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LIBRO TERZO

Teseida

PoeTree.it

1.1Poi che alquanto il furor di Iunone
1.2fu per Tebe distrutta temperato,
1.3Marte nella sua fredda regione
1.4con le sue Furie insieme s'è tornato;
1.5per che omai con più pio sermone
1.6sarà da me di Cupido cantato
1.7e delle sue battaglie, il quale io priego
1.8che sia presente a ciò che di lui spiego.
2.1Ponga ne' versi miei la sua potenza
2.2quale e' la pose ne' cuor de' Tebani
2.3imprigionati, sì che differenza
2.4non sia da essi alli loro atti insani;
2.5li qua', lontani a degna sofferenza,
2.6venir li fero a l'ultimo a le mani,
2.7in guisa che a ciascun fu discaro,
2.8e a l'un fu di morte caso amaro.
3.1In cotal guisa adunque imprigionati
3.2i due Tebani, in supprema tristizia
3.3e quasi più che ad altro al pianger dati,
3.4del tutto d'ogni futura letizia
3.5dovere aver giammai più disperati,
3.6maladicean sovente la malizia
3.7dello 'nfortunio loro, e 'l tempo e l'ora
3.8ch'al mondo venner bestemmiando ancora,
4.1morte chiamando seco spessamente
4.2che gli uccidesse, se fosse valuto.
4.3E in istato cotanto dolente
4.4presso che l'anno avevan già compiuto,
4.5quando per Vener, nel suo ciel lucente,
4.6d'altri sospir dar lor fu proveduto;
4.7né prima fu cotal pensiero eletto,
4.8che al proposto seguitò l'effetto.
5.1Febo, salendo con li suoi cavalli,
5.2del ciel teneva l'umile animale,
5.3ch'Europa portò sanza intervalli
5.4là dove il nome suo dimora aguale;
5.5e con lui insieme graziosi stalli
5.6Venus facea de' passi con che sale,
5.7per che il cielo rideva tutto quanto
5.8d'Amon, che 'n Pisce dimorava intanto.
6.1Da questa lieta vista delle stelle
6.2prendea la terra graziosi effetti,
6.3e rivestiva le sue parti belle
6.4di nuove erbette e di vaghi fioretti;
6.5e le sue braccia le piante novelle
6.6avean di fronde rivestite, e stretti
6.7eran dal tempo gli alberi a fiorire
6.8e a far frutta e 'l mondo ribellire.
7.1E gli uccelletti ancora i loro amori
7.2tututti avean cominciato a cantare,
7.3giulivi e gai, nelle frondi e ne' fiori;
7.4e gli anima' nol potevan celare,
7.5anzi 'l mostravan con sembianti fori;
7.6e' giovinetti lieti, che ad amare
7.7eran disposti, sentivan nel core
7.8fervente più che mai crescere amore;
8.1quando la bella Emilia giovinetta,
8.2a ciò tirata da propria natura
8.3non che d'amore alcun fosse constretta,
8.4ogni mattina, venuta l'aurora,
8.5in un giardin se n'entrava soletta
8.6ch'allato alla sua camera dimora
8.7faceva, e 'n giubba e scalza gia cantando
8.8amorose canzon, sé diportando.
9.1E questa vita più giorni tenendo
9.2la giovinetta semplicetta e bella,
9.3con la candida man talor cogliendo
9.4d'in su la spina la rosa novella,
9.5e poi con quella più fior congiugnendo
9.6al biondo capo fando ghirlandella,
9.7avvenne nova casa una mattina
9.8per la bellezza di questa fantina.
10.1Un bel mattin ch'ella si fu levata
10.2e biondi crin ravolti alla sua testa,
10.3discese nel giardin, com'era usata:
10.4quivi cantando e faccendosi festa,
10.5con molti for, su l'erbetta assettata,
10.6faceva sua ghirlanda lieta e presta,
10.7sempre cantando be' versi d'amore
10.8con angelica voce e lieto core.
11.1Al suon di quella voce grazioso
11.2Arcita si levò, ch'era in prigione
11.3allato allato al giardino amoroso,
11.4sanza niente dire a Palemone,
11.5e una finestretta disioso
11.6aprì per meglio udir quella canzone;
11.7e per vedere ancor chi la cantasse,
11.8tra' ferri il capo fuori alquanto trasse.
12.1Egli era ancora alquanto il dì scuretto,
12.2ché l'orizonte in parte il sol teneva,
12.3ma non sì ch'elli con l'occhio ristretto
12.4non iscorgesse ciò che lì faceva
12.5la giovinetta con sommo diletto,
12.6la quale ancora esso non conosceva;
12.7e rimirando lei fisa nel viso,
12.8disse fra sé: «Quest'è di paradiso!».
13.1E ritornato dentro pianamente
13.2disse: — O Palemon, vieni a vedere:
13.3Vener è qui discesa veramente!
13.4Non l'odi tu cantar? Deh, se 'n calere
13.5punto ti son, deh, vien qua prestamente!
13.6Io credo certo che ti fia in piacere
13.7qua giù veder l'angelica bellezza,
13.8a noi discesa della somma altezza. -
14.1Levossi Palemon, che già l'udiva
14.2con più dolcezza che que' non credea,
14.3e con lui insieme alla finestra giva,
14.4cheti amenduni, per veder la dea;
14.5la qual come la vide, in voce viva
14.6disse: — Per certo questa è Citerea;
14.7io non vidi giammai sì bella cosa
14.8tanto piacente né sì graziosa. -
15.1Mentre costoro, sospesi e attenti,
15.2gli occhi e gli orecchi pur verso colei
15.3tenendo fissi facevan contenti,
15.4forte maravigliandosi di lei,
15.5e del perduto tempo in lor dolenti
15.6passato pria sanza veder costei,
15.7Arcita disse: — O Palemon, discerni
15.8tu ciò ch'io veggo ne' belli occhi etterni? -
16.1— Che? — li rispose allora Palemone.
16.2Arcita disse: — Io veggo in lor colui
16.3che già per Danne il padre di Fetone
16.4ferì, se io non erro, e in man dui
16.5istral dorati tene, e già l'un pone
16.6sovra la corda, e non rimira altrui
16.7che me; non so se forse li dispiace
16.8ch'io miri questa che tanto mi piace. -
17.1— Certo — rispose Palemone allora
17.2— il veggo, ma non so s'ha saettato
17.3l'un, ché non ha più che uno in mano ora. -
17.4Arcita disse: — Sì, e' m'ha piagato
17.5in guisa tal che di dolor m'acora,
17.6se io non son da quella dea atato. -
17.7Allora Palemon tutto stordito
17.8gridò: — Omè, che l'altro m'ha ferito! -
18.1A quello omè la giovinetta bella
18.2si volse destra in su la poppa manca;
18.3né prima altrove ch'alla finestrella
18.4le corser gli occhi, onde la faccia bianca
18.5per vergogna arrossò, non sappiendo ella
18.6chi si fosser color; poi, fatta franca,
18.7co' colti fiori in piè si fu levata,
18.8e per andarsen si fu inviata.
19.1Né fu nel girsen via sanza pensiero
19.2di quello omè, e ben che giovinetta
19.3fosse, più che non chiede amore intero,
19.4pur seco intese ciò che quello affetta;
19.5e parendole ciò saper per vero
19.6d'esser piaciuta, seco si diletta,
19.7e più se ne tien bella, e più s'adorna
19.8qualora poi a quel giardin ritorna.
20.1Dentro tornaron li due scudieri,
20.2poscia che videro Emilia partita;
20.3e, stati alquanto con nuovi pensieri,
20.4pria cominciò così a dire Arcita:
20.5— Io non so che nel cor quel fiero arcieri
20.6m'ha saettato, che mi to' la vita,
20.7e sentomi fallire a poco a poco,
20.8acceso, lasso! non so in che foco.
21.1E non mi si diparte della mente
21.2l'imagine di quella creatura
21.3né pensiero ho d'altra cosa niente;
21.4sì m'è fissa nel cor la sua figura,
21.5e sì mi sta nell'animo piacente,
21.6ch'io mi riputerei somma ventura
21.7s'io le piacessi com'ella mi piace;
21.8e sanza ciò mai non credo aver pace. -
22.1Palemon disse: — Il simile m'avene
22.2che tu racconti, e mai più nol provai;
22.3per che io sento al cor novelle pene,
22.4tal ch'io non credo si sentisser mai;
22.5e veramente io credo che ci tene
22.6quel signore in balia, che già assai
22.7volte udi' ricordar, cioè Amore,
22.8ladro sottil di ciascun gentil core.
23.1E dicoti che già sua prigionia
23.2m'è grave più che quella di Teseo;
23.3già più d'affanno nella mente mia
23.4sento, ch'io non credea che questo iddeo
23.5donar potesse; e gran nostra follia
23.6a quella finestretta far ci feo,
23.7quando colei cantava tanto vaga,
23.8che già per lei di morte il cor si smaga.
24.1Io mi sento di lei preso e legato,
24.2né per me trovo nessuna speranza;
24.3anzi mi veggo qui imprigionato
24.4e ispogliato d'ogni mia possanza;
24.5dunque che posso far che le sia in grato?
24.6Nulla; ma ne morrò sanza fallanza;
24.7e or volesse Iddio ch'io fossi morto!
24.8Questa mi fora sommo e gran conforto.
25.1Oh, quanto ne sarieno a tal fedita
25.2gli argomenti esculapii buoni e sani!
25.3il qual dice om che tornerebbe in vita
25.4con erbe i lacerati corpi umani.
25.5Ma che dich'io, poi ch'Apollo, sentita
25.6cotal saetta, che' sughi mondani
25.7tutti conobbe, non seppe vedere
25.8medela a sé che potesse valere? -
26.1Così ragionan li due nuovi amanti,
26.2e l'un l'altro conforta nel parlare;
26.3né san se questa è dea ne' regni santi
26.4che sia qua giù venuta ad abitare,
26.5o se donna mondana; e li suoi canti
26.6e le bellezze li fan dubitare;
26.7per che, ignoranti di chi sì gli ha presi,
26.8molto si dolgon, da dolore offesi.
27.1Né escon delle sicule caverne,
27.2allora ch'Eol l'apre, sì furenti,
27.3ora le basse e ora le superne
27.4parti cercando, li rabbiosi venti,
27.5come costor delle parti più interne
27.6producean fuor sospiri assai cocenti,
27.7ma con picciole voci, perché ancora
27.8era la piaga fresca che gli accora.
28.1Continuando adunque il gir costei,
28.2sola tal volta e tal con compagnia,
28.3nel bel giardino a diporto di lei,
28.4nascosamente gli occhi tuttavia
28.5drizzava alla finestra, ove l'omei
28.6prima di Palemone udito avia:
28.7non che a ciò amor la costrignesse,
28.8ma per veder se altri la vedesse.
29.1E se ella vedeva riguardarsi,
29.2quasi di ciò non si fosse avveduta,
29.3cantando cominciava a dilettarsi
29.4in voce dilettevole e arguta;
29.5e su per l'erbe con li passi scarsi
29.6fra gli albuscelli, d'umiltà vestuta,
29.7donnescamente giva e s'ingegnava
29.8di più piacere a chi la riguardava.
30.1Né la recava a ciò pensier d'amore
30.2che ella avesse, ma la vanitate,
30.3che innata han le femine nel core,
30.4di fare altrui veder la lor biltate;
30.5e quasi nude d'ogni altro valore,
30.6contente son di quella esser lodate,
30.7e per quel di piacer sé ingegnando,
30.8pigliano altrui, sé libere servando.
31.1Li due novelli amanti ogni mattino,
31.2nello apparir primier dell'aurora
31.3levati, rimiravan nel giardino
31.4per veder se in quel venuta ancora
31.5fosse colei il cui viso divino
31.6oltre ad ogni misura gl'innamora;
31.7né di quel loco si potean levare
31.8mentre lei nel giardin vedeano stare.
32.1E' si credevan, mirandola bene,
32.2saziar l'ardente sete del disio
32.3e minor far le lor gravose pene:
32.4e essi più dal valoroso iddio
32.5Cupido si stringean nelle catene;
32.6e or con lieto aspetto e or con pio
32.7si dimostravan rimirando quella,
32.8sol per piacere a lei quanto a loro ella.
33.1E come avven che 'l dente del serpente
33.2pria lede altrui con picciola morsura,
33.3sé dilatando poi subitamente
33.4offusca il membro della sua mistura,
33.5poi l'uno a l'altro successivamente,
33.6infin che 'l corpo tutto quanto oscura;
33.7così costor di dì in dì, mirando,
33.8d'amore il fuoco gieno aumentando.
34.1E sì per tutto l'avevan raccolto,
34.2che ogni altro pensier dato avea loco
34.3e a ciascun già si parea nel volto
34.4per le vigilie lunghe e per lo poco
34.5cibo che e' prendean; ma di ciò molto
34.6davan la colpa a l'allegrezza e 'l gioco
34.7ch'aver soleano, e ora eran prigioni;
34.8così coprendo le vere cagioni.
35.1E da' sospiri già a lagrimare
35.2eran venuti, e se non fosse stato
35.3che 'l loro amor non volean palesare,
35.4sovente avrian per angoscia gridato.
35.5E così sa Amore adoperare
35.6a cui più per servigio è obligato:
35.7colui il sa che tal volta fu preso
35.8da lui e da cota' dolori offeso.
36.1Era a costor della memoria uscita
36.2l'antica Tebe e 'l loro alto legnaggio,
36.3e similmente se n'era partita
36.4la 'nfelicità loro, e il dammaggio
36.5ch'avevan ricevuto, e la lor vita
36.6ch'era cattiva, e 'l lor grande eretaggio;
36.7e dove queste cose esser soleano
36.8Emilia solamente vi teneano.
37.1Né era lor troppo sommo disire
37.2che Teseo gli traesse di prigione,
37.3pensandosi ch'a lor converria gire
37.4in esilio in qualch'altra regione,
37.5né più potrebber veder né udire
37.6il fior di tutte le donne amazone;
37.7ver è ch'uscir di lì per sommo bene
37.8disideravano, e starsi in Attene.
38.1Così costor da amor faticati,
38.2vedendo questa donna, il loro ardore
38.3più leve sostenean; poi ritornati,
38.4partita lei, nel lor primo furore,
38.5in lor conforto versi misurati
38.6sovente componean, l'alto valore
38.7di lei cantando; e in cotale effetto
38.8nelli lor mal sentieno alcun diletto.
39.1E non sappiendo ben chi ella fosse
39.2ancora, un dì un lor fante chiamaro,
39.3al quale Arcita ta' parole mosse:
39.4— Deh, dinne per amore, amico caro,
39.5sai tu chi sia colei che dimostrosse
39.6l'altrieri a noi, cantando tanto chiaro,
39.7in quel giardino? Haila tu mai veduta
39.8in altra parte, o è dal ciel venuta?
40.1Il valletto rispose prestamente:
40.2— Questa è Emilia, suora alla reina,
40.3più ch'altra che nel mondo sia piacente;
40.4la qual, perché ancor molto fantina,
40.5al giardin se ne vien sicuramente,
40.6sanza fallir giammai, ogni mattina;
40.7e canta me' che mai cantasse Appollo,
40.8e io l'ho già udita, e così sollo. -
41.1Disser fra lor costoro: — E' dice il vero;
41.2ell'è bene essa che n'ha tolto il core
41.3e a lei volto ogni nostro pensiero;
41.4e ciaschedun di noi albergatore
41.5di pianti e di sospiri e di severo
41.6tormento ha fatti e d'ogni altro dolore:
41.7con tanta forza sé fa disiare
41.8con la bellezza che in lei appare! -
42.1Così li due amanti con sospiri
42.2vivevan tutto il giorno discontenti,
42.3e vegnente 'l mattino i lor martiri
42.4avevan sosta, infin gli occhi lucenti
42.5vedean d'Emilia, che li lor disiri
42.6ciaschedun'ora facean più ferventi;
42.7e così visser mentre fu la state,
42.8con doglia insieme e con soavitate.
43.1Ma poi ch'al mondo tolse la bellezza
43.2Libra ch'aveva donata Ariete,
43.3li due amanti perder la dolcezza
43.4che quietava lor focosa sete,
43.5ciò è vedere la somma chiarezza
43.6che gli teneva d'amor nella rete;
43.7donde rimaser dolorosi forte,
43.8chiamando giorno e notte sempre morte.
44.1Il tempo aveva cambiato sembiante
44.2e l'aere piangea tutto guazzoso;
44.3secche eran l'erbe e spogliate le piante,
44.4e 'l popol d'Eol correa tempestoso
44.5or qua or là nel tristo mondo errante;
44.6per che Emilia col viso amoroso,
44.7lasciati li giardin, sempre si stava
44.8in camera e del tempo non curava.
45.1Allor tornarono i martiri e' pianti,
45.2gli aspri tormenti e le noie angosciose
45.3in doppio a ciaschedun de' due amanti,
45.4e non vedevan né udivan cose
45.5che lor piacesse; e così tutti quanti
45.6si consumavano in pene dogliose;
45.7e ciaschedun disperar si volea,
45.8ma pure in fine se ne ritenea.
46.1Grandi erano i sospiri e il tormento
46.2di ciascheduno, e l'esser prigionati
46.3vie più che mai faceva discontento
46.4ciascun di loro, a tal punto recati;
46.5e ogni giorno lor pareva cento
46.6che fosser morti o quindi liberati;
46.7e per lor solo e unico conforto
46.8Emilia chiamavan, lor diporto.
47.1In questo tempo un nobil giovinetto,
47.2chiamato Peritoo, venne a vedere
47.3Teseo, suo caro amico; e con diletto
47.4un dì si poser parlando a sedere;
47.5e ragionando, a Teseo venne detto
47.6de' due Teban li qua' facea tenere
47.7imprigionati, Arcita e Palemone,
47.8ciaschedun grande e nobile barone.
48.1Allora Peritoo il prese a pregare
48.2che li dovesse far veder costoro;
48.3per che Teseo per lor fece mandare
48.4e li si fé venir sanza dimoro.
48.5Essi eran belli e di nobile affare,
48.6e ben parea la gentilezza loro
48.7nella forma e nell'abito ch'aveano,
48.8posto ch'alquanto scolorati seano.
49.1Era Palemon grande e ben membruto,
49.2brunetto alquanto e nello aspetto lieto,
49.3con dolce sguardo e nel parlare arguto;
49.4ma ne sembianti umile e mansueto,
49.5poi che fu innamorato, divenuto;
49.6d'alto intelletto e d'operar secreto,
49.7di pel rossetto e assai grazioso,
49.8di moto grave e d'ardir copioso.
50.1Arcita era assai grande ma sottile,
50.2non di soperchio, e di sembianza lieta;
50.3bianco e vermiglio com rosa d'aprile,
50.4e' cape' biondi e crespi, e mansueta
50.5statura aveva, e abito gentile;
50.6gli occhi avea belli e guardatura queta;
50.7ma nel parlar gran coraggio mostrava,
50.8e destro e visto assai a chi 'l mirava.
51.1Conobbe Peritoo, nel lor venire,
51.2Arcita e 'ncontro li si fu levato,
51.3e abbracciollo e caminciolli a dire:
51.4— O caro amico, come se tu stato
51.5qui tanto sanza farlomi sentire,
51.6ché l'uscir di prigion t'avre' impetrato?
51.7Mal grado n'abbi tu, ché ti sta bene
51.8d'avere avute queste e maggior pene. -
52.1Poi si rivolse a Teseo, suo amico,
52.2dicendo: — Se giammai per mio amore
52.3nulla facesti, quel ch'ora ti dico
52.4ti priego facci, dolce mio signore,
52.5che questo Arcita, mio compagno antico,
52.6facci che di prigione egli esca fore;
52.7io ten sarò tutto tempo tenuto,
52.8e elli, in ciò che per te fia voluto. -
53.1Teseo rispose: — Dolce amico caro,
53.2ciò che tu mi domandi sarà fatto,
53.3ma odi come, non ti sia discaro.
53.4I' 'l trarrò di prigion con questo patto,
53.5che nel mio regno e' non faccia riparo,
53.6né ci venga giammai per nessuno atto;
53.7ch'io l'ho disfatto e tenuto in prigione,
53.8perch'a dritto di lui ho sospeccione.
54.1S'io cel prendessi, io gli farò tagliare
54.2la testa sanza fallo immantanente;
54.3però, se vuol cotal patto pigliare,
54.4vada dove li piace di presente
54.5per lo tuo amor, che lo mi fai lasciare;
54.6ché altramente mai al suo vivente
54.7uscito non saria di prigionia,
54.8ben lo ti giuro per la fede mia. -
55.1Peritoo disse: — E io vo' ch'elli il faccia
55.2e te ringrazio di cotanto dono. -
55.3E tosto i ferri da' piè li dislaccia,
55.4e libero lui lascia in abandono.
55.5Arcita s'inginocchia e sì l'abraccia,
55.6dicendo: — Peritoo, dovunque io sono,
55.7son tutto tuo, e ciò ch'io possa fare,
55.8sol che ti piaccia a me tuo comandare. -
56.1Poi se n'andò innanzi al gran Teseo,
56.2e ginocchion disse: — Nobil signore,
56.3se per me cosa incontro a te si feo
56.4giammai, perdona per lo tuo onore,
56.5ch'altro per me al ver non si poteo;
56.6il danno che m'hai fatto e 'l disinore
56.7i' 'l ti perdono, e ti ringrazio assai
56.8di questa grazia ch'agual fatta m'hai.
57.1E in che che parte io me ne debba gire,
57.2son tutto tuo, quando ti sia in piacere;
57.3non men che vita avrò caro il morire
57.4per te, pur che ci sia il tuo volere.
57.5A così grande e fervente disire
57.6mi pinge Amor, che m'ha nel suo potere,
57.7e a te e a' tuoi sì obligato,
57.8ch'io sarò sempre tuo in ogni lato. -
58.1Teseo cotal parlar non intendea
58.2donde venisse, ma semplicemente
58.3di puro cuor le parole prendea;
58.4e però fé venir subitamente
58.5nobili doni, e disse li piacea
58.6che, oltre a quel ch'è 'ntra lor convenente,
58.7e' pigliasse que' doni e glien portasse,
58.8e del patto e di que' si ricordasse.
59.1Arcita, a cui niente avea lasciato
59.2la misera fortuna, bisognoso
59.3ebbe i don di Teseo non poco a grato;
59.4e poscia, con uno atto assai pietoso,
59.5piangendo prese da Teseo commiato,
59.6e del palagio discese doglioso,
59.7pensando al suo esilio che 'l doveva
59.8privar di veder ciò che li piaceva.
60.1Ma Palemon, vedendo queste cose,
60.2quasi nel cor moriva di dolore
60.3per la fortuna sua, che più noiose
60.4cose serbava al suo misero core,
60.5e pel compagno suo, al qual gioiose
60.6credea novelle del comune amore;
60.7e quasi prese nova gelosia
60.8di ciò ch'ancor non aveva in balia.
61.1Esso fu rimenato alla prigione,
61.2e Perito se ne gì con Arcita
61.3e disse: — Caro amico e compagnone,
61.4la voglia di Teseo tu l'hai udita;
61.5ben che 'l tempo sia duro e la stagione,
61.6e' si pur vuol pensar della partita;
61.7ben me ne pesa, e sappi, s'io potessi,
61.8non vorrei mai da me ti dividessi.
62.1Io sì ti donerò arme e destrieri
62.2di gran valore, belle e ben fornite,
62.3per te e anco per li tuo' scudieri;
62.4e poi, dove vi piace, ve ne gite;
62.5tu se' di nobil sangue e buon guerrieri,
62.6nato di genti valenti e ardite,
62.7e non potrai fallire ad alto stato:
62.8dove ch'arrivi, e' ti sarà donato. -
63.1Arcita li rispose lagrimando
63.2e ringraziollo del proferto onore,
63.3e poi li disse: — Bello amico, quando
63.4la mia partita è a grado al signore,
63.5io la farò; ma sempre lamentando
63.6andrò la mia fortuna con dolore,
63.7poi c'ho perduto ciò ch'al mondo avea,
63.8e converrà che d'altrui servo stea.
64.1E certo io non conosco a cui servire
64.2con maggior fede e con minor fatica
64.3io possa ch'a Teseo, che dal morire
64.4mi tolse, presso alla mia terra antica;
64.5ma poi non vuol, convemmi intorno gire,
64.6né so che farmi e vie men ch'io mi dica.
64.7Or foss'io qui rimaso per servente
64.8di chi si fosse, e non vi dria niente!
65.1Non sai tu, Peritoo, come l'andare
65.2attorno per lo mondo pien d'affanni
65.3m'è conceduto? E' ti de' ricordare
65.4ch'ancor non son trapassati due anni,
65.5che sei gran re per lo nostro operare
65.6fur morti a Tebe, e gravissimi danni
65.7n'ebber gli Argivi e popoli altri assai,
65.8per che odiati sarén sempre mai.
66.1E oltre a ciò l'iddii ne sono avversi:
66.2come tu sai, antica nimistate
66.3serva Giunon ver noi, e diè perversi
66.4mali a color che passar questa etate;
66.5e noi ancor perseguendo ha somersi,
66.6come tu vedi, in infelicitate
66.7estrema; e Ercul né Bacco n'aiuta,
66.8per che io tengo mia vita perduta. -
67.1Queste parole facea dire Amore;
67.2ma Peritoo non le conosceva,
67.3sì come que' che non sapea l'ardore
67.4che per Emilia dentro l'accendeva;
67.5e però pur con purità di core
67.6lui confortava, e spesso li diceva:
67.7— Deh, non pensar che ti fallin l'iddii
67.8che tu non abbi ancor quel che disii.
68.1Molti altri regni ci ha dove potrai
68.2miglior fortuna attender pianamente,
68.3così com'io; e tu udito l'hai
68.4che del qui rimaner saria niente
68.5il ragionare, e a me parve assai
68.6ricever pur quand'io liberamente
68.7ti trassi di prigion; sie valoroso,
68.8ché Dio non mancò mai a virtuoso. -
69.1Poscia che Arcita, doppio ragionando
69.2con Peritoo, sentì che 'l rimanere
69.3non avea luogo, in sé stette pensando;
69.4e tornandoli a mente che vedere
69.5Emilia non potrebbe, essendo in bando,
69.6quasi vicin fu a dir di volere
69.7innanzi la prigion che tale esilio,
69.8sospignendolo amore a tal cansilio.
70.1Ma la ragion, che subita prevenne
70.2alla volontà folle di costui,
70.3con tre buoni argomenti appena il tenne,
70.4dicendo: «Se tu di' questo ad altrui,
70.5e' non fia detto: “Amore il ci ritenne”
70.6ma: “Non credendo sé valer, per lui
70.7donato s'è a questa gran viltate,
70.8prima ch'abbia voluta libertate”.
71.1E oltre a questo, se di prigion fora
71.2se', molte cose potranno avvenire
71.3che in istato ti parranno ancora;
71.4e se 'n palese non potrai venire
71.5in questa terra, come vorresti, ora,
71.6forse altro tempo ci potrai reddire;
71.7e se non in palese, almeno ascoso,
71.8tanto che veggi il bel viso amoroso.
72.1E se e' fosse tanta tua ventura
72.2che 'n altro regno ella si maritasse,
72.3non ti sarebbe soperchia sciagura
72.4se in prigione allora ti trovasse?
72.5Il che s'avien, con sollecita cura
72.6esser potrai là dovunque ella andasse;
72.7e posto che sua grazia non acquisti,
72.8pur la vedranno almen gli occhi tuoi tristi».
73.1Questi consigli distolser Arcita
73.2dal suo sconcio e reo intendimento,
73.3e confortassi l'anima invilita,
73.4in ciò sperando; e preso il guarnimento
73.5da Perito proferto fé partita,
73.6sé offerendo al suo comandamento,
73.7dove che fosse, e sé raccomandando,
73.8co' suoi scudier se ne gì sospirando.
74.1Da Peritoo partito, se ne gio
74.2dov'era Palemone imprigionato,
74.3e sì li disse: — Caro amico mio,
74.4da te convien che io prenda commiato
74.5e ch'io mi parta, contro al mio disio,
74.6sì come fuor bandito e iscacciato;
74.7né ci oserò, credo, tornar giammai,
74.8ond'io morrò in dolorosi guai.
75.1Io me ne vo, o caro compagnone,
75.2con redine a fortuna abandonate,
75.3e vorria inanzi certo esta prigione,
75.4che isbandito usar mia libertate;
75.5almen vedrei alla nuova stagione
75.6colei che ha 'l mio core in potestate,
75.7ché mai, partito, vederla non spero,
75.8ond'io morrò di doglia, questo è 'l vero.
76.1Io lascio l'alma qui innamorata
76.2e fuor di me vagabundo piangendo
76.3men vo, né so là dove l'adirata
76.4fortuna mi porrà così languendo;
76.5per ch'io ti priego, s'alcuna fiata
76.6vedi colei per cu' i' ardo e incendo,
76.7che tu le raccomandi pianamente
76.8que' che morendo va per lei dolente. -
77.1Mentre 'n tal guisa favellava Arcita,
77.2Palemon sempre lagrimava forte,
77.3dicendo: — Lassa, trista la mia vita!
77.4Perché non mi confonde tosto morte,
77.5acciò che prima della tua partita
77.6fosse finita la mia trista sorte?
77.7Ché sanza te in doglioso tormento
77.8rimango, lasso! tristo e iscontento.
78.1Ma tu, se savio se' sì come suoli,
78.2dei di fortuna assai bene sperare
78.3e alquanto mancar delli tuoi duoli,
78.4pensando ch'assai puoi adoperare,
78.5libero come se' di quel che vuoli,
78.6là dove a me conviene ozioso stare:
78.7tu vederai andando molte cose
78.8ch'alleggeranno tue pene amorose.
79.1Ma io, che sol rimango, a poco a poco
79.2verrò mancando come cera ardente;
79.3e ben che tal fiata mi dea gioco
79.4il riguardare il bel viso piacente,
79.5tutto mi fia uno accender più foco,
79.6come a me più non dimorrà presente;
79.7ond'io non so omai quel ch'io mi faccia,
79.8e par che 'l cuore in corpo mi si sfaccia. -
80.1Così piangean con amari sospiri
80.2li due compagni forte innamorati,
80.3e parean divenuti due disiri
80.4di pianger forte, sì eran bagnati;
80.5per che, tra lor crescendo i lor martiri,
80.6da' lor valletti furon rilevati
80.7e della lor follia forte ripresi
80.8del mostrarsi d'amor cotanto accesi.
81.1Allora i due compagni si levaro
81.2per le parole de' loro scudieri,
81.3e amenduni stretti s'abracciaro
81.4di buono amor e di cuor volontieri;
81.5e poco appresso in bocca si basciaro,
81.6e più che prima nel lagrimar fieri,
81.7con rotta voce si dissero addio.
81.8E così quindi Arcita si partio.
82.1Nulla restava a far più ad Arcita
82.2se non di girsen via, e già montato
82.3era a caval per far sua dipartita,
82.4fra sé dicendo: «O lasso sconsolato!
82.5Sol tanto fosse a Dio cara mia vita
82.6ch'io solo un poco il viso dilicato
82.7d'Emilia vedessi anzi 'l partire,
82.8poi men dolente me ne potrei gire».
83.1Passò i cieli allor quella preghiera,
83.2e seguì tosto d'Arcita l'affetto,
83.3ché quel giglio novel di primavera
83.4sovr'un balcone appoggiata col petto
83.5si venne a star, con una cameriera,
83.6mirando il grazioso giovinetto
83.7che in esilio dolente n'andava,
83.8e compassione alquanto gli portava.
84.1Ma esso dopo il priego alzò il viso,
84.2incerto del futuro, e vide allora
84.3l'angelico piacer di paradiso;
84.4per ch'el disse con seco: «Omai se fora
84.5di qui mi to' fortuna, e' m'è avviso
84.6non poter male avere». E quindi ancora
84.7la riguardò, dicendo: «Anima mia,
84.8piangendo sanza te me ne vo via».
85.1E così detto, per fornir la 'mposta
85.2fattoli da Teseo, a cavalcare
85.3incominciò; ma dolente si scosta
85.4dal suo disio, il qual quanto mirare
85.5poté il mirò, pigliando talor sosta,
85.6vista faccenda di sé racconciare;
85.7ma non avendo più luogo lo stallo,
85.8uscì piangendo d'Attene a cavallo.
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