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XXVIII

Rime

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1.1Eran già i versi a i poeti rubati
1.2come or si ruban le cose tra noi,
1.3onde Vergilio, per salvar i suoi,
1.4compose quei dua distichi abbozzati.
2.1A me quei d'altri son per forza dati,
2.2e dicon: “Tu gli arai, vuoi o non vuoi”;
2.3sì che, poeti, io son da più che voi,
2.4dappoi che io son vestito e voi spogliati.
3.1Ma voi di versi restavate ignudi,
3.2poi quegli Augusti e Mecenati e Vari
3.3vi facevan le tonache di scudi.
4.1A me son date frasche, a voi danari;
4.2voi studiate, et io pago li studî
4.3e fo che un altro alle mie spese impari.
5.1Non son di questi avari
5.2di nome né di gloria di poeta:
5.3vorrei più presto aver oro o moneta;
6.1e la gente faceta
6.2mi vuol pur impiastrar di versi e carmi,
6.3come se io fusse di razza di marmi.
7.1Non posso ripararmi:
7.2come si vede fuor qualche sonetto,
7.3il Berni l'ha composto a suo dispetto;
8.1e fanvi su un sguazzetto
8.2di chiose e sensi, che rineghi il cielo
8.3se Luter fa più stracci del vangelo.
9.1Io non ebbi mai pelo
9.2che pur pensasse a ciò, non che 'l facessi;
9.3e pur lo feci, ancor che non volessi.
10.1In Ovidio non lessi
10.2mai che gli uomini avessen tanto ardire
10.3di mutarsi in cornette, in pive, in lire,
11.1e fussin fatti dire
11.2ad uso di trombetta veniziano,
11.3che ha dietro un che gli legge il bando piano.
12.1Aspetto a mano a mano
12.2che, perch'io dica a suo modo, il comune
12.3mi pigli e leghi e dìame della fune.
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