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SATIRA VII

Satire

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1.1Pistofilo, tu scrivi che, se appresso
1.2papa Clemente imbasciator del Duca
1.3per uno anno o per dui voglio esser messo,
2.1ch’io te ne avisi, acciò che tu conduca
2.2la pratica; e proporre anco non resti
2.3qualche viva cagion che me vi induca:
3.1che lungamente sia stato de questi
3.2Medici amico, e conversar con loro
3.3con gran dimestichezza mi vedesti,
4.1quando eran fuorusciti, e quando fòro
4.2rimessi in stato, e quando in su le rosse
4.3scarpe Leone ebbe la croce d’oro;
5.1che, oltre che a proposito assai fosse
5.2del Duca, estimi che tirare a mio
5.3utile e onor potrei gran pòste e grosse;
6.1che più da un fiume grande che da un rio
6.2posso sperar di prendere, s’io pesco.
6.3Or odi quanto acciò ti rispondo io.
7.1Io te rengrazio prima, che più fresco
7.2sia sempre il tuo desir in essaltarmi,
7.3e far di bue mi vogli un barbaresco;
8.1poi dico che pel fuoco e che per l’armi
8.2a servigio del Duca in Francia e in Spagna
8.3e in India, non che a Roma, puoi mandarmi:
9.1ma per dirmi ch’onor vi si guadagna
9.2e facultà, ritruova altro cimbello,
9.3se vuoi che l’augel caschi ne la ragna.
10.1Perché, quanto all’onor, n’ho tutto quello
10.2ch’io voglio: assai mi può parer ch’io veggio
10.3a più di sei levarmisi il capello,
11.1perché san che talor col Duca seggio
11.2a mensa, e ne riporto qualche grazia
11.3se per me o per li amici gli la chieggio.
12.1E se, come d’onor mi truovo sazia
12.2la mente, avessi facultà a bastanza,
12.3il mio desir si fermeria, ch’or spazia.
13.1Sol tanta ne vorrei, che viver sanza
13.2chiederne altrui mi fésse in libertade,
13.3il che ottener mai più non ho speranza,
14.1poi che tanti mie’ amici podestade
14.2hanno avuto di farlo, e pur rimaso
14.3son sempre in servitude e in povertade.
15.1Non vuo’ più che colei che fu del vaso
15.2de l’incauto Epimeteo a fuggir lenta
15.3mi tiri come un bufalo pel naso.
16.1Quella ruota dipinta mi sgomenta
16.2ch’ogni mastro di carte a un modo finge:
16.3tanta concordia non credo io che menta.
17.1Quel che le siede in cima si dipinge
17.2uno asinello: ognun lo enigma intende,
17.3senza che chiami a interpretarlo Sfinge.
18.1Vi si vede anco che ciascun che ascende
18.2comincia a inasinir le prime membre,
18.3e resta umano quel che a dietro pende.
19.1Fin che de la speranza mi rimembre,
19.2che coi fior venne e con le prime foglie,
19.3e poi fuggì senza aspettar settembre
20.1(venne il dì che la Chiesa fu per moglie
20.2data a Leone, e che alle nozze vidi
20.3a tanti amici miei rosse le spoglie;
21.1venne a calende, e fuggì inanzi agli idi),
21.2fin che me ne rimembre, esser non puote
21.3che di promessa altrui mai più mi fidi.
22.1La sciocca speme alle contrade ignote
22.2salì del ciel, quel dì che ‘l Pastor santo
22.3la man mi strinse, e mi baciò le gote;
23.1ma, fatte in pochi giorni poi di quanto
23.2potea ottener le esperienze prime,
23.3quanto andò in alto, in giù tornò altrotanto.
24.1Fu già una zucca che montò sublime
24.2in pochi giorni tanto, che coperse
24.3a un pero suo vicin l’ultime cime.
25.1Il pero una matina gli occhi aperse,
25.2ch’avea dormito un lungo sonno, e visti
25.3li nuovi frutti sul capo sederse,
26.1le disse: — Che sei tu? come salisti
26.2qua su? dove eri dianzi, quando lasso
26.3al sonno abandonai questi occhi tristi? —
27.1Ella gli disse il nome, e dove al basso
27.2fu piantata mostrolli, e che in tre mesi
27.3quivi era giunta accelerando il passo.
28.1— Et io — l’arbor soggiunse — a pena ascesi
28.2a questa altezza, poi che al caldo e al gielo
28.3con tutti i vènti trenta anni contesi.
29.1Ma tu che a un volger d’occhi arrivi in cielo,
29.2rendite certa che, non meno in fretta
29.3che sia cresciuto, mancherà il tuo stelo. —
30.1Così alla mia speranza, che a staffetta
30.2mi trasse a Roma, potea dir chi avuto
30.3pei Medici sul capo avea la cetta
31.1o ne l’essilio avea lor sovenuto,
31.2o chi a riporlo in casa o chi a crearlo
31.3leon d’umil agnel gli diede aiuto.
32.1Chi avesse avuto lo spirito di Carlo
32.2Sosena allora, avria a Lorenzo forse
32.3detto, quando sentì duca chiamarlo;
33.1et avria detto al duca di Namorse,
33.2al cardinal de’ Rossi et al Bibiena
33.3(a cui meglio era esser rimaso a Torse),
34.1e detto a Contessina e a Madalena,
34.2ala nora, alla socera, et a tutta
34.3quella famiglia d’allegrezza piena:
35.1— Questa similitudine fia indutta
35.2più propria a voi, che come vostra gioia
35.3tosto montò, tosto sarà distrutta:
36.1tutti morrete, et è fatal che muoia
36.2Leone appresso, prima che otto volte
36.3torni in quel segno il fondator di Troia. —
37.1Ma per non far, se non bisognan, molte
37.2parole, dico che fur sempre poi
37.3l’avare spemi mie tutte sepolte.
38.1Se Leon non mi diè, che alcun de’ suoi
38.2mi dia, non spero; cerca pur questo amo
38.3coprir d’altr’ésca, se pigliar me vuoi.
39.1Se pur ti par ch’io vi debbia ire, andiamo;
39.2ma non già per onor né per ricchezza:
39.3questa non spero, e quel di più non bramo.
40.1Più tosto di’ ch’io lascierò l’asprezza
40.2di questi sassi, e questa gente inculta,
40.3simile al luogo ove ella è nata e avezza;
41.1e non avrò qual da punir con multa,
41.2qual con minaccie, e da dolermi ogni ora
41.3che qui la forza alla ragione insulta.
42.1Dimmi ch’io potrò aver ozio talora
42.2di riveder le Muse, e con lor sotto
42.3le sacre frondi ir poetando ancora.
43.1Dimmi che al Bembo, al Sadoletto, al dotto
43.2Iovio, al Cavallo, al Blosio, al Molza, al Vida
43.3potrò ogni giorno, e al Tibaldeo, far motto;
44.1tòr di essi or uno e quando uno altro guida
44.2pei sette Colli, che, col libro in mano,
44.3Roma in ogni sua parte mi divida.
45.1— Qui — dica — il Circo, qui il Foro romano,
45.2qui fu Suburra, e questo è il sacro clivo;
45.3qui Vesta il tempio e qui il solea aver Iano. —
46.1Dimmi ch’avrò, di ciò ch’io leggo o scrivo,
46.2sempre consiglio, o da latin quel tòrre
46.3voglia o da tósco, o da barbato argivo.
47.1Di libri antiqui anco mi puoi proporre
47.2il numer grande, che per publico uso
47.3Sisto da tutto il mondo fe’ raccorre.
48.1Proponendo tu questo, s’io ricuso
48.2l’andata, ben dirai che triste umore
48.3abbia il discorso razional confuso.
49.1Et io in risposta, come Emilio, fuore
49.2porgerò il piè, e dirò: — Tu non sa’ dove
49.3questo calciar mi prema e dia dolore. —
50.1Da me stesso mi tol chi mi rimove
50.2da la mia terra, e fuor non ne potrei
50.3viver contento, ancor che in grembo a Iove.
51.1E s’io non fossi d’ogni cinque o sei
51.2mesi stato uno a passeggiar fra il Domo
51.3e le due statue de’ Marchesi miei;
52.1da sì noiosa lontananza domo
52.2già sarei morto, o più di quelli macro
52.3che stan bramando in purgatorio il pomo.
53.1Se pur ho da star fuor, mi fia nel sacro
53.2campo di Marte senza dubbio meno
53.3che in questa fossa abitar duro et acro.
54.1Ma se ‘l signor vuol farmi grazia a pieno,
54.2a sé mi chiami, e mai più non mi mandi
54.3più là d’Argenta, o più qua del Bondeno.
55.1Se perché amo sì il nido mi dimandi,
55.2io non te lo dirò più volentieri
55.3ch’io soglia al frate i falli miei nefandi;
56.1che so ben che diresti: — Ecco pensieri
56.2d’uom che quarantanove anni alle spalle
56.3grossi e maturi si lasciò l’altro ieri! —
57.1Buon per me ch’io me ascondo in questa valle,
57.2né l’occhio tuo può correr cento miglia
57.3a scorger se le guancie ho rosse o gialle;
58.1che vedermi la faccia più vermiglia,
58.2ben che io scriva da lunge, ti parrebbe,
58.3che non ha madonna Ambra né la figlia,
59.1o che ‘l padre canonico non ebbe
59.2quando il fiasco del vin gli cadde in piazza,
59.3che rubò al frate, oltre li dui che bebbe.
60.1S’io ti fossi vicin, forse la mazza
60.2per bastonarmi piglieresti, tosto
60.3che m’udissi allegar che ragion pazza
61.1non mi lasci da voi viver discosto.
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