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SATIRA V

Satire

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1.1Da tutti li altri amici, Annibale, odo,
1.2fuor che da te, che sei per pigliar moglie:
1.3mi duol che ‘l celi a me, che ‘l facci lodo.
2.1Forse mel celi perché alle tue voglie
2.2pensi che oppor mi debbia, come io danni,
2.3non l’avendo tolta io, s’altri la toglie.
3.1Se pensi di me questo, tu te inganni:
3.2ben che senza io ne sia, non però accuso
3.3se Piero l’ha, Martin, Polo e Giovanni.
4.1Mi duol di non l’avere, e me ne iscuso
4.2sopra varii accidenti che lo effetto
4.3sempre dal buon voler tennero escluso;
5.1ma fui di parer sempre, e così detto
5.2l’ho più volte, che senza moglie a lato
5.3non puote uomo in bontade esser perfetto.
6.1Né senza si può star senza peccato;
6.2che chi non ha del suo, fuor accattarne,
6.3mendicando o rubandolo, è sforzato;
7.1e chi s’usa a beccar de l’altrui carne,
7.2diventa giotto, et oggi tordo o quaglia,
7.3diman fagiani, uno altro dì vuol starne;
8.1non sa quel che sia amor, non sa che vaglia
8.2la caritade: e quindi avien che i preti
8.3sono sì ingorda e sì crudel canaglia.
9.1Che lupi sieno e che asini indiscreti
9.2mel dovreste saper dir voi da Reggio,
9.3se già il timor non vi tenesse cheti.
10.1Ma senza che ‘l dicate, io me ne aveggio;
10.2de la ostinata Modona non parlo,
10.3che, tutto che stia mal, merta star peggio.
11.1Pigliala, se la vuoi; fa, se déi farlo;
11.2e non voler, come il dottor Buonleo,
11.3ala estrema vecchiezza prolungarlo.
12.1Quella età più al servizio di Lieo
12.2che di Vener conviensi: si dipinge
12.3giovane fresco, e non vecchio, Imeneo.
13.1Il vecchio, allora che ‘l desir lo spinge,
13.2di sé prosume e spera far gran cose;
13.3si sganna poi che al paragon si stringe.
14.1Non voglion rimaner però le spose
14.2nel danno; sempre ci è mano adiutrice
14.3che soviene alle pover’ bisognose.
15.1E se non fosse ancor, pur ognun dice
15.2che gli è così: non pòn fuggir la fama,
15.3più che del ver, del falso relatrice,
16.1la qual patisce mal chi l’onor ama;
16.2ma questa passion debole e nulla,
16.3verso un’altra maggior, ser Iorio chiama.
17.1— Peggio è — dice — vedersi un ne la culla,
17.2e per casa giocando ir duo bambini,
17.3e poco prima nata una fanciulla:
18.1et esser di sua età giunto a’ confini,
18.2e non aver che doppo sé lor mostri
18.3la via del bene, e non li fraudi e uncini. —
19.1Pigliala, e non far come alcuni nostri
19.2gentiluomini fanno, e molti féro,
19.3ch’or giaccion per le chiese e per li chiostri:
20.1di mai non la pigliar fu il lor pensiero,
20.2per non aver figliuoli che far pezzi
20.3debbian di quel che a pena basta intiero.
21.1Quel che acerbi non fér, maturi e mézzi
21.2fan poi con biasmo: truovan ne le ville
21.3e ne le cucine anco a chi far vezzi.
22.1Nascono figli e crescon le faville,
22.2et al fin, pusillanimi e bugiardi,
22.3s’inducono a sposar villane e ancille,
23.1perché i figli non restino bastardi.
23.2Quindi è falsificato di Ferrara
23.3in gran parte il buon sangue, se ben guardi;
24.1quindi la gioventù vedi sì rara
24.2che le virtudi e li bei studi, e molta
24.3che degli avi materni i stili impara.
25.1Cugin, fai bene a tòr moglier; ma ascolta:
25.2pensaci prima; non varrà poi dire
25.3di non, s’avrai di sì detto una volta.
26.1In questo il mio consiglio proferire
26.2ti vuo’, e mostrar, se ben non lo richiedi,
26.3quel che tu déi cercar, quel che fuggire.
27.1Tu ti ridi di me forse, e non vedi
27.2come io ti possa consigliar, ch’avuto
27.3non ho in tal nodo mai collo né piedi.
28.1Non hai, quando dui giocano, veduto
28.2che quel che sta a vedere ha meglio spesso
28.3ciò che s’ha a far, che ‘l giocator, saputo?
29.1Se tu vedi che tocchi, o vada appresso
29.2il segno il mio parer, dàgli il consenso;
29.3se non, riputal sciocco, e me con esso.
30.1Ma prima ch’io ti mostri altro compenso,
30.2t’avrei da dir che, se amorosa face
30.3ti fa pigliar moglier, che segui il senso.
31.1Ogni virtude è in lei, s’ella ti piace:
31.2so ben che né orator latin, né greco,
31.3saria a dissuadertilo efficace.
32.1Io non son per mostrar la strada a un cieco;
32.2ma se tu il bianco e il rosso e il ner comprendi,
32.3essamina il consiglio ch’io te arreco.
33.1Tu che vuoi donna, con gran studio intendi
33.2qual sia stata e qual sia la madre, e quali
33.3sien le sorelle, s’al’onore attendi.
34.1S’in cavalli, se ‘n boi, se ‘n bestie tali
34.2guardian le razze, che faremo in questi,
34.3che son fallaci più ch’altri animali?
35.1Di vacca nascer cerva non vedesti,
35.2né mai colomba d’aquila, né figlia
35.3di madre infame di costumi onesti.
36.1Oltre che il ramo al ceppo s’assimiglia,
36.2il dimestico essempio, che le aggira
36.3pel capo sempre, ogni bontà sgombiglia.
37.1Se la madre ha duo amanti, ella ne mira
37.2a quattro e a cinque, e spesso a più di sei,
37.3et a quanti più può la rete tira:
38.1e questo per mostrar che men di lei
38.2non è leggiadra, e non le fur del dono
38.3de la beltà men liberali i dèi.
39.1Saper la balia e le compagne è buono:
39.2se appresso il padre sia nodrita o in corte,
39.3al fuso, all’ago, o pur in canto e in suono.
40.1Non cercar chi più dote, o chi ti porte
40.2titoli e fumi e più nobil parenti
40.3che al tuo aver si convenga e alla tua sorte;
41.1ché difficil sarà, se non ha venti
41.2donne poi dietro e staffieri e un ragazzo
41.3che le sciorini il cul, tu la contenti.
42.1Vorrà una nana, un bufoncello, un pazzo,
42.2e compagni da tavola e da giuoco
42.3che tutto il dì la tengano in solazzo.
43.1Né tòr di casa il piè, né mutar loco
43.2vorrà senza carretta; ben ch’io stimi,
43.3fra tante spese, questa spesa poco:
44.1che se tu non la fai, che sei de’ primi
44.2e di sangue e d’aver ne la tua terra,
44.3non la farà già quei che son degli imi.
45.1E se mattina e sera ondeggiando erra
45.2con cavalli a vettura la Giannicca,
45.3che farà chi del suo li pasce e ferra?
46.1Ma se l’altre n’han dui, ne vuol la ricca
46.2quattro; se le compiaci, più che ‘l conte
46.3Rinaldo mio la te aviluppa e ficca;
47.1se le contrasti, pon la pace a monte,
47.2e come Ulisse al canto, tu l’orecchia
47.3chiudi a pianti, a lamenti, a gridi et onte;
48.1ma non le dir oltraggio, o t’apparecchia
48.2cento udirne per uno, e che ti punga
48.3più che punger non suol vespe né pecchia.
49.1Una che ti sia ugual teco si giunga,
49.2che por non voglia in casa nuove usanze,
49.3né più del grado aver la coda lunga.
50.1Non la vuo’ tal che di bellezze avanze
50.2l’altre, e sia in ogni invito, e sempre vada
50.3capo di schiera per tutte le danze.
51.1Fra bruttezza e beltà truovi una strada
51.2dove è gran turba, né bella né brutta,
51.3che non t’ha da spiacer, se non te aggrada.
52.1Che quindi esce, a man ritta truova tutta
52.2la gente bella, e dal contrario canto
52.3quanta bruttezza ha il mondo esser ridutta.
53.1Quinci più sozze, e poi più sozze quanto
53.2tu vai più inanzi; e quindi truovi i visi
53.3più di bellezza e più tenere il vanto.
54.1S’ove déi tòr la tua vuoi ch’io te avisi,
54.2o ne la strada, o a man ritta nei campi
54.3dirò, ma non di là troppo divisi.
55.1Non ti scostar, non ir dove tu inciampi
55.2in troppo bella moglie, sì che ognuno
55.3per lei d’amor e di desire avampi.
56.1Molti la tenteranno, e quando ad uno
56.2repugni, o a dui, o a tre, non star in speme
56.3che non ne abbia aver vittoria alcuno.
57.1Non la tòr brutta; che torresti insieme
57.2perpetua noia; mediocre forma
57.3sempre lodai, sempre dannai le estreme.
58.1Sia di buona aria, sia gentil, non dorma
58.2con gli occhi aperti; che più l’esser sciocca
58.3d’ogni altra ria deformità deforma.
59.1Se questa in qualche scandalo trabocca,
59.2lo fa palese, in modo che dà sopra
59.3li fatti suoi facenda ad ogni bocca.
60.1L’altra, più saggia, si conduce all’opra
60.2secretamente, e studia, come il gatto,
60.3che la immondizia sua la terra copra.
61.1Sia piacevol, cortese, sia d’ogni atto
61.2di superbia nimica, sia gioconda,
61.3non mesta mai, non mai col ciglio attratto.
62.1Sia vergognosa; ascolti e non risponda
62.2per te dove tu sia; né cessi mai,
62.3né mai stia in ozio; sia polita e monda.
63.1De dieci anni o di dodici, se fai
63.2per mio consiglio, fia di te minore;
63.3di pare o di più età non la tòr mai:
64.1perché passando, come fa, il megliore
64.2tempo e i begli anni in lor prima che in noi,
64.3ti parria vecchia, essendo anco tu in fiore.
65.1Però vorrei che ‘l sposo avesse i suoi
65.2trent’anni, quella età che ‘l furor cessa
65.3presto al voler, presto al pentirse poi.
66.1Tema Dio, ma che udir più d’una messa
66.2voglia il dì non mi piace; e vuo’ che basti
66.3s’una o due volte l’anno si confessa.
67.1Non voglio che con gli asini che basti
67.2non portano abbia pratica, né faccia
67.3ogni dì tórte al confessore e pasti.
68.1Voglio che se contenti de la faccia
68.2che Dio le diede, e lassi il rosso e il bianco
68.3ala signora del signor Ghinaccia.
69.1Fuor che lisciarsi, uno ornamento manco
69.2d’altra ugual gentildonna ella non abbia;
69.3liscio non vuo’, né tu credo il vogli anco.
70.1Se sapesse Erculan dove le labbia
70.2pon quando bacia Lidia, avria più a schivo
70.3che se baciasse un cul marzo, di scabbia.
71.1Non sa che ‘l liscio è fatto col salivo
71.2de le giudee che ‘l vendon; né con tempre
71.3di muschio ancor perde l’odor cattivo.
72.1Non sa che con la merda si distempre
72.2di circoncisi lor bambini il grasso
72.3d’orride serpi che in pastura han sempre.
73.1Oh quante altre spurcizie a dietro lasso,
73.2di che s’ungono il viso, quando al sonno
73.3se acconcia il steso fianco, e il ciglio basso!
74.1Sì che quei che le baciano, ben ponno
74.2con men schivezza e stomachi più saldi
74.3baciar lor anco a nuova luna il conno.
75.1Il sollimato e gli altri unti ribaldi,
75.2di che ad uso del viso empion gli armari,
75.3fan che sì tosto il viso lor s’affaldi;
76.1o che i bei denti, che già fur sì cari,
76.2lascian la bocca fetida e corrotta,
76.3o neri e pochi restano, e mal pari.
77.1Segua le poche, e non la volgar frotta;
77.2né sappia far la tua bianco né rosso,
77.3ma sia del filo e de la tela dotta.
78.1Se tal la truovi, consigliar ti posso
78.2che tu la prenda; se poi cangia stile,
78.3e che se tiri alcun gallante a dosso,
79.1o faccia altra opra enorme, e che simìle
79.2il frutto, in tempo del ricor, non esca
79.3ai molti fior ch’avea mostrato aprile;
80.1de la tua sorte, e non di te t’incresca,
80.2che per indiligenza e poca cura
80.3gusti diverso al’apetito l’ésca.
81.1Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
81.2o chi fa peggio assai, che la conosce,
81.3e pur la vuol, sia quanto voglia impura,
82.1se poi pentito si batte le cosce
82.2altro che sé non de’ imputar del fallo,
82.3né cercar compassion de le sue angosce.
83.1Poi ch’io t’ho posto assai bene a cavallo,
83.2ti voglio anco mostrar come lo guidi,
83.3come spinger lo déi, come fermallo.
84.1Tolto che moglie avrai, lascia li nidi
84.2degli altri, e sta sul tuo; che qualche augello,
84.3trovandol senza te, non vi si annidi.
85.1Falle carezze, et amala con quello
85.2amor che vuoi ch’ella ami te; aggradisci,
85.3e ciò che fa per te paiati bello.
86.1Se pur tal volta errasse, l’ammonisci
86.2sanza ira, con amore; e sia assai pena
86.3che la facci arrossir senza por lisci.
87.1Meglio con la man dolce si raffrena
87.2che con forza il cavallo, e meglio i cani
87.3le lusinghe fan tuoi che la catena.
88.1Questi animal, che son molto più umani,
88.2corregger non si dén sempre con sdegno,
88.3né, al mio parer, mai con menar de mani.
89.1Ch’ella ti sia compagna abbi disegno;
89.2non come in comperata per tua serva
89.3reputa aver in lei dominio e regno.
90.1Cerca di sodisfarle ove proterva
90.2non sia la sua domanda, e, compiacendo,
90.3quanto più amica puoi te la conserva.
91.1Che tu la lasci far non te commendo,
91.2senza saputa tua, ciò ch’ella vuole;
91.3che mostri non fidarti anco riprendo.
92.1Ire a conviti e publiche carole
92.2non le vietar, né, ali suoi tempi, a chiese,
92.3dove ridur la nobiltà si suole:
93.1gli adùlteri né in piazza né in palese,
93.2ma in case de vicini e de commatri,
93.3balie e tal genti, han le lor reti tese.
94.1Abbile sempre, ai chiari tempi e agli atri,
94.2dietro il pensier, né la lasciar di vista:
94.3che ‘l bel rubar suol far gli uomini latri.
95.1Studia che compagnia non abbia trista:
95.2a chi ti vien per casa abbi avvertenza,
95.3che fuor non temi, e dentro il mal consista;
96.1ma studia farlo cautamente, senza
96.2saputa sua; che si dorria a ragione
96.3s’in te sentisse questa diffidenza.
97.1Lievale quanto puoi la occasione
97.2d’esser puttana, e pur se avien che sia,
97.3almen che ella non sia per tua cagione.
98.1Io non so la miglior di questa via
98.2che già t’ho detta, per schivar che in preda
98.3ad altri la tua donna non se dia.
99.1Ma s’ella n’avrà voglia, alcun non creda
99.2di ripararci: ella saprà ben come
99.3far ch’al suo inganno il tuo consiglio ceda.
100.1Fu già un pittor, Galasso era di nome,
100.2che dipinger il diavolo solea
100.3con bel viso, begli occhi e belle chiome;
101.1né piei d’augel né corna gli faccea,
101.2né faccea sì leggiadro né sì adorno
101.3l’angel da Dio mandato in Galilea.
102.1Il diavol, riputandosi a gran scorno
102.2se fosse in cortesia da costui vinto,
102.3gli apparve in sogno un poco inanzi il giorno,
103.1e gli disse in parlar breve e succinto
103.2ch’egli era, e che venia per render merto
103.3de l’averlo sì bel sempre dipinto;
104.1però lo richiedesse, e fosse certo
104.2di subito ottener le sue domande,
104.3e di aver più che non se gli era offerto.
105.1Il meschin, ch’avea moglie d’admirande
105.2bellezze, e ne vivea geloso, e n’era
105.3sempre in sospetto et in angustia grande,
106.1pregò che gli mostrasse la maniera
106.2che s’avesse a tener, perché il marito
106.3potesse star sicur de la mogliera.
107.1Par che ‘l diavolo allor gli ponga in dito
107.2uno annello, e ponendolo gli dica:
107.3— Fin che ce ‘l tenghi, esser non puoi tradito. —
108.1Lieto ch’omai la sua senza fatica
108.2potrà guardar, si sveglia il mastro, e truova
108.3che ‘l dito alla moglier ha ne la fica.
109.1Questo annel tenga in dito, e non lo muova
109.2mai chi non vuol ricevere vergogna
109.3da la sua donna; e a pena anco gli giova,
110.1pur ch’ella voglia, e farlo si dispogna.
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