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SATIRA II

Satire

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1.1Perc’ho molto bisogno, più che voglia,
1.2d’esser in Roma, or che li cardinali
1.3a guisa de le serpi mutan spoglia;
2.1or che son men pericolosi i mali
2.2a’ corpi, ancor che maggior peste affliga
2.3le travagliate menti de’ mortali:
3.1quando la ruota, che non pur castiga
3.2Ission rio, si volge in mezzo Roma
3.3l’anime a cruciar con lunga briga;
4.1Galasso, appresso il tempio che si noma
4.2da quel prete valente che l’orecchia
4.3a Malco allontanar fe’ da la chioma,
5.1stanza per quattro bestie mi apparecchia,
5.2contando me per due con Gianni mio,
5.3poi metti un mulo, e un’altra rózza vecchia.
6.1Camera o buca, ove a stanzar abbia io,
6.2che luminosa sia, che poco saglia,
6.3e da far fuoco commoda, desio.
7.1Né de’ cavalli ancor meno ti caglia;
7.2che poco gioveria ch’avesser pòste,
7.3dovendo lor mancar poi fieno o paglia.
8.1Sia per me un mattarazzo, che alle coste
8.2faccia vezzi, o di lana o di cottone,
8.3sì che la notte io non abbia ire al’oste.
9.1Provedimi di legna secche e buone;
9.2di chi cucini, pur così ala grossa,
9.3un poco dòi vaccina o di montone.
10.1Non curo d’un che con sapori possa
10.2de vari cibi suscitar la fame,
10.3se fosse morta e chiusa ne la fossa.
11.1Unga il suo schidon pur o il suo tegame
11.2sin al’orecchio a ser Vorano il muso,
11.3venuto al mondo sol per far lettame;
12.1che più cerca la fame, perché giuso
12.2mandi i cibi nel ventre, che, per trarre
12.3la fame, cerchi aver de li cibi uso.
13.1Il novo camerier tal cuoco inarre,
13.2di pane et aglio uso a sfamarsi, poi
13.3che riposte i fratelli avean le marre,
14.1et egli a casa avea tornati i boi;
14.2ch’or vòl fagiani, or tortorelle, or starne,
14.3che sempre un cibo usar par che l’annoi.
15.1Or sa che differenzia è da la carne
15.2di capro e di cingial che pasca al monte,
15.3da quel che l’Elisea soglia mandarne.
16.1Fa ch’io truovi de l’acqua, non di fonte,
16.2di fiume sì, che già sei dì veduto
16.3non abbia Sisto, né alcun altro ponte.
17.1Non curo sì del vin, non già il rifuto;
17.2ma a temprar l’acqua me ne basta poco,
17.3che la taverna mi darà a minuto.
18.1Senza molta acqua i nostri, nati in loco
18.2palustre, non assaggio, perché, puri,
18.3dal corpo tranno in giù che mi fa roco.
19.1Cotesti che farian, che son ne’ duri
19.2scogli de Corsi ladri o d’infedeli
19.3Greci o d’instabil Liguri maturi?
20.1Chiuso nel studio frate Ciurla se li
20.2bea, mentre fuori il populo digiuno
20.3lo aspetta che gli esponga gli Evangeli;
21.1e poi monti sul pergamo, più di uno
21.2gambaro cotto rosso, e rumor faccia,
21.3e un minacciar, che ne spaventi ogniuno;
22.1et a messer Moschin pur dia la caccia,
22.2al fra Gualengo et a’ compagni loro,
22.3che metton carestia ne la vernaccia;
23.1che fuor di casa, o in Gorgadello o al Moro,
23.2mangian grossi piccioni e capon grassi,
23.3come egli in cella, fuor del refettoro.
24.1Fa che vi sian de’ libri, con che io passi
24.2quelle ore che commandano i prelati
24.3al loro uscier che alcuno entrar non lassi;
25.1come ancor fanno in su la terza i frati,
25.2che non li muove il suon del campanello,
25.3poi che si sono a tavola assettati.
26.1— Signor,— dirò (non s’usa più fratello,
26.2poi che la vile adulazion spagnola
26.3messe la signoria fin in bordello)
27.1— signor, — (se fosse ben mozzo da spuola)
27.2dirò — fate, per Dio, che monsignore
27.3reverendissimo oda una parola. —
28.1— Agora non si puede, et es meiore
28.2che vos torneis a la magnana. — Almeno,
28.3fate ch’ei sappia ch’io son qui di fuore. —
29.1Risponde che ‘l patron non vuol gli siéno
29.2fatte imbasciate, se venisse Pietro,
29.3Pavol, Giovanni e il Mastro Nazereno.
30.1Ma se fin dove col pensier penètro,
30.2avessi, a penetrarvi, occhi lincei,
30.3o’ muri trasparesser come vetro,
31.1forse occupati in cosa li vedrei
31.2che iustissima causa di celarsi
31.3avrian dal sol, non che da gli occhi miei.
32.1Ma sia a un tempo lor agio di ritrarsi,
32.2e a noi di contemplar sotto il camino
32.3pei dotti libri i saggi detti sparsi.
33.1Che mi mova a veder Monte Aventino
33.2so che voresti intendere, e dirolti:
33.3è per legar tra carta, piombo e lino,
34.1sì che tener, che non mi sien tolti,
34.2possa, pel viver mio, certi baiocchi
34.3che a Melan piglio, ancor che non sian molti;
35.1e proveder ch’io sia il primo che mocchi
35.2Santa Agata, se avien ch’al vecchio prete,
35.3supervivendogli io, di morir tocchi.
36.1Dunque io darò del capo ne la rete
36.2ch’io soglio dir che ‘l diavol tende a questi
36.3che del sangue di Cristo han tanta sete?
37.1Ma tu vedrai, se Dio vorrà che resti
37.2questa chiesa in man mia, darla a persona
37.3saggia e sciente e de costumi onesti,
38.1che con periglio suo poi ne dispona:
38.2io né pianeta mai né tonicella
38.3né chierca vuo’ che in capo mi si pona.
39.1Come né stole, io non vuo’ ch’anca annella
39.2mi leghin mai, che in mio poter non tenga
39.3di elegger sempre o questa cosa o quella.
40.1Indarno è, s’io son prete, che mi venga
40.2disir di moglie; e quando moglie io tolga,
40.3convien che d’esser prete il desir spenga.
41.1Or, perché so come io mi muti e volga
41.2di voler tosto, schivo di legarmi
41.3d’onde, se poi mi pento, io non mi sciolga.
42.1Qui la cagion potresti dimandarmi
42.2per che mi levo in collo sì gran peso,
42.3per dover poi s’un altro scarricarmi.
43.1Perché tu e gli altri frati miei ripreso
43.2m’avreste, e odiato forse, se offerendo
43.3tal don Fortuna, io non l’avessi preso.
44.1Sai ben che ‘l vecchio, la riserva avendo,
44.2inteso di un costì che la sua morte
44.3bramava, e di velen perciò temendo,
45.1mi pregò ch’a pigliar venissi in corte
45.2la sua rinuncia, che potria sol tòrre
45.3quella speranza onde temea sì forte.
46.1Opra feci io che si volesse porre
46.2ne le tue mani o d’Alessandro, il cui
46.3ingegno da la chierca non aborre;
47.1ma né di voi, né di più giunti a lui
47.2d’amicizia fidar unqua si volle:
47.3io fuor de tutti scelto unico fui.
48.1Questa opinion mia so ben che folle
48.2diranno molti, che a salir non tenti
48.3la via ch’uom spesso a grandi onori estolle.
49.1Questa povere, sciocche, inutil genti,
49.2sordide, infami, ha già levato tanto,
49.3che fatti gli ha adorar dai re potenti.
50.1Ma chi fu mai sì saggio o mai sì santo
50.2che di esser senza macchia di pazzia,
50.3o poca o molta, dar si possa vanto?
51.1Ogniun tenga la sua, questa è la mia:
51.2se a perder s’ha la libertà, non stimo
51.3il più ricco capel che in Roma sia.
52.1Che giova a me seder a mensa il primo,
52.2se per questo più sazio non mi levo
52.3di quel ch’è stato assiso a mezzo o ad imo?
53.1Come né cibo, così non ricevo
53.2più quiete, più pace o più contento,
53.3se ben de cinque mitre il capo aggrevo.
54.1Felicitade istima alcun, che cento
54.2persone te accompagnino a palazzo
54.3e che stia il volgo a riguardarte intento;
55.1io lo stimo miseria, e son sì pazzo
55.2ch’io penso e dico che in Roma fumosa
55.3il signore è più servo che ‘l ragazzo.
56.1Non ha da servir questi in maggior cosa
56.2che di esser col signor quando cavalchi;
56.3l’altro tempo a suo senno o va o si posa.
57.1La maggior cura che sul cor gli calchi
57.2è che Fiammetta stia lontana, e spesso
57.3causi che l’ora del tinel gli valchi.
58.1A questo ove gli piace è andar concesso,
58.2accompagnato e solo, a piè, a cavallo;
58.3fermarsi in Ponte, in Banchi e in chiasso appresso:
59.1piglia un mantello o rosso o nero o giallo,
59.2e se non l’ha, va in gonnelin liggiero;
59.3né questo mai gli è attribuito a fallo.
60.1Quello altro, per fodrar di verde il nero
60.2capel, lasciati ha i ricchi uffici e tolto
60.3minor util, più spesa e più pensiero.
61.1Ha molta gente a pascere e non molto
61.2da spender, che alle bolle è già ubligato
61.3del primo e del secondo anno il ricolto;
62.1e del debito antico uno è passato,
62.2et uno, e al terzo termine si aspetta
62.3esser sul muro in publico attaccato.
63.1Gli bisogna a San Pietro andar in fretta;
63.2ma perché il cuoco o il spenditor ci manca,
63.3che gli sien dietro, gli è la via interdetta.
64.1Fuori è la mula, o che si duol d’una anca,
64.2o che le cingie o che la sella ha rotta,
64.3o che da Ripa vien sferrata e stanca.
65.1Se con lui fin il guattaro non trotta,
65.2non può il misero uscir, che stima incarco
65.3il gire e non aver dietro la frotta.
66.1Non è il suo studio né in Matteo né in Marco,
66.2ma specula e contempla a far la spesa
66.3sì, che il troppo tirar non spezzi l’arco.
67.1— D’uffici, di badie, di ricca chiesa
67.2forse adagiato, alcun vive giocondo,
67.3che né la stalla, né il tinel gli pesa. —
68.1Ah! che ‘l disio d’alzarsi il tiene al fondo!
68.2Già il suo grado gli spiace, e a quello aspira
68.3che dal sommo Pontefice è il secondo.
69.1Giugne a quel anco, e la voglia anco il tira
69.2al’alta sedia, che d’aver bramata
69.3tanto, indarno San Georgio si martira.
70.1Che fia s’avrà la catedra beata?
70.2Tosto vorrà gli figli o li nepoti
70.3levar da la civil vita privata.
71.1Non penserà d’Achivi o d’Epiroti
71.2dar lor dominio; non avrà disegno
71.3de la Morea o de l’Arta far despòti;
72.1non cacciarne Ottoman per dar lor regno,
72.2ove da tutta Europa avria soccorso
72.3e faria del suo ufficio ufficio degno;
73.1ma spezzar la Colonna e spegner l’Orso
73.2per tòrgli Palestrina e Tagliacozzo,
73.3e darli a’ suoi, sarà il primo discorso.
74.1E qual strozzato e qual col capo mozzo
74.2ne la Marca lasciando et in Romagna,
74.3trionferà, del crestian sangue sozzo.
75.1Darà l’Italia in preda a Francia o Spagna,
75.2che sozzopra voltandola, una parte
75.3al suo bastardo sangue ne rimagna.
76.1L’escomuniche empir quinci le carte,
76.2e quindi ministrar si vederanno
76.3l’indulgenzie plenarie al fiero Marte.
77.1Se ‘l Svizzero condurre o l’Alemanno
77.2si dee, bisogna ritrovare i nummi,
77.3e tutto al servitor ne viene il danno.
78.1Ho sempre inteso e sempre chiaro fummi
78.2ch’argento che lor basti non han mai,
78.3o veschi a cardinali a Pastor summi.
79.1Sia stolto, indòtto, vil, sia peggio assai,
79.2farà quel ch’egli vuol, se posto insieme
79.3avrà tesoro; e chi baiar vuol, bai.
80.1Perciò li avanzi e le miserie estreme
80.2fansi, di che la misera famiglia
80.3vive affamata, e grida indarno e freme.
81.1Quanto è più ricco, tanto più assottiglia
81.2la spesa; che i tre quarti si delibra
81.3por da canto di ciò che l’anno piglia.
82.1Da le otto oncie per bocca a mezza libra
82.2si vien di carne, e al pan di cui la veccia
82.3nata con lui, né il loglio fuor si cribra.
83.1Come la carne e il pan, così la feccia
83.2del vin si dà, c’ha seco una puntura
83.3che più mortal non l’ha spiedo né freccia;
84.1o ch’egli fila e mostra la paura
84.2ch’ebbe, a dar volta, di fiaccarsi il collo,
84.3sì che men mal saria ber l’acqua pura.
85.1Se la bacchetta pur levar satollo
85.2lasciasse il capellan, mi starei cheto,
85.3se ben non gusta mai vitel né pollo.
86.1— Questo — dirai — può un servitor discreto
86.2patir; che quando monsignor suo accresce,
86.3accresce anco egli, e n’ha da viver lieto. —
87.1Ma tal speranza a molti non riesce;
87.2che, per dar loco alla famiglia nuova,
87.3più d’un vecchio d’ufficio e d’onor esce.
88.1Camarer, scalco e secretario truova
88.2il signor degni al grado, e n’hai buon patto
88.3che dal servizio suo non ti rimova.
89.1Quanto ben disse il mulatier quel tratto
89.2che, tornando dal bosco, ebbe la sera
89.3nuova che ‘l suo padron papa era fatto:
90.1— Che per me stesse cardinal meglio era;
90.2ho fin qui auto da cacciar dui muli,
90.3or n’avrò tre; che più di me ne spira,
91.1comperi quanto io n’ho d’aver dui iuli.
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