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SATIRA IV

Satire

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1.1Il vigesimo giorno di febraio
1.2chiude oggi l’anno che da questi monti,
1.3che dànno a’ Toschi il vento di rovaio,
2.1qui scesi, dove da diversi fonti
2.2con eterno rumor confondon l’acque
2.3la Tùrrita col Serchio fra duo ponti;
3.1per custodir, come al signor mio piacque,
3.2il gregge grafagnin, che a lui ricorso
3.3ebbe, tosto che a Roma il Leon giacque;
4.1che spaventato e messo in fuga e morso
4.2gli l’avea dianzi, e l’avria mal condotto
4.3se non venia dal ciel iusto soccorso.
5.1E questo in tanto tempo è il primo motto
5.2ch’io fo alle dee che guardano la pianta
5.3de le cui frondi io fui già così giotto.
6.1La novità del loco è stata tanta
6.2c’ho fatto come augel che muta gabbia,
6.3che molti giorni resta che non canta.
7.1Maleguzzo cugin, che tacciuto abbia
7.2non ti maravigliar, ma maraviglia
7.3abbi che morto io non sia ormai di rabbia
8.1vedendomi lontan cento e più miglia,
8.2e da neve, alpe, selve e fiumi escluso
8.3da chi tien del mio cor sola la briglia.
9.1Con altre cause e più degne mi escuso
9.2con gli altri amici, a dirti il ver; ma teco
9.3liberamente il mio peccato accuso.
10.1Altri a chi lo dicessi, un occhio bieco
10.2mi volgerebbe a dosso, e un muso stretto:
10.3— Guata poco cervel! — poi diria seco
11.1— degno uom da chi esser debbia un popul retto,
11.2uom che poco lontan da cinquanta anni
11.3vaneggi nei pensier di giovinetto! —
12.1E direbbe il Vangel di san Giovanni;
12.2che, se ben erro, pur non son sì losco
12.3che ‘l mio error non conosca e ch’io nol danni.
13.1Ma che giova s’io ‘l danno e s’io ‘l conosco,
13.2se non ci posso riparar, né truovi
13.3rimedio alcun che spenga questo tòsco?
14.1Tu forte e saggio, che a tua posta muovi
14.2questi affetti da te, che in noi, nascendo,
14.3natura affige con sì saldi chiovi!
15.1Fisse in me questo, e forse non sì orrendo
15.2come in alcun c’ha di me tanta cura
15.3chi non può tolerar ch’io non mi emendo;
16.1e fa come io so alcun, che dice e giura
16.2che quello e questo è becco, e quanto lungo
16.3sia il cimer del suo capo non misura.
17.1Io non uccido, io non percuoto o pungo,
17.2io non do noia altrui, se ben mi dolgo
17.3che da chi meco è sempre io mi dilungo:
18.1perciò non dico né a difender tolgo
18.2che non sia fallo il mio; ma non sì grave
18.3che di via più non me perdoni il volgo.
19.1Con manco ranno il volgo, non che lave
19.2maggior macchia di questa, ma sovente
19.3titolo al vizio di virtù dato have.
20.1Ermilian sì del dannaio ardente
20.2come d’Alessio il Gianfa, e che lo brama
20.3ogni ora, in ogni loco, da ogni gente,
21.1né amico né fratel né se stesso ama:
21.2uomo d’industria, uomo di grande ingegno,
21.3di gran governo e gran valor si chiama.
22.1Gonfia Rinieri, et ha il suo grado a sdegno;
22.2esser gli par quel che non è, e più inanzi
22.3che in tre salti ir non può si mette il segno.
23.1Non vuol che in ben vestire altro lo avanzi;
23.2spenditor, scalco, falconiero, cuoco,
23.3vuol chi lo scalzi, chi gli tagli inanzi.
24.1Oggi uno e diman vende un altro loco;
24.2quel che in molti anni acquistar gli avi e i patri
24.3getta a man piene, e non a poco a poco.
25.1Costui non è chi morda o che gli latri,
25.2ma liberal, magnanimo si noma
25.3fra li volgar giudici oscuri et atri.
26.1Solonnio di facende sì gran soma
26.2tolle a portar, che ne saria già morto
26.3il più forte somier che vada a Roma.
27.1Tu ‘l vedi in Banchi, alla dogana, al porto,
27.2in Camera apostolica, in Castello,
27.3da un ponte all’altro a un volgier d’occhi sorto.
28.1Si stilla notte e dì sempre il cervello,
28.2come al Papa ognor dia freschi guadagni
28.3con novi dazii e multe e con balzello.
29.1Gode fargli saper che se ne lagni
29.2e dica ognun che all’util del padrone
29.3non riguardi parenti né compagni.
30.1Il popul l’odia, et ha di odiar ragione,
30.2se di ogni mal che la città flagella
30.3gli è ver ch’egli sia il capo e la cagione.
31.1E pur grande e magnifico se appella,
31.2né senza prima discoprirsi il capo
31.3il nobile o il plebeo mai gli favella.
32.1Laurin si fa de la sua patria capo,
32.2et in privato il publico converte;
32.3tre ne confina, a sei ne taglia il capo;
33.1comincia volpe, indi con forze aperte
33.2escie leon, poi c’ha ‘l popul sedutto
33.3con licenze, con doni e con offerte:
34.1l’iniqui alzando, e deprimendo in lutto
34.2li buoni, acquista titolo di saggio,
34.3di furti, stupri e d’omicidi brutto.
35.1Così dà onore a chi dovrebbe oltraggio,
35.2né sa da colpa a colpa scerner l’orbo
35.3giudizio, a cui non mostra il sol mai raggio;
36.1e stima il corbo cigno e il cigno corbo;
36.2se sentisse ch’io amassi, faria un viso
36.3come mordesse allora allora un sorbo.
37.1Dica ogniun come vuole, e siagli aviso
37.2quel che gli par: in somma ti confesso
37.3che qui perduto ho il canto, il gioco, il riso.
38.1Questa è la prima; ma molt’altre appresso
38.2e molt’altre ragion posso allegarte,
38.3che da le dee m’ha tolto di Parmesso.
39.1Già mi fur dolci inviti a empir le carte
39.2li luoghi ameni di che il nostro Reggio,
39.3il natio nido mio, n’ha la sua parte.
40.1Il tuo Maurician sempre vagheggio,
40.2la bella stanza, il Rodano vicino,
40.3da le Naiade amato ombroso seggio,
41.1il lucido vivaio onde il giardino
41.2si cinge intorno, il fresco rio che corre,
41.3rigando l’erbe, ove poi fa il molino;
42.1non mi si può de la memoria tòrre
42.2le vigne e i solchi del fecondo Iaco,
42.3la valle e il colle e la ben posta tórre.
43.1Cercando or questo et or quel loco opaco,
43.2quivi in più d’una lingua e in più d’un stile
43.3rivi traea sin dal gorgoneo laco.
44.1Erano allora gli anni miei fra aprile
44.2e maggio belli, ch’or l’ottobre dietro
44.3si lasciano, e non pur luglio e sestile.
45.1Ma né d’Ascra potrian né di Libetro
45.2l’amene valli, senza il cor sereno,
45.3far da me uscir iocunda rima o metro.
46.1Dove altro albergo era di questo meno
46.2conveniente a i sacri studi, vuoto
46.3d’ogni iocundità, d’ogni orror pieno?
47.1La nuda Pania tra l’Aurora e il Noto,
47.2da l’altre parti il giogo mi circonda
47.3che fa d’un Pellegrin la gloria noto.
48.1Questa è una fossa, ove abito, profonda,
48.2donde non muovo piè senza salire
48.3del silvoso Apennin la fiera sponda.
49.1O stiami in Rocca o voglio all’aria uscire,
49.2accuse e liti sempre e gridi ascolto,
49.3furti, omicidii, odi, vendette et ire;
50.1sì che or con chiaro or con turbato volto
50.2convien che alcuno prieghi, alcun minacci,
50.3altri condanni, altri ne mandi assolto;
51.1ch’ogni dì scriva et empia fogli e spacci,
51.2al Duca or per consiglio or per aiuto,
51.3sì che i ladron, c’ho d’ogni intorno, scacci.
52.1Déi saper la licenzia in che è venuto
52.2questo paese, poi che la Pantera,
52.3indi il Leon l’ha fra gli artigli avuto.
53.1Qui vanno li assassini in sì gran schiera
53.2ch’un’altra, che per prenderli ci è posta,
53.3non osa trar del sacco la bandiera.
54.1Saggio chi dal Castel poco si scosta!
54.2Ben scrivo a chi più tocca, ma non torna
54.3secondo ch’io vorrei mai la risposta.
55.1Ogni terra in se stessa alza le corna,
55.2che sono ottantatre, tutte partite
55.3da la sedizion che ci soggiorna.
56.1Vedi or se Appollo, quando io ce lo invite,
56.2vorrà venir, lasciando Delfo e Cinto,
56.3in queste grotte a sentir sempre lite.
57.1Dimandar mi potreste chi m’ha spinto
57.2dai dolci studi e compagnia sì cara
57.3in questo rincrescevol labirinto.
58.1Tu déi saper che la mia voglia avara
58.2unqua non fu, ch’io solea star contento
58.3di quel stipendio che traea a Ferrara;
59.1ma non sai forse come uscì poi lento,
59.2succedendo la guerra, e come volse
59.3il Duca che restasse in tutto spento.
60.1Fin che quella durò, non me ne dolse;
60.2mi dolse di veder che poi la mano
60.3chiusa restò, ch’ogni timor si sciolse.
61.1Tanto più che l’ufficio di Melano,
61.2poi che le leggi ivi tacean fra l’armi,
61.3bramar gli affitti suoi mi facea invano.
62.1Ricorsi al Duca: — O voi, signor, levarmi
62.2dovete di bisogno, o non vi incresca
62.3ch’io vada altra pastura a procacciarmi. —
63.1Grafagnini in quel tempo, essendo fresca
63.2la lor rivoluzion, che spinto fuori
63.3avean Marzocco a procacciar d’altra ésca,
64.1con lettere frequenti e imbasciatori
64.2replicavano al Duca, e facean fretta
64.3d’aver lor capi e lor usati onori.
65.1Fu di me fatta una improvisa eletta,
65.2o forse perché il termine era breve
65.3di consigliar chi pel miglior si metta,
66.1o pur fu appresso il mio signor più leve
66.2il bisogno de’ sudditi che il mio,
66.3di ch’obligo gli ho quanto se gli deve.
67.1Obligo gli ho del buon voler, più ch’io
67.2mi contenti del dono, il quale è grande,
67.3ma non molto conforme al mio desio.
68.1Or se di me a questi omini dimande,
68.2potrian dir che bisogno era di asprezza,
68.3non di clemenzia, all’opre lor nefande.
69.1Come né in me, così né contentezza
69.2è forse in lor; io per me son quel gallo
69.3che la gemma ha trovata e non l’apprezza.
70.1Son come il Veneziano, a cui il cavallo
70.2di Mauritania in eccellenzia buono
70.3donato fu dal re di Portogallo;
71.1il qual, per aggradir il real dono,
71.2non discernendo che mistier diversi
71.3volger temoni e regger briglie sono,
72.1sopra vi salse, e cominciò a tenersi
72.2con mani al legno e co’sproni ala pancia:
72.3— Non vuò — seco dicea — che tu mi versi. —
73.1Sente il cavallo pungersi, e si lancia;
73.2e ‘l buon nocchier più allora preme e stringe
73.3lo sprone al fianco, aguzzo più che lancia,
74.1e di sangue la bocca e il fren gli tinge:
74.2non sa il cavallo a chi ubedire, o a questo
74.3che ‘l torna indietro, o a quel che l’urta e spinge;
75.1pur se ne sbriga in pochi salti presto.
75.2Rimane in terra il cavallier col fianco,
75.3co la spalla e col capo rotto e pesto.
76.1Tutto di polve e di paura bianco
76.2si levò al fin, dal re mal satisfatto,
76.3e lungamente poi si ne dolse anco.
77.1Meglio avrebbe egli, et io meglio avrei fatto,
77.2egli il ben del cavallo, io del paese,
77.3a dir: — O re, o signor, non ci sono atto;
78.1sie pur a un altro di tal don cortese. —
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