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LIBRO QUINTO

Teseida

PoeTree.it

1.1Rimase Palemon, partito Arcita,
1.2com'è già detto di sopra, in prigione,
1.3e poco cara aveva la sua vita,
1.4tanta sentiva più sconsolazione
1.5che altro, e simil per la dipartita
1.6la qual già fatta avea il suo compagnone;
1.7e 'l tempo suo in lagrime e sospiri
1.8tutto spendeva, pien d'aspri martiri.
2.1In parte paurosa gelosia
2.2lo stimola che Arcita, dell'amore
2.3d'Emilia forse rinvestito, sia
2.4per suo sollecitar di prigion fore;
2.5e quinci pensa ch'Arcita si fia
2.6dileguato del mondo per temore
2.7dell'aspra morte che Teseo dicea
2.8di darli se lì giunger lo potea.
3.1Poi d'altra parte lo stringeva assai
3.2amor più che l'usato, e disiare
3.3li facea ciò ch'a lui non parea mai
3.4possibil di potere appressimare;
3.5speranza d'altra parte li suoi guai
3.6faceva alquanto più lievi passare;
3.7così di cose varie si gravava
3.8dentro al pensiero, e simil s'alleggiava.
4.1E pur portava nel core speranza
4.2che di prigion quando che sie uscirebbe,
4.3della qual fuor, l'amor della sua amanza
4.4sanz'alcun fallo crede acquisterebbe;
4.5e quasi li parea sanza fallanza
4.6ch'ancor per sua nel mondo la terrebbe;
4.7e 'n cotal guisa sua vita menando,
4.8viveva in doglia e 'n gioia talora stando.
5.1Al qual Panfil, tornando del boschetto,
5.2venne in prigione e d'una parte il trasse;
5.3e ragionando con esso soletto,
5.4molto il pregò che non si sconfortasse,
5.5e poi li disse senza alcun difetto
5.6come conobbe Arcita, e ciò che trasse
5.7del suo parlare, e ch'e' servia Teseo
5.8e faceasi per nome dir Penteo.
6.1Maravigliossi Palemone assai,
6.2e disse: — Panfil, guarda non errassi;
6.3ché io non credo che Arcita mai
6.4né tu né altri per qua lo scontrassi. -
6.5Rispose Panfil: — Certo si scontrai,
6.6e ancora è nel boschetto e istassi,
6.7e ben che sia molto transfigurato,
6.8e' pure è desso, tanto l'ho mirato. -
7.1Palemon disse allora: — Grande amore
7.2e poco senno cel fa dimorare,
7.3ché se venisse ad orecchie al signore,
7.4tututto il mondo nol poria campare.
7.5O sommo Giove, quanto l'amadore
7.6al suo disio sé lascia tirare,
7.7e quanti ingegni s'usan per venire
7.8all'amoroso fin di tal disire! -
8.1Poi disse a Panfil: — Guarda che non sia
8.2sentito da nessun ciò che m'hai detto,
8.3ché posto ch'elli a me per gelosia
8.4sanza colpa di lui mi sia sospetto
8.5per uscir di prigione, in fede mia
8.6non vorre'io ch'egli avesse difetto;
8.7se gl'iddii l'aman più che me non fanno,
8.8abbiasi il pro' e mio si sia il danno. -
9.1Poi cominciò a pensar fortemente
9.2sopra l'affar d'Arcita innamorato,
9.3e crede che d'Emilia veramente
9.4il lieto amore egli abbia guadagnato,
9.5e poscia dice: «O me lasso dolente,
9.6in che mal punto nel mondo fui nato!
9.7Ch'io amo e sto in prigione, e altri face
9.8quel ch'io faccendo poria sentir pace.
10.1E or mi fosse un poco di speranza
10.2rimasa, o mi venisse, dell'uscire
10.3di questo loco! Io mi crederei, sanza
10.4la doglia che io ho, gioia sentire,
10.5e ancora la mia somma intendanza
10.6sanz'alcun fallo crederei fornire;
10.7ma sì m'è gran nemica la fortuna,
10.8ch'io n'uscirò quando starà la luna!
11.1E s'io di quinci uscissi per ventura,
11.2da Arcita converria che io sapesse,
11.3su buon cavallo e con forte armadura,
11.4quel che tra lui e me esser dovesse
11.5dell'amor della nobil creatura
11.6che mi fa sentir pene così spesse;
11.7e fermamente ella mi rimarrebbe,
11.8o sopra il campo l'un di noi morrebbe.
12.1Ma come avrei io ardir contro a lui,
12.2che per uscirci giammai non tentai?
12.3E el non cura lo star con colui
12.4ch'è suo nemico per vederla, e mai
12.5non ha posato di servire altrui
12.6per servir lei; e io in trarre guai
12.7ho speso il tempo, ov'io dovea più tosto
12.8morir voler che sempre star nascosto».
13.1E sì come Tesifone, chiamata
13.2dal cieco Edippo nella oscura parte
13.3dov'elli lunga notte avea menata,
13.4a' due fratei del regno con su' arte
13.5mise l'arsura, così a lui 'ntrata
13.6con quel velen che 'l suo valor comparte,
13.7d'Emilia aver, dicendo: — Signoria
13.8né amore stan ben con compagnia. -
14.1E subito così cambiò il pensiero,
14.2e chiamò Panfil di cui si fidava,
14.3e disse: Amico, ora sappi per vero
14.4che troppo qui l'adimorar mi grava,
14.5e però fa che il mio dire intero
14.6vegna, se puoi, sicch'io di questa prava
14.7prigion mi parta e possa conquistare
14.8per arme Emilia, se e' si può fare.
15.1Questo pensier di novo m'è venuto
15.2e sanza fallo il metterò ad effetto;
15.3e se e' fia per ventura saputo
15.4prima che sia con l'opera perfetto,
15.5da me si dica che sia proceduto
15.6ciò che farai, ché e' mi fia diletto
15.7morire anzi che stare in tal tormento,
15.8perciò ch'io fo il dì ben morti cento. -
16.1Panfil rispose: — Caro signor mio,
16.2morir per voi a me sarebbe vita,
16.3e però penserò sì ch'al disio
16.4di voi darò bene opera compita,
16.5avvegnane che puote omai; ché s'io
16.6ne dovessi morir, darovvi uscita
16.7di questo loco; onde vi confortate
16.8e di cuor lieto alquanto v'aspettate. -
17.1Elli uscì fori e gio in loco solo,
17.2e 'nfra se stesso cominciò a pensare;
17.3e pria li venne nel pensiero il volo
17.4che Dedal fé con Icar per campare,
17.5ma nol vide possibil; poi d'imbolo
17.6s'immaginò lui di prigion cavare,
17.7ma non li parve via ben ben sicura;
17.8però non se ne mise in avventura.
18.1Similemente pensò per denari
18.2voler corromper le guardie vegghianti,
18.3sentendo loro in generale avari;
18.4ma mal pareali a fidarsi di tanti
18.5quanti di nuovo li venien vicari
18.6sanza lunga dimora essere stanti;
18.7e 'n brieve non vedea di poter fare
18.8ciò che 'ntendea con le guardie trattare.
19.1Ma pur li venne un modo in pensamento
19.2che infra gli altri li parve migliore,
19.3e dopo molto disaminamento
19.4il si fermò con ordine nel core,
19.5pensando che il suo intendimento
19.6saria fornito e quel del suo signore;
19.7al qual n'andò, là dov'era in prigione,
19.8e così cominciò: — O Palemone,
20.1e' non ha guar che qui venne Alimeto,
20.2di medicina maestro sovrano,
20.3uom d'alto senno e di vita quieto;
20.4e so che esso fu nostro tebano,
20.5e puolli l'uom ben dire ogni segreto
20.6e da lui prender buon consiglio e sano:
20.7questi ci fornirà il nostro fatto,
20.8per mio avviso, e udite in che atto:
21.1che voi v'infignerete esser malato
21.2in sul mutar che le guardie si fanno,
21.3e io avraggio ben lui informato
21.4e avvisato dello nostro inganno,
21.5e 'ncontanente a voi l'avrò menato,
21.6perché e' curi voi del vostro affanno;
21.7e' vestirà li miei panni, ma voi,
21.8sì come mastro, vi vestite i suoi.
22.1E sanza fare alcun dimostramento,
22.2con lui fuor ve n'uscite baldanzoso,
22.3e me lasciate qui sanza pavento
22.4in vostro luogo, e dite ch'io riposo;
22.5essi non fien di tanto avvedimento
22.6che vi conoscan, se voi uscite oso;
22.7poi se Arcita volete, soletto
22.8voi il troverete nel lieto boschetto. -
23.1— Tu hai ben detto — disse Palemone;
23.2— però metti ad effetto queste cose. -
23.3E malato si fece alla stagione
23.4che Panfilo con lui insieme pose;
23.5e Panfil, sanza far dimoragione,
23.6ad Alimeto il loro affar dispose.
23.7Egli era a Palemon fedele amico;
23.8disse: — Io son presto, e farol com'io dico. -
24.1Panfilo allor si cominciò a dolere
24.2con que' ch'avean Palemon a guardare,
24.3che 'l suo signore è infermo, e a sedere
24.4con lor si puose, e fé vino arrecare
24.5a gran dovizia, e cominciò a bere;
24.6e però che non l'aveano a pagare,
24.7sanza ordine nessun n'hanno cioncato,
24.8tanto ch'ognun s'è bene inebriato.
25.1Allora Panfil fé il mastro venire,
25.2il qual vi venne molto lietamente,
25.3e tosto de' suo' panni il fé vestire,
25.4e Palemone ancor similemente
25.5di que' del mastro fece rifornire;
25.6e sanza più addimorar niente,
25.7Palemon, fatto medico, assai lieto
25.8fuor di prigione uscì con Alimeto.
26.1Le guardie allora incontro li si fanno,
26.2e del prigion domandan come stava,
26.3e e' con fermo viso dello inganno
26.4che Panfil fatto aveva, ben s'adava,
26.5e disse: — Certo egli ha assai affanno,
26.6ma al presente alquanto si posava;
26.7però il lasciate questa notte stare,
26.8domattina il verrò a ricercare. -
27.1Lasciato adunque il suo buon servidore
27.2Palemone in prigion, col suo maestro
27.3se n'andò all'ostiere, e di bon core,
27.4dimenticato già il tempo sinestro,
27.5dormì alquanto, e già vegnenti l'ore
27.6vicine al giorno su si levò destro;
27.7e fattesi armi e buon caval ancora
27.8prestar, quivi s'armò sanza dimora.
28.1Alimeto sapeva il convenente,
28.2sì come Palemon gli avea contato;
28.3per ch'elli il lasciò fare, e prestamente
28.4ben l'aiutò, però che n'era usato.
28.5E quelli uscì d'Attene di presente,
28.6e inverso il boschetto s'è avviato,
28.7là dove Arcita allora si dormia
28.8sicuro sì come faceva in pria.
29.1Cheto era il tempo, e la notte le stelle
29.2tutte mostrava ancora per lo cielo,
29.3e 'l gran Chiron Aschiro avea, con quelle
29.4che vanno seco, il pianeto che 'l gielo
29.5conforta il quale le sue corna belle
29.6coperte aveva con lucente velo,
29.7e quasi piena, ove Cenìt facea
29.8il ciel, nel mezzo cerchio, rilucea.
30.1Inver la qual, poi l'ebbe rimirata
30.2alquanto, Palemon cominciò a dire:
30.3— O di Latona prole inargentata,
30.4che or meni i passi miei sanza fallire
30.5con la tua luce meco accompagnata,
30.6piacciati alquanto li miei prieghi udire;
30.7e come in questo se' ver me pietosa,
30.8così nell'altro mi sii graziosa.
31.1Io vado tratto da quella fortezza
31.2d'amor che trasse Pluto a innamorarsi
31.3sopra Tifeo della tua gran bellezza,
31.4allor che tu ne' prati con iscarsi
31.5passi ten givi en la tua giovanezza
31.6cogliendo i fiori per li campi sparsi.
31.7Acciò che per battaglia io possa avere
31.8l'amor di quella sol che m'è in calere,
32.1guida li passi miei, come facesti
32.2più volte in mar di Leandro i lacerti;
32.3e sì col padre tuo fa che mi presti
32.4quella virtù che fa gli uomini esperti;
32.5e come tu del tuo lume mi vesti,
32.6così da' colpi i membri fa coperti
32.7che mi darà l'avversario potente,
32.8sì ch'io di lui ne rimanga vincente. -
33.1E mentre che così dicendo andava,
33.2giunse nel bosco per gli albori ombroso,
33.3e con intento sguardo in quel cercava
33.4acciò ch'Arcita trovasse amoroso;
33.5e mentre in dubbio fortuna il portava,
33.6s'avenne sopra il prato ove riposo
33.7prendeva Arcita, ch'ancora dormiva
33.8e Palemon vegnente non sentiva.
34.1E poi che fu di sopra la rivera
34.2sotto il bel pino infra le fresche erbette
34.3che lì avea produtte primavera,
34.4vide dormire Arcita; onde ristette,
34.5e appressato quivi dov'egli era,
34.6il rimirava, e a ciò molto stette;
34.7e sì nel viso li parea mutato,
34.8che non l'avrebbe mai raffigurato.
35.1Ma Febea, che chiara ancor lucea,
35.2co' raggi suoi il viso li scopria,
35.3sicché aperto Palemon vedea
35.4perché il risomigliarlo li fuggia;
35.5ma poi ch'alquanto mirato l'avea,
35.6in sé la sua effigie risentia,
35.7per che disse fra sé: «Desso è per certo,
35.8né 'l può celar la barba ond'è coverto».
36.1E' nol voleva miga risvegliare,
36.2tanto pareva a lui che e' dormisse
36.3soavemente; ma si pose a stare
36.4allato a lui, e così fra sé disse:
36.5«O bello amico molto da lodare,
36.6se al presente tu ti risentisse,
36.7tosto fra noi credo si finirebbe
36.8qual di noi due per donna Emilia avrebbe».
37.1E 'n questo il giorno a fare era già presso,
37.2e a cantar gli uccelli han cominciato,
37.3per che Penteo, risentendosi addesso,
37.4in piè si fu prestamente levato.
37.5Ver Palemon, che veniva verso esso,
37.6con maraviglia tosto s'è voltato,
37.7e disse: — Cavalier, che vai cercando
37.8per questo bosco, sì armato andando? -
38.1A cui tosto rispose Palemone:
38.2— Cosa del mondo nulla altra cercava
38.3se non di trovar te, o compagnone;
38.4questo voleva e questo disiava,
38.5e però sono uscito di prigione. -
38.6E poi benignamente il salutava.
38.7Penteo li rispose al suo saluto
38.8e tostamente l'ha riconosciuto.
39.1E 'nsieme si fer festa di buon core
39.2e li loro accidenti si narraro;
39.3ma Palemon, che tutto ardea d'amore,
39.4disse: — Or m'ascolta, dolce amico caro;
39.5io son sì forte preso del valore
39.6d'Emilia bella col visaggio chiaro,
39.7che io non trovo dì né notte loco,
39.8anzi sempre ardo in amoroso foco.
40.1E tu so che ancor l'ami similmente,
40.2ma più che d'uno ella esser non poria;
40.3per ch'io ti priego molto caramente
40.4che tu consenta che ella sia mia;
40.5e' mi dà 'l cuor di far sì fattamente,
40.6se questo fai, che quel che ne disia
40.7di lei 'l mio core avrò sanza tardanza;
40.8lasciala dunque a me sol per amanza. -
41.1Quando Penteo queste parole intese,
41.2tutto si tinse e divenne fellone,
41.3e d'ira dentro tutto il cor s'accese,
41.4e poi rispose e disse: — Palemone,
41.5e' ti puote esser certo assai palese
41.6ch'i' ho messa mia vita a condizione
41.7sol per poter ad Emilia servire,
41.8cui io tanto amo, ch'i' nol poria dire.
42.1Però ti priego, se t'è la mia vita
42.2niente cara, che quel che dimandi
42.3tu il conceda al tuo parente Arcita,
42.4il qual s'è messo a pericoli grandi
42.5per procacciar di lei gioia compita;
42.6e tu il sai se e' son ammirandi,
42.7che uditi gli hai, raccontandotegli io:
42.8fa dunque, caro amico, il mio disio. -
43.1Palemon disse allor: — Veracemente
43.2questa non è l'amistà ch'io credea
43.3aver di te, poi sì palesemente
43.4un don mi nieghi il quale io ti chiedea;
43.5ma io ti giuro, per l'onipotente
43.6Giove del cielo e per Venere dea,
43.7che prima ch'io di qui faccia partenza,
43.8co' ferri partirén tal differenza.
44.1Però t'acconcia come me' ti piace
44.2dell'orme omai, e tua ragion difendi,
44.3ché di tal guerra non sarà mai pace,
44.4poi quel di ch'io ti priego mi contendi,
44.5e 'l core in corpo tutto mi si sface.
44.6Perché tu peni e del campo non prendi
44.7contra di me, che vincer o morire
44.8per la mia donna porto nel disire? -
45.1A cui Penteo disse: — O cavaliere,
45.2perché vuo' por te e me in periglio
45.3forse di morte (e non ti fa mestiere)?
45.4Deh, noi possiam pigliar miglior consiglio,
45.5che ciascun si procacci a suo potere
45.6d'aver l'amor del grazioso giglio,
45.7e a cui il concede la fortuna
45.8colui se l'abbia sanza briga alcuna.
46.1Tu sai che io son quiritto sbandito,
46.2e tu hai rotta a Teseo la prigione;
46.3però se 'l nostro affar fosse sentito,
46.4non ci bisogneria far più ragione
46.5d'Emilia bella col viso chiarito,
46.6ma seremmo di morte a condizione;
46.7e però piano amiamo intrambendui,
46.8infin che Giove altro faccia di noi.
47.1Forse le cose avranno mutamento,
47.2e potremmo tornare in nostro stato;
47.3o io partirmi e tu esser contento,
47.4come fui io, da Teseo accettato,
47.5e così alleggiarsi il tuo tormento;
47.6o quello amor mancar che m'ha infiammato,
47.7e sola Emilia a te si rimarebbe,
47.8ch'essere in questo punto non potrebbe. -
48.1Palemon più di ciò non volle udire,
48.2anzi li disse tosto: — Vedi, Arcita,
48.3se io dovessi qui oggi morire,
48.4tra noi convien che ella sia partita;
48.5chi me' saprà della spada ferire,
48.6a lui rimanga la donna e la vita;
48.7se tu mi fai per forza ricredente,
48.8mai più non l'amerò veracemente. -
49.1— Deh! — disse Arcita, — Questo a dir che vene?
49.2Pognàn che tu quiritta m'abbi morto,
49.3che farai tu? Avrai tu minor pene?
49.4Che ben te ne verrà o che conforto?
49.5Io pur conosco che e' ti convene
49.6in prigion ritornare, o, pel più corto
49.7cammin che tu potrai, fuggirne via:
49.8Emilia, poscia, che util ti fia?
50.1E pognàm pur che tu fossi in amore
50.2a Teseo com'io sono, è tua credenza
50.3che le volesse te dar per signore?
50.4Tu se' ingannato; egli ha più alta intenza!
50.5Io sono stato e son suo servidore
50.6quanto esser posso, e sempre sto in temenza
50.7dove ch'io sia, pur di rimirarla;
50.8e tu come ardirai di domandarla?
51.1E se io qui con fé ti promettessi
51.2di non amarla, credi tu che fare
51.3con tutto il mio ingegno io il potessi?
51.4Certo più tosto sanza mai mangiare
51.5crederei viver che d'amarla stessi;
51.6e amor non si può così cacciare
51.7come tu credi; e poco ama chi posa,
51.8per impromessa, d'amare una cosa.
52.1Dunque che vuoi pur far? Combatteremo,
52.2e con le spade in man farén le parti
52.3di quella cosa che noi non avemo?
52.4Deh, perché lasci così abagliarti
52.5al tuo folle consiglio? Omè, ch'io temo
52.6lo 'mpedimento tuo, se non ti parti
52.7prima che 'l giorno sia, né sicur sono,
52.8s'io son riconosciuto, di perdono. -
53.1— Di mia salute — disse Palemone,
53.2— non aver tu pensier; del tutto, avanti
53.3che io mi parta, la nostra quistione
53.4si finirà, sì che l'un de' due amanti
53.5solo d'amarla fia in possessione;
53.6e' consigli che dai ho tutti quanti
53.7esaminati meco, e son contento
53.8più di morir che di vita in tormento.
54.1Se tu fai quel ch'io cheggio, gelosia,
54.2altro non me ne segue, avendo fede
54.3in te come in amico, anderà via;
54.4se ben nel tempo di ciò mi procede,
54.5rendronne grazie alla fortuna mia;
54.6dunque t'apresta, ché il mio cor crede
54.7vittoria aver, se non vuogli altramente
54.8in ciò far cosa che mi sia piacente. -
55.1Allora disse Penteo sospirando:
55.2— Omè, ch'io sento l'ira dell'iddii,
55.3li quali ancor ne vanno minacciando
55.4contrarii tutti alli nostri disii;
55.5e la fortuna ci ha qui lusingando
55.6menati con effetti lieti e pii,
55.7e non Amore, a voler che moiamo
55.8per le man nostre, come noi sogliamo.
56.1Omè, che m'era assai maravigliosa
56.2cosa a pensar che Iunon ci lasciasse
56.3nostra vita menare in tanta posa,
56.4e come i nostri noi non stimolasse,
56.5de' quali alcun giammai a gloriosa
56.6morte non venne, che si laudasse;
56.7ond'io mi posso, assai ramaricare,
56.8vedendo noi a simil fin recare.
57.1I primi nostri, che nacquer de' denti
57.2seminati da Cadmo, d'Agenore
57.3figlio, ver lor furon tanto nocenti,
57.4che sanza riguardar fraterno amore
57.5tra lor s'uccisero; e i can mordenti
57.6Atteon disbranaron lor signore;
57.7e Atamante i suoi figliuoli uccise,
57.8tal Tesifone in lui fiera si mise!
58.1Latona uccise i figliuoi d'Anfione
58.2intorno a Niobè, madre dolente;
58.3e la spietata nemica Iunone
58.4arder fé Semelè miseramente;
58.5e qual d'Agave e delle sue persone
58.6fosse la rabbia, il si sa tutta gente;
58.7e simile d'Edippo, il quale il padre
58.8uccise e prese per moglie la madre.
59.1Quai fosser poi fra loro i due fratelli,
59.2d'Edippo nati, non cal raccontare:
59.3il fuoco fé testimonianza d'elli,
59.4nel qual fur messi dopo il lor mal fare;
59.5e 'l misero Creonte dopo quelli
59.6molto non s'ebbe di Bacco a lodare;
59.7or resta sopra noi, che ultimi siamo
59.8del teban sangue, insieme n'uccidiamo.
60.1E e' mi piace, poi che t'è in piacere,
60.2che pure infra noi due battaglia sia;
60.3io sarò presto a fare il tuo volere,
60.4ma pria mi lascia addobbar l'arma mia
60.5e ripigliare lo mio buon destriere;
60.6quindi farén tutto ciò che disia
60.7la mente folle che sì ti consiglia:
60.8piangasi il danno a cui di ciò mal piglia. -
61.1Isnellamente Penteo si fu armato,
61.2se forse alcuna cosa li mancava,
61.3e ebbe tosto il caval ripigliato,
61.4e destramente sopra vi montava;
61.5e inver Palemon si fu voltato,
61.6che fiero e tutto ardente l'aspettava,
61.7e sì li disse: — Omai, come ti piace,
61.8prendi con meco o vuo' guerra o vuo' pace.
62.1Ma siemi il ciel, che queste cose vede,
62.2ver testimonio, e Appollo surgente,
62.3e Fauni e le Driade, se si crede
62.4che 'n questo loco alcun ne sia possente;
62.5e le stelle ch'io veggio faccian fede
62.6come io son del combatter dolente,
62.7e Priapo con esse, li cui prati
62.8ci apparecchiàn di fare insanguinati.
63.1Non mi si possa mai rimproverare
63.2ch'io sia cagion di battaglia con teco;
63.3tu mossa l'hai e tu pur la vuoi fare,
63.4e pace schifi di voler con meco;
63.5sallosi Iddio ch'io non poria lasciare
63.6mai d'amar quella c'ha 'l mio cor con seco;
63.7ma, così amando, volentier vorrei
63.8con teco pace, e presto a ciò sarei. -
64.1Dette queste parole, nulla cosa
64.2rispose Palemon, ma inanzi al petto
64.3lo scudo si recò, quindi l'ascosa
64.4spada nel foder trasse, e 'l viso eretto,
64.5inver Penteo con voce orgogliosa
64.6disse: — Or si parrà chi più diletto
64.7avrà d'amare Emilia. — A cui Penteo:
64.8— tu di' il vero; — e 'nver di lui si feo.
65.1E' non avevan lance i cavalieri,
65.2e però insieme giostrar non potero;
65.3ma con li spron punsero i buon destrieri,
65.4e con le spade in man presso si fero
65.5l'un verso l'altro, e sì si scontrar fieri,
65.6che maraviglia fu, a dir lo vero,
65.7e sì de' petti i cava' si feriro,
65.8che rinculando a forza in terra giro.
66.1Ma non pertanto il valoroso Arcita
66.2su l'elmo con la spada a Palemone
66.3diede un tal colpo, ch'appena la vita
66.4li rimanesse fu sua oppinione,
66.5e ben credette alla prima ferita
66.6che terminata fosse lor quistione;
66.7ma poi che sotto il buon destrier caduto
66.8si vide, su si levò sanza aiuto.
67.1E Palemon, nel cader del cavallo,
67.2percosse il capo sopra il verde prato;
67.3il che acrebbe il gran mal sanza fallo
67.4ch'aveva per lo colpo a lui donato
67.5dal buon Penteo, per che di quello stallo
67.6non si moveva, anzi parea passato
67.7di questa vita, e a giacer si stava;
67.8e 'l buon Penteo ardito l'aspettava.
68.1Ma poi che elli il vide pur giacere,
68.2disse fra sé: «Che potrebbe esser questo?»
68.3E sanza indugio lui gì a vedere,
68.4e trovol che non era ancora desto
68.5dello spasmo profondo, e 'n suo parere
68.6disse: «Morto è, ché troppo li fu infesto
68.7il colpo della mia spada tagliente,
68.8di ch'io sarò tutto tempo dolente»
69.1Elli il tirava degli arcion di fori
69.2soavemente, e l'elmo li traeva,
69.3e 'n su l'erbetta fresca e sopra i fiori
69.4teneramente a giacer lo poneva;
69.5e poi con man delli freschi liquori
69.6del vicin rivo a suo poter prendeva,
69.7e 'l viso li bagnava acciò che esso,
69.8se fosse vivo, si sentisse addesso.
70.1Ma Palemone ancor non si sentia;
70.2per che Penteo piangeva doloroso,
70.3dicendo: — Lassa omai la vita mia!
70.4Morto è il mio compagno valoroso;
70.5ma di ciò testimon Febo mi sia,
70.6che io non fui di ciò volonteroso,
70.7né mai battaglia con lui disiai.
70.8O me dolente, perché mai amai?
71.1S'io questa donna non avessi amata,
71.2com'io faceva, di tutto mio core,
71.3questa battaglia non sarebbe stata;
71.4ma per difendere il leale amore
71.5che io porto ad Emilia, è incontrata
71.6l'aspra giornata piena di dolore;
71.7or foss'io morto il giorno che a Teseo
71.8prima tornai, nominato Penteo! -
72.1E 'n questo punto tornò Palemone
72.2in sua memoria e 'n piè si fu levato,
72.3ché non aveva altro che stordigione
72.4per lo gran colpo in sé di mal provato;
72.5e come ardito e franco e buon campione,
72.6davanti al petto lo scudo recato,
72.7si vide presso che forte piangea
72.8il buon Penteo, a cui così dicea:
73.1— Leva su, cavalier, che io non sono
73.2ancora vinto, perch'io sia abbattuto;
73.3e se della tua spada il greve trono
73.4mi spaventò, in me son rivenuto;
73.5e non creder però aver perdono
73.6da me, perché pietoso t'ho veduto;
73.7e' ti convien con forza e con valore
73.8combatter meco d'Emilia l'amore. -
74.1Maravigliossi allor Penteo assai,
74.2e dentro al cor nascose la sua ira,
74.3e disse: — Palemon, gran ragione hai
74.4di mal volere a chi per te sospira,
74.5ma d'altra foggia ti sarò omai;
74.6però come tu vuo' così ti gira,
74.7prendi come ti piace ogni vantaggio,
74.8ché di te vincer ho fermo coraggio. -
75.1Ciaschedun chiama in suo aiuto Marte
75.2e Venere e Emilia insiememente,
75.3e imprometton doni; e d'altra parte
75.4ciascun si reca dentro alla sua mente
75.5la nobiltà, l'ardire e la molta arte
75.6delle battaglie e 'l ferir prestamente;
75.7e l'uno inver dell'altro de' baroni
75.8s'andarono a ferir come dragoni.
76.1Li scudi in braccio e le spade impugnate,
76.2sopra l'erbette l'un l'altro ferendo,
76.3sanza aver più l'un dell'altro pietate,
76.4si gieno i due baroni e ricoprendo:
76.5tututte l'armi s'aveano spezzate,
76.6per la lunga battaglia combattendo;
76.7e poco s'era ancora conosciuto
76.8ch'alcun vantaggio fra lor fosse suto.
77.1Ma come noi veggiam venire in ora
77.2cosa che in mille anni non avvene,
77.3così avvenne veramente allora
77.4che Teseo con Emilia d'Attene
77.5uscir con molti in compagnia di fora;
77.6e qual di loro uccello e qual can tene,
77.7e nel boschetto entraro, alcun cornando,
77.8alcun compagni e alcun can chiamando.
78.1E cominciar lor caccia e lor diletto,
78.2e ciascun gia sì come li piacea
78.3in qua in là per lo folto boschetto,
78.4e chi uccelli e chi bestie prendea;
78.5e in tal guisa, senza alcun sospetto,
78.6con un falcone in pugno procedea,
78.7per pervenire alla chiara rivera,
78.8Emilia, ove per lei tal battaglia era.
79.1Ell'era sopra d'un bel pallafreno
79.2co' can dintorno, e un corno dallato
79.3avea e dalla man contraria al freno,
79.4dietro alle spalle, un arco avea legato
79.5e un turcasso di saette pieno,
79.6che era d'oro tratto lavorato;
79.7e ghirlandetta di frondi novelle
79.8copriva le sue treccie bionde e belle.
80.1E sopravenne lì subitamente,
80.2e s'arestò vedendo i cavalieri;
80.3ma conosciuta fu immantanente
80.4da ciaschedun delli due buon guerrieri;
80.5li qua' però non ristetter niente,
80.6ma ne divenner più forti e più fieri,
80.7sì si raccese in ciaschedun l'ardore
80.8della donzella ch'amavan di core.
81.1Ella si stava quasi che stordita,
81.2né giva avanti né 'ndietro tornava;
81.3e sì per maraviglia era invilita,
81.4ch'ella non si movea né non parlava;
81.5ma poi ch'alquanto fu in sé reddita,
81.6della sua gente a sé quivi chiamava,
81.7e similmente ancor chiamar vi feo
81.8a veder la battaglia il gran Teseo.
82.1Il quale assai di maraviglia prese
82.2chi fosser questi due che combatteano,
82.3e a mirarli lungamente intese;
82.4e stima ben che gran mal si voleano,
82.5quando considerava ben l'offese
82.6che essi insieme tra lor si faceano;
82.7ma poi ch'egli ebbe assai ciascun mirato,
82.8cavalcò oltre e lor si fu appressato.
83.1Poi disse loro: — O cavalier, se Marte
83.2vittoria doni a chi più la disia,
83.3ciascun di voi si tragga d'una parte,
83.4e s'elli è in voi alcuna cortesia,
83.5mi dite chi voi sete e chi in tal parte,
83.6a battaglia v'induce tanto ria,
83.7secondo ne mostrate nel ferire
83.8che fate l'uno a l'altro da morire. -
84.1Li cavalier quando vider Teseo
84.2e lui udiro a lor così parlare,
84.3ciascuno indietro volentier si feo,
84.4e vorrebbero avere a cominciare
84.5quella battaglia; ma il buon Penteo
84.6prima così rispose al dimandare:
84.7— Noi siam duo cavalier che per amore
84.8con le spade proviàn nostro valore. -
85.1Disse Teseo: — Ditene chi sete. -
85.2A cui Penteo: — Noi 'l farem volentieri,
85.3se voi, caro signor, ne promettete
85.4la pace vostra, se a noi fia mestieri. -
85.5A cui Teseo rispose: — Vo' l'avete,
85.6perch'io vi veggio sì pro' cavalieri,
85.7e combattete ancor per tal cagione,
85.8ch'offendervi saria contra ragione. -
86.1Allora que' rispose prestamente:
86.2— Io sono il vostro Penteo che vi parlo,
86.3il qual con questo cavalier valente,
86.4per troppo amor, volendo soperchiarlo,
86.5battaglia fo; e e' me similmente
86.6vuol soperchiar, perch'io accompagnarlo
86.7voglio ad amar; chi e' sia, ecco lui
86.8che vel dirà assai me' che altrui. -
87.1A Palemon pareva male stare;
87.2ma non pertanto e' cacciò la paura
87.3e disse: — Siri, io nol posso celare
87.4chi io mi sia, e ancor mi sicura
87.5vostra virtù che non vorrete usare
87.6la vostra forza contro alla mia pura
87.7mente, che per amor fuor di prigione
87.8uscì', e sono il vostro Palemone. -
88.1Teseo, udendo nominar costoro,
88.2prima sdegnò, poi ringraziolli assai
88.3che s'eran nominati, e disse loro:
88.4— Deh, non vi spiaccia, ditemi oramai
88.5come Cupido con lo stral dell'oro
88.6amendun vi ferì di pari guai,
88.7con ciò sia cosa che l'un vien d'Egina,
88.8l'altro fu preso a Tebe la meschina.
89.1E se licito m'è ch'io sappia ancora
89.2chi sia la donna, vi priego il diciate. -
89.3Palemon sospirò, e disse allora
89.4come le cose tutte erano andate;
89.5e ciò Teseo vie più che l'altre accora
89.6che prima gli erano state contate,
89.7e disse: — Amor v'ha dato grande ardire,
89.8poi non curate per lui il morire. -
90.1A cui Palemon disse: — Alto signore,
90.2saputo hai ciò che vuoli interamente,
90.3e a contarlo m'ha dato valore
90.4disiderio di morte certamente,
90.5la qual mi finiria l'aspro dolore
90.6che sempre offende la mia trista mente;
90.7e io, che son di tua prigion fuggito,
90.8ho d'esser morto molto ben servito. -
91.1Allor Teseo: — Non piaccia a Dio che sia
91.2ciò che dimandi, ben che meritato
91.3l'aggiate per la vostra gran follia;
91.4ché l'un contra 'l mandato è ritornato,
91.5e l'altro ha rotta la mia prigionia,
91.6sì ch'io non ne saria mai biasimato
91.7se i' 'l facessi, né faria fallanza,
91.8ma serverei l'antica buona usanza.
92.1Ma però ch'io già innamorato fui
92.2e per amor sovente folleggiai,
92.3m'è caro molto il perdonare altrui,
92.4perch'io perdon più fiate acquistai,
92.5non per mio operar, ma per colui
92.6pietà a cui la figlia già furtai;
92.7però sicuri di perdono state:
92.8vincerà il fallo la mia gran pietate.
93.1Ma non fia assoluto il perdonare,
93.2ch'io ci porrò piacevol condizione,
93.3la qual voi mi prometterete fare,
93.4se io perdono a vostra falligione. -
93.5Essi il promisero, e e' fé giurare
93.6lor di servarla sanza offensione,
93.7e felli insieme far pace solenne;
93.8poi in questo modo con lor si convenne.
94.1E' cominciò: — Be' signori, io avea
94.2la giovinetta la qual voi amate
94.3meco guardata, e donar la credea
94.4per vera sposa al piacevole Acate,
94.5nostro cugin; ma la fortuna rea
94.6con morte queste cose ha via levate,
94.7e ella s'è rimasa senza sposo,
94.8come vedete, col viso amoroso.
95.1Dunque convene a me pensar d'altrui,
95.2perché l'età di lei omai il richiede,
95.3né io non so pensar ben bene a cui
95.4io la mi dea, che con più ferma fede
95.5l'ami e onor che farà un di voi,
95.6se sì l'amate come il mio cor crede;
95.7ma non la può di voi aver ciascuno
95.8però convien ch'ella rimanga a l'uno.
96.1A l'un di voi sarà bene investita,
96.2però che sete di sangue reale
96.3e d'alto affare e di nobile vita;
96.4e ella similemente è altrettale
96.5e è sorella a la reina ardita
96.6che meco stato serva imperiale;
96.7per la qual cosa sdegnar non dovete
96.8per moglie lei, se averla potete.
97.1Ma per cessar da voi ogni quistione,
97.2con l'arme indosso vi convien provare
97.3nel modo ch'io dirò: che Palemone
97.4cento compagni farà di trovare
97.5quali e' potrà a sua elezione,
97.6e a te simil converrà di fare;
97.7poi a battaglia nel teatro nostro
97.8sarete insieme col seguito vostro.
98.1Chi l'altra parte caccerà di fore
98.2per forza d'arme, marito le fia;
98.3l'altro, di lei privato e dell'onore,
98.4a quel giudicio converrà che stia
98.5che la donna vorrà, al cui valore
98.6commesso da questa ora innanzi sia;
98.7e 'l termine vi sia a ciò donato
98.8uno anno intero. — E così fu fermato.
99.1Sì come per mal sol palida fassi
99.2candida rosa o per Noto spirante,
99.3che poi, vegnendo Zeffiro, rifassi
99.4o per la fresca aurora levante,
99.5e gloriosa in su li pruni stassi,
99.6bella come tal volta fu davante,
99.7così costor diventaron, raccolto
99.8il parlar di Teseo lor caro molto.
100.1E risposero a lui umilemente:
100.2— Signore, a tanta grazia quanta fai
100.3a ciaschedun di noi, nessun possente
100.4a ciò guiderdonar sarebbe mai;
100.5ma que' che 'l cielo e 'l mondo parimente
100.6governa ti contenti, sì come hai
100.7noi contentati de l'alto perdono
100.8del nostro fallo, il qual ci è sommo dono.
101.1Noi siam disposti ad ogni tuo piacere,
101.2e penserem di metter ad effetto
101.3quel che n'hai comandato a tuo volere. -
101.4Poi cominciaron mirabil diletto,
101.5vedendo ciò che più era in calere
101.6sicura dimorar nel lor cospetto;
101.7la qual li rimirava vergognosa
101.8e delle lor ferite assai pietosa.
102.1A cui Teseo: — O giovine donzella,
102.2vedi tu quanto per te faccia Amore,
102.3perché tu se' più ch'alcuna altra bella?
102.4Ben tel dei reputar sovrano onore,
102.5e oltre a ciò isposa se' novella
102.6dell'un de' due di cotanto valore. -
102.7Nulla rispose Emilia, ma cambiossi
102.8tutta nel viso, tanto vergognossi!
103.1Febo era già a mezzo il ciel salito,
103.2nell'animal che tenne Garamante
103.3allor che Giove, di Creti partito,
103.4in Africa passava ad Atalante;
103.5quando ciascun di loro, assai ferito,
103.6le piaghe si stagnava tutte quante;
103.7ma 'l tempo caldo mosse a dir Teseo:
103.8— Medichera'ti alla città, Penteo. -
104.1E poi li fé sovra i cavai salire
104.2con tutte l'arme, e in mezzo di loro
104.3Emilia bella di grazia fé gire;
104.4di che contenti tanto eran costoro,
104.5che lingua alcuna nol potrebbe dire;
104.6e poco gli occhi lor facean dimoro,
104.7che non mirasser lei assai celato,
104.8finché per loro in Attene fu intrato.
105.1Quivi con festa al palagio maggiore
105.2disceser tutti, e Teseo disarmare
105.3fé li teban baron di gran valore,
105.4e dolcemente li fece curare;
105.5e più ancora lor fece d'onore,
105.6che li fé dentro al palagio abitare;
105.7e rendé lor castella e possessioni,
105.8quante n'avean pria che fosser prigioni.
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