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1.1– Sì come vento se converte in unda
1.2nei cavernosi luochi de la terra
1.3e vena fa che d'acqua il fiume abunda,
1.4così i suspiri che 'l mio petto serra,
1.5tutti in lacrime amare se desfanno,
1.6qual sempre gli ochi mei versano a terra.
1.7Né tanto pianger posso l'uman danno,
1.8che 'l pianto non sia puoco, perché ognora
1.9me invita a lacrimare un nuovo affanno.
1.10Mortal passione nel mio cuor dimora,
1.11che fuor de gli ochi mei sorgendo stilla
1.12e de pietate il viso mio scolora
1.13pensando come vita mai tranquilla
1.14può aver ch'al passo coniugale ariva,
1.15più periglioso che Caridde o Scilla,
1.16come de dolce libertà se priva
1.17qualunque ha al col quella aspera catena,
1.18che 'l tien ligato ad una morte viva.
1.19Oh, misero colui che moglie mena
1.20e ricca e bella e d'una nobil prole:
1.21gran bene in vista e in l'effetto pena!
1.22Non già compagna, patrona esser vuole;
1.23l'infelice consorte ognor molesta
1.24con pompe, con suoi gesti e con parole.
1.25Poi rare volte è bella donna onesta:
1.26pudicizia a beltà nemica è tanto,
1.27che l'una a l'altra è spesse fiate infesta;
1.28se pur de pudicizia ha il nome e il vanto
1.29sempre è zelosa e sempre il sventurato
1.30convien sentir suspir, lamenti e pianto.
1.31Eh! eh! eh! eh! quanto ha contrario fato
1.32chi l'ha deforme, litigiosa e strana,
1.33vedendosi un tal mostro sempre a lato.
1.34Se pur e bella e onesta e ricca e umana
1.35(il che avvien raro) la sua donna fia,
1.36sempre ha tormento quando è a lui lontana;
1.37se gli sta apresso, la sua compagnia
1.38tanto più nuoce, quanto più glie piace:
1.39veder chi ha donna or puoi come egli stia.
1.40Chi l'ha feconda (ahimè!) non ha mai pace:
1.41sempre ha la casa piena de tormenti
1.42e de speranza debile e fallace.
1.43Sempre nei figli son vari accidenti,
1.44infermità, perigli o rei costumi,
1.45ch'al cuor paterno strali son pongenti.
1.46Quell'altro miser poi par se consumi
1.47per lassar di sé prole, e con fervore
1.48fa voto al ciel per questo e a' sacri numi.
1.49Non ha nel petto suo minor dolore
1.50che quel che è patre, perché ogni mortale
1.51desia quel ch'è vetato con più ardore:
1.52pargli che 'l cielo gli protenda male
1.53se senza stirpe al mondo star si vede,
1.54ché arbor che non fa frutto puoco vale;
1.55e quanto più ricchezza quel possede,
1.56tanto ha la mente sua più dolorosa,
1.57poi che non può lassare un figlio erede.
1.58In questa vita mai non se riposa,
1.59quel per figlioli notte e giorni stenta,
1.60né schiva impresa, ben che perigliosa;
1.61e chi n'è privo, men non si tormenta.
1.62Cerca pur per il mondo ogni regione:
1.63persona al fin non trovi mai contenta.
1.64E quel non ha però minor passione,
1.65chi in libertà si trova senza moglie,
1.66chi considera ben sua condizione.
1.67Se è ricco e a' suoi servizi alcuno toglie,
1.68raro è servito con fede sincera,
1.69ma ognuno aspira a le sue ricche spoglie:
1.70quello un gran bene in la sua morte spera,
1.71l'altro con fraude a la sua vita insidia
1.72e con lusinghe il fura mane e sera.
1.73Se povro e solo fia, a' morti ha invidia,
1.74non trova amico e nol cognosce alcuno,
1.75come venesse alora di Numidia;
1.76abandonato è il misero da ognuno,
1.77ché povertà schernita ognun refuta,
1.78il che gli è sempre al cuor pungente pruno.
1.79Gionge vechiezza tremula e canuta,
1.80piena de mali, mesta e sì pesante,
1.81che quasi in sassi gli omeni trasmuta:
1.82questa è l'occaso al turbido levante
1.83di nostra vita, anzi è quello amplo seno
1.84dove se insaccan poi miserie tante.
1.85Il stanco vechio è di dolor sì pieno,
1.86che in mille parte ha il tristo corpo infetto:
1.87pensa se il spirto aver può mai sereno.
1.88Non sta in lui l'alma con minor suspetto,
1.89che quel che alberga in casa antiqua e guasta,
1.90qual teme ognor gli cada in capo il tetto,
1.91ché un piccol male a la sua morte basta –.
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