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LIBRO QUARTO

Teseida

PoeTree.it

1.1Quanto può fare il tempo più guazzoso,
1.2cotanto allora il faceva Orione,
1.3molto nel cielo allora poderoso
1.4con le Pliade in sua operazione;
1.5e Eol d'altra parte più ventoso
1.6il faceva che mai, in quella stagione
1.7ch'uscì d'Attena il doloroso Arcita
1.8sanza speranza mai di far reddita.
2.1Grande era l'acqua, il vento e 'l balenare
2.2quel di che Arcita si partì d'Attene,
2.3dal termine costretto dell'andare,
2.4posto che 'l dove e' non sapesse bene;
2.5ma non pertanto, sol per sodisfare
2.6a Peritoo, avendo ancora spene
2.7del ritornar, dolente a capo chino
2.8inver Boezia prese suo cammino.
3.1Poco era ancor dalla terra partuto,
3.2quand'elli a' suo' scudieri: — Amici cari,
3.3io non intendo d'esser conosciuto,
3.4mentre che duran questi tempi amari;
3.5però che forse, se fosse saputo
3.6là dov'io fossi, io non viverei guari;
3.7e però non Arcita, ma Penteo
3.8mi nominate in questo tempo reo. -
4.1E poi con tempo iniquo camminando,
4.2lo 'nnamorato Arcita si voltava
4.3ispesse volte la città mirando,
4.4e quindi, lei veduta, sospirava,
4.5seco sovente così ragionando:
4.6«Deh, quanto pò amor, poi che mi grava
4.7partir del loco ch'io dovrei odiare,
4.8se degnamente volessi operare!».
5.1E quinci alla cagion che a ciò il traeva,
5.2ciò era Emilia bella e graziosa,
5.3subitamente l'animo volgeva;
5.4onde con voce alquanto più pietosa,
5.5fra sé parlando, misero diceva:
5.6«O nobile donzella, o amorosa
5.7più ch'altra fosse mai, esemplo degno
5.8delle bellezze dello etterno regno,
6.1dove, partendom'io contra volere,
6.2posto che tu giammai non fosse mia,
6.3essendo io tuo, ti lascio, o bel piacere?
6.4Perché non m'era la prigion men ria,
6.5potendo alcuna volta te vedere,
6.6ch'avere il mondo tutto in mia balia
6.7sanza di te, che io più che me amo,
6.8né altra cosa ch'al mondo sia bramo.
7.1Deh, se io fossi en la mia libertate
7.2dimorato in Attene tanto ch'io
7.3un poco pur la tua novella etate
7.4avessi, omè, accesa del disio
7.5del quale io ardo, credo in veritate
7.6ch'io sentire' il lungo esilio mio
7.7con men dolor, sentendo que' sospiri
7.8in te per me c'ho per te, e' disiri.
8.1Ma tu appena non conosci amore
8.2non che tu m'ami, e però non ti cale
8.3del mio intollerabile dolore,
8.4né puoi compassione al mio gran male
8.5portare; e ciò che mi dà duol maggiore
8.6e con asprezza più il cor m'asale,
8.7è che mi par vederti maritata
8.8ad uom che mai non t'avrà più amata.
9.1E così 'l mio fedele e buon servire
9.2sarà perduto, e angosciosamente
9.3lontano a te mi converrà morire.
9.4Deh, or foss'io pur certo solamente
9.5che per tal morte tu dovessi dire:
9.6“Certo costui amò ben fedelmente;
9.7e' me ne incresce!” Poi, dove ch'io gissi,
9.8altro che ben non credo ch'io sentissi.
10.1Deh, lasso me!, or che vo io cercando
10.2ne' sospir dispietati e angosciosi,
10.3che in me ognora van multiplicando,
10.4ciò che esser non pò? O tenebrosi
10.5regni di Dite, s'alcun tormentando
10.6in voi tenete, dite che si posi,
10.7poiché vivendo io son colui che porto
10.8sol pena, più che altro vivo o morto».
11.1Poi ad Amor le sue voci volgea
11.2con troppo più orribile favella
11.3dolendosi di lui; poscia dicea:
11.4«Omè, Fortuna dispietata e fella
11.5che t'ho io fatto che sì mi se' rea?
11.6O Morte trista, vien, che 'l cor t'appella;
11.7coniugni me, col tuo colpo feroce,
11.8co' miei passati nella infernal foce».
12.1Così piangendo, con seco Penteo,
12.2più doloroso assai che non appare,
12.3il dì secondo del regno d'Egeo
12.4uscì co' suoi, e cominciò a intrare
12.5in quel nel qual già felice poteo,
12.6cioè in Boezia; e dopo alquanto andare,
12.7Parnaso avendo dietro a sé lasciato,
12.8alla distrutta Tebe fu arrivato.
13.1E' vide tutta quella regione
13.2esser diserta allora d'abitanti,
13.3per ch'elli incominciò: «O Anfione,
13.4se tu, intanto che co' dolci canti
13.5della tua lira, tocca con ragione,
13.6per chiuder Tebe i monti circustanti
13.7chiamasti, avessi immaginato questo,
13.8forse ti saria suto il suon molesto.
14.1Dove sono ora le case eminenti
14.2del nostro primo Cadmo? Dove sono,
14.3o Semelè, le camere piacenti
14.4per te a quel che del più alto trono
14.5governa il cielo, e per le qua' le genti
14.6tebane mai non meritar perdono
14.7da Iuno? E quelle dove son d'Almena,
14.8che doppia notte volle a farsi plena?
15.1Ove di Dionisio appaiono ora,
15.2misero me, li triunfi indiani?
15.3Deh, dove son gli eccelsi segni ancora
15.4de' popoli silvestri libiani?
15.5Nessun qui al presente ne dimora:
15.6li re son morti, e voi, tristi Tebani,
15.7dispersi gite, e 'n cenere è tornato
15.8ciò che di voi fu già molto lodato.
16.1Ov'è lo spesso popolo, ove Laio,
16.2ove Edippo dolente ove i figliuoli?
16.3Ogni cosa ha distrutto il fuoco graio;
16.4e per multiplicar li nostri duoli
16.5con vergogna, le femine il primaio
16.6v'accesero. O Iunon, dunque che vuoli
16.7del nostro miser sangue più omai?
16.8Non ti pare aver fatto ancora assai?
17.1Piccola forza omai al tuo furore
17.2finire ha luogo, ch'io e Palemone,
17.3né altro più, del sangue d'Agenore
17.4rimasi siamo; e elli è in prigione,
17.5e io in tristo esilio; né piggiore
17.6stato potresti donarci, o Iunone,
17.7fuor se ci uccidi; e questo per conforto
17.8disidera ciascun, d'esser già morto».
18.1E detto ciò, con ira sospirando,
18.2da quella torse il viso disdegnoso,
18.3co' suo' scudieri inver Corinto andando;
18.4nella qual giunto, assai piccol riposo
18.5fece, ma ver Mecena cavalcando,
18.6in essa quasi fuor di sé pensoso
18.7pervenne, e quivi così sconosciuto
18.8a servir Menelao fu ricevuto.
19.1Egli era ancora molto giovinetto,
19.2sì come il barba non aver mostrava;
19.3bello era assai e di gentile aspetto,
19.4e a gran pena quel ch'era celava;
19.5ben l'avea fatto alquanto palidetto
19.6l'amorosa fatica che portava,
19.7ma non sì ch'elli molto non piacesse
19.8a chiunque era que' che lui vedesse.
20.1Egli era già vicin d'uno anno stato
20.2con Menelao in gran doglia e tormento,
20.3né mai, ben che n'avesse domandato
20.4celatamente, del suo intendimento
20.5niuna cosa n'aveva spiato;
20.6per che ad Egina lì venne in talento
20.7d'andar, là dove reggeva Pelleo,
20.8e, concedendol Menelao, il feo.
21.1Quivi sperava di potere udire
21.2d'Emilia novelle tal fiata;
21.3questa sola cagion vel fece gire.
21.4Elli avea già la forma sì mutata,
21.5né di sé cosa alcuna sentia dire,
21.6sì ch'a fidanza con la sua brigata
21.7prese 'l cammino e gissene ad Egina,
21.8là dove giunse la terza mattina.
22.1Quivi in maniera di pover valletto,
22.2non delli suoi maggior ma compagnone,
22.3al servigio del re sanza sospetto
22.4fu ricevuto e messo in commessione;
22.5e ubidendo a ciò che gli era detto,
22.6si fece a modo che un vil garzone,
22.7acciò che e' potesse lì durare,
22.8fin che fortuna li volesse atare.
23.1Quivi con seco sovente piangeva
23.2la sua fortuna e la sua trista vita,
23.3e spesse volte con sospir diceva:
23.4«Ahi, doglioso più ch'altro e tristo Arcita!
23.5Se' fatto fante, laddove soleva
23.6esser tua casa di fanti guarnita;
23.7così fortuna insieme e povertate
23.8t'ha concio, e il voler tua libertate.
24.1Per libero esser, più servo che mai
24.2se' divenuto, misero dolente!
24.3Ahi, real sangue, che vitupero hai:
24.4sed e' mi conoscesse questa gente!
24.5Certo per mio peccar nol meritai,
24.6ma di Creon la dispietata mente
24.7di questo, lasso!, m'è cagione stato,
24.8e ancor dello stare imprigionato».
25.1Così senza nell'animo riposo
25.2aver giammai, in doglia sempre stava;
25.3e l'esser già istato glorioso
25.4vie più che gli altri danni il tormentava;
25.5e vorria inanzi sempre bisognoso
25.6essere stato e in vita trista e prava,
25.7ch'avere avuto tal fiata bene
25.8e ora sostener noiose pene.
26.1E ben che di più cose e' fosse afflitto
26.2e che di viver gli giovasse poco,
26.3sopra ogn'altra cosa era trafitto
26.4d'amor nel core, e non trovava loco;
26.5e giorno e notte sanza alcun respitto
26.6sospir gittava caldi come foco,
26.7e lagrimando sovente doleasi,
26.8e ben nel viso il suo dolor pareasi.
27.1Egli era tutto quanto divenuto
27.2sì magro, che assai agevolmente
27.3ciascun suo osso si saria veduto;
27.4né credo ch'Erisitone altramente
27.5fosse nel viso che esso paruto
27.6nel tempo della sua fame dolente;
27.7e non pur solamente palido era,
27.8ma la sua pelle parea quasi nera.
28.1E nella testa appena si vedeano
28.2gli occhi dolenti; e le guance, lanute
28.3di folto pelo e nuovo, non pareano;
28.4e le sue ciglia pelose e acute
28.5a riguardare orribile il faceano;
28.6le come tutte rigide e irsute;
28.7e sì era del tutto tramutato,
28.8che nullo non l'avria raffigurato.
29.1La voce similmente era fuggita
29.2e ancora la forza corporale;
29.3per che a tutti una cosa reddita
29.4qua su di sopra dal chiostro infernale
29.5parea, più tosto ch'altra stata in vita;
29.6né la cagion onde venia tal male
29.7giammai da lui nessun saputa avea,
29.8ma una per un'altra ne dicea.
30.1Come d'Attene li nessun venia,
30.2onestamente e con savio parlare
30.3di molte cose domandandol pria,
30.4d'Emilia trascorrea nel ragionare,
30.5addomandando s'ella fosse o fia
30.6nelli tempi vicin per maritare,
30.7e d'altre cose circustanti molte;
30.8ben che ciò gli avenisse rade volte.
31.1Ma i dolenti fati, i qua' tirando
31.2gian d'una in altra miseria costui,
31.3vegnendosi il suo fine appropinquando,
31.4con poca festa rallegraron lui,
31.5diversamente l'opere menando
31.6quando per esso e quando per altrui;
31.7fin ch'al veduto termine pervenne,
31.8dove si ruppe il fil che 'n vita il tenne.
32.1Per avventura un di' come era usato,
32.2Penteo soletto alla marina gio,
32.3e 'nverso Attene col viso voltato
32.4mirava fisamente e con disio;
32.5e quasi il vento ch'indi era spirato
32.6più ch'altro li pareva mite e pio,
32.7e ricevendol dicea seco stesso:
32.8«Questo fu ad Emilia molto appresso».
33.1E mentre che 'n tal guisa dimorava,
33.2una barchetta dentro al porto entrare
33.3vide; laonde ad essa s'appressava,
33.4e cominciò di loro a domandare
33.5donde venisse; e un che 'n essa stava
33.6disse: — D'Attene, e là crediam tornare
33.7assai di corto; s'tu vorrai venire,
33.8qui su potrai con esso noi salire. -
34.1A cotal voce sospirò Penteo;
34.2poi, tratto quel da parte, pianamente
34.3il domandò che era di Teseo,
34.4e di più cose diligentemente,
34.5a le qua' tutte que' li sodisfeo;
34.6ma poi della reina ultimamente
34.7e della bella Emilia domandando,
34.8così que' li rispose al suo domando:
35.1— Qualunque dea nel cielo è più bella,
35.2nel cospetto di lei parrebbe oscura;
35.3ell'è più chiara che alcuna stella,
35.4né dicesi che mai bella figura
35.5fosse veduta tanto come quella;
35.6ver è che per la sua disaventura
35.7l'altrier morì Acate, a cui sposa
35.8esser doveva quella fresca rosa. -
36.1E altre cose molte più li disse,
36.2le qua' misor Penteo in gran pensiero;
36.3e 'l tramortito amor quasi rivisse,
36.4e il disio più focoso e più fiero
36.5parve subitamente divenisse;
36.6né ciò li parve a sostener leggiero,
36.7e in sé conobbe che 'n tal disiare
36.8non potrebbe or, come già fé, durare.
37.1E' si sentiva sì venuto meno,
37.2ch'appena si poteva sostenere;
37.3onde, se a quelle pene che 'l coceno
37.4nol medicasse l'Emilia vedere,
37.5assai in brieve lui ucciderieno;
37.6per che diliberò pur di volere
37.7in ogni modo tornare ad Attene
37.8ad alleggiare o a finir sue pene,
38.1fra sé dicendo: «Io son sì trasmutato
38.2da quel ch'esser solea, che conosciuto
38.3io non sarò, e vivrò consolato,
38.4me ristorando del mal c'ho avuto,
38.5vedendo il bello aspetto ove fu nato
38.6il disio che mi tene e ha tenuto;
38.7e s'al servigio di Teseo potessi
38.8esser, non so che poi più mi chiedessi.
39.1Se forse è sì crudel la mia ventura
39.2ch'io sia riconosciuto, e' m'è il morire
39.3vie più grazioso che vita sì dura,
39.4come io fo in sempre mai languire».
39.5Poi in su tal proposta s'asicura
39.6e si dispon del tutto a ciò seguire;
39.7e mille anni gli par che a ciò sia,
39.8tanto vedere Emilia disia.
40.1E' non tardò di metter ad effetto
40.2cotal pensiero, anzi commiato prese,
40.3e 'nver di quella navicò soletto;
40.4e 'n pochi giorni lì giunto discese
40.5in maniera di povero valletto,
40.6e in Attene con tema si mise;
40.7e acciò ch'elli Emilia vedesse,
40.8stette più dì, né fu chi 'l conoscesse.
41.1Quando s'avide ben ch'era del tutto
41.2fuor delle menti di tutte persone,
41.3e che l'angoscia e 'l doloroso lutto
41.4ora li torna in consolazione,
41.5disse fra sé: «Ancor sentirò frutto
41.6della mia lunga tribulazione;
41.7e la fortuna, a me stata nemica,
41.8sotto altro aspetto mi fia forse amica».
42.1Quinci agli eccelsi templi se ne gio
42.2del grande Appollo, e 'nnanzi alle sue are
42.3s'inginocchiò, e con sembiante pio
42.4volendo quivi li suoi prieghi dare,
42.5subito pianto molto lo 'mpedio,
42.6venutoli da nuovo memorare
42.7quel che già fu e quel che egli ora era;
42.8poi cominciò in sì fatta maniera:
43.1— O luminoso Iddio che tutto vedi,
43.2il cielo e 'l mondo e l'acque parimente,
43.3e con luce continua procedi
43.4tal che tenebra non t'è resistente,
43.5e sì tra noi col tuo girar provedi
43.6ched e' ci vive e nasce ogni semente,
43.7volgi ver me il tuo occhio pietoso
43.8e questa volta mi sie grazioso.
44.1A me non legne, non fuoco, né incenso,
44.2non degno armento a la tua deitate,
44.3non lauree corone, e or pur censo
44.4mi fosse a sodisfar necessitate;
44.5e quinci vien che con giusto compenso
44.6non son da me le tue are onorate,
44.7e tu il ti vedi, ché di ciò ingannare
44.8non ti potrei, perch'i' 'l volessi fare.
45.1Di lagrime, d'affanni e di sospiri,
45.2d'ogni infortunio e povertate intera
45.3son io fornito, e ancor di disiri
45.4d'amor, vie più che bisogno non m'era;
45.5di questi a te che l'universo giri
45.6fo sacrificii con nuova maniera;
45.7prendili per accetti, io te ne priego,
45.8e al mio domandar non metter niego.
46.1Sì come te alcuna volta Amore
46.2costrinse il chiaro cielo abandonare
46.3e lungo Anfrisio, in forma di pastore,
46.4del grande Ameto a gli armenti guardare,
46.5così or me il possente signore
46.6qui in Attene ha fatto ritornare,
46.7contra 'l mandato che mi fé Teseo,
46.8allor ch'a Peritoo mi rendeo.
47.1E ben ch'angoscia transformato m'abbia,
47.2e 'l nuovo nome, di ciò ch'io solea
47.3altra volta esser, la smarrita labbia
47.4priego mi servi o nuova in me la crea,
47.5sotto la qual coverta la mia rabbia,
47.6vedendo Emilia, contento mi stea,
47.7e a servir Teseo sia ricevuto,
47.8sanza mai esser lì riconosciuto.
48.1Se ciò mi fai, e io sia rivestito
48.2giammai del mio, sì come tu se' degno
48.3t'onorerò. — E fu esaudito
48.4d'ogni suo priego, e cognobbene segno;
48.5per che dal tempio tosto dipartito,
48.6a fornir sua intenzion lo 'ngegno
48.7pose, e pensò come fatto venisse
48.8ch'esser potesse che Teseo servisse.
49.1Com'elli avea con seco immaginato,
49.2così lo immaginar seguì l'effetto;
49.3e s'elli avesse a lingua dimandato
49.4non gli saria si ben venuto detto;
49.5però che fu con Teseo allogato,
49.6né fu dell'esser suo preso sospetto,
49.7né domandato fu chi fosse o donde:
49.8così gli andaron le cose seconde!
50.1E' non fu prima a tal partito giunto,
50.2che 'l suo aspetto un pochetto più chiaro
50.3si fé che pria parea così compunto,
50.4e dipartissi il suo dolore amaro
50.5il qual l'avea col lagrimar consunto,
50.6e le sue membra forze ripigliaro;
50.7ma tutte altre allegrezze furon nulla
50.8a petto a quando vide la fanciulla.
51.1Teseo, faccendo una mirabil festa,
51.2tra l'altre donne Emilia fé venire,
51.3la qual più ch'altra leggiadra e onesta,
51.4piacevol, bella e molto da gradire,
51.5ornata assai in una verde vesta,
51.6tal che di sé ciascuno uom facea dire
51.7lode maravigliose, e tal dicea
51.8che veramente ell'era Citerea.
52.1Ma oltre a tutti gli altri con disio
52.2la rimirava più lieto Penteo,
52.3dicendo seco: — O Giove, sommo iddio,
52.4se e' mi fa omai morir Teseo,
52.5alli tuoi regni me ne verrò io;
52.6omai non mi può nuocer tempo reo,
52.7e di buon cuor perdono alla fortuna
52.8se mai di mal mi fece cosa alcuna,
53.1poi ch'ella m'ha condotto a cotal porto,
53.2ch'io veggio il chiaro viso di colei
53.3ch'è sommo mio diletto e mio conforto.
53.4Fuggan da me e sospiri e gli omei,
53.5fugga 'l disio ch'aveva d'esser morto,
53.6siemi ben sommo il rimirar costei;
53.7questo mi basti. — E sì dicendo, fiso
53.8sempre mirava l'angelico viso.
54.1Maggior letizia non credo sentisse
54.2allor Tereo quando li fu concesso
54.3per Pandion che Filomena en gisse
54.4alla sua suora in Trazia con esso,
54.5che or Penteo; ma come ch'avenisse,
54.6essendogli ella non molto di cesso,
54.7inver di lui alquanto gli occhi alzati,
54.8ebbe li suoi di botto affigurati.
55.1Mirabil cosa a dir quella d'amore,
55.2che rade volte è che la cosa amata,
55.3quantunque ella abbia male abile core
55.4d'esser per tale obietto innamorata,
55.5pur nella mente porta l'amadore;
55.6e quantunque ella si mostri adirata,
55.7non le dispiace, e se non ama altrui,
55.8poco o assai conven ch'ami colui.
56.1Era, com'è già detto, giovinetta
56.2Emilia tanto, ch'ella non sentia
56.3quanto nel core amor punge o diletta,
56.4allor ch'Arcita pria se n'andò via
56.5le' rimirando, come su si detta;
56.6il quale, ancor che la fortuna ria
56.7così deforme l'avesse renduto,
56.8da essa sola fu riconosciuto.
57.1Ella nol vide prima che ridendo
57.2con seco disse: «Questi è quello Arcita
57.3il quale io vidi dipartir piangendo.
57.4Ahi, misera dolente la sua vita!
57.5Che fa e' qui? Or che va e' caendo?
57.6Non conosc'el che se fosse sentita
57.7la sua venuta da Teseo, morire
57.8gli converrebbe o in prigion reddire?».
58.1Vero è che tanto fu discreta e saggia,
58.2che più di ciò non parlò ad alcuno,
58.3e a lui fa sembianti che non l'aggia
58.4giammai veduto più in loco nessuno;
58.5ma ben si maraviglia quale scaggia
58.6di bianco l'abbia così fatto bruno
58.7e dimagrato, che par pur la fame
58.8nel suo aspetto e pien di tutte brame.
59.1Incominciò il nobile Penteo,
59.2ammaestrato da fervente amore,
59.3sì a servir sollecito a Teseo
59.4e ad ogni altro per lo suo valore,
59.5ch'elli in tutto suo segreto il feo,
59.6amando lui più ch'altro servidore;
59.7e 'l simile l'amava la reina
59.8di buono amor, e ancor la fantina.
60.1E ben che la fortuna l'aiutasse
60.2e fosse a lui benigna ritornata,
60.3mai dal diritto senno lui non trasse,
60.4né 'l fece folleggiare una fiata;
60.5e posto che ferventemente amasse,
60.6sempre teneva sua voglia celata,
60.7tanto ch'alcun non se ne accorse mai,
60.8ben che facesse per amore assai.
61.1Come io dico, saviamente amava,
61.2né si lasciava a voglia trasportare,
61.3e a luogo e a tempo rimirava
61.4Emilia bella, e ben lo sapea fare;
61.5e ella savia talor se ne addava,
61.6mostrando non saper che fosse amare;
61.7ma pur l'età già era innanzi tanto,
61.8che ella conoscea di ciò alquanto.
62.1Esso cantava e faceva gran festa;
62.2faceva pruove e vestia riccamente,
62.3e di ghirlande la sua bionda testa
62.4ornava e facea bella assai sovente;
62.5e 'n fatti d'arme facea manifesta
62.6la sua virtù, che assai era possente;
62.7ma duol sentiva, in quanto esso credea
62.8Emilia non sentir per cui il facea.
63.1Né e' non gliele ardiva a discovrire,
63.2e isperava e non sapea in che cosa,
63.3donde sentiva sovente martire;
63.4ma per celar ben sua voglia amorosa,
63.5e per lasciar li sospir fuori uscire
63.6che facean troppo l'anima angosciosa,
63.7avea in usanza tal volta soletto
63.8d'andarsene a dormire in un boschetto.
64.1E questo aveva in costuma di fare
64.2nel tempo caldo, ch'era fresco il loco,
64.3e era sì rimoto da l'andare
64.4di ciaschedun, che ben poteva il foco
64.5d'amor con voci fuor lasciare andare
64.6e a sua posta lungamente e poco;
64.7e non era lontano alla cittate
64.8oltre tre miglia giuste misurate.
65.1Egli era bello, e d'alberi novelli
65.2tutto fronzuto e di nova verdura;
65.3e era lieto di canti d'uccelli,
65.4di chiare fonti fresche a dismisura,
65.5che sopra l'erbe facevan ruscelli
65.6freddi e nemici d'ogni gran calura;
65.7conigli, lepri, cervi e cavriuoli
65.8vi si prendean con cani e con lacciuoli.
66.1Come io dico, in quello assai sovente,
66.2quando con arme e quando senza, gire
66.3Penteo usava, e 'n su l'erba ricente
66.4sotto un bel pin si poneva a dormire,
66.5a ciò invitato da l'acqua corrente
66.6che mormorava; ma del suo disire
66.7focoso, in prima che s'adormentasse,
66.8con Amor convenia si lamentasse.
67.1E cominciava così a parlare:
67.2— Io non pensava, Amor, che tu potessi
67.3tanto in un cuor d'uno uomo adoperare,
67.4ch'al piacer d'una donna sì 'l traessi,
67.5ch'ogni altra cosa il facessi obliare,
67.6e in potenzia di lei tutto il ponessi,
67.7come hai posto tutto quanto il mio,
67.8che altro che servirla non disio.
68.1Ma tu m'hai fatto in alcun caso torto,
68.2però ch'io amo e non son punto amato,
68.3ond'io non spero mai d'aver conforto;
68.4e haimi sì tutto l'ardir levato,
68.5che dir non l'oso, e tu te ne se' accorto,
68.6perché troppo m'hai posto in alto lato
68.7a quel ch'a mia fortuna si convene,
68.8ché non son ricco d'altro che di pene.
69.1Deh, quanto mi saria stata più cara
69.2la morte ch'aspettar la tua saetta!
69.3Oh, quanto dicer può che l'abbia amara
69.4qualunque è que' che dolente l'aspetta,
69.5però che in essa poco ben ripara
69.6a rispetto del mal che ella getta!
69.7E però s'io mi dolgo, io ho ragione,
69.8vedendo me legato in tua prigione.
70.1Ma tu se' tanto e tal, caro signore,
70.2ch'ogni mia doglia puoi volvere in pace,
70.3faccendo ch'ella mi senta nel core
70.4quale essa dentro al mio sentir si face;
70.5e io, sì come umil servidore,
70.6ti priego il facci, Amor, se e' ti piace.
70.7Deh, chi sarà di me poi più contento,
70.8se per me pruova quel ch'io per lei sento?
71.1Io viverò tutto tempo gioioso,
71.2né biasmerò giammai tua signoria;
71.3io ti farò sacrificio pietoso,
71.4signor mio caro, della vita mia,
71.5e sempre il tuo onore in grazioso
71.6verso da me lieto cantato fia:
71.7adunque fallo, se di me ti cale,
71.8ch'io mi consumo per soverchio male. -
72.1Questo ripete spesso con sospiri,
72.2chiamando Emilia, e nel dir si contenta
72.3e quasi in mezzo delli suoi martiri
72.4istanco tutto quivi s'adormenta;
72.5e mentre il ciel co' suoi etterni giri
72.6l'aere tien di vera luce spenta,
72.7si stava, e sempre si svegliava allora
72.8che da Titon partita ven l'Aurora.
73.1Allor, sentendo cantar Filomena
73.2che si fa lieta del morto Tereo,
73.3si drizza, e 'l polo con vista serena
73.4mirato un pezzo, lauda Penteo
73.5la man di Giove d'ogni grazia piena,
73.6che lavoro sì bello e grande feo;
73.7poi ad Emilia il suo pensier voltava,
73.8vedendo Citerea che si levava
74.1mostrando innanzi al sol la sua chiarezza,
74.2alla qual gli occhi d'Emilia lucenti
74.3assomigliava e la mira bellezza;
74.4e gli augelletti, del giorno contenti,
74.5davan, cantando in su' rami, dolcezza,
74.6per che a Penteo i pensier più cocenti
74.7si facevano ognora, e più a quelli
74.8dava gli orecchi, sì gli parean belli.
75.1E quando aveva gran pezza ascoltato,
75.2mirava inver lo cielo e sì dicea:
75.3— O chiaro Febo, per cui luminato
75.4è tutto il mondo, e tu piacente dea
75.5del cui valor m'ha tuo figliuol piagato
75.6vie troppo più che io non mi credea,
75.7mettete in me sì del vostro valore,
75.8che io non pera per soverchio amore.
76.1Deh, date al mio amar fine piacente,
76.2sì ch'io non moia per fedelmente amare;
76.3per giovanezza Emilia non sente
76.4che cosa sia ancora innamorare,
76.5né come piace conosce niente,
76.6se ad Amor non gliel fate mostrare;
76.7e io non l'oso più fare assentire,
76.8tanta è la mia paura del morire.
77.1E così vivo in speranza dubbiosa,
77.2e 'l mio adoperare è sanza frutto;
77.3per ch'io ti priego, o Venere amorosa,
77.4entrale in core omai, e me che tutto
77.5son sanza fallo suo, fa che pietosa
77.6senta, sì che si termini il mio lutto;
77.7e tu, Febo, la fa tanto discreta,
77.8che la mia voglia in sé ritenga cheta. -
78.1E queste e altre più parole ancora
78.2metteva in nota lo giovine amante;
78.3ma poi che e' vedeva chiara l'ora
78.4e le stelle partite tutte quante,
78.5sanza far quivi più lunga dimora,
78.6se ne veniva ad Attene festante,
78.7e alla cambra del signor n'andava
78.8per lui servir, se nulla bisognava.
79.1Questa maniera teneva Penteo
79.2molto sovente, fuor d'ogni paura,
79.3e a grado servendo il gran Teseo,
79.4di suo amore ognora avea più cura;
79.5ma poco n'avanzava, e di ciò reo
79.6li parea molto, onde di sua sventura
79.7una mattina con greve parlare
79.8così si cominciò a ramarcare:
80.1— O misera Fortuna de' viventi,
80.2quanti dai moti spessi alle tue cose!
80.3Deh, come abbassi li sangui e le genti,
80.4e quando vuoli ancora graziose
80.5le vilissime fai, e non consentì
80.6di legge avere in esse mervigliose,
80.7sì come uom vede in me che son verace
80.8esemplo del girar che fai fallace.
81.1Di real sangue, lasso!, generato,
81.2venni nel mondo d'ogni pena ostello,
81.3e con gran cura in ricchezza allevato,
81.4nella città di Bacco tapinello
81.5vissi e con gioia tenni grande stato,
81.6sanza pensare al tuo operar fello;
81.7poi per l'altrui peccato, non per mio,
81.8la gioia e 'l regno e 'l sangue mio perio.
82.1E fui del campo per morto, doglioso
82.2feruto, tolto e recato a Teseo,
82.3il qual, sì come signor poderoso,
82.4come li piacque, imprigionar mi feo;
82.5quivi, per farmi peggio, l'amoroso
82.6dardo m'entrò nel cor, focoso e reo
82.7per la bellezza d'Emilia piacente,
82.8che mai di me non si curò niente.
83.1E cominciai di novo a sospirare
83.2per tal cagione, e a sostener pene;
83.3né mi pareva assai avere a fare
83.4di sostener di Teseo le catene,
83.5delle qua' Peritoo mi fé cacciare;
83.6onde convenne partirmi d'Attene,
83.7credendo aver mio affar migliorato,
83.8e di gran lunga il trovai piggiorato;
84.1ch'io mi trovai povero e pellegrino
84.2del regno mio cacciato, e per amore
84.3gir sospirando a guisa di tapino;
84.4e là dove altra volta fui signore,
84.5servo divenni per lo gran dichino
84.6della fortuna; e non potendo il core
84.7più sofferir, da Pelleo fei partita,
84.8Penteo essendo tornato d'Arcita.
85.1E sì d'Emilia strinse la bellezza,
85.2che di Teseo cacciai via la paura,
85.3e qui mi misi per la mia mattezza
85.4a ritornare con mente sicura,
85.5essendo suo nemico; alla sua altezza
85.6divenni servidor con somma cura,
85.7si ch'io Emilia vedessi sovente,
85.8colei ch'è donna mia veracemente.
86.1E essa, omè, del mio greve tormento
86.2nulla si cura né pensa este cose,
86.3sì che io servo vie peggio ch'al vento,
86.4e stonne sempre in pene dolorose;
86.5e or m'avesser sol fatto contento
86.6d'un bel guardarmi le luci amorose!
86.7Ma tu, crudel Fortuna, mi ci nuoci,
86.8ch'ognor con nuovo foco più mi coci.
87.1Di tanto sol seconda mi se' stata,
87.2che 'l nome mio hai ben tenuto cheto;
87.3e ha' mi ancor tanta grazia donata,
87.4che al servir m'hai fatto mansueto;
87.5e di Teseo la grazia m'hai prestata,
87.6di che io son vivuto molto lieto;
87.7ma tutto è nulla, s'Emilia non fai
87.8che com'io l'amo conosca oramai.
88.1Io ardo e 'ncendo per lei tutto quanto,
88.2e dì né notte non posso aver posa,
88.3ma mi consumo e in sospiri e 'n pianto;
88.4né mi pò confortare alcuna cosa,
88.5se non Emilia cui io amo tanto,
88.6mostrandomi la sua faccia amorosa,
88.7dalla qual, morto, lei mirando vita
88.8riprendo, tanta speranza m'aita. -
89.1Così di sopra da l'erbe e da' fiori
89.2Penteo la sua fortuna biasimava
89.3un bel mattin, nel venir degli albori.
89.4Allor per avventura indi passava
89.5Panfilo, ch'era l'un de' servidori
89.6di Palemone, e intento ascoltava
89.7dello scudiere il gran ramarichio
89.8di sua fortuna e ancor del disio.
90.1E fra se stesso si fu ricordato
90.2chi fosse Arcita, e udì che Penteo
90.3nel suo ramaricar s'era chiamato,
90.4per che tantosto lo riconosceo,
90.5e molto seco s'è maravigliato
90.6com'elli avea la grazia di Teseo:
90.7non disse nulla, ma ver la prigione
90.8se ne tornò per dirlo a Palemone.
91.1Ma il giovine Penteo, di ciò ignorante,
91.2come ora fu in Attene sen venne,
91.3e con allegro viso e con festante
91.4al loco ove era il suo signor pervenne;
91.5col qual di molte cose ragionante,
91.6sì com'elli era usato, si ritenne;
91.7poi, partito da lui, gì a sapere
91.8s'un poco Emilia potesse vedere.
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