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SATIRA VI

Satire

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1.1Bembo, io vorrei, come è il commun disio
1.2de’ solliciti padri, veder l’arti
1.3che essaltan l’uom, tutte in Virginio mio;
2.1e perché di esse in te le miglior parti
2.2veggio, e le più, di questo alcuna cura
2.3per l’amicizia nostra vorrei darti.
3.1Non creder però ch’esca di misura
3.2la mia domanda, ch’io voglia tu facci
3.3l’ufficio di Demetrio o di Musura
4.1(non si dànno a’ par tuoi simili impacci),
4.2ma sol che pensi e che discorri teco,
4.3e saper dagli amici anco procacci
5.1s’in Padova o in Vinegia è alcun buon greco,
5.2buono in scienzia e più in costumi, il quale
5.3voglia insegnarli, e in casa tener seco.
6.1Dottrina abbia e bontà, ma principale
6.2sia la bontà: che, non vi essendo questa,
6.3né molto quella alla mia estima vale.
7.1So ben che la dottrina fia più presta
7.2a lasciarsi trovar che la bontade:
7.3sì mal l’una ne l’altra oggi s’inesta.
8.1O nostra male aventurosa etade,
8.2che le virtudi che non abbian misti
8.3vici nefandi si ritrovin rade!
9.1Senza quel vizio son pochi umanisti
9.2che fe’ a Dio forza, non che persuase,
9.3di far Gomorra e i suoi vicini tristi:
10.1mandò fuoco da ciel, ch’uomini e case
10.2tutto consumpse; et ebbe tempo a pena
10.3Lot a fugir, ma la moglier rimase.
11.1Ride il volgo, se sente un ch’abbia vena
11.2di poesia, e poi dice: — È gran periglio
11.3a dormir seco e volgierli la schiena. —
12.1Et oltra questa nota, il peccadiglio
12.2di Spagna gli dànno anco, che non creda
12.3in unità del Spirto il Padre e il Figlio.
13.1Non che contempli come l’un proceda
13.2da l’altro o nasca, e come il debol senso
13.3ch’uno e tre possano essere conceda;
14.1ma gli par che non dando il suo consenso
14.2a quel che approvan gli altri, mostri ingegno
14.3da penetrar più su che ‘l cielo immenso.
15.1Se Nicoletto o fra Martin fan segno
15.2d’infedele o d’eretico, ne accuso
15.3il saper troppo, e men con lor mi sdegno:
16.1perché, salendo lo intelletto in suso
16.2per veder Dio, non de’ parerci strano
16.3se talor cade giù cieco e confuso.
17.1Ma tu, del qual lo studio è tutto umano
17.2e son li tuoi suggetti i boschi e i colli,
17.3il mormorar d’un rio che righi il piano,
18.1cantar antiqui gesti e render molli
18.2con prieghi animi duri, e far sovente
18.3di false lode i principi satolli,
19.1dimmi, che truovi tu che sì la mente
19.2ti debbia aviluppar, sì tòrre il senno,
19.3che tu non creda come l’altra gente?
20.1Il nome che di apostolo ti denno
20.2o d’alcun minor santo i padri, quando
20.3cristiano d’acqua, e non d’altro ti fenno,
21.1in Cosmico, in Pomponio vai mutando;
21.2altri Pietro in Pierio, altri Giovanni
21.3in Iano o in Iovian va riconciando;
22.1quasi che ‘l nome i buon giudici inganni,
22.2e che quel meglio t’abbia a far poeta
22.3che non farà lo studio de molti anni.
23.1Esser tali dovean quelli che vieta
23.2che sian ne la republica Platone,
23.3da lui con sì santi ordini discreta;
24.1ma non fu tal già Febo, né Anfione,
24.2né gli altri che trovaro i primi versi,
24.3che col buon stile, e più con l’opre buone,
25.1persuasero agli uomini a doversi
25.2ridurre insieme, e abandonar le giande
25.3che per le selve li traean dispersi;
26.1e fér che i più robusti, la cui grande
26.2forza era usata alli minori tòrre
26.3or mogli, or gregge et or miglior vivande,
27.1si lasciaro alle leggi sottoporre,
27.2e cominciar, versando aratri e glebe,
27.3del sudor lor più giusti frutti accòrre.
28.1Indi i scrittor féro all’indotta plebe
28.2creder ch’al suon de le soavi cetre
28.3l’un Troia e l’altro edificasse Tebe;
29.1e avesson fatto scendere le petre
29.2dagli alti monti, et Orfeo tratto al canto
29.3tigri e leon da le spelonche tetre.
30.1Non è, s’io mi coruccio e grido alquanto
30.2più con la nostra che con l’altre scole,
30.3ch’in tutte l’altre io non veggia altretanto,
31.1d’altra correzion che di parole
31.2degne; né del fallir de’ suoi scolari,
31.3non pur Quintillano è che si duole.
32.1Ma se degli altri io vuo’ scoprir gli altari,
32.2tu dirai che rubato e del Pistoia
32.3e di Petro Aretino abbia gli armari.
33.1Degli altri studi onor e biasmo, noia
33.2mi dà e piacer, ma non come s’io sento
33.3che viva il pregio de’ poeti e moia.
34.1Altrimenti mi dolgo e mi lamento
34.2di sentir riputar senza cervello
34.3il biondo Aonio e più leggier che ‘l vento,
35.1che se del dottoraccio suo fratello
35.2odo il medesmo, al quale un altro pazzo
35.3donò l’onor del manto e del capello.
36.1Più mi duol ch’in vecchiezza voglia il guazzo
36.2Placidian, che gioven dar soleva,
36.3e che di cavallier torni ragazzo,
37.1che di sentir che simil fango aggreva
37.2il mio vicino Andronico, e vi giace
37.3già settant’anni, e ancor non se ne lieva.
38.1Se mi è detto che Pandaro è rapace,
38.2Curio goloso, Pontico idolatro,
38.3Flavio biastemator, via più mi spiace
39.1che se per poco prezzo odo Cusatro
39.2dar le sentenzie false, o che col tòsco
39.3mastro Battista mescole il veratro;
40.1o che quel mastro in teologia ch’al tósco
40.2mesce il parlar fachin, si tien la scroffa,
40.3e già n’ha dui bastardi ch’io conosco;
41.1né per saziar la gola sua gaglioffa
41.2perdona a spesa, e lascia che di fame
41.3langue la madre e va mendica e goffa;
42.1poi lo sento gridar, che par che chiame
42.2le guardie, ch’io digiuni e ch’io sia casto,
42.3e che quanto me stesso il prossimo ame.
43.1Ma gli error di questi altri così il basto
43.2di miei pensier non gravano, che molto
43.3lasci il dormir o perder voglia un pasto.
44.1Ma per tornar là donde io mi son tolto,
44.2vorrei che a mio figliuolo un precettore
44.3trovassi meno in questi vizii involto,
45.1che ne la propria lingua de l’autore
45.2gli insegnasse d’intender ciò che Ulisse
45.3sofferse a Troia e poi nel lungo errore,
46.1ciò che Apollonio e Euripide già scrisse,
46.2Sofocle, e quel che da le morse fronde
46.3par che poeta in Ascra divenisse,
47.1e quel che Galatea chiamò da l’onde,
47.2Pindaro, e gli altri a cui le Muse argive
47.3donar sì dolci lingue e sì faconde.
48.1Già per me sa ciò che Virgilio scrive,
48.2Terenzio, Ovidio, Orazio, e le plautine
48.3scene ha vedute, guaste e a pena vive.
49.1Omai può senza me per le latine
49.2vestigie andar a Delfi, e de la strada
49.3che monta in Elicon vedere il fine;
50.1ma perché meglio e più sicur vi vada,
50.2desidero ch’egli abbia buone scorte,
50.3che sien de la medesima contrada.
51.1Non vuol la mia pigrizia o la mia sorte
51.2che del tempio di Apollo io gli apra in Delo,
51.3come gli fei nel Palatin, le porte.
52.1Ahi lasso! quando ebbi al pegàseo melo
52.2l’età disposta, che le fresche guancie
52.3non si vedeano ancor fiorir d’un pelo,
53.1mio padre mi cacciò con spiedi e lancie,
53.2non che con sproni, a volger testi e chiose,
53.3e me occupò cinque anni in quelle ciancie.
54.1Ma poi che vide poco fruttuose
54.2l’opere, e il tempo invan gittarsi, dopo
54.3molto contrasto in libertà mi pose.
55.1Passar venti anni io mi truovavo, et uopo
55.2aver di pedagogo: che a fatica
55.3inteso avrei quel che tradusse Esopo.
56.1Fortuna molto mi fu allora amica
56.2che mi offerse Gregorio da Spoleti,
56.3che ragion vuol ch’io sempre benedica.
57.1Tenea d’ambe le lingue i bei secreti,
57.2e potea giudicar se meglior tuba
57.3ebbe il figliuol di Venere o di Teti.
58.1Ma allora non curai saper di Ecuba
58.2la rabbiosa ira, e come Ulisse a Reso
58.3la vita a un tempo e li cavalli ruba;
59.1ch’io volea intender prima in che avea offeso
59.2Enea Giunon, che ‘l bel regno da lei
59.3gli dovesse d’Esperia esser conteso;
60.1che ‘l saper ne la lingua de li Achei
60.2non mi reputo onor, s’io non intendo
60.3prima il parlar de li latini miei.
61.1Mentre l’uno acquistando, e diferrendo
61.2vo l’altro, l’Occasion fuggì sdegnata,
61.3poi che mi porge il crine, et io nol prendo.
62.1Mi fu Gregorio da la sfortunata
62.2Duchessa tolto, e dato a quel figliuolo
62.3a chi avea il zio la signoria levata.
63.1Di che vendetta, ma con suo gran duolo,
63.2vide ella tosto, ahimè!, perché del fallo
63.3quel che peccò non tu punito solo.
64.1Col zio il nipote (e fu poco intervallo)
64.2del regno e de l’aver spogliati in tutto,
64.3prigione andar sotto il dominio gallo.
65.1Gregorio a’ prieghi d’Isabella indutto
65.2fu a seguir il discepolo, là dove
65.3lasciò, morendo, i cari amici in lutto.
66.1Questa iattura e l’altre cose nòve
66.2che in quei tempi successeno, mi féro
66.3scordar Talia et Euterpe e tutte nòve.
67.1Mi more il padre, e da Maria il pensiero
67.2drieto a Marta bisogna ch’io rivolga,
67.3ch’io muti in squarci et in vacchette Omero;
68.1truovi marito e modo che si tolga
68.2di casa una sorella, e un’altra appresso,
68.3e che l’eredità non se ne dolga;
69.1coi piccioli fratelli, ai quai successo
69.2ero in luogo di padre, far l’uffizio
69.3che debito e pietà avea commesso;
70.1a chi studio, a chi corte, a chi essercizio
70.2altro proporre, e procurar non pieghi
70.3da le virtudi il molle animo al vizio.
71.1Né questo è sol che alli miei studii nieghi
71.2di più avanzarsi, e basti che la barca,
71.3perché non torni a dietro, al lito leghi;
72.1ma si truovò di tanti affanni carca
72.2allor la mente mia, ch’ebbi desire
72.3che la cocca al mio fil fésse la Parca.
73.1Quel, la cui dolce compagnia nutrire
73.2solea i miei studi, e stimulando inanzi
73.3con dolce emulazion solea far ire,
74.1il mio parente, amico, fratello, anzi
74.2l’anima mia, non mezza non, ma intiera,
74.3senza ch’alcuna parte me ne avanzi,
75.1morì, Pandolfo, poco dopo: ah fera
75.2scossa ch’avesti allor, stirpe Ariosta,
75.3di ch’egli un ramo, e forse il più bello, era!
76.1In tanto onor, vivendo, t’avria posta,
76.2ch’altra a quel né in Ferrara né in Bologna,
76.3onde hai l’antiqua origine, s’accosta.
77.1Se la virtù dà onor, come vergogna
77.2il vizio, si potea sperar da lui
77.3tutto l’onor che buono animo agogna.
78.1Alla morte del padre e de li dui
78.2sì cari amici, aggiunge che dal giogo
78.3del Cardinal da Este oppresso fui;
79.1che da la creazione insino al rogo
79.2di Iulio, e poi sette anni anco di Leo,
79.3non mi lasciò fermar molto in un luogo,
80.1e di poeta cavallar mi feo:
80.2vedi se per le balze e per le fosse
80.3io potevo imparar greco o caldeo!
81.1Mi maraviglio che di me non fosse
81.2come di quel filosofo, a chi il sasso
81.3ciò che inanzi sapea dal capo scosse.
82.1Bembo, io ti prego insomma, pria che ‘l passo
82.2chiuso gli sia, che al mio Virginio porga
82.3la tua prudenza guida, che in Parnasso,
83.1ove per tempo ir non seppi io, lo scorga.
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