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LIII

Rime

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1.1Ancor non ti ho io detto della peste
1.2quel ch'io dovevo dir, maestro Piero,
1.3non l'ho vestita dal dì delle feste;
2.1et ho mezza paura, a dirti il vero,
2.2ch'ella non si lamenti, come quella
2.3che non ha avuto il suo dovere intero.
3.1Ell'è bizzarra e poi è donna anch'ella;
3.2sai tutte quante che natura ell'hanno:
3.3voglion sempre aver piena la scudella.
4.1Feci di lei quel capitolo uguanno
4.2e, come ho detto, le tagliai la vesta
4.3larga e pur mi rimase in man del panno,
5.1però de' fatti suoi quel ch'a dir resta,
5.2con l'aiuto di Dio, si dirà ora;
5.3non vo' ch'ella mi rompa più la testa.
6.1Io lessi già d'un vaso di Pandora,
6.2che v'era dentro il cancaro e la febbre
6.3e mille morbi che n'usciron fuora.
7.1Costei le genti che 'l dolor fa ebbre
7.2saetterebbon veramente a segno;
7.3le mandano ogni dì trecento lebbre,
8.1perché par loro aver con essa sdegno;
8.2dicon: “Se non s'apriva quel cotale,
8.3non bisognava a noi pigliare il legno”.
9.1In fin, questo amor proprio ha del bestiale
9.2e l'ignoranza, che va sempre seco,
9.3fa che 'l mal bene e 'l ben si chiama male.
10.1Quella Pandora è un vocabol greco,
10.2che in lingua nostra vuol dir “tutti doni”;
10.3e costor gli hanno dato un senso bieco.
11.1Così sono anche molte oppenioni,
11.2che piglian sempre al riverso le cose:
11.3tiran la briglia insieme e dan de sproni.
12.1Piange un le doglie e le bolle franciose,
12.2perché gli è un pazzo e non ha ancor veduto
12.3quel che già messer Bin di lor compose:
13.1ne dice un ben che non saria creduto;
13.2leggi, maestro Pier, quella operetta,
13.3ché tu arai quel mal, se non l'ha' avuto.
14.1Non fu mai malattia senza ricetta:
14.2la natura l'ha fatte tutt'e due:
14.3ella imbratta le cose, ella le netta.
15.1Ella trovò l'aratol, ella il bue,
15.2ella il lupo, l'agnel, la lepre, il cane,
15.3e dette a tutti le qualità sue;
16.1ella fece l'orecchie e le campane,
16.2fece l'assenzio amaro e dolce il mèle,
16.3e l'erbe velenose e l'erbe sane;
17.1ella ha trovato il buio e le candele,
17.2e finalmente la morte e la vita,
17.3e par benigna ad un tratto e crudele.
18.1Par, dico, a qualche pecora smarrita:
18.2vedi ben tu che da lei non si cava
18.3altro che ben, perch'è bontà infinita.
19.1Trovò la peste perché bisognava:
19.2eravamo spacciati tutti quanti,
19.3cattivi e buon, s'ella non si trovava,
20.1tanto multiplicavano i furfanti;
20.2sai che nell'altro canto io messi questo
20.3fra i primi effetti della peste santi.
21.1Come si crea in un corpo indigesto
21.2collora e flegma et altri mali umori,
21.3per mangiar, per dormir e per star desto,
22.1e bisogna ir del corpo e cacciar fuori
22.2(con riverenza) e tenersi rimondo
22.3com'un pozzo che sia di più signori,
23.1così a questo corpaccio del mondo,
23.2che per esser maggior più feccia mena,
23.3bisogna spesso risciacquare il fondo;
24.1e la natura, che si sente piena,
24.2piglia una medicina di moria,
24.3come di reubarbaro o di sena,
25.1e purga i mali umor per quella via;
25.2quel che i medici nostri chiaman crisi
25.3credo che appunto quella cosa sia.
26.1E noi, balordi, facciam certi visi,
26.2come si dice: “La peste è in paese!”;
26.3ci lamentiam, che par che siamo uccisi,
27.1che dovrebbemo darle un tanto al mese,
27.2intertenerla come un capitano,
27.3per servircene al tempo a mille imprese.
28.1Come fan tutti i fiumi all'oceàno,
28.2così vanno alla peste gli altri mali
28.3a dar tributo e basciarle la mano;
29.1e l'accoglienze sue son tante e tali
29.2che di vassallo ogniun si fa suo amico,
29.3anzi son tutti suoi fratei carnali.
30.1Ogni maluzzo furfante e mendico
30.2è allor peste o mal di quella sorte,
30.3com'ogni uccel d'agosto è beccafico.
31.1Se tu vuoi far le tue faccende corte,
31.2avendosi a morir, come tu sai,
31.3muori, maestro Pier, di questa morte:
32.1almanco intorno non arai notai
32.2che ti voglin rogare il testamento,
32.3né la stampa volgar del “come stai”,
33.1che non è al mondo il più crudel tormento.
33.2La peste è una prova, uno scandaglio,
33.3che fa tornar gli amici ad un per cento:
34.1fa quel di lor che fa del grano il vaglio,
34.2ché quando ella è di quella d'oro in oro,
34.3non vale inacetarsi o mangiar l'aglio.
35.1Allor fanno li amanti i fatti loro:
35.2vedesi allor s'egli stava alla prova
35.3quel che dicea: “Madonna, io spasmo, io moro”;
36.1che se l'ammorba et ei la lasci sola,
36.2s'e' non si serra in conclavi con lei,
36.3si dice: “E' ne mentiva per la gola”.
37.1Bisogna che gli metta de' cristei,
37.2sia spedalingo e facci la taverna;
37.3e son poi grazie date dalli dèi.
38.1Non muor, chi muor di peste, alla moderna:
38.2non si fa troppo spesa in frati o preti,
38.3che ti cantino il requiem eterna.
39.1Son gli altri mali ignoranti e indiscreti:
39.2corrono il corpo per tutte le bande;
39.3costei va sempre a' luoghi più secreti,
40.1come dir quei che copron le mutande
40.2o sotto il mento o ver sotto le braccia,
40.3perch'ell'è vergognosa e fa del grande.
41.1Non vòl che l'uom di lei la mostra faccia:
41.2vedi san Rocco com'egli è dipinto,
41.3che per mostrar la peste si dislaccia.
42.1O sia che questo mal ha per istinto
42.2ferir le membra ov'è il vital vigore
42.3et è da loro in quelle parti spinto,
43.1o veramente la carne del core,
43.2il fegato e 'l cervel gli den piacere,
43.3perch'ell'è forsi di razza d'astore;
44.1questo problema debbi tu sapere
44.2che sei maestro e intènditi di carne
44.3più che cuoco del mondo, al mio parere.
45.1E però lascio a te sentenzia darne:
45.2so che tu hai della peste giudicio
45.3e cognosci li storni dalle starne.
46.1Or le sue laudi sono un edificio,
46.2che chi lo vuol tirare infino al tetto
46.3arà facenda più che a dir l'officio
47.1non hanno i frati de san Benedetto;
47.2però qui di murar finirò io,
47.3lasciando il resto a miglior architetto.
48.1E lascio a te, maestro Piero mio,
48.2questo notabilissimo ricordo,
48.3che la peste è un mal che manda Dio;
49.1e chi crede altramente egli è un balordo.
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