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LIBRO DECIMO

Teseida

PoeTree.it

1.1Il gran nido di Leda ogni bellezza
1.2in molte luci di sé dimostrava
1.3e già propinqua a sua maggior cortezza
1.4tacitamente la notte n'andava,
1.5forse due ore vicina all'altezza
1.6dov'ella il suo mezzo cerchio toccava,
1.7quando da corte i Greci si partiro
1.8e alli proprii loro ostier reddiro.
2.1E acciò che per lor non si impedisse
2.2la lieta festa della nuova sposa,
2.3anzi che più della notte sen gisse,
2.4presa con loro ciascheduna cosa
2.5degna da pirra far, ciaschedun disse
2.6a' suoi: — Mentre la gente si riposa,
2.7piani al teatro grande ve n'andate
2.8e quivi con silenzio ci aspettate.
3.1E' morti corpi delli nostri amici
3.2tutti con diligenzia troverete,
3.3e acciò che non sien forse mendici
3.4d'onor di sepultura, laverete
3.5lor tutti quanti, e' roghi fate lici,
3.6ne' quai con degno onor li metterete,
3.7poi venuti sarem; ma chetamente
3.8si vuol far ciò, che nol senta la gente. -
4.1Mossersi allor con l'urne i servidori
4.2e 'nverso del gran teatro n'andaro;
4.3e, come avean comandato i signori,
4.4li morti corpi tutti ritrovaro,
4.5e quei con odoriferi liquori
4.6e con lagrime molte ancor lavaro;
4.7poi fatte pire per sé a ciascuno,
4.8sovra catune d'esse poserne uno.
5.1Vennervi i regi, e la tuba dolente
5.2con tristo suono fu apparecchiata,
5.3e 'ntorniarle tutte con lor gente;
5.4e poi ch'egli ebber ciascuna onorata
5.5d'arme e di ghirlande e di lucente
5.6porpora, fu la tromba comandata
5.7a sonare; e dier voce i tristi guai
5.8de' dolenti, che quivi erano assai.
6.1Allora i re, addimorati un poco,
6.2dentro alle pire fatte con dolore
6.3ciascuno al morto suo accese foco,
6.4e poi a Giove Stigio di core
6.5fer sacrificio, acciò che 'n pio loco
6.6ponesse que' che per lo lor valore
6.7erano il giorno morti combattendo,
6.8l'anime lor per altrui offerendo.
7.1I grassi fuochi e grandi e bene ardenti
7.2consumar tosto i corpi lor donati;
7.3li qua' con vino dalle greche genti
7.4pietosamente fur mortificati;
7.5e ricolte le ceneri candenti
7.6ne' vasi furon messe, apparecchiati
7.7con pia mano e con dolente verso,
7.8durante ancora assai del tempo perso.
8.1E quanto Niobè in Sifilone,
8.2allor che' figli di Latona fero
8.3vendetta della sua alta orazione,
8.4ne portò urne, e quivi in sasso vero
8.5si trasmutò, cotante è oppinione
8.6di quivi al tempio del gran Marte altiero
8.7segnate gisser del nome di quelli
8.8la cenere de' quai messa era in elli.
9.1Poi ricercarono i lasciati ostieri
9.2sì come bisognosi di riposo,
9.3e a dormire i regi e' cavalieri
9.4e qualunque altro, el tempo tenebroso,
9.5tutti quanti ne giron volontieri,
9.6infino al novo giorno luminoso;
9.7quindi levati a corte ritornaro,
9.8dove Teseo levato già trovaro.
10.1Tutti li Greci i qual avean difetto
10.2eran con somma cura medicati,
10.3e lor donato sollazzo e diletto,
10.4e ne' bisogni lor bene adagiati;
10.5tal che di morte e d'ogni altro sospetto
10.6forono in pochi giorni liberati,
10.7e come prima si rifecer sani
10.8così i cittadin come gli strani.
11.1Ma solo Arcita non potea guarire,
11.2tanto era dentro rotto pel cadere.
11.3Fevvi Teseo il grande Itmon venire
11.4d'Epidauria ad Arcita vedere;
11.5il qual si mise segreto a sentire
11.6del mal ch'Arcita in sé potesse avere,
11.7e sanza fallo se n'avide tosto
11.8come Arcita dentro era disposto.
12.1Per che a Teseo rispose di presente
12.2in cotal guisa: — Nobile signore,
12.3il vostro Arcita è morto veramente,
12.4né luogo ci ha di medico valore;
12.5Giove potrebbe in vita solamente
12.6servarlo, se volesse, ch'è maggiore
12.7che la natura e puote adoperare
12.8assai più che natura non può fare.
13.1Ma lasciando i miracoli in lor loco,
13.2dico che Esculapio non varrebbe
13.3per sanità di lui molto né poco;
13.4né 'l chiaro Appollo, ancora che tutta ebbe
13.5l'arte con seco e seppe il ghiaccio e 'l foco
13.6e l'umido e 'l calor e che potrebbe
13.7ciascuna erba o radice; però ch'esso
13.8per lungo e per traverso è dentro fesso.
14.1Dunque fatica per sua guarigione
14.2saria perduta, per quel ch'io ne senta.
14.3Fateli festa e consolazione,
14.4sì che ne vada l'anima contenta,
14.5il più si può, all'etterna prigione
14.6dove ogni luce Dite tiene spenta,
14.7e dove noi di dietro a lui andremo,
14.8quando di qua più viver non potremo. -
15.1Molto cotal parlar dolfe a Teseo,
15.2però ch'Arcita sommamente amava;
15.3e a chi ciò udiva il simil feo,
15.4però ch'ognuno alte cose sperava
15.5della sua vita, se 'l superno Deo
15.6vivo nelle parti attiche il lasciava;
15.7né sapevan di ciò nulla che farsi,
15.8se non ciascun di Giove lamentarsi.
16.1Adunque, ciascun giorno piggiorando,
16.2il buono Arcita in sé si fu accorto
16.3che 'l suo valor del tutto gia mancando,
16.4e che sanza alcun fallo egli era morto;
16.5né di ciò trarre il potea ragionando
16.6alcun giammai o dandoli conforto;
16.7per che volle di sé ciò che potesse
16.8disporre, sol ch'al buon Teseo piacesse.
17.1E fello a sé sanza indugio chiamare
17.2e cominciò con lagrime ver lui
17.3pietosamente così a parlare:
17.4— O nobile signor caro e a cui,
17.5mille volte morendo, meritare
17.6l'onor del qual giammai degno non fui
17.7non potre' mai, io mi veggo venire
17.8al passo il qual nessuno uom può fuggire.
18.1Al qual s'io vengo, che vi son, contento
18.2ne vado mal, pensando che l'amore
18.3il qual m'ha dato già tanto tormento
18.4per la giovane donna, che nel core
18.5ancora come mai per donna sento,
18.6lascio infinito, e te, caro signore,
18.7cui io appresso lei più disiava
18.8servir che Giove, e più mi dilettava.
19.1Ma più non posso, e far lo mi convene;
19.2per ch'io ti priego per ultimo dono,
19.3se lungamente Iddio ti guardi Attene,
19.4che, poi del mondo dipartito sono
19.5e sarò gito a riguardar le pene
19.6de' miseri che priegan per perdono,
19.7quel ch'io dirò tu facci sia fornito,
19.8se tu da Marte sempre sii udito.
20.1Signor, tu sai che, poi che di Creonte
20.2il giusto Marte ti diede vittoria,
20.3io, che con lui t'era uscito a fronte,
20.4per prigion preso, fui della tua gloria
20.5picciola parte, e certo non isponte,
20.6e Palemone ancor, come in memoria
20.7esser ti dee; li qua' festi guardare,
20.8forse temendo del nostro operare.
21.1Ma poi che quindi fummo liberati,
21.2per tua bontà e per tua cortesia
21.3li nostri ben, donde eravàn privati,
21.4ci fur renduti, e ogni baronia,
21.5come ti piacque, avemmo, e onorati
21.6fummo quale eravam giammai in pria;
21.7de' quali a Palemon tutta mia sorte
21.8ti priego doni appresso la mia morte.
22.1Similemente ancor t'è manifesto
22.2quanto amor m'abbia per Emilia stretto,
22.3il quale al tuo servigio sol per questo
22.4ad esser venni, né ciò che sospetto
22.5mi doveva esser mi fu mai molesto,
22.6anzi con fe' serviva e con diletto;
22.7né credo mai ti trovassi ingannato
22.8di cosa che di me ti sii fidato.
23.1El m'insegnò a divenire umile,
23.2esso mi fé ancor sanza paura,
23.3esso mi fé grazioso e gentile,
23.4esso la fede mia fé santa e pura,
23.5esso mostrò a me che mai a vile
23.6io non avessi nulla creatura,
23.7esso mi fé cortese e ubidente,
23.8esso mi fé valoroso e servente.
24.1Tanto mi diede ancor di pronto ardire,
24.2che sotto nome stran nelle tue mani
24.3mi misi, a rischio di dover morire;
24.4e certo a ciò non mi furon villani
24.5l'iddii, anzi facevan ben seguire
24.6i miei pensieri interi e tutti sani;
24.7né mi vergogno che in tuo onore
24.8io ti sia stato lungo servidore.
25.1Febo si fece servidor d'Ameto,
25.2mosso da quella medesma cagione
25.3che io mi mossi, e sì dolce e quieto
25.4servì, ch'egli ebbe la sua intenzione;
25.5e certo io il seguiva mansueto,
25.6se el non fosse stato Palemone;
25.7né dubito che ciò ch'io disiava
25.8m'avessi dato, s'io mi palesava.
26.1Or così va: e' non si può tornare
26.2ciò che è stato; ond'io sono a tal punto
26.3qual tu mi vedi, e sentomi scemare
26.4ognor la vita, e già quasi consunto
26.5del tutto son, né mi posso aiutare;
26.6a tal partito m'ha ora Amor giunto,
26.7a cui i' ho servito il tempo mio
26.8con pura fede e con sommo disio.
27.1Né 'l merito di ciò ch'io attendea
27.2goder non posso, ben che mi sia dato:
27.3veggio, di me, che ciascun fato avea
27.4che così fosse in sé diliberato
27.5e che del mio servir voglion ch'io stea
27.6contento che per merito onorato
27.7istato sia della data vittoria,
27.8che a' futuri fia sempre in memoria.
28.1E io perciò che più non posso avante,
28.2voglio aver questo per buon guiderdone;
28.3e que' che fu così com'io amante
28.4e la sua vita ha messa in condizione
28.5di morte e di periglio simigliante
28.6a me, io dico del buon Palemone,
28.7per merito del suo amar riceva
28.8la donna ch'io per mia aver doveva.
29.1Io te ne priego per quella salute
29.2che tu a lui e a me parimente
29.3donasti già, e per la tua virtute
29.4nota agl'iddii e all'umana gente,
29.5e per l'opere tue che conosciute
29.6sono e saranno al mondo etternalmente,
29.7e per la fede che io ti portai
29.8mentre nel tuo servigio dimorai.
30.1Questa mi fia tra l'ombre gran letizia,
30.2che Palemon, cui io molto amo, sia
30.3tratto per me d'amorosa tristizia,
30.4possedendo elli ciò che più disia;
30.5pensando ancora ch'elli abbia divizia
30.6di ciò ch'elli ama, per tua cortesia:
30.7almeno Emilia, mentre fia in vita,
30.8vedendo lui avrà a mente Arcita. -
31.1E questo detto, forte sospirando,
31.2tacque con gli occhi alla terra bassati,
31.3tacito seco stesso lagrimando;
31.4né quelli ardiva di tener levati:
31.5onde Teseo un poco attese, e quando
31.6vide che' suoi parlari eran posati,
31.7quasi piangendo, assai di lui pietoso,
31.8disse così con viso doloroso:
32.1— Tolgan l'iddii, Arcita, amico caro,
32.2che Lachesìs il fil poco tirato
32.3ancora tronchi, e cessin questo amaro
32.4dolor da me, se io l'ho meritato,
32.5che non si dia a tua vita riparo;
32.6e già in ciò Alimeto ha pensato
32.7insieme con Itmon, e sì faranno
32.8che vivo e sano a noi ti renderanno.
33.1Ma pur se dell'iddii fosse piacere
33.2di torti a me che più che luce t'amo,
33.3a forza ciò ne converria volere,
33.4però che isforzarli non possiamo.
33.5Ciò che m'hai detto, puoi certo sapere
33.6che, poi ti piace, sì come te il bramo,
33.7e sanza fallo tutto fia fornito,
33.8se tu venissi a sì fatto partito.
34.1Ma tu, come sì forte ti sgomenti
34.2pensando che così notabil cosa,
34.3come è Emilia, che faria contenti
34.4qualunque iddii di sé, tanto amorosa
34.5si fa vedere, e' suoi occhi lucenti
34.6pur te disian con vista lagrimosa,
34.7e essa è tua? Deh! prendi conforto,
34.8ch'ancor verrai a grazioso porto.
35.1Ben ci ha da render alto guiderdone
35.2delle fatiche da lui ricevute:
35.3io dico al tuo amico Palemone,
35.4del quale a me domandi la salute.
35.5Sol che tu sani, i' ho oppinione
35.6di porvi in parte, per vostra virtute,
35.7dove di voi tra voi ancor sarete
35.8contenti, sì che lieti viverete. -
36.1Arcita nulla a questo rispondeva,
36.2sì lo stringeva l'angoscia d'amore;
36.3e il suo stato assai ben conosceva,
36.4posto che i conforti del signore
36.5divoto udisse quanto più poteva;
36.6e già l'ambascia s'appressava al core
36.7della misera morte, onde si volse
36.8in altra parte e a Teseo si tolse.
37.1E poi che fu alquanto dimorato
37.2sanza mostrare o dire alcuna cosa,
37.3come era prima si fu rivoltato,
37.4e 'n voce rotta assai e angosciosa
37.5priega che Palemon li sia chiamato
37.6anzi che lasci esta vita noiosa;
37.7il qual lì venne, sanza dimorare,
37.8con altri molti per lui visitare.
38.1Il qual poi vide innanzi a sé venuto,
38.2e rimirato l'ebbe lungamente
38.3con luci acute, quasi conosciuto
38.4pria non l'avesse, con voce dolente
38.5disse: — O Palemone, egli è voluto
38.6nel ciel che più qui non istea niente;
38.7però innanzi il mio tristo partire,
38.8veder ti volli, toccare e udire.
39.1Tanto n'ha sempre avversata Giunone,
39.2che del seme di Cadmo solo Arcita
39.3n'è conosciuto e tu, o Palemone:
39.4or mi conviene angosciosa partita
39.5da te, parente, amico e compagnone,
39.6far, poi le piace, che alla mia vita
39.7stata è invidiosa allor ch'ella poteva
39.8più contentarla, se ella voleva.
40.1In quella entrata ch'io doveva fare
40.2ad esser delli suoi raccomandati,
40.3fa ella il mondo lieto a me lasciare
40.4per congiugnermi a' nostri primi andati.
40.5Or m'avesse ella pur lasciato entrare
40.6per tre giornate ne' suoi disiati
40.7luoghi! E appresso in pace avria sofferto
40.8ch'ella m'avesse morto o vuo' diserto.
41.1Non l'è piaciuto, e io non posso avanti;
41.2dunque tu sol, che a me se' rimaso
41.3del sangue altiero degli avoli tanti,
41.4quando verrà il doloroso caso
41.5ch'io lascerò la vita e' tristi pianti,
41.6gli occhi e la bocca e l'anelante naso
41.7priegoti che mi chiuda, e facci ch'io
41.8tosto trapassi d'Acheronte il rio.
42.1E perché tu, sì come io, amato
42.2hai lungamente Emilia graziosa,
42.3io ho Teseo a mio poter pregato
42.4che la ti doni per etterna sposa:
42.5priegoti che da te non sia negato
42.6perché tu sappi che di me pietosa
42.7ella sia stata e a me porti amore,
42.8ch'ell'ha suo dover fatto e suo onore.
43.1E giuroti, per quel mondo dolente
43.2al quale io vado sanza ritornata,
43.3che, a dire il ver, giammai al mio vivente
43.4di lei niuna cosa t'ho levata,
43.5se non forse alcun bascio solamente,
43.6sì che tale è qual tu te l'hai amata;
43.7ond'io ti priego, per tua cortesia,
43.8che tu la prenda e che cara ti sia.
44.1E lei con quello amor che tu solevi
44.2portarle più che ad altra creatura,
44.3s'egli era ver ciò che tu mi dicevi,
44.4onora e guarda; e sì d'operar cura,
44.5che 'l tuo valore usato si rilevi
44.6a ricrear la nostra fama oscura
44.7per lo dolente seme, ch'è ispento
44.8s'a rilevarlo non dai argomento.
45.1Certo quest'è manifesta cagione
45.2che ciaschedun dell'operato affanno
45.3ricever deggia degno guiderdone;
45.4dunque sarà per merito del danno
45.5c'hai già avuto e desolazione,
45.6come io so e ancor molti sanno,
45.7ricever lei, che credo più che 'l regno
45.8di Giove l'avrai cara, e senne degno.
46.1E s'ella forse per la morte mia
46.2pietosa desse alcuna lagrimetta,
46.3sì la raccheta che contenta sia,
46.4perciò che la sua vista leggiadretta
46.5fatta ha l'anima mia di lei sì pia,
46.6che 'l riso suo più me che lei diletta,
46.7e così il pianto suo più me attrista,
46.8ond'io mi cambio come la sua vista.
47.1In questa guisa, se l'anima sente
47.2poi la morte del corpo alcuna cosa
47.3di queste qua, tra la turba dolente
47.4andrà con più ardire e men dogliosa. -
47.5E questo detto, più oltre niente
47.6allora disse; donde con pietosa
47.7sembianza e voce appresso Palemone
47.8incominciò così fatto sermone:
48.1— O luce etterna, o reverendo onore
48.2del nostro sangue, poderoso Arcita,
48.3sed e' non è in te spento il valore
48.4usato, aiuta la tua cara vita
48.5con conforto sperando, ché 'l signore
48.6del ciel soccorre a chi se stesso aita;
48.7né far ragion che 'n giovinetta etate
48.8Antropòs ora pigli podestate.
49.1Cessin gl'iddii che io ultimo sia
49.2di tanto sangue, se tu te ne vai,
49.3né che Emilia mai diventi mia:
49.4tu l'acquistasti e tu per tua l'avrai;
49.5né l'uficio che chiedi fatto fia
49.6con la mia man, per mia voglia, giammai;
49.7ma la tua prole e tu gli chiuderete
49.8a me, e sopra me vivi sarete.
50.1Confortati: per que' celesti regni
50.2che t'ha il tuo valore apparecchiati
50.3allor che' membri tuoi saranno degni
50.4per età lunga d'esser transmutati
50.5in cenere, io ti priego ti sostegni,
50.6sì che tu usi i ben già guadagnati;
50.7e me tapino per lo mondo andare
50.8lascia, che' fati me voglion provare. -
51.1Arcita disse: — E' fia com'io t'ho detto;
51.2il che s'avien, ti priego quant'io posso
51.3che 'l mio disio in ciò mandi ad effetto,
51.4e questo sia, ogn'altro affar rimosso.
51.5Così disio, così mi fia diletto,
51.6così d'ogni gravezza sarò scosso. -
51.7E quinci tacquero amendun piangendo,
51.8e chi vi stava ancor pianger faccendo.
52.1A cotal pianto Ipolita piacente
52.2vi sopravenne, e Emilia con lei;
52.3e quando vider sì pietosamente
52.4pianger gli Achivi e li duci dircei,
52.5d'Arcita dubitarono, e dolente
52.6ciascuna domandò i re lernei
52.7che era ciò, che' due Teban piangeno
52.8e tutti loro ancor pianger faceno.
53.1E' fu lor detto; onde ognuna di loro
53.2più ad Arcita si fecero appresso,
53.3e cominciaron sanz'alcun dimoro
53.4a ragionar di più cose con esso
53.5e a darli conforto con costoro
53.6insieme ch'eran lì venuti ad esso
53.7e elli alquanto prese d'allegrezza
53.8poi che d'Emilia vide la bellezza.
54.1Ma poi ch'Arcita l'ebbe rimirata
54.2con occhio attento, sì come potea,
54.3e ebbe bene in sé considerata
54.4la gran bellezza che la donna avea,
54.5cominciò con sembianza transmutata
54.6a parlare in tal guisa qual potea,
54.7premessi avanti dolenti sospiri,
54.8caldo ciascun d'amorosi disiri:
55.1— Piangemi Amor nel doloroso core,
55.2là onde morte a forza il vuol cacciare;
55.3né vi può star, né uscir ne pò fore,
55.4sì ch'io il sento in me ramaricare
55.5con pianti e con parole di dolore
55.6accese più ch'i' non poria narrare,
55.7in forma che di sé mi fa pietoso,
55.8e di me, lasso!, oltre il dover doglioso.
56.1Gli spiriti visivi assai sovente
56.2mostrano a lui l'angelica figura
56.3per la qual esso nel core è possente,
56.4dicendo: «Deh! fie tal nostra sciagura,
56.5che ci convenga teco insiememente
56.6abandonar sì nobil creatura?».
56.7Esso risponde loro e sì gli abraccia,
56.8dicendo: «Sì, ché morte me ne caccia:
57.1io me ne vo con l'anima smarrita,
57.2la quale io presi col piacer di quella
57.3che da voi è nel mondo più gradita».
57.4Dunque nelle sue man ricevami ella,
57.5quand'io farò la dogliosa partita
57.6della presente vita tapinella. -
57.7E questo detto, forte lagrimando,
57.8gli occhi bassò, in terra riguardando.
58.1Queste parole gli angelici aspetti
58.2di quelle donne conturbavan molto
58.3e con dolore offendevano i petti
58.4dilicati in maniera che nel volto
58.5si parea loro; e ben sentieno i detti
58.6quali erano e che fosse in lor raccolto;
58.7e ben l'occulta morte conosceno
58.8nel viso a lui, che già veniva meno.
59.1Per che Emilia disse: — O signor mio,
59.2poscia che tu del viver ti disperi,
59.3deh, dimmi, o lassa!, e come farò io?
59.4Io ne verre' con teco volentieri,
59.5e già ciò appetisce il mio disio,
59.6perch'io non so che fuor di te mi speri.
59.7Tu eri solo il mio bene e la gioia,
59.8sanza di te non spero altro che noia. -
60.1A cui Arcita disse: — Bella amica,
60.2prendi conforto, e del mio trapassare
60.3non prender nel tuo animo fatica;
60.4ma per amor di me di confortare
60.5ti piaccia, se giammai cosa ch'io dica
60.6intendi nel futuro d'operare;
60.7io ho trovato a tua consolazione
60.8modo assai degno e con giusta ragione.
61.1Palemon, caro e stretto mio parente,
61.2non men di me t'ha lungamente amata,
61.3e per lo suo valor veracemente
61.4è più degno di me che isposata
61.5li sii, e questo vede tutta gente;
61.6ché, posto che vittoria a me donata
61.7fosse l'altrier, non fu già dirittura,
61.8ma sola fu la sua disaventura.
62.1Di che l'iddii errarono, e per certo
62.2credetter lui atare e me ataro;
62.3ma poi che il loro error fu discoperto,
62.4ciò ch'avean fatto indietro ritornaro
62.5e me recaron a sì fatto merto
62.6quale ora piango con dolore amaro,
62.7acciò che tu ti rimanessi ad esso,
62.8com'essi avean diliberato espresso.
63.1E io che tu sii sua me ne contento
63.2più che d'altrui, poi esser non puoi mia.
63.3Ferma in lui il tuo intendimento
63.4e quel pensa di far che el disia;
63.5e io son certo ch'ogni piacimento
63.6di te per lui sempre operato fia:
63.7egli è gentile e bello e grazioso;
63.8con lui avrai e diletto e riposo.
64.1Io muoio, e già mi sento intorno al core
64.2quella freddezza che suole arrecare
64.3con seco morte, e ogni mio valore
64.4sanza alcun dubbio in me sento mancare;
64.5però quel ch'io ti dico, per amore
64.6farai, poi più non posso teco stare;
64.7i fati t'hanno riserbata a lui,
64.8me' sarai sua non saresti d'altrui.
65.1Ma non pertanto l'anima dolente,
65.2che se ne va pel tuo amor piangendo,
65.3ti raccomando, e priegoti ch'a mente
65.4ti sia tuttora, mentre che vivendo
65.5qui starai sotto del bel ciel lucente,
65.6a te contenta l'aure traendo;
65.7ch'i' me ne vo, né so se tu verrai
65.8là dov'io sia, ch'i' ti rivegga mai.
66.1Gli ultimi basci solamente aspetto
66.2da te, o cara sposa, i quai mi dei
66.3ti priego molto; questo sol diletto
66.4in vita omai attendo, ond'io girei
66.5isconsolato con sommo dispetto
66.6s'i' non gli avessi, e mai non oserei
66.7gli occhi levar tra morti innamorati,
66.8ma sempre li terrei tra lor bassati. -
67.1Fatti erano i begli occhi rilucenti
67.2d'Emilia due fontane, lagrimando
67.3e fuor gittando sospiri cocenti,
67.4del suo Arcita il parlar ascoltando;
67.5e ben vedeva per chiari argomenti
67.6che, come esso dicea, venia mancando;
67.7per ch'ella in voce rotta e angosciosa
67.8così rispose tutta lagrimosa:
68.1— O caro sposo a me più che la vita,
68.2non verso te son crucciati l'iddii;
68.3io sola son cagion di tua partita,
68.4io nocevole sono a' tuoi disii;
68.5questa è vecchia ira incontro a me nutrita
68.6ne' petti lor, sì com'io già sentii,
68.7i qua' del tutto lo mio matrimonio
68.8negano, e io ne veggo testimonio.
69.1Il gran Teseo m'avea serbato Acate,
69.2col quale io giovinetta mi crescea:
69.3bello era e fresco nella nova etate,
69.4e nelli primi amori assai piacea
69.5a me; ma la innata crudeltate
69.6c'ha contro al nostro sangue Citerea,
69.7mel tolse, già al maritar vicina,
69.8ben che io fossi ancora assai fantina.
70.1Questa, non sazia del primo operare
70.2contra di me, già te veggendo mio,
70.3similemente te mi vuol levare.
70.4Dunque non altri t'uccide che io;
70.5io, lassa!, colpa son del tuo passare;
70.6il mio agurio tristo e 'l mio disio
70.7ti noccion, lassa!, e io rimango in pene
70.8e in tormento, non qual si convene.
71.1Omè, sovra di me andasse l'ira
71.2che altrui nuoce per la mia bellezza!
71.3Che colpa ci ha colui che mi disira,
71.4se la spietata Vener mi disprezza?
71.5Perché or contra te diventa dira?
71.6Perché in te discovre sua fierezza?
71.7Maladetta sia l'ora ch'io fui nata,
71.8e a te prima giammai palesata!
72.1O bello Arcita mio, sanza ragione
72.2or foss'io morta il dì che 'n questo mondo
72.3venni, poi ti doveva esser cagione
72.4di morte e torti di stato giocondo!
72.5Donde giammai sentir consolazione
72.6non credo in me, ma sempre di profondo
72.7cor mi dorrò dopo la tua partita,
72.8se dietro a te rimango, caro Arcita.
73.1Ora conosco i dolorosi ardori
73.2che oscuri mi mostrò l'altrier Diana;
73.3or so quai fosser l'aure che di fori
73.4n'uscian con vista e con voce profana,
73.5e quel che della fiamma li furori
73.6a me mostravan con mente non sana;
73.7ché se allor conosciuti gli avessi,
73.8non credo come stai che tu istessi.
74.1Io mi sarei dolorosa parata
74.2a te allor ch'al teatro ne gisti,
74.3e di pietà e d'amor colorata
74.4avrei voltati li tuoi passi tristi,
74.5e la dolente battaglia sturbata
74.6per la qual morte e per me ora acquisti;
74.7ma io non li conobbi, anzi sperai
74.8tutto il contrario di ciò che tu hai.
75.1Or più non posso; ond'io morrò dogliosa
75.2né so veder chi di morir mi tene,
75.3vedendo, sposo, tua vista angosciosa
75.4istar per me e in cotante pene.
75.5O me isventurata dolorosa!
75.6Quanto mal vidi, e tu ancora, Attene!
75.7E quanto mal per te mi riguardasti,
75.8il giorno che di me t'innamorasti!
76.1Omè, che' fior ch'io allora cogliea,
76.2e 'l canto, anzi fu pianto, ch'io cantava
76.3Erinis, lassa!, tutto ciò movea;
76.4e i' 'l senti', che talora tremava
76.5pavida, e la cagion non conoscea,
76.6né le future cose imaginava:
76.7or le conosco che son nel periglio,
76.8né posso ad esse porre alcun consiglio.
77.1E ora, caro sposo, mi comandi
77.2che, tu mancato, io prenda Palemone.
77.3Certo le tue parole mi son grandi,
77.4e debbo quelle per ogni ragione
77.5servar più che gli eccelsi e venerandi
77.6iddii che or m'offendon, né cagione
77.7non hanno; e io così le serveraggio,
77.8in quella guisa che io ti diraggio.
78.1Io so che Palemon m'ha tanto amata
78.2quanto uom gentil nessuna donna amasse;
78.3di che io non gli voglio essere ingrata,
78.4eziandio se Giove il comandasse.
78.5Chiaro conosco ch'a chiunque data
78.6fossi, se esso di grazia abondasse
78.7d'ogni vivente, ch'io nel priverei,
78.8tanto gli agurii miei conosco rei.
79.1E s'io a te sono or cagion di morte,
79.2e ad Acate fui, aver nociuto
79.3al mondo tanto assai gravosa sorte
79.4m'è a pensar; né quinci spero aiuto
79.5che possa sostener mia vita forte,
79.6che poi lo spirto tuo sarà partuto,
79.7che dietro a te per soverchio dolore
79.8io non ne venga, seguendo 'l tuo amore.
80.1E se pur fia la mia disaventura
80.2di vivere oltre a te, non vo' donare
80.3a Palemon della mia sciagura,
80.4laddove esso per fedele amare
80.5ha meritato; ma sola mia cura
80.6ne' boschi fia Diana seguitare,
80.7e ne' suoi templi, vergine vestita,
80.8serverò sempre mai celebe vita.
81.1E se Teseo vorrà pur che io sia
81.2d'alcuno sposa, alli nemici sui
81.3mi mandi, acciò che la sciagura mia
81.4ad essi noccia e sia utile a lui;
81.5e Palemone è tal, che se el disia
81.6d'avere sposa, e troverà altrui,
81.7che li sarà, più non sarei, felice;
81.8e ciò il cuor manifesto mi dice.
82.1Li stremi basci, omè!, li quai dolente
82.2mi cerchi, ti darò volonterosa,
82.3e prenderolli ancora parimente
82.4a mio poter; dopo li quai mai cosa
82.5non fia ch'io basci più certanamente;
82.6ma la mia bocca sempre come sposa
82.7di te co' basci che le donerai
82.8guarderò mentre in vita sarò mai. -
83.1E quinci quasi furiosa fatta,
83.2piangendo con altissimo romore,
83.3sopra lui corse in guisa d'una matta,
83.4dicendo: — Caro e dolce mio signore,
83.5ecco colei che per te ha disfatta,
83.6ecco colei che per te trista more;
83.7prendi li basci estremi, dopo i quali
83.8credo finire i miei etterni mali. -
84.1E pose il viso suo su quel d'Arcita,
84.2palido già per la morte vicina;
84.3né 'l toccò prima, ch'ella tramortita
84.4in su la faccia cadde risupina;
84.5ma, poi appresso si fu risentita,
84.6piangendo cominciò: — O me tapina!
84.7son questi i basci che io aspettava
84.8d'Arcita, il qual vie più di me amava?
85.1A le nemiche mie cotal basciare,
85.2o dispietati iddii, sia riserbato. -
85.3Arcita, che nel cielo esser li pare,
85.4il bianco collo teneva abbracciato,
85.5dicendo: — Omai non credo male andare,
85.6tal viso al mio sentito ho accostato;
85.7qualora piace omai a l'alto Giove,
85.8di questa vita mi tramuti altrove. -
86.1Quivi era sì gran pianto e sì doglioso
86.2di donne e di signori e d'altra gente
86.3che vedean questo, onde ciascun pietoso
86.4era assai più che distretto parente,
86.5che non si crede sì fosse noioso
86.6allor che Febo si mostrò dolente
86.7tornando adietro, nel tempo che Atreo
86.8mangiare i figli al suo Tieste feo.
87.1Essa allora, sì com'esso volle
87.2e come volle Ipolita, drizzossi;
87.3e sé e lui aveva tutto molle
87.4di lagrimari, da' belli occhi mossi,
87.5né più né men come 'l Menalo colle,
87.6quando da Ariete riscaldossi,
87.7che, consumata sua veste nevosa,
87.8mostra la faccia sua tutta guazzosa.
88.1E quel dì tutto quanto si posaro
88.2sanza più rinovare altro dolore,
88.3ben che nel cor l'avesser sì amaro
88.4quanto potesser più a tutte l'ore;
88.5e con parole assai riconfortaro
88.6Emilia e Arcita, e il furore
88.7lor temperaron con soavi detti,
88.8lena rendendo a' desolati petti.
89.1Nove fiate s'era dimostrato
89.2il sole e altrettante sotto l'onde
89.3d'Esperia s'era co' carri tuffato,
89.4poi si mutaron le cose gioconde
89.5per lo cader d'Arcita in tristo stato,
89.6quando nel tempo che tutto nasconde,
89.7d'Emilia avendo il dì li basci avuti,
89.8parlò Arcita a' suoi più conosciuti:
90.1— Amici cari, i' me ne vo di certo;
90.2per ch'io vorrei a Mercurio litare,
90.3acciò che esso, per sì fatto merto,
90.4in luogo amen li piaccia di portare
90.5lo spirito mio, poi che li fia offerto;
90.6e ciò vorre'i' domattina fare:
90.7però vittime degne e olocausti
90.8m'aparecchiate, a lui decenti e fausti. -
91.1Palemon, ch'era a questo dir presente,
91.2come quel che da lui mai non partia,
91.3fece apprestar tutto ciò immantanente
91.4che a cotal mestier si convenia:
91.5e sangue e latte nuovo e di bidente
91.6gregge e d'armenti, quali a l'ara pia
91.7si richiedea di così fatto iddio,
91.8ad adempiere d'Arcita il disio.
92.1Il giorno venne oscuro e nebuloso,
92.2e questi Febo s'avea messi avanti
92.3al viso, acciò che 'l morire angoscioso
92.4d'Arcita non vedesse e' tristi pianti
92.5d'Emilia bella, a' quali assai pietoso
92.6si mostrò il giorno, li suoi luminanti
92.7raggi celando infra le nebbie oscure,
92.8vedendo chiaro le cose future.
93.1Allora l'ara fu apparecchiata,
93.2e' fuochi accesi, e l'incensi donati,
93.3e ciascuna altra offerta a ciò parata,
93.4e' sacerdoti i versi ebber cantati
93.5con voce assai da l'altre transmutata,
93.6e' fummi furo tutti al cielo andati;
93.7Arcita piano incominciò a dire,
93.8in guisa tal che si poté sentire:
94.1— O caro iddio, di Proserpina figlio,
94.2a cui sta via l'anime portare
94.3de' corpi, e quelle secondo 'l consiglio
94.4che da te prendi le puoi allogare,
94.5piacciati trarmi di questo periglio
94.6soavemente, per le tue sante are
94.7le quali ancora calde per me sono
94.8che a te in su quelle offersi eletto dono.
95.1E quinci me intra l'anime pie,
95.2le quai sono in Eliso, mi trasporta;
95.3ché, se tu miri ben, l'opere mie
95.4non m'hanno fatto dell'aura morta
95.5degno, sì come fur l'anime rie
95.6de' miei maggiori, a' quai crudele scorta
95.7fece Giunon, adirata con loro
95.8con ragion giusta, a lor donando ploro.
96.1Io non uccisi il sacrato serpente
96.2all'alto Marte ne' campi dircei,
96.3come fé Cadmo, della nostra gente
96.4avol primaio; né nelli baccei
96.5sacrificii tolsi fieramente
96.6la vita al mio figliuol, come colei
96.7che dopo il danno riconobbe il fallo
96.8né poté poi con lagrime emendallo;
97.1né, come Semelè, contra Giunone
97.2mai operai; né, sì come Atamante,
97.3contra la prole divenni fellone;
97.4né il mio padre uccisi, né amante
97.5della mia madre fui, la nazione
97.6ne' sen materni indietro ritornante,
97.7sì come Edippo; né mio frate uccisi;
97.8né mai regno occupai, né mal commisi;
98.1né di Creonte l'aspra crudeltate
98.2mi piacque mai, né in altrui l'usai.
98.3Se arme furon già per me pigliate
98.4incontro a Palemon, male operai,
98.5e io ben n'ho le pene meritate;
98.6e certo i' non l'avrei prese giammai,
98.7se esso non m'avesse a ciò recato,
98.8perch'era, sì com'io, innamorato.
99.1Dunque tra' neri spiriti non deggio,
99.2o pio iddio, ciò credo, dimorare,
99.3e del ciel non son degno, e i' nol cheggio.
99.4E' m'è sol caro in Eliso di stare:
99.5di ciò ti priego e di ciò ti richeggio,
99.6se esser può che tu mel deggi fare;
99.7so che 'l farai, se così se' pio
99.8come suogli esser, venerando iddio. -
100.1Detto ch'ebbe così, con più dogliosa
100.2voce parole mosse dove stava
100.3Ipolita e Emilia valorosa,
100.4e' greci re, e ciascun l'ascoltava,
100.5e Palemon con anima angosciosa,
100.6tanto del triste caso li pesava;
100.7e esso con parola vinta e trista
100.8dicea così con dolorosa vista:
101.1— Or mancherà la vita, ora il valore
101.2d'Arcita finirà, ora avrà fine
101.3l'acerbo e inespugnabil suo amore;
101.4or vederà d'Acheronte vicine
101.5le triste ripe, ora saprà 'l furore
101.6delle nere ombre, misere, tapine;
101.7or se ne va Arcita innamorato,
101.8del mondo a forza sbandito e cacciato.
102.1Ahi, lasso me! che l'età giovinetta
102.2lascio sì tosto, en la quale sperava
102.3ancor mostrar di me virtù perfetta:
102.4tale speranza l'ardir mi prestava.
102.5Omè, che troppo la morte s'affretta,
102.6e più che 'n alcuno altro in me è prava;
102.7in me si sforza, in ver me la sua ira
102.8mostra quant'ella puote, e mi martira.
103.1Dove è, Arcita, tua forza fuggita?
103.2Dove son l'armi già cotanto amate?
103.3Come non l'hai, per la dolente vita
103.4dalla morte campare, ora pigliate?
103.5Oimè, ch'ella s'è tutta smarrita,
103.6né più porian da me esser guidate;
103.7per ch'io per vinto omai mi rendo, lasso!,
103.8e per più non potere oltre trapasso.
104.1O bella Emilia, del mio cor disio,
104.2o bella Emilia, da me sola amata,
104.3o dolce Emilia, cuor del corpo mio,
104.4ora sarai da me abandonata!
104.5Ohimè lasso! I' non so quale iddio
104.6in ciò mi noccia con voglia turbata;
104.7per te sola m'è noia il mio morire,
104.8per te non sarò mai sanza languire.
105.1Deh, che farò allora che vedere
105.2più non potrotti, donna valorosa?
105.3Seconda morte io non potrò avere,
105.4ben ch'io la cheggia per men dolorosa;
105.5né so ancor che luogo me tenere
105.6debba di là nella vita dubbiosa;
105.7ma se con Giove sanza te istessi,
105.8non credo che giammai gioia sentissi.
106.1Dunque angoscioso ovunque io n'anderaggio
106.2sempre sarò, sanza te, luce chiara;
106.3né mi sarà il secondo viaggio
106.4a qui tornar concesso, donna cara,
106.5come Pelleo, che fu mio signor maggio,
106.6già mel concesse, allora che amara
106.7vita traeva in Egina, lontano
106.8dal tuo valor, bella donna, sovrano.
107.1Lagrime sempre e amari sospiri
107.2omai attende l'anima dolente
107.3per giunta, lasso!, alli nuovi martiri
107.4ch'io avrò forse intra la morta gente;
107.5li quai tanti non fien, che' miei disiri
107.6di te veder faccian cessar niente;
107.7ma sempre te nell'etterna fornace
107.8per donna chiamerò della mia pace.
108.1Omè, dove lascio io i cari amici?
108.2Dove le feste e il sommo diletto?
108.3Ove i cavalli, omai fatti mendici
108.4del lor signore? Ove quel ben perfetto
108.5ch'amor mi dava, qualora i pudici
108.6occhi d'Emilia vedeva e l'aspetto?
108.7Dove lascio io Palemon grazioso,
108.8meco d'amor parimente focoso?
109.1E Peritoo ancor, cui similmente
109.2più che la vita, con ragione, amava?
109.3Ove li regi e l'altra buona gente,
109.4che loro a' miei servigi seguitava?
109.5Ove Teseo, nobil signor possente,
109.6che più che caro frate m'onorava?
109.7Ove lascio io il reverendo Egeo?
109.8Dove il mio caro e buon signor Pelleo?
110.1Certo io gli lascio dove rimanere,
110.2s'esser potesse, vorria volentieri,
110.3e in gioco e in festa e in piacere
110.4con prencipi e con donne e cavalieri;
110.5sì che, del rimaner di lor, mestiere
110.6non m'è dolermi; ma sol mi son fieri
110.7gli aspri pensier ch'a me ne mostran tanti
110.8perder dovere, e e' me tutti quanti. -
111.1Poscia ch'egli ebbe queste cose dette,
111.2di cuor gittò un profondo sospiro
111.3amaramente e di parlar ristette,
111.4e 'nverso Emilia i suoi occhi s'apriro
111.5mirando lei, e mirandola stette
111.6un poco e poscia li rivolse in giro;
111.7e ciascun vide che piangeva forte,
111.8però ch'a lui s'appressava la morte.
112.1La quale in ciascun membro era venuta
112.2da' piedi in su venendo verso il petto,
112.3e ancor nelle braccia era perduta
112.4la vital forza; sol nello 'ntelletto
112.5e nel cuore era ancora sostenuta
112.6la poca vita; ma già sì ristretto
112.7gli era il tristo cuor dal mortal gielo,
112.8ch'agli occhi fé subitamente velo.
113.1Ma poi ch'egli ebbe perduto il vedere
113.2con seco cominciò a mormorare,
113.3ognor mancando più del suo potere;
113.4né troppo fece in ciò lungo durare,
113.5ma 'l mormorio transmutato in vere
113.6parole, con assai basso parlare,
113.7— A Dio, Emilia! — e più oltre non disse,
113.8ché l'anima convenne si partisse.
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