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1.1Non senti' mai nel cuor tanta dolcezza,
1.2né mai tanta quïete ebbi in la mente,
1.3né ne l'animo mai magior fortezza
1.4quanto glie infuse alor il gran sapiente,
1.5né mai del petto mio uscirno fuora,
1.6tanto fu il suo parlar in me potente;
1.7né mai per fin che gionga l'ultima ora,
1.8me scorderò quel riso e le parole,
1.9cui dolce tuon nel cuor me sona ancora.
1.10E come frutto acerbo cangiar suole
1.11noiosa asprezza in un sapor suave,
1.12per la virtute che gl'informa il sole,
1.13così per quel parlar sublime e grave
1.14se maturò il mio cuor dentro il mio petto,
1.15cangiando in dolce le sue voglie prave:
1.16così me penetror ne lo intelletto
1.17i raggi de la sua virtù preclara,
1.18come nel frutto fa il solare aspetto.
1.19Fu la mia mente sempre da poi chiara,
1.20né mai temei più de Fortuna scorno,
1.21ché ben felice è quel che sempre impara.
1.22Finito aveva Febo alora il giorno
1.23recogliendo suoi raggi in ver l'occaso,
1.24quando a la stanza mia feci ritorno;
1.25e l'angel che era meco ivi rimaso,
1.26invisibil se fece a gli ochi mei,
1.27ben che sia sempre meco in ogni caso.
1.28E ringraziato voluntier l'arei
1.29de la sua dolce e fida compagnia,
1.30ma non piacendo a lui, far nol potei;
1.31pur sempre scolpita ebbe in fantasia
1.32l'imagine sua poscia, e starà credo
1.33per fin che l'alma nel mio corpo stia.
1.34Sempre con gli ochi de la mente io vedo
1.35l'angelica sua luce a me sì grata,
1.36causa del vero ben quale io possedo:
1.37e come cosa forte imaginata,
1.38dovunque io vo, me par d'averlo apresso
1.39e, assente, seco parlo alcuna fiata.
1.40Sempre d'alora in qua vissi a me stesso
1.41pensando sopra quel severo riso,
1.42che i'megio il core ancora io porto impresso;
1.43e parmi sempre, ovunque giri el viso,
1.44che rider senta, e odir parme e vedere
1.45quelle parole e il venerando viso.
1.46Ancor col mio Democrito ho piacere,
1.47andando per Milan tal volta a spasso,
1.48ben che forza me sia da puoi tacere,
1.49ché tanti pazzi d'alto stato e basso
1.50vedo, ch'io rido e dico: – O saggio mio,
1.51che me piacesti sì sul santo sasso,
1.52se tu vedesti quel ch'ora ved'io,
1.53tuo riso al par di questo seria nulla,
1.54ché 'l mondo mai non fu sì vano e rio –.
1.55Così la mente mia seco trastulla,
1.56ridendo de costor che son sì accesi
1.57a seguir sogni, vento, nebia e bulla;
1.58e sol da questi insani son represi,
1.59anzi stimano pazzi color tutti
1.60ch'hanno in seguir virtù suoi giorni spesi.
1.61Ma vederemmo poi chi miglior frutti
1.62al fin recoglierà del sparso seme,
1.63quando a l'ultimo giorno fien condutti.
1.64Sapiate o cechi, che Virtù non teme
1.65Morte o Fortuna, anzi più chiaro luce
1.66quando alcuna di lor la scaccia o preme:
1.67però questa elegete vostra duce,
1.68ché, morti e vivi, ognor vi farà lume
1.69e suoi sequaci al summo ben conduce.
1.70Questa a volar al ciel vi darà piume
1.71e fama in terra, ché, con lei vivendo,
1.72vostra vita ornerà de bon costume.
1.73Se qualche spirto degno, eletto, incendo
1.74a la virtute, il mio libretto assai
1.75m'ha satisfatto e grazie a Febo io rendo;
1.76s'altro premio da lui spettasse mai,
1.77Democrito ridrebbe se 'l sapesse,
1.78ch'a fin de premio alcun nol cominciai.
1.79Ma s'alcuno altro gli è a chi non piacesse,
1.80nol tocchi: se non è cibo per lui,
1.81sua colpa non fia poi se gli offendesse,
1.82ché veramente è ben pazzo colui
1.83il qual prende vivanda a sé nociva;
1.84se a lui non piace, piacerà ad altrui.
1.85Chi è quel che libro tanto tristo scriva,
1.86che non abia chi 'l lega? e perché degio
1.87temere de lasciar quest'opra viva?
1.88Se fra' nostri poeti io non ho il pregio,
1.89questo me basta assai, che dir ben vòlsi
1.90e vive chi de me scrisse assai pegio:
1.91secur per questo in man la penna tolsi.
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