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1.1Flebile Muse con pietosi accenti
1.2e voi parole, piene di dolore,
1.3acompagnate i versi mei dolenti;
1.4spira in me, sacro Apollo, il tuo favore,
1.5fin che piangendo un novo tema io canti,
1.6qual già tuoi raggi me creor nel cuore.
1.7E canterò gli amari e tristi pianti
1.8d'Eraclito, più ch'altri lacrimoso
1.9per le nostre miserie e error tanti;
1.10dirò come il trovai dolente ascoso
1.11pianger s'un sasso nostro stato umano,
1.12fatto per carità troppo pietoso.
1.13Forse tre miglia o circa da lontano
1.14dal bel palagio dove io vidi quello
1.15che ride le pazzie del vulgo insano,
1.16dal pian se vede un piccolletto ostello
1.17che bianchegia di sopra un aspro corno
1.18del monte dove sede il bel castello,
1.19al qual deliberai andare un giorno
1.20per visitar quel solitario luoco
1.21dove Eraclito mesto fa sogiorno,
1.22ché estinto in me non era ancora il fuoco
1.23del gran desio che già me accese in petto
1.24l'angel mio sacro che d'ognora invoco.
1.25Vero è ch'io caminava con suspetto,
1.26dubioso non saper da me la via
1.27de montar senza guida a quel recetto;
1.28e così solo andando in fantasia,
1.29chiamando sempre l'angel mio fatale
1.30che dal ciel mi fu dato in compagnia,
1.31ecco uno inante a me con due grande ale,
1.32con corpo leve e così macro in viso
1.33ch'era a veder fuor d'uso naturale;
1.34e sopra me giongendo a l'improviso,
1.35così pallido in volto diventai
1.36come il spirto da me fusse diviso,
1.37né una sola parola potei mai
1.38del pavido mio petto esprimer fuora,
1.39tanto dal gran timor vinto restai.
1.40Vedendo me sì timoroso alora:
1.41– O frate –, incominciò, – non star suspeso,
1.42ché mia venuta piacerate ancora:
1.43dal genio caro tuo custode ho inteso
1.44tua vita e 'l tuo bisogno: or non temere,
1.45per lui a te son qui dal ciel disceso.
1.46Poi che per ora tu nol puoi vedere,
1.47accettami in sua vice per tua scorta
1.48e vogli quel che vuol il ciel volere;
1.49di lui più non cercare, or ti conforta:
1.50qua a te me manda e forse è qui vicino,
1.51reviva tua virtù ch'è quasi morta.
1.52Il mio venir senza voler divino
1.53a te non è, però scaccia il timore
1.54e segue me secur pel tuo camino –.
1.55Il sangue alor ch'era fugito al cuore,
1.56scacciò per la virtù di tal parole
1.57da la mia faccia il pallido colore,
1.58sì come Borea che col soffiar suole
1.59scacciar l'umida nebbia dal bel volto
1.60del gran pianeta relucente sole.
1.61Restando io donque dal timor disciolto,
1.62avendome levato il suo parlare
1.63il terrestre color d'un uom sepolto,
1.64alor ne gli ochi il cominciai mirare
1.65con più fiducia e vista più secura,
1.66e con gesti e con voce a regraziare.
1.67Ma ancora rinovommi la paura,
1.68quando vicino un puoco più gli fui,
1.69ché mi guardò con vista or chiara or scura.
1.70Così stando con l'animo infra dui,
1.71in speranza e timor, fuor di me stesso,
1.72me trasformava quasi tutto in lui,
1.73sì come a l'uomo suole avvenir spesso,
1.74che contemplando cosa nova e rara,
1.75ciò che contempla mostra in viso espresso;
1.76pur vòlsi al fin far la mia mente chiara
1.77e dimandai ch'egli era, sì tremando
1.78come fanciullo che 'l suo tema impara.
1.79Unde ello un poco sopra di sé stando,
1.80sorise alquanto e poi così respose:
1.81– Perché ti vai nel viso sì cangiando?
1.82Di poca fé, non sai che da me ascose
1.83mai non fian l'opre mie, non che 'l mio nome,
1.84ché il cielo a te venendo me lo impose?
1.85Dianeo me chiamo e voglio sappi come
1.86l'Ozio è mio genitor, quello Ozio dico,
1.87che a' sacri vati ha dato eterno nome:
1.88non ha Apollo di lui più chiaro amico,
1.89e la mia genitrice è Solitudine,
1.90ministra di Virtù col cor pudico,
1.91ch'a ogni spirto gentil dà beatitudine –.
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