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1.1Chi disse esser felice chi non nasce
1.2o, se pur viene ad habitar la terra,
1.3rende il spirito al ciel mentre che è in fasce,
2.1fu de un iudicio saldo e che non erra:
2.2ché chi apre gli occhi ben, vedrà che 'l frale
2.3viver nostro non è se no una guerra.
3.1Quale è de l'huom più misero animale?
3.2Sùbito che è dal materno alvo tolto
3.3piange, che è augurio de perpetuo male;
4.1nudo esce fuor e nei legami avolto
4.2vien, che mostra che sinché in vita stia
4.3deve in miseria e in lacci esser sepolto.
5.1Sciai tu chi questa vita ama e desia?
5.2Chi al sonno, a Baccho e al crapular se dona,
5.3né d'altro pensa e l'honor spreza e oblia.
6.1Ma 'l saggio volentier quella abandona,
6.2perché fra quante dar Fortuna suole
6.3felicità non vede integra e buona:
7.1uno ha richeza, ma non pò aver prole
7.2e, se l'ha pur, l'ha sì col vitio insieme
7.3che cum il cielo ognhor se lagna e duole;
8.1in roba e in figli un prospera, ma geme
8.2per esser de vil stirpe; uno è de sangue
8.3gentil, ma povertà l'afflige e preme;
9.1uno ha questi tre doni, ma un fier angue
9.2gli è al cor, la moglie infame; e se l'ha honesta,
9.3infermo ciascun giorno in lecto langue.
10.1Sempre una parte c'è che ne molesta,
10.2e il male e il ben costei cum tal misura
10.3ne dà, che pari la bilanza resta;
11.1la vita in ogni guisa è amara e dura:
11.2se depresso sta l'huom, forza è se roda,
11.3se posto è in alto, ha de cader paura.
12.1E per sfogar il cor voglio che se oda
12.2il stato mio, e per far altri acorto,
12.3cussì traronne refrigerio e loda:
13.1ché senza tregua, senza alcun conforto,
13.2provati ho sì diversi e gravi affanni
13.3che esser dovrei già fa gran tempo morto.
14.1Io era ne gli immaturi e teneri anni
14.2quando in ciel tolto a vita più süave
14.3mio padre fu: qui comincior mei danni,
15.1ché mal de un regno la difficil nave
15.2sta in man de un giovenetto e, se ad altrui
15.3la dà, se expone ad un periglio grave,
16.1perché, come se vede ognhor tra nui,
16.2ben spesse fiate a chi è il temon comesso
16.3fa sua la barca e nel mar getta lui.
17.1Essendo anchor garzon, me tolsi apresso
17.2un che era de anni e de experienza pieno,
17.3un che da l'avo mio fu in alto messo;
18.1nutrimmi l'angue venenoso in seno,
18.2ché de agne non fe' mai lupo tal sempio
18.3qual lui del popul mio come ebbe il freno;
19.1né solo i citadin, ma ciascun tempio
19.2spogliò, né satio anchor, tòrme l'antico
19.3sceptro e la vita volse il crudo et empio;
20.1né un sol dei servi mei mi fe' nemico,
20.2ma molti, e fui qual pesce al cibo preso:
20.3tal premio ha chi a vestir tole un mendico!
21.1Gettato che ebbi a terra questo peso,
21.2posto me fu su gli humeri un tal carco,
21.3che m'ha ogni membro conquassato e offeso:
22.1stato da indi in qua son segno a un arco,
22.2tirato da un sì saldo e forte braccio,
22.3che me trova se mari e monti varco;
23.1equale a questo non ha il mondo impaccio,
23.2ché quella che dai bruti ne divide
23.3perdiàn sùbito intrando in questo laccio.
24.1Extinta la ragion, forza è ne guide
24.2l'error, che sempre tende al precipitio,
24.3che altro non serba in sé che pianti e stride;
25.1questo ne fa parer leve il servitio,
25.2grave la libertà, che tanto se ama
25.3– Utica il scia, sepulchro al gran patritio –;
26.1questo far non ne lassa alcuna trama
26.2che non sia bassa e vil, questo ne face
26.3instabil più che non è al vento rama:
27.1hora a l'amante vita, hor morte piace,
27.2hora avampa, hor agiaccia, hor teme, hor spera,
27.3e mille volte il dì fa guerra e pace.
28.1Io, che in quella età molle e inexperto era,
28.2ricevei de madonna al cor l'imago,
28.3ché facile è improntar tenera cera;
29.1sempre doppo de suspirar fui vago,
29.2e de gli occhi me son tante aque corse
29.3che dentro, come fuori, ha Mantoa un lago.
30.1E per più pena, quando il cor mi morse
30.2Amor, lassar la patria mi convenne
30.3per un tumulto che in Italia sorse:
31.1Carlo, qual fulgor, giù de l'Alpe venne
31.2e cum victoria insin là dove Sylla
31.3latra ne andò, che mai non se ritenne;
32.1scacciò Alphonso de seggio e, poi che ancilla
32.2facta s'ebbe Parthenope, tornava
32.3superbo de la sua sorte tranquilla;
33.1quando, desta dal sonno, Ausonia ignava
33.2se gli fe' incontra, che altrimente in tutto
33.3il gran nome latin spento restava.
34.1Sendo io al stipendio del Leon condutto,
34.2ve andai: pensa cum qual ira e travaglia,
34.3ch'io fui qual pianta svèlta in su il far frutto!
35.1O quante fiate se bagnò la maglia
35.2del pianto mio, che altri il stimò sudore,
35.3inscio de la mia intrinsica battaglia!
36.1E benché lodar sé sia dishonore,
36.2pur dirol cum perdon, ché merito io
36.3de Camillo e de Cesare più honore:
37.1de altro fastidio fu il combatter mio,
37.2ché loro ebber la pugna sol cum Galli
37.3et io cum Galli e cum Amor, che è dio;
38.1era divisa a dui diversi balli
38.2la mente mia, e son degno de scusa
38.3s'io avesse nel pugnar commessi falli.
39.1Ahi lasso, quante volte, essendo chiusa
39.2la tenda e cum la guardia armata intorno,
39.3come in salute de chi regge se usa,
40.1mi venne ad assalir da mezo giorno
40.2questo ardito fanciullo insino al lecto,
40.3lassandome cum gran ferite e scorno!
41.1Et altro c'è perché debbia esser detto
41.2de quei dui gran roman' più forte e invitto,
41.3senza l'età minor ch'io non gli metto:
42.1a lor fu obediente in quel conflitto
42.2il campo tutto et io, al menar de mani,
42.3da l'exercito mio fui derelitto.
43.1Io disegnai, ma i mei disegni vani
43.2restoro al colorir, e dire io posso
43.3ch'io vinsi cum ducento mantüani;
44.1pensa da che cordoglio io fui percosso
44.2quando vidi quei fidi citadini
44.3quasi tutti giacer su il terren rosso!
45.1Seco ebbe quella laurea molti spini,
45.2ma dui fra gli altri de sì mala sorte,
45.3che sempre arò il cor tristo e gli occhi chini:
46.1l'uno fu il patruo mio prudente e forte,
46.2l'altro il mio Iano, oimè, ch'io me alevai:
46.3o come tosto me 'l rapisti, Morte!
47.1A questo i mei secreti apalesai,
47.2né credo più che di dolor se mora,
47.3poi che morendo lui vivo restai;
48.1morto costui, non vissi lieto una hora
48.2né vivrò, s'io vivesse ben l'etade
48.3di quel che sorger fa presto l'aurora.
49.1Pianto che ebbi, trar fuor feci le spade
49.2perseguendo il nemico: tanto vinto
49.3m'avea del popul mio la gran pietade!
50.1Né posai mai, finché non l'ebbi spinto
50.2oltra i monti; e se gli era chiuso il passo
50.3da chi potea, di qua restava extinto.
51.1Le gran fatiche e le vigilie lasso
51.2che in le reliquie galliche soffersi,
51.3che Ferrante teneano afflicto e lasso.
52.1Avea quel re molti bei lochi persi,
52.2né de tenire il resto era securo
52.3pei populi che a Francia eran conversi;
53.1io de le gente mie gli feci un muro,
53.2che fu terra sì fina e sì ben cotta,
53.3che a l'hoste parve più che un scoglio duro:
54.1tal che se mise disperato in rotta
54.2e obsesso al fin, lassando il rico acquisto,
54.3a pacti venne, senza expectar botta.
55.1Lì il mio sincero cor nudo fu visto:
55.2ché, per volere amare Italia troppo,
55.3spinsi il cognato a fin misero e tristo.
56.1Apena vinto avea, che ecco uno intoppo
56.2crudel: ché, visto ch'io avea il gran Ferrante
56.3legato a me de indissolubil groppo,
57.1e che col tempo mie fatiche tante
57.2poteva ristorar, Morte mi tolse,
57.3che sempre ha l'occhio a le più nobil' piante.
58.1Non huomo fu, ma sasso, a chi non dolse
58.2de quel re l'immaturo e acerbo occaso,
58.3che ebbe ingegno e corpo apto a ciò che volse;
59.1accolte le virtù tutte in un vaso
59.2mai più non furo, e al suo partire il mondo,
59.3ch'aver no 'l meritò, ceco è rimaso.
60.1Cerchi pur cum l'ingegno suo profondo
60.2Natura produr spirti excelsi e magni,
60.3che Ferrante a nesun serà secondo!
61.1Perso un tanto signore e i mei compagni
61.2più cari, me inviai al natio loco,
61.3e il danno assai magior fu che i guadagni;
62.1e nel ritorno mio Morte non poco
62.2me spaventò, ma poi ritrasse il piede
62.3per aver del mio mal più longo gioco.
63.1E quando aver credea qualche mercede
63.2del sudor mio, da chi dovea farlo
63.3tolta fu per suspecta la mia fede;
64.1dissero ch'io avea pratiche cum Carlo:
64.2sciocca fiction! Chi me vetava in Hasti,
64.3in Puglia e a Parma, s'io voleva aitarlo?
65.1O Invidia crudel che il mondo guasti,
65.2che tanta rissa mai sparger non pòi
65.3che a la tua sete arabiata basti!
66.1Le corte il scian; né sol regni tra noi,
66.2ma in la religion, né loco veggio
66.3ove non abian forza i denti toi;
67.1già fusti in ciel quando il sublime seggio
67.2occupar volse chi hora ha i regni stygi:
67.3al seme human che potea acader peggio?
68.1Nacque la guerra sua de quei letigi;
68.2non te poteva il ciel meglio punire,
68.3ché, se altrui noci, anche te stessa affligi.
69.1E quel che più me infiamma è che ebbe ardire
69.2de Dio un servo in mio male esser busardo,
69.3che quando io errasse me dovria coprire.
70.1Quanto son varii più che lynce e pardo
70.2che paion santi! Ove è il fulmine, Giove?
70.3Che expecti contra uno orno esser gagliardo?
71.1Né picol sdegno al cor me excita e move
71.2che de la fede mia prendesse dubio
71.3chi n'avea viste sì efficaze prove!
72.1Non ebbi mai più de una tela al subio,
72.2né poi che del Leon fu facta moglie
72.3cercò la fidel Mantoa altro conubio.
73.1Ma che dir più? Gran fe' tal fructo coglie!
73.2Raro i nemici de la patria extinse
73.3che non avesse al fin per mercè doglie:
74.1al gran Iulio, che 'l Gallo ribel vinse,
74.2fu il trïumpho interditto et in exiglio
74.3Tullio e Camil l'ingrata Roma spinse.
75.1Et io premio non men degno ne piglio:
75.2persi ho i mei citadin', gli amici e quello
75.3che me fe' parer dolce ogni periglio,
76.1dico l'honor; ma saldo al dur martello
76.2starà lo or mio, sì come sempre è stato,
76.3e posto in foco ognhor verrà più bello;
77.1netto son dentro, se son fuor macchiato,
77.2ché ben esser pò tinto un marmo bianco,
77.3ma non del suo colore esser mutato.
78.1Ecco la spada ch'io ho portata al fianco,
78.2Marte, ecco l'elmo e il scudo: io te li rendo,
78.3vestine uno altro, ch'io son satio e stanco.
79.1Valete, trombe, col suon vostro horrendo!
79.2Cussì potess'io uscir fuor de la danza
79.3d'amor, che fa che a precio vil mi vendo!
80.1Io vorei pur, lassando la speranza
80.2vana e tante catene e tanti homei,
80.3goder quel breve tempo che me avanza;
81.1ma il cor, i pie', l'orecchie e gli occhi mei
81.2son sì a pensar de la mia donna assueti,
81.3a seguitar, a odir, a mirar lei,
82.1che s'io dico talhor: “Vui pur correti
82.2a legarve!”, mi fanno sacramento
82.3che viver non potrian senza tal' reti;
83.1e se racoglio il freno e non l'alento,
83.2forza è che seco in gran discordia vegna:
83.3e per no aver due guerre ge 'l consento.
84.1Expectarò che 'l tempo me sovegna,
84.2il tempo che a ogni cosa suol fin porre:
84.3lui al foco pian pian torrà le legna.
85.1Potrei ben io cum un sol colpo sciorre
85.2l'alma da questa tedïosa gabia:
85.3ma non voglio ad alcuno il piacer tòrre!
86.1Vo' che sopra di me sfoghi sua rabia
86.2Fortuna, Invidia e Amor, che ognhor me impiaga,
86.3aciò che quando a dire un miser se abia,
87.1el se dica: “Francesco da Gonzaga”.
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