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1.1Seguiva il suo parlar il sagio acorto
1.2dicendo a me: – Figliol, voglio che impari
1.3cosa ch'a la tua mente fia conforto,
1.4e lasserai la via de questi ignari
1.5ch'hanno posto nel fango ogni lor cura,
1.6tenendo i ben mondani troppo cari.
1.7Farai come il pittor che una figura
1.8vòl giudicar, che se delonga alquanto
1.9da lei e poi con l'ochio la misura:
1.10così descosto la reguarda tanto,
1.11che d'ogni poco error sa dar iudizio,
1.12il che non sapea far standoli a canto.
1.13Però così facendo, ogni suo vizio
1.14de questa gente ridirai poi meco,
1.15de ogni pazzia e suo vano esercizio.
1.16So che dirai ch'ognun de questi è ceco
1.17a non cognoscer qual sia il proprio bene,
1.18che l'om de' amar e sempre portar seco.
1.19Quando ne la terrena spoglia vene
1.20nostra alma, alora è immaculata e netta;
1.21del vaso ov'è poi chiusa l'odor tene,
1.22resta da poi contaminata e infetta
1.23dal gran fetor de l'opere sceleste,
1.24quando il corpo de vizio se diletta;
1.25e quando pone giù la mortal veste,
1.26convien se purghi avanti che ritorni
1.27sì come prima eterea e celeste,
1.28unde bisogna poi ch'ella sogiorni
1.29a purgar quelle machie in acqua o in foco,
1.30e pianga altrove i suoi mal spesi giorni.
1.31Seguela il desiderio in ogni loco,
1.32l'ardente voglia ch'ebbe in questa vita,
1.33che la tormenta e mai la lascia un poco,
1.34sì che la sua felicità è impedita
1.35con queste cure vane e ben mortali
1.36de questa gente pazza ch'è infinita.
1.37Però se questi cognoscessen quali
1.38son soi ben propi e non de la Fortuna,
1.39tanti appetiti cessarian bestiali,
1.40e tal che solamente oro raduna,
1.41che metterebbe in sen più bel tesoro
1.42né temerebbe poi de sorte alcuna.
1.43Ma ridon questi il triunfale aloro,
1.44il sacro Apollo e le sorelle sante:
1.45io, come vedi, poi rido di loro;
1.46ché l'uom tanto è de gli altri più prestante,
1.47quanto ha più de lo etereo chiaro e puro:
1.48crasso e terreno è sempre l'ignorante
1.49e ha sempre lo spirto denso e oscuro,
1.50fisso nel mondan luto, e è il suo cuore
1.51impïo, senza caritate e duro,
1.52e non sa ch'ogni ben qual è esteriore
1.53de l'alma, nostro ben non se può dire,
1.54ma de Fortuna, e manca poi in poche ore.
1.55O turba vana, donque a che seguire
1.56quel che vostro non è con tanta sete
1.57e non saper il proprio ben fruire?
1.58E s'el avvien da poi ch'alcun perdete
1.59de quei ben che Fortuna v'ha prestato,
1.60quali esser vostri propri ve credete,
1.61voi biastemate vostra stella e il fato,
1.62né moderate con ragion voi stessi
1.63perché retuor vel può chi ve l'ha dato.
1.64Se cognoscesti chi ve gli ha concessi
1.65tal beni, cessarian tanti lamenti,
1.66quando Fortuna poi ve priva d'essi.
1.67Però non sete mai fuor de' tormenti
1.68e il cuor ferito avete in ogni parte
1.69e mille vermi rodon vostre menti.
1.70Quel se lamenta che va mal sua arte,
1.71quel piange il figliol morto e quel se duole
1.72che l'ha destrutto l'impeto di Marte;
1.73quell'altro contra il ciel dice parole
1.74piene de sdegno perché sua ricchezza
1.75manca, e se struge come neve al sole;
1.76quell'altro, perché ha perso sua bellezza,
1.77biasma Natura con sua lingua effrena:
1.78più assai glie toglierà il tempo e vechiezza;
1.79e quel perché non ha la stalla piena
1.80de ligiadri corsier come soleva,
1.81in el cuor porta intollerabil pena;
1.82quel che la bella dama possedeva,
1.83poi che n'è privo, tanta doglia porta
1.84che dubioso è che morte non receva;
1.85e quel che già con così longa scorta
1.86de sattelliti andava, or va deserto,
1.87dolente, e mille oltraggi ancor suporta.
1.88E però figliol mio tu vedi aperto
1.89che l'ignoranza è del suo duol cagione
1.90e ch'ogni ben de la Fortuna è incerto,
1.91e chi troppo ama quel, sempre ha passione –.
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