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XXVI

Rime

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1.1Quella mula sbiadata, damaschina,
1.2vestita d'alto e basso ricamato,
1.3che l'Alcionio, poeta laureato,
1.4ebbe in commenda a vita masculina;
2.1che gli scusa cavallo e concubina,
2.2sì bene altrui la lingua dà per lato,
2.3e rifarebbe ogni letto sfoggiato,
2.4tanta lana si trova in su la schina;
3.1et ha un par di natiche sì strette
3.2e sì bene spianate che la pare
3.3stata nel torchio come le berrette;
4.1quella che per soperchio digiunare
4.2tra l'anime celesti benedette
4.3com'un corpo diafano traspare;
5.1per grazia singulare,
5.2al suo padron, il dì di Befanìa,
5.3annunziò il malan che Dio gli dia,
6.1e disse che saria
6.2vestito tutto quanto un dì da state,
6.3id est arebbe delle bastonate,
7.1da non so che brigate,
7.2che, per guarirlo del maligno bene,
7.3gli volean far un impiastro alle rene.
8.1Ma il matto da catene,
8.2pensando al paracimeno duale,
8.3non intese il pronostico fatale;
9.1e per modo un corniale
9.2misurò et un sorbo et un querciuolo,
9.3che parve stat'un anno al legnaiuolo.
10.1A me n'incresce solo
10.2che se Pierin Carnasecchi l'intende,
10.3no 'l terrà come prima uom da facende;
11.1e faransi leggende
11.2ch'a dì tanti di maggio l'Alcionio
11.3fu bastonato come santo Antonio.
12.1Io gli son testimonio:
12.2se da qui inanzi non muta natura,
12.3e' non gli sarà fatto più paura.
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