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LIBRO NONO

Teseida

PoeTree.it

1.1Già s'appressava il doloroso fato,
1.2tanto più grave a lui a sostenere,
1.3quanto in più gloria già l'avea elato
1.4il sé vittorioso ivi vedere.
1.5Ma così d'esto mondo va lo stato,
1.6ch'allor è l'uom più vicino al cadere
1.7e vie più grieve cade, quanto ad alto
1.8è più montato sovra il verde smalto.
2.1Sovra l'alta arce di Minerva attenti
2.2Venere e Marte a rimirar costoro
2.3stavan, fra sé dell'ordine contenti
2.4che preso fu per li prieghi fra loro.
2.5Ma già vedendo Venus che le genti
2.6di Palemon non potean dar ristoro
2.7a la battaglia più, rivolta a Marte,
2.8disse: — Oramai fornita è la tua parte.
3.1Bene hai d'Arcita piena l'orazione,
3.2che, come vedi, va vittorioso;
3.3or resta a me quella di Palemone
3.4il qual perdente vedi star doglioso,
3.5a mio poter mandare a secuzione. -
3.6A la qual Marte, fatto grazioso,
3.7— Amica — disse, — ciò che di' è 'l vero;
3.8fa oramai il tuo piacere intero. -
4.1Ell'avea poco avanti visitati
4.2gli oscuri regni dell'ardente Dite,
4.3e al re nero aveva palesati
4.4i suoi disii; per che di quella uscite
4.5più furie eran con alti mandati;
4.6ma ella, Erinis presa, a l'altre: — Gite
4.7dove vi piace — disse; e poi a questa
4.8tutta la voglia sua fé manifesta.
5.1Venne costei di ceraste crinita,
5.2e di verdi idre li suoi ornamenti
5.3erano a cui in Elisso la vita
5.4riconfortata avea, le quai lambenti
5.5le sulfuree fiamme, che uscita
5.6di bocca le facevan puzzolenti,
5.7più fiera la faceano; e questa Dea
5.8di serpi scuriata in man tenea.
6.1La cui venuta diè tanto d'orrore
6.2a chi nel teatro stava a vedere,
6.3ch'ognuno stava con tremante core,
6.4né il perché nessun potea sapere.
6.5Li venti dier non usato romore,
6.6e 'l ciel più ner cominciò a parere;
6.7il teatro tremò, e ogni porta
6.8cigolò forte ne' cardini storta.
7.1Costei, nel chiaro dì rassicurata,
7.2non mutò forma né cangiò sembiante;
7.3ma giù nel campo tosto se n'è andata,
7.4là dove Arcita correva festante,
7.5e orribil come era, fu parata
7.6al corrente destrier tosto davante,
7.7il qual per ispavento in piè levossi
7.8e indietro cader tutto lasciossi.
8.1Sotto il qual cadde il già contento Arcita,
8.2e 'l forte arcione li premette 'l petto
8.3e sì il ruppe, che una fedita
8.4tutto pareva il corpo; e 'l giovinetto,
8.5che fu in forse allora della vita
8.6abbandonar da gran dolor costretto,
8.7per molti, che a lui corsero allora,
8.8atato fu sanz'alcuna dimora.
9.1I quali a pena lui disvilupparo
9.2da' fieri arcioni, e con fatica assai
9.3da dosso il caval lasso gli levaro;
9.4il qual, com si sentì libero, mai
9.5non parve faticato, tal n'andaro
9.6le gambe sue fuggendo: tanti guai
9.7li minacciò la Furia con la vista
9.8sua dispettosa, noievole e trista!
10.1Emilia del loco dove stava
10.2chiaro conobbe il caso doloroso,
10.3per che il cor, che più ch'altro l'amava,
10.4di lui dubbiando si fé pauroso;
10.5onde per tema a sé tutte chiamava
10.6le forze sparte nel corpo doglioso;
10.7per che nel viso tal rimase smorta,
10.8quale è colui che al rogo si porta,
11.1«O me dogliosa!» in sé trista dicendo,
11.2«Quanto la mia felicitate è breve
11.3istata!» questo caso ora vedendo.
11.4«E ben che il pensier mi fosse greve,
11.5e' pur m'andava dentro il cor dicendo
11.6che non poteva con fatica leve
11.7d'amor passar, più che passar si soglia
11.8per gli altri c'han provata la sua doglia.
12.1Ora conosco ciò che volea dire
12.2Bellona sanguinosa, che davanti
12.3oggi m'è stata, senza dipartire,
12.4con atti fieri e morte minaccianti,
12.5quasi io dovessi li danni patire
12.6che si fesser tra lor li due amanti».
12.7E questo detto, sì il dolor la vinse,
12.8ch'errando fuor di sé tutta si tinse.
13.1El fu subitamente disarmato,
13.2e il palido viso pianamente
13.3con acqua fredda lì li fu bagnato,
13.4onde e' si risentì subitamente,
13.5e molto fu da' suoi riconfortato;
13.6ma parlar non poteva ancor niente,
13.7sì gli avea 'l petto il suo arcion premuto
13.8mentre il cavallo adosso gli era suto.
14.1Agamenon, con contenenza fiera,
14.2con Menelao per lo campo gia,
14.3e scorrendo per quel con la bandiera,
14.4ciascun de' suoi di dietro li venia;
14.5e a qual fosse della vinta schiera
14.6rimaso quivi, sanza villania
14.7alcuna far, per preso nel mandava,
14.8e vincitor sopra 'l campo si stava.
15.1Ma poi che fur le cose riposate
15.2e manifesto a tutti il vincitore,
15.3e 'l molto suon delle trombe sonate
15.4e alti gridi mandati in onore
15.5e d'Arcita e de' suoi, e già levate
15.6le genti varie con novo romore,
15.7trassersi i vincitori inverso Arcita
15.8per vedere il sembiante di sua vita.
16.1Là discendendo venne il vecchio Egeo,
16.2e 'n grembo la sua testa si fé porre;
16.3e dopo lui vi venne il pio Teseo,
16.4e la reina Ipolita vi corre,
16.5e Emilia ancor quanto poteo;
16.6e ciaschedun lui conforta e soccorre
16.7con pietose parole, stropicciando
16.8le mani e' piè di lui, lui domandando.
17.1Ma e' non rispondeva, anzi ascoltava,
17.2e ciò per non potere adivenia;
17.3ma gli occhi erranti in qua e 'n là voltava
17.4or questo or quello con sembianza pia
17.5mirando, e sé quasi non sé mostrava:
17.6tale era il duol che l'anima sentia,
17.7ch'ancora in dubbio di stare o di gire
17.8errava per lo cuor con gran martire.
18.1Ma poi ch'Emilia tabefatto il viso
18.2di polvere, di sangue e di sudore
18.3vide, e sentì che 'l capo avea diviso
18.4in parte alcuna, appena il suo dolore
18.5casto ritenne dentro al cor conquiso,
18.6maladicendo in sé il soverchio amore
18.7che lui a tal partito posto avea
18.8e lei vie troppo di novo pungea.
19.1Ma sì non seppe la cosa celare,
19.2né ritener le lagrime dolenti,
19.3che spesse volte il suo viso cangiare
19.4visto non fosse da' più delle genti.
19.5Ella non sa come racconsolare
19.6onesta il possa, e i disii ferventi
19.7pur la vi tirano; e così sospesa,
19.8da greve doglia lui rimira offesa.
20.1Quivi era sì dolente Agamenone,
20.2Menelao e Nestore e ciascheduno
20.3altro amico di lui o compagnone,
20.4che non pareva aver vinto a nessuno,
20.5anzi di doglia vie maggior cagione
20.6aver che di pigliar riposo alcuno;
20.7e 'n qua e 'n là si givan lamentando,
20.8l'iddii di tanta offesa biasimando.
21.1Palemon tristo d'una e d'altra cosa,
21.2del mal d'Arcita forte li dolea,
21.3ma più assai sua fortuna angosciosa,
21.4che perditor quivi fatto l'avea;
21.5né sa se isperanza graziosa
21.6si prenda quindi, o se l'aspetta rea;
21.7e pur conosce Arcita per parente,
21.8né può fuggir che non ne sia dolente.
22.1Fece Teseo il campo a' vincitori
22.2raccoglier tutto, e fece comandare
22.3che qual non fosse de' combattitori
22.4sanza dimoro sen dovesse andare;
22.5li quai poi furo al teatro di fori,
22.6fece quel dentro alle guardie serrare,
22.7e mise cura solenne in Arcita
22.8in rivocar la sua vita smarrita.
23.1El fé chiamar più medici e venire
23.2nel loco, i quai di vin tutto il lavaro,
23.3e con loro argomenti fer reddire
23.4a lui il parlar, che l'ebber molto caro;
23.5poi le sue piaghe li fecer coprire
23.6di fini unguenti e tututto il lenzaro;
23.7e poi ch'alquanto fu riconfortato,
23.8a seder lì tra lor si fu levato.
24.1E con voce non salda, umilemente
24.2domandò qual di loro era vittore;
24.3a cui Teseo rispose tostamente:
24.4— Amico mio, del campo è tuo l'onore. -
24.5Allor diss'elli: — Adunque la piacente
24.6Emilia ho guadagnata e 'l suo amore? -
24.7Teseo rispose: — Sì, ecco tua sia;
24.8omai ne fa ciò che 'l tuo cor disia. -
25.1A cui el disse: — Se io ne son degno,
25.2deh! fammi alquanto la sua voce udire,
25.3a me più cara ch'alcuno altro regno,
25.4e fa ch'io possa en le sue man morire,
25.5però che 'n core ferma oppinion tegno
25.6che' regni neri sanza alcun martire
25.7visiterò, s'io la posso vedere
25.8o dar l'anima mia al suo piacere. -
26.1Teseo rispose: — Cotal parlamento
26.2non ha qui luogo, che ora non morrai.
26.3Ecco lei qui al tuo comandamento,
26.4con cui vivendo ancor t'allegrerai. -
26.5E a lei disse: — Deh! fallo contento
26.6di quel ch'e' chiede: deh! perché nol fai?
26.7Non vedi tu quant'elli ha per te fatto,
26.8ch'è a partito d'esserne disfatto? -
27.1Emilia più niente disiava,
27.2se non onesta poterli parlare,
27.3e vergognosa così cominciava:
27.4— O signor mio, se vale il mio pregare,
27.5confortati, ché 'l tuo mal sì mi grava,
27.6ch'appena il posso, lassa!, comportare;
27.7io son sempre con teco, o dolce sposo,
27.8oggi stato per me vittorioso. -
28.1Quali i fioretti richiusi ne' prati
28.2per lo notturno freddo, tutti quanti
28.3s'apron come dal sol son riscaldati,
28.4e 'l prato fanno con più be' sembianti
28.5rider fra le verdi erbe mescolati,
28.6dimostrandosi lieto a' riguardanti,
28.7cotal si fece vedendola Arcita,
28.8poscia che l'ebbe sì parlare udita.
29.1Passata avea il sol già l'ora ottava,
29.2quando finì lo stormo incominciato
29.3in su la terza; e già sopra montava
29.4il Pincerna di Giove, permutato
29.5in luogo d'Ebe, e col ciel s'affrettava
29.6il Pesce bin di Vener lo stellato
29.7polo mostrar; però parve ad Egeo
29.8di partirsi indi, e 'l simile a Teseo.
30.1E già Arcita ne volea pregare,
30.2quando Teseo comandò che venisse
30.3un carro triunfal, che apparecchiare
30.4aveva fatto a chiunque vincesse;
30.5e lì il fé molto riccamente ornare,
30.6e Arcita pregò che su vi gisse
30.7fino all'ostier, se non li fosse noia.
30.8Rispose Arcita che anzi gli era gioia.
31.1E certo, quando Roma più onore
31.2di carro triunfale a Scipione
31.3fece, non fu cotal; né di splendore
31.4passato fu da quello il qual Fetone
31.5abbandonò per soverchio tremore,
31.6quando Libra si cosse e Iscorpione,
31.7e e' da Giove nel Po fulminato
31.8cadde, e lì l'ha l'epitafio mostrato.
32.1E ben che fosse ancor molto stordito
32.2per la caduta del fiero destriere,
32.3non era elli ancor sì indebolito,
32.4che non vi stesse ben suso a sedere
32.5di drappi triunfal tutto vestito
32.6e coronato, secondo 'l dovere,
32.7di verde alloro; e su vi gì con esso
32.8la bella Emilia, sedendoli appresso.
33.1Così volle Teseo che ella andasse,
33.2per più piacere al grazioso Arcita,
33.3e acciò ch'ella ancora il confortasse,
33.4se sua sembianza tornasse smarrita
33.5per accidente che 'n lui si mutasse;
33.6di che Arcita la penosa vita
33.7riconfortò, non poco disioso
33.8mirando spesso il bel viso amoroso.
34.1Cromis ancora, tutto quanto armato,
34.2vi gì, con forte mano i fren reggendo
34.3de' cavai da cui 'l carro era tirato;
34.4e gli avversarii, quello antecedendo,
34.5girono a piè, ma ciascun disarmato,
34.6e certo non costretti ma volendo,
34.7come gli avea pregati Palemone,
34.8per ad Arcita dar consolazione,
35.1ben ch'ella fosse assai dovuta cosa
35.2e ab antico ne' triunfi usata.
35.3Poi di dietro veniva la pomposa
35.4turba de' suoi così come era armata,
35.5e con sembianza assai vittoriosa;
35.6e da molti era, da ciascun, portata
35.7o spada o scudo o mazza o scuricella
35.8bipenne, tolta en la battaglia fella;
36.1e altri ne menavano i roncioni
36.2donde i signor furono scavallati,
36.3coverti tutti, ma con voti arcioni;
36.4e ta' dell'altrui armi gieno armati,
36.5chi elmo e chi barbuta e chi tronconi
36.6d'altre armadure nel campo trovati,
36.7e chi toraca e chi caro balteo,
36.8secondo che trovar quivi poteo.
37.1Ma tra gli altri più nobili davante
37.2giva di Palemon tutto l'arnese,
37.3a Marte già botato, e simigliante
37.4quel v'era con che Arcita si difese.
37.5Da' lati al carro gia gente festante,
37.6giovini e donne in abito cortese,
37.7con dolci suoni e canti festeggiando
37.8diversamente con arte danzando.
38.1Questo ordinato, fé il teatro aprire
38.2Teseo, e 'n cotal guisa n'uscì fore
38.3Arcita triunfando, al cui venire
38.4ciascun faceva mirabile onore;
38.5e fé quelle armi al gran Marte offerire,
38.6e ringraziollo con pietoso core
38.7della vittoria ch'avea ricevuta;
38.8poi fé dal tempio presta dipartuta.
39.1E circuì la terra, triunfando
39.2in questa guisa con molta allegrezza,
39.3la sua Emilia sovente mirando
39.4e più lodando che mai sua bellezza;
39.5e ben mill'anni ognor li parea quando
39.6quella dovesse goder con lietezza;
39.7e l'avenuto caso biasimava
39.8e molto seco se ne contristava.
40.1Ella si giva onesta e vergognosa,
40.2con gli occhi bassi, da ciascun mirata,
40.3in guisa tal qual suol novella sposa
40.4per vergogna nel viso colorata;
40.5a tututti piacente e graziosa
40.6e da ciascuno igualmente lodata;
40.7e simile era ancora il buono Arcita,
40.8ben ch'elli avesse sembianza smarrita.
41.1Nulla persona in Attene rimase,
41.2giovane, vecchio, zita overo sposa,
41.3che non corresse là con l'ale spase
41.4onde venia la coppia gloriosa.
41.5Le vie e' campi e i tetti e le case
41.6tutt'eran pien di gente letiziosa;
41.7e in gloria d'Arcita ognun cantava
41.8e della nuova sposa che menava.
42.1E spesse volte, le prede mirando,
42.2le guaste veste e i voti destrieri,
42.3li givan l'uno a l'altro dimostrando,
42.4dicendo: — Quel fu del tal cavalieri,
42.5e questo del cotale -; e, ammirando,
42.6le cose state più che volentieri
42.7recitavan fra lor, ch'avean vedute
42.8il dì, com'eran gite e come sute.
43.1Ma ciò che più maravigliar facea
43.2e con attenta vista riguardare,
43.3era de' regi la turba lernea,
43.4che giva innanzi in abito dispare
43.5troppo da quel nel quale andar solea
43.6e che 'l mattin si vider cavalcare;
43.7li quali, a capo chino e disarmati,
43.8a piè venien, nell'aspetto turbati.
44.1E chi bene avvisava Palemone,
44.2detto averia che el seco dicesse:
44.3«Ben vive ancora l'ira di Giunone
44.4ver me, e certo, se Giove volesse,
44.5operar non poria ch'io di prigione
44.6o di mortal periglio fuori stesse;
44.7e io vi voglio stare e avvilirmi,
44.8poi che le piace sì di perseguirmi».
45.1Molto era ancor mirato disdegnoso
45.2Minòs da chi 'l vedea, e in dispetto
45.3parea la vita avesse, sì stizzoso
45.4andando si mostrava nello aspetto.
45.5E 'l tesalico Ameto, assai doglioso,
45.6parea di Febo, a lui stato suggetto,
45.7si ramarcasse, perché operato
45.8aveva bene e era mal mertato.
46.1Ida, Evandro e Alimedonte,
46.2Ulisse e Diomede e ciascheduno
46.3degli altri ancora, con chinata fronte,
46.4si vedean tutti, e con aspetto bruno,
46.5più che se al lito tristo d'Acheronte
46.6se ne vedesse per passare alcuno;
46.7e vie più tristi li facea il parlare
46.8che udieno a' circunstanti di sé fare.
47.1Ne' colli lor non sonavan catene,
47.2però ch'Arcita del tutto, pregando,
47.3il tolse via; e così per Attene
47.4disciolti, al picciol passo innanzi andando
47.5al carro, tristi di sì fatte pene,
47.6in questo loco e ora in quel restando,
47.7quasi scherniti tutti si teneano
47.8per gli atti delle genti che vedeano.
48.1In cotal guisa, con alto romore
48.2d'infiniti strumenti e di gridare
48.3che' popoli facean lì per onore
48.4del grande Arcita e del suo operare,
48.5giunsero al gran palagio del signore,
48.6e a lor piacque quivi dismontare;
48.7e di fuor fatta restar la più gente,
48.8gir nella real sala pianamente.
49.1Sovr'un gran letto, quivi fatto allora,
49.2posato fu il faticato Arcita;
49.3allato a cui Ipolita dimora,
49.4bella vie più che gemma margherita,
49.5e di conforto sovente il rincora
49.6con ornata parola e con ardita;
49.7e 'l simil fa Emilia, sua sorella,
49.8con altre molte, ciascheduna bella.
50.1E tutto ciò Palemon ascoltava,
50.2che con li suoi in abito dolente
50.3davanti al vincitor diritto stava
50.4sanza alzare occhio; e nella trista mente
50.5ogni parola con doglia notava,
50.6imaginando ch'omai per niente
50.7pace daria a sé con isperanza,
50.8poi che perduta avea sua disianza.
51.1Teseo, per pace dare agli affannati
51.2re, si levò e, con sereno aspetto,
51.3con cenni i mormorii ebbe chetati,
51.4che quivi eran per doglia o per diletto
51.5forse da molti fra sé susurrati,
51.6e degli onor veduti e del dispetto;
51.7e con piacevol voce il suo disire
51.8incominciò in cotal guisa a dire:
52.1— Signori, e' non m'è nuova la credenza,
52.2la quale alcuni afferman che sia vera,
52.3cioè che la divina provedenza,
52.4quando creò il mondo, con sincera
52.5vista conobbe il fin d'ogni semenza
52.6razionale e bruta che 'n quell'era,
52.7e con decreto etterno disse stesse
52.8quel che di ciò in sé veduto avesse.
53.1Se ciò è ver non so; ma se ver fosse,
53.2noi siam guidati dal piacer de' fati
53.3la cui potenza sempre mai si mosse
53.4col giro etterno delli ciel creati;
53.5dunque contra di lor l'umane posse
53.6invan s'affannano, e sono ingannati
53.7chi per senno o per forza contastare
53.8volesson contra il loro adoperare.
54.1E ciò non dico sanza alta cagione,
54.2però che oggi la vostra virtute
54.3ho rimirata e ogni operazione,
54.4e come date e come ricevute
54.5abbiate le percosse e l'offensione
54.6del gridar, sanza stordir, sostenute;
54.7e dico certo che, al mio vivente,
54.8non vidi insieme tanta buona gente,
55.1né tanto ardita, né con tal fortezza
55.2non saggia d'arme, né di tanto affanno
55.3sostenitrice, né di tal fierezza
55.4meno infingarda, né che men di danno
55.5mettesse cura, sol che sua prodezza
55.6mostrar potesse, sì come i buon fanno,
55.7com'io ho oggi tutti voi veduti,
55.8e d'una parte e d'altra conosciuti.
56.1Le prodezze de' quai s'ad uno ad uno
56.2volessi raccontar, ben le saprei;
56.3ma troppo saria lungo, e ciascheduno
56.4le vide sì com'io; dunque direi
56.5ciò che non fa bisogno, ma ognuno
56.6per valente uomo al mondo approverei;
56.7e se tai fosser quei della mia terra,
56.8per forza vincerei ogni mia guerra.
57.1Perché se oggi non vi fu donata
57.2vittoria, ciò non fu vostro difetto,
57.3ma cosa fu avanti assai pensata
57.4nel chiaro e santo divino intelletto;
57.5il quale Emilia mostra abbia servata
57.6al piacevole Arcita e lui eletto
57.7per isposo di lei: di che dovete
57.8esser contenti, poi più non potete.
58.1Né vi dovete di voi biasimare
58.2che non abbiate bene adoperato;
58.3ma sol gl'iddii ne dovete incolpare,
58.4se degno è ciò ch'egli han diliberato
58.5di potere altra volta permutare,
58.6ched e' non l'hanno per voi permutato;
58.7ma credo che deggiate esser contenti
58.8a lor piacer, poi di noi sono attenti.
59.1Questo ch'è stato, non tornerà mai
59.2per alcun tempo che stato non sia;
59.3però vi priego quanto posso assai,
59.4amici car, per vostra cortesia,
59.5che l'abito, ch'avete pien di guai
59.6vestito per dolor, cacciate via,
59.7e nel pristino stato ritornate,
59.8e con noi insieme tutti festeggiate.
60.1Liberi sete omai, poi ch'adempiuto
60.2avete del triunfo la ragione;
60.3ben vo' però che sia fermo tenuto
60.4ciò che nel bosco dissi a Palemone;
60.5il qual dee esser da noi ritenuto
60.6e servato ad Emilia per prigione,
60.7e ella faccia di lui il suo volere,
60.8poco e assai, come l'è in piacere. -
61.1Piacque a costoro il parlar di Teseo,
61.2ben che 'n parte non ver tenesser quello;
61.3per che lieto ciascun quanto poteo,
61.4sanza dimor, tornò al suo ostello;
61.5quivi d'abito nuovo si rifeo,
61.6sì come prima, piacevole e bello,
61.7e a cui fu bisogno medicare,
61.8tosto fur fatti medici trovare.
62.1Gli altri, che non curavan di riposo,
62.2tornaro a corte con fronte cangiata;
62.3e 'nsieme si rivider con gioioso
62.4aspetto, come se fra loro stata
62.5non fosse il dì battaglia; e grazioso
62.6sollazzo insieme ciascuna brigata
62.7faceva quivi, per amor d'Arcita,
62.8che si desse conforto e buona vita.
63.1Andonne adunque presto Palemone,
63.2con tristo aspetto, molto umilemente,
63.3ad Emilia davanti, e 'n ginocchione,
63.4con voce e con sembianza assai dolente,
63.5disse: — Madonna, io son vostro prigione,
63.6e sono stato continuamente
63.7poi ch'io vi vidi: fate che vi piace
63.8di me, che mai non spero sentir pace.
64.1Poi che l'iddii m'hanno tolta vittoria
64.2e voi insieme in questo dì meschino,
64.3troppo mi fia la morte maggior gloria,
64.4che per lo mondo più viver tapino;
64.5per ch'io vi priego, se di voi memoria
64.6etterna di ben duri e d'amor fino,
64.7dannate me sanza indugio alla morte,
64.8ch'io la disio, vie più che vita, forte. -
65.1Con pietoso occhio Emilia riguardava
65.2ver Palemone, e 'n piè il fece drizzare,
65.3e le parole sue fissa ascoltava,
65.4né che risponder si sa consigliare,
65.5anzi appena le lagrime servava
65.6che nel cor le facea pietà destare;
65.7ma dopo alquanto pure in sé dispose
65.8di far risposta, e così li rispose:
66.1— S'io fossi dall'iddii stata data
66.2al mondo sol per tua sola speranza,
66.3in guisa che dal tuo veder levata
66.4fosse ogni altra lieta dimostranza,
66.5mentr'io fui mia, io avrei reputata
66.6essere stata soverchia fallanza
66.7il non averti amato; ché t'amai,
66.8mentre mi si convenne, pur assai.
67.1Ma veggo che come io il santo amore
67.2potea sperar di molti giustamente,
67.3così molti sperar nel mio valore
67.4potevan; ma un solo apertamente
67.5considerar dovien ch'al mio onore
67.6si riserbava della molta gente;
67.7il qual, qual volle, m'ha mandato Iddio:
67.8e tu tel vedi così ben com'io.
68.1E però più a l'amorose pene
68.2di te conforto non posso donare,
68.3né dei voler, né a me si convene,
68.4né ben faria, se i' 'l volessi fare;
68.5ma le greche città, che tutte piene
68.6son di bellezze assai più da lodare
68.7che e' non è la mia, dar ti potranno
68.8giusto ristoro all'amoroso danno,
69.1e te riporre in più lieto disio
69.2che io non fui, allor ch'ancor dubbioso
69.3istesti di dover divenir mio.
69.4Dunque di te medesmo sie pietoso,
69.5ch'io non intendo esserne crudele io;
69.6ma poi che se' cavalier valoroso
69.7sotto il giudicio di me incappato,
69.8per me sarai in tal guisa dannato.
70.1Per me ti sia donata libertate
70.2e a tua posta lo stare e il gire;
70.3e per l'amor che per la mia biltate
70.4già di soverchio t'arse nel disire,
70.5questo anel porterai, che spesse fiate
70.6forse di me ti farà sovenire;
70.7e priegoti, qualora ten sovene,
70.8pensi d'amare un'altra donna bene. -
71.1Non si dee creder che valesse poco
71.2cotale anel, cui tutta fiammeggiante
71.3era la pietra assai vie più che foco;
71.4appresso una cintura, simigliante
71.5a quella per la qual si seppe il loco
71.6là dove Anfiorao era latitante,
71.7lieta li diè, dicendo: — Porterai
71.8questa a qualunque festa tu sarai; -
72.1quinci li diede una spada tagliente
72.2e ricca e bella d'alto guarnimento,
72.3e un turcasso, che nobilemente
72.4lavorato era, di gran valimento,
72.5pien di saette lizie veramente;
72.6e uno scitico arco, non contento
72.7di poca forza a volerlo operare.
72.8Poscia li fé altro dono arrecare,
73.1e ciò fu un destrier maraviglioso,
73.2tutto guarnito qual si convenia
73.3al nobil cavaliere e valoroso,
73.4con armi nelle quai la maestria
73.5di Vulcan s'operò mastro ingegnoso;
73.6e uno scudo bel quanto potia,
73.7con un gran pin delle sue frondi orbato,
73.8d'un chiaro ferro e forte bene armato.
74.1E a lui disse dopo alquanto spazio:
74.2— O valoroso e nobil cavaliere,
74.3del mio amore omai dei esser sazio,
74.4e di qualunque con cotal mestiere
74.5s'acquista, di se stesso tristo strazio
74.6faccendo, quale in questo puoi vedere
74.7che s'è fatto per me, che trista sono
74.8per tanto sangue e miserabil dono.
75.1Ma perciò che tu dei vie più a Marte
75.2che a Cupido dimorar suggetto,
75.3ti dono queste, acciò che, se in parte
75.4avvien che ti bisogni, con effetto
75.5adoperar le puoi; esse con arte
75.6son fabricate, che sanza sospetto
75.7le puoi portar: forse l'adoperrai
75.8dove vie più che me n'acquisterai. -
76.1Prese il dono Palemone allora,
76.2e disse: — Donna, io tengo la mia vita
76.3tanto più cara ch'io non faceva, ora,
76.4poi ch'io da voi la sento gradita,
76.5che con migliore agurio ciascun'ora
76.6la guarderò infino alla finita,
76.7sperando che in ciel fermato sia
76.8ciò che dite per vostra cortesia.
77.1E voi ringrazio pietosa di quella,
77.2quanto io più posso, e del libero stato
77.3ch'io ho per voi, o matutina stella,
77.4sì graziosamente racquistato;
77.5e ciascheduna d'este gioie bella
77.6m'è più che d'esser nel ciel coronato,
77.7e guarderolla sempre per amore
77.8del vostro alto ineffabile valore.
78.1Che io aspetti più d'amor saetta
78.2per altra donna, questo tolga Iddio:
78.3da me amata sarete soletta,
78.4né mai fortuna cangerà disio.
78.5Se' fati v'hanno per altrui eletta,
78.6in ciò non posso più contrastare io;
78.7ma che io v'ami esser non mi pò tolto,
78.8né fia mentre sarò in vita volto. -
79.1Quinci sen gì pensoso a rivestire
79.2e a lavarsi, ch'era rugginoso
79.3tutto, per poscia quivi rivenire;
79.4e ben che 'n sé non trovasse riposo,
79.5pur s'ingegnò di sua noia coprire;
79.6e con più lieto viso e grazioso
79.7nell'aula tornò a rivedere
79.8il suo diletto e 'l suo sommo piacere.
80.1La donna fu assai quivi lodata
80.2da' circunstanti re e da Arcita:
80.3e ben li piacque ch'ella avea donata
80.4a Palemon libertà espedita;
80.5e similmente ancora fu pregiata
80.6di Palemone la risposta ardita,
80.7il qual da tutti accolto lietamente
80.8fu, ma più da Arcita veramente.
81.1Ma poi ch'alquanto si fu riposato,
81.2Arcita ver Teseo cominciò a dire:
81.3— Signore, adempiuto è il tuo mandato
81.4con non poco di me greve martire,
81.5e per quel credo d'aver meritato
81.6Emilia e perdono al mio fallire;
81.7la qual dimando, se e' t'è in piacere,
81.8se elli è tempo ch'io la deggia avere -.
82.1A cui Teseo con voce graziosa
82.2rispose: — Dolce amico, ciò m'è caro,
82.3né disio tanto nessuna altra cosa;
82.4e però in quel modo che lasciaro
82.5a noi i nostri primi, quando sposa
82.6essi ne l'età lor prima pigliaro,
82.7vo' che solennemente ti sia data
82.8e in presenza delli re sposata. -
83.1Adunque lì li baron ragunati
83.2e' sacrificii fatti degnamente
83.3sì come egli erano in quel tempo usati,
83.4Arcita Emilia graziosamente
83.5quivi sposò, e furon prolungati
83.6li dì delle lor nozze veramente,
83.7infin ch'el fosse forte e ben guarito:
83.8e così fu fermato e stabilito.
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