about
people
how to cite
dataset
versions
json schema
resources
browse
search
authors
books
1.1Udite, Fracastoro, un caso strano,
1.2degno di riso e di compassione,
1.3che l'altr'ier m'intravenne a Povigliano.
2.1Monsignor vostro amico e mio padrone
2.2era ito quivi acompagnar un frate
2.3con un branco di bestie e di persone.
3.1Fu a' sedici d'agosto, id est di state,
3.2e non bastavan tutte a tanta gente,
3.3se ben tutte le stanze erano agiate.
4.1Il prete della villa, un ser saccente,
4.2venne a far riverenza a monsignore,
4.3dentro non so, ma fuor tutto ridente.
5.1Poi, vòlto a me, per farmi un gran favore,
5.2disse: “Sta sera ne verrete meco,
5.3che sarete alloggiato da signore:
6.1io ho un vin che fa vergogna al greco;
6.2con esso vi darò frutti e confetti,
6.3da far veder un morto, andar un cieco;
7.1fra tre persone arete quattro letti,
7.2grandi, ben fatti, spiumacciati, e voglio
7.3che mi diciate poi se saran netti”.
8.1Io che gioir di tal bestie non soglio,
8.2lo licenziai, temendo di non dare,
8.3come diedi, in mal'ora, in uno scoglio.
9.1“In fe' d'Iddio”, diss'egli, “io vo' menare
9.2alla mia stanza almanco duo di voi;
9.3non mi vogliate questo torto fare”.
10.1“Be'”, rispos'io, “messer, parlarem poi;
10.2non fate qui per or questo fracasso;
10.3forse d'accordo restarem fra noi”.
11.1La sera doppo cena andammo a spasso,
11.2parlando Adamo et io di varie cose;
11.3costui faceva a tutti il contrabasso.
12.1Tutto Vergilio et Omero ci espose,
12.2disse di voi, parlò del Sannazaro,
12.3nelle bilancie tutti dua vi pose.
13.1“Non son”, diceva, “di lettere ignaro;
13.2son bene in arte metrica erudito”.
13.3Et io diceva: “Basta, l'ho ben caro”.
14.1Animal non vid'io mai tanto ardito:
14.2non avrebbe a Macrobio et Aristarco,
14.3né a Quintilian ceduto un dito.
15.1Era ricciuto, questo prete, e l'arco
15.2delle ciglia avea basso, grosso e spesso:
15.3un ceffo accommodato a far san Marco.
16.1Non ci si volse mai levar da presso,
16.2fin che a Adamo e me diede di piglio
16.3e bisognò per forza andar con esso.
17.1Era discosto più d'un grosso miglio
17.2l'abitazion di questo prete pazzo,
17.3contra il qual non ci valse arte o consiglio.
18.1Io credetti trovar qualche palazzo
18.2murato di diamanti e di turchine,
18.3avendo udito far tanto schiamazzo;
19.1quando Dio volse, vi giungemmo al fine:
19.2entrammo in una porta da soccorso,
19.3sepolta nell'ortiche e nelle spine.
20.1Convenne ivi lasciar l'usato corso
20.2e salir su per una certa scala,
20.3ove arìa rotto il collo ogni destr'orso.
21.1Salita quella, ci trovammo in sala,
21.2che non era, Dio grazia, amattonata,
21.3ond'il fumo di sotto in essa essala.
22.1Io stava come l'uom che pensa e guata
22.2quel ch'egli ha fatto e quel che far conviene,
22.3poi che gli è stata data una incanata.
23.1“Noi non l'abbiam, Adamo, intesa bene:
23.2questa è la casa”, diceva io, “dell'Orco;
23.3pazzi che noi siam stati da catene!”.
24.1Mentre io mi gratto il capo e mi scontorco,
24.2mi vien veduto a traverso ad un desco
24.3una carpita di lana di porco:
25.1era dipinta ad olio e non a fresco;
25.2voglion certi dottor dir ch'ella fusse
25.3coperta già d'un qualche barbaresco;
26.1poi fu mantello almanco di tre usse,
26.2poi fu schiavina e forse anche spalliera,
26.3fin che tappeto al fin pur si ridusse.
27.1Sopra al desco una rosta impiccata era
27.2da parar mosche a tavola e far vento,
27.3di quelle da taverna unica e vera;
28.1è mosso questo nobil instrumento
28.2da una corda a guisa di campana
28.3e dà nel naso altrui spesso e nel mento.
29.1Or questa sì che mi parve marchiana,
29.2fornimmi in tutto questa di chiarire
29.3della sua cortesia sporca e villana.
30.1“Dove abbiam noi, messer”, dissi, “a dormire?”.
30.2“Venite meco la signoria vostra”,
30.3rispose il sere; “io vel farò sentire”.
31.1Io gli vo drieto e 'l buon prete mi mostra
31.2la stanza ch'egli usava per granaio,
31.3dove i topi facevano una giostra.
32.1Vi sarebbe sudato un di gennaio:
32.2quivi era la ricolta e la semenza
32.3e 'l grano e l'orzo e la paglia e 'l pagliaio.
33.1Eravi un destro, senza riverenza,
33.2un camerotto da cesso ordinario,
33.3dove il messer faceva la credenza;
34.1la credenza facea nel necessario,
34.2intendetemi bene, e le scodelle
34.3teneva in ordinanza in su l'armario.
35.1Stavano intorno pignatte e padelle,
35.2correggiati, rastrelli e forche e pale,
35.3tre mazzi di cipolle e una pelle.
36.1Quivi ci volea por quel don cotale,
36.2e disse: “In questo letto dormirete;
36.3starete tutti duo da un capezzale”.
37.1Et io a lui: “Voi non mi ci côrrete”,
37.2risposi piano, “albanese messere;
37.3datemi ber, ch'io mi moio di sete”.
38.1Ecco apparir di sùbito un bicchiere
38.2che s'era cresimato allora allora,
38.3sudava tutto e non potea sedere;
39.1pareva il vino una minestra mora:
39.2vo' morir, chi lo mette in una cesta,
39.3s'in capo l'anno non vel trova ancora.
40.1Non deste voi bevanda mai molesta
40.2ad un che avesse il morbo o le petecchie
40.3quanto quell'era ladra e disonesta.
41.1In questo, adosso a due pancaccie vecchie
41.2vidi posto un lettuccio, anzi un canile,
41.3e dissi: “Quivi appoggerò l'orecchie”.
42.1Il prete grazioso, almo e gentile
42.2le lenzuola fe' tôr dell'altro letto:
42.3come fortuna va cangiando stile!
43.1Era corto il canil, misero e stretto;
43.2pure, a coprirlo, tutti duo i famigli
43.3sudarno tre camiscie et un farsetto
44.1e le zanne vi posero e gli artigli;
44.2tanto tirâr quei poveri lenzuoli
44.3che pure a mezzo al fin fecion venigli.
45.1Egli eran bianchi come duo paiuoli,
45.2dipinti di marzocchi alla divisa:
45.3parevan cotti in broda di fagiuoli;
46.1la lor sottilità resta indicisa:
46.2tra loro e la descritta già carpita
46.3cosa nessuna non era divisa.
47.1Qual è colui che a perder va la vita,
47.2che s'intertiene e mette tempo in mezzo
47.3e pensa e guarda pur s'altri l'aita,
48.1tal io schifando quell'orrendo lezzo;
48.2pur fu forza il gran calice inghiottirsi,
48.3e così mi trovai nel letto al rezzo.
49.1O Muse, o Febo, o Bacco, o Agatirsi
49.2correte qua, ché cosa sì crudele
49.3senza l'aiuto vostro non può dirsi;
50.1narrate voi le dure mie querele,
50.2raccontate l'abisso che s'aperse
50.3poi che fûrno levate le candele.
51.1Non menò tanta gente in Grecia Serse,
51.2né tanto il popol fu de' Mirmidòni,
51.3quanta sopra di me se ne scoperse:
52.1una turba crudel di cimicioni,
52.2dalla qual, poveretto, io mi schermia,
52.3alternando a me stesso i mostaccioni.
53.1Altra rissa, altra zuffa era la mia,
53.2di quella tua che tu, Properzio, scrivi
53.3in non so qual, del secondo, elegia.
54.1Altro che la tua Cinzia aveva io quivi!
54.2Er'io un torso di pera diventato
54.3o un di questi bachi mezzi vivi
55.1che di formiche adosso abbia un mercato,
55.2tante bocche mi avevan, tanti denti
55.3trafitto, punto, morso e scorticato.
56.1Credo che v'era ancor dell'altre genti,
56.2come dir pulci, piattole e pidocchi,
56.3non men di lor animose e valenti.
57.1Io non poteva schermirmi con gli occhi,
57.2perch'era al buio, ma usava il naso
57.3per conoscer le spade da li stocchi;
58.1e come fece con le man Tomaso,
58.2così con quello io mi certificai
58.3che l'imaginazion non facea caso.
59.1Dio vel dica per me s'io dormi' mai:
59.2l'essercizio fec'io tutta la notte
59.3che fan per riscaldarsi i marinai.
60.1Non così spesso, quando l'anche ha rotte,
60.2dà le volte Tifeo, l'audace et empio,
60.3scotendo a Arìme le valli e le grotte.
61.1Notate qui ch'io pongo questo essempio
61.2levato dall'Eneida di peso;
61.3e non vorrei però parer un scempio,
62.1perché m'han detto che Vergilio ha preso
62.2un granciporro nel verso d'Omero,
62.3il qual non ha, con riverenza, inteso;
63.1e certo è strana cosa, s'egli è vero,
63.2che di due dizzioni una facesse.
63.3Ma lasciam ire e torniam dov'io ero.
64.1Eran nel palco certe assaccie fesse
64.2sopra la testa mia fra trave e trave,
64.3onde calcina parea che cadesse:
65.1areste detto che le fosser fave,
65.2che rovinando in sul palco di sotto
65.3facevano una musica soave;
66.1qual era d'asse anch'egli e tutto rotto,
66.2onde il fumo che quindi si stillava
66.3passando a gli occhi miei faceva motto.
67.1Un bambino era in cuna che gridava
67.2et una donna vecchia che tossiva
67.3e talor per dolcezza bestemmiava.
68.1Se a corteggiarmi un pipistrel veniva
68.2o a far la mattinata una civetta,
68.3la festa mia del tutto si forniva.
69.1Della quale io non credo avervi detta
69.2la millesima parte; e poi c'è quella
69.3del mio compagno, ch'ebbe anco la stretta.
70.1Faretevela dir, poi che la è bella:
70.2m'è stato detto ch'ei ve ne ha già scritto
70.3o vuol scrivervi in greco una novella.
71.1Un poco più che durava il conflitto
71.2io diventavo il venerabil Beda,
71.3se l'epitafio suo l'ha ben descritto.
72.1Mi levai che parevo una lampreda,
72.2un'elitropia fina, una murena,
72.3e chi non mel vol creder non mel creda:
73.1di buchi avevo la persona piena,
73.2ero io di macchie rosse tutto tinto,
73.3parevo io proprio una notte serena.
74.1Se avete visto un san Giulian dipinto
74.2uscir d'un pozzo fuor fin al bellico,
74.3d'aspidi sordi e d'altre serpi cinto,
75.1o un san Giobbe in qualche muro antico,
75.2e se non basta antico anco moderno,
75.3o sant'Anton battuto dal nemico,
76.1tal avevan di me fatto governo
76.2con morsi, graffi, stoccate e ferite
76.3quei veramente diavoli d'inferno.
77.1Io vi scongiuro che se mai venite
77.2chiamato a medicar quest'oste nostro,
77.3dategli ber a pasto acqua di vite,
78.1fategli fare un servizial d'inchiostro.
Supported by the Czech Science Foundation (GA23-07727S)