo —
113.4le vederò com'io saprò appieno.
113.5Se io fo men che ben questo faccendo,
113.6il non poter del tuo piacer far meno
113.7me n'è cagione; Iddio del cielo il veggia
113.8ed alla mia simplicità provveggia. —
114.1Partissi Pandar poi gliel'ebbe date,
114.2ed essa, vaga molto di vedere
114.3quel che dicesser, sue cagion trovate,
114.4le compagne lasciò, ed a sedere
114.5ne gì nella sua camera, e spiegate,
114.6lesse e rilesse quelle con piacere,
114.7e ben s'accorse che Troiolo ardea
114.8vie più assai che 'n atto non parea.
115.1Il che caro le fu, perché trafitta
115.2esser sentiesi l'anima nel core,
115.3di che ella viveva molto afflitta,
115.4come che punto non paresse fuore;
115.5e ben notata ogni parola scritta,
115.6di ciò lodò e ringraziò Amore,
115.7seco dicendo: «A spegner questo foco
115.8conviene a me trovare e tempo e loco.
116.1Ché s'io il lascio in troppo grande arsura
116.2multiplicare, el potrebbe avvenire
116.3che nella scolorita mia figura
116.4si vederebbe il nascoso disire,
116.5che mi saria non piccola sciagura.
116.6Ed io per me non intendo morire,
116.7né far morire altrui, quando con gioia
116.8posso schifar la mia e l'altrui noia.
117.1Io non sarò per lo certo disposta,
117.2come io sono infino a quici stata;
117.3se Pandar tornerà per la risposta,
117.4io gliela darò piacevole e grata,
117.5s'el mi costasse come non mi costa;
117.6né da Troiol sarò mai più spietata
117.7potuta dire. Or foss'io nelle braccia
117.8dolci di lui stretta e faccia a faccia!».
118.1Pandaro che da Troiolo sovente
118.2era studiato, a Criseida reddio,
118.3e sorridendo disse: — Donna, chente
118.4ti par lo scriver dello amico mio? —
118.5Ella divenne rossa incontanente,
118.6sanza dire altro se non: — Sallo Iddio. —
118.7A cui Pandaro disse: — Hai tu risposto? —
118.8A cui ella gabbando disse: — Tosto? —
119.1— S'io debbo mai potere adoperare
119.2per te, — Pandaro disse — or fa di farlo. —
119.3Ed ella a lui: — E' nol so io ben fare. —
119.4— Deh, — disse Pandar — pensa di appagarlo,
119.5e' suole Amor saper bene insegnare.
119.6Io ho sì gran disio di confortarlo
119.7che tu nol crederesti, in fede mia:
119.8la tua risposta sol questo poria. —
120.1— Ed io 'l farò poiché t'aggrada tanto,
120.2ma voglia Iddio che ben la cosa vada! —
120.3— Deh, sì andrà — disse Pandaro — in quanto
120.4colui il vale, a cui più ch'altro aggrada. —
120.5Poi si partì, ed ella dall'un canto
120.6della camera sua, ove più rada
120.7usanza di venire ad ogni altro era,
120.8a scriver giù si pose in tal manera:
121.1«A te amico discreto e possente,
121.2il qual forte di me inganna Amore,
121.3come uom preso di me 'ndebitamente,
121.4Criseida, salvato il suo onore,
121.5manda salute, e poi umilemente
121.6si raccomanda al tuo alto valore,
121.7vaga di compiacerti, dove sia
121.8l'onestà salva e la castità mia.
122.1Io ho avuto da colui che t'ama
122.2tanto perfettamente ch'el non cura
122.3già d'alcun mio onor né di mia fama,
122.4le carte piene della tua scrittura,
122.5nelle quai lessi la tua vita grama,
122.6non sanza doglia, s'io abbia ventura
122.7che mi sia cara, e benché sien fregiate
122.8di lucciole, pur l'ho assai mirate.
123.1Ed ogni cosa con ragion pensando,
123.2e l'afflizioni e 'l tuo addomandare,
123.3la fede e la speranza essaminando,
123.4non veggio com'io possa soddisfare
123.5assai acconciamente al tuo dimando,
123.6volendo bene ed intero guardare
123.7ciò che nel mondo più è da gradire,
123.8che è onesta vivere e morire.
124.1Come che il piacerti saria bene,
124.2se 'l mondo fosse tal chente dovrebbe,
124.3ma perché è tal quale a noi si convene
124.4per forza usarlo, seguir ne potrebbe,
124.5altro faccendo, disperate pene.
124.6Alla pietà per cui di te m'increbbe,
124.7malgrado mio, pur mi convien dar lato,
124.8di che sarai da me poco appagato.
125.1Ma è sì grande la virtù ch'io sento
125.2in te, ch'io so ch'aperto vederai
125.3ciò ch'a me si conviene, e che contento
125.4di ciò che io ti rispondo sarai,
125.5e porrai modo al tuo grave tormento,
125.6che nel cor mi dispiace e noia assai;
125.7e 'n verità s'el non si disdicesse,
125.8quel volentier farei che ti piacesse.
126.1Poco è lo scriver, come puoi vedere,
126.2e mi' arte in questa lettera, la quale
126.3vorrei che più ti recasse piacere,
126.4ma non si può ciò che si vuole aguale;
126.5forse farà ancor luogo il potere
126.6al buon volere, e se non ti par male,
126.7presta alla pena tua alquanto sosta,
126.8perché non ha ogni detto risposta.
127.1Il proferer che fai qui non ha loco,
127.2ché certa son ch'ogni cosa faresti;
127.3ed io nel ver, come ch'io vaglia poco
127.4vie più che mille volte mi potresti
127.5e puoi aver per tua, se crudel foco
127.6non m'arda, il che son certa non vorresti.
127.7Né dico più se non ch'io priego Iddio
127.8che ne contenti il tuo e 'l mio disio».
128.1E poi che ella ebbe in tal guisa detto,
128.2la ripiegò e suggellolla e diella
128.3a Pandaro, il qual, tosto il giovinetto
128.4Troiol cercando, a lui n'andò con ella,
128.5e presentagliel con sommo diletto;
128.6il qual, presala, ciò che scritto in quella
128.7era con festa lesse sospirando,
128.8secondo le parole il cor cambiando.
129.1Ma pure in fine, seco ripetendo
129.2bene ogni cosa che ella scrivea,
129.3disse fra sé: — Se io costei intendo
129.4amor la stringe, ma sì come rea,
129.5sotto lo scudo ancor si va chiudendo;
129.6ma non potrà, pur che forza mi dea
129.7Amore a sofferir, guari durare,
129.8ch'ella non vegna a tutt'altro parlare. —
130.1E 'l simigliante ne pareva ancora
130.2a Pandaro, col quale el dicea tutto;
130.3per che più che l'usato si rincora
130.4Troiol, lasciando alquanto il tristo lutto,
130.5e spera in brieve deggia venir l'ora
130.6ch'al suo martiro deggia render frutto:
130.7e questo chiede, e dì e notte chiama
130.8come colui che solamente il brama.
131.1Crescea di giorno in giorno più l'ardore
131.2e come che speranza l'aiutasse
131.3a sostener, pur gli era grave al core,
131.4e deesi creder che assai il noiasse;
131.5per che più volte del suo gran fervore
131.6stimar si può che lettere dittasse.
131.7Alle quai quando lieta e quando amara
131.8risposta gli veniva, e spessa e rara.
132.1Per che sovente d'Amor si dolea,
132.2e di Fortuna cui tenea nemica,
132.3e spesse volte: «Oh me,» seco dicea
132.4«s'un poco pur la pungesse l'ortica
132.5d'amor, com'ella me trafigge e screa,
132.6la vita mia, di solazzo mendica,
132.7tosto verrebbe al grazioso porto,
132.8al qual prima ch'io vegna sarò morto».
133.1Pandaro, che sentia le fiamme accese
133.2nel petto di colui cui egli amava,
133.3era de' prieghi suoi spesso cortese
133.4a Criseida, e tutto le narrava
133.5ciò che di Troiol vedeva palese;
133.6la quale, ancor che lieta l'ascoltava,
133.7diceva: — Io non posso altro, io gli fo quello
133.8che m'imponesti, caro mio fratello. —
134.1— Non basta questo: — Pandar rispondea —
134.2io vo' che tu 'l conforti e che gli parli. —
134.3A cui Criseida allo 'ncontro dicea:
134.4— Cotesto non intendo mai di farli,
134.5ché la corona dell'onestà mea,
134.6per partito verun non vo' donarli;
134.7come fratel, per la sua gran bontate
134.8l'amerò sempre con ferma onestate. —
135.1Pandaro rispondea: — Questa corona
135.2lodano i preti a cui tor non la ponno,
135.3e ciaschedun com'un santo ragiona,
135.4e poi vi colgon tutte quante al sonno.
135.5Di Troiol non saprà giammai persona;
135.6or pena assai e fa pur ben del donno.
135.7Assai fa mal chi può far ben nol face,
135.8e perder tempo a chi più sa più spiace. —
136.1Criseida dicea: — La sua virtute
136.2tenera so ch'ell'è del mio onore,
136.3né da me altro che cose dovute
136.4domanderia, tanto è il suo valore;
136.5ed io ti giuro, per la mia salute,
136.6ch'io son, da quel che tu dimandi in fore,
136.7sua mille volte più ch'io non son mia,
136.8tanto m'aggrada la sua cortesia. —
137.1— Se el t'aggrada, or che vai tu cercando?
137.2Deh, lascia star questa salvatichezza.
137.3Intendi tu che el si moia amando?
137.4Ben potrai cara aver la tua bellezza,
137.5s'uccidi un cotale uom; deh, dimmi quando
137.6tu vuoi ch'ei vegna a te, cui el più prezza
137.7che non fa 'l cielo, e dimmi come e dove;
137.8non voler vincer tutte le sue prove. —
138.1— Oimè lassa! a che m'hai tu condotta,
138.2Pandaro mio, e che vuoi tu ch'io faccia!
138.3Tu hai l'onestà mia spezzata e rotta,
138.4io non ardisco di mirarti in faccia.
138.5Oh me lassa, me misera, a che otta
138.6la riavrò io? il sangue mi s'agghiaccia
138.7intorno al cor, pensando quel che chiedi,
138.8e tu non te ne curi e chiaro il vedi.
139.1Io vorrei esser morta il giorno ch'io
139.2qui nella loggia tanto t'ascoltai;
139.3tu mi mettesti nel core un disio
139.4ch'appena credo ch'el n'esca giammai,
139.5e che mi fia cagion dell'onor mio
139.6perdere e, lassa, d'infiniti guai.
139.7Ma più non posso; poiché t'è 'n piacere,
139.8disposta sono a fare il tuo volere.
140.1Ma s'alcun priego può nel tuo cospetto,
140.2ti priego, dolce e caro mio fratello,
140.3ch'a tutti ciascun nostro fatto o detto
140.4occulto sia: tu puoi ben veder quello
140.5che seguir ne poria, se tale effetto
140.6venisse a luce. Deh, parlane ad ello
140.7e fannel savio, e come tempo fia,
140.8io farò quel che suo piacer disia. —
141.1Rispose Pandar: — Guarda la tua bocca,
141.2ché el per sé, né io, mai nol diremo. —
141.3— Or haimi tu — diss'ella — per sì sciocca,
141.4che vedi di paura tutta triemo
141.5ch'el non si sappia? Ma poiché ti tocca
141.6l'onore e la vergogna che n'avremo
141.7sì come a me, passerommene in pace,
141.8e tu ne fa omai come ti piace. —
142.1Pandar disse: — Di ciò non dubitare,
142.2ché in ciò avrem ben buona cautela.
142.3Quando vuoi tu ch'el ti vegna a parlare?
142.4Traiamo omai a capo questa tela,
142.5ché farlo tosto, poiché si dee fare,
142.6fia molto meglio, e molto me' si cela
142.7dopo il fatto l'amor, poscia ch'avrete
142.8composto insieme ciò che far dovrete. —
143.1— Tu sai — disse Criseida — che in questa
143.2casa son donne ed altre genti meco,
143.3delle quai parte alla futura festa
143.4debbono andare; allora sarò seco.
143.5Questa tardanza non gli sia molesta;
143.6del modo e del venire allora teco
143.7favellerò; fa pure ch'el sia saggio,
143.8e sappia ben celare il suo coraggio. —
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