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Canto settimo

Rinaldo

PoeTree.it

1.1Partonsi i duo guerrier poiché non hanno
1.2dove impiegar più quivi il lor valore,
1.3perciò che i Mori entro al castel si stanno
1.4rinchiusi, ed a pugnar non escon fuore.
1.5Nuove venture a ritrovar se 'n vanno,
1.6spinti da cura e da desir d'onore,
1.7ch'al petto e caldo stimolo pungente:
1.8né che stian neghitosi unqua consente.
2.1Veggono intanto da facelle accese
2.2esser divisi largamente i campi,
2.3e ch'a le cose lor sembianze han rese
2.4mal grado de la notte amici lampi;
2.5senton l'orecchie da un lamento offese
2.6qual d'uom che d'ira e di dolore avampi;
2.7più sempre cresce il lamentevol suono,
2.8e già vicini i lumi ardenti sono.
3.1Scorgono allora un uom già carco d'anni,
3.2giunto ove cader suol l'umana vita,
3.3involto in neri ed angosciosi panni,
3.4con la faccia di duol colma e smarrita,
3.5che in duro segno degli interni affanni
3.6e de la rabbia dentro il petto unita,
3.7geme, sospira ed altamente piange,
3.8batte il sen, squarcia il crine e 'l volto frange.
4.1Era costui del morto Ugone il padre,
4.2che da paterno amor tratto seguio
4.3col figlio insieme le francesi squadre,
4.4già vecchio ed al pugnar pigro e restio.
4.5Ben ebbe in cielo stelle oscure ed adre,
4.6poiché con gli occhi proprii il caso rio
4.7venne a veder del misero figliuolo,
4.8e, vedendol, maggior fece il suo duolo.
5.1Come egli scorge il tronco corpo amato,
5.2che par ch'in mezo un rio di sangue giaccia,
5.3cader tosto si lascia, e sul piagato
5.4busto s'affige, e 'l prende infra le braccia:
5.5lo cinge e stringe e nel suo manco lato,
5.6ove è ferito, più posa la faccia,
5.7e così stassi, fuor de' sensi uscito,
5.8sovra 'l morto giacendo il tramortito.
6.1Al fin tornò lo spirto al suo ricetto,
6.2e seco il pianto ed i sospir tornaro;
6.3spinse tai voci allor da l'egro petto
6.4con suono conveniente al duol amaro:
6.5— Amato figlio mio, figliuol diletto,
6.6gradito figlio, figlio solo e caro,
6.7oimè! tu morto giaci, e quel ch'è peggio,
6.8per sì lieve cagion cotal ti veggio.
7.1O voti a vòto fatti, o pensier miei
7.2fallaci, o preghi sparsi a sordi venti,
7.3o decreti del cielo ingiusti e rei,
7.4se ciò dir lece, o Dio, com'el consenti?
7.5Deh! ben felice per tua morte sei,
7.6tu, madre sua, ch'or nulla vedi e senti;
7.7io d'altra parte, oimè! vinto ho 'l mio fato
7.8per esser vivo a sì gran duol serbato.
8.1Ma dove, lasso! or è? dove è, diviso
8.2dal busto, il capo? Ahi, forse alcun l'ha tolto?
8.3Ahi! dunque non vedrò l'amato viso?
8.4Dunque non basciarò l'amato volto? —
8.5Così dicendo mira intento e fiso,
8.6e lo vede tra sangue e polve involto:
8.7là corre impaziente e fuori il cava
8.8da l'elmo, il bascia e col suo pianto il lava.
9.1Il nudo teschio dimostrava allora
9.2un non so che del fiero e dell'orrendo;
9.3tiene in lui fissi gli occhi il padre ognora,
9.4e tra le man pietose il va volgendo;
9.5se l'accosta a la bocca ad ora ad ora,
9.6nulla l'orror di quello a schivo avendo.
9.7Quanto, quanto sei grande, amor paterno!
9.8Sfoga intanto ei così l'affetto interno:
10.1— Ove la luce de' begli occhi è gita?
10.2Ove del vago aspetto il chiaro onore?
10.3Come le guancie, oimè! come smarrita
10.4le labbia han lor vaghezza e lor colore?
10.5Questa squallida fronte e scolorita
10.6è quella ond'io porgea tal gioia al core?
10.7Deh! quanto ei n'ebbe già diletto e gioia,
10.8tanto maggior or n'have affanno e noia!
11.1Ecco, o figlio, ti fo gli estremi offici,
11.2ch'a me dovei tu far più drittamente!
11.3Ecco che gli occhi omai con l'infelici
11.4man ti rinchiudo: or vale eternamente!
11.5E se queste mie man non fiano ultrici
11.6de la tua morte, il ciel non lo consente,
11.7che con lungo girar l'ha già private
11.8del suo vigore e delle forze usate. —
12.1Apre a pietà Rinaldo il nobil petto
12.2a quei lamenti, e raddolcir vorebbe
12.3alquanto di colui l'amaro affetto,
12.4perché de l'altrui mal sempre gl'increbbe;
12.5ma poi pensando che contrario effetto
12.6in quel meschino il suo parlar farebbe,
12.7se lui pur conoscesse, indi si toglie,
12.8dolente anch'ei de l'altrui gravi doglie.
13.1D'un tetto pastoral schermo la notte
13.2fêrsi i guerrier contra l'algente luna.
13.3Allora, poi che nell'oscure grotte
13.4da l'alba vinta ogn'ombra si raguna,
13.5attraversando vie scoscese e rotte
13.6giunsero in selva solitaria e bruna,
13.7che mai, facendo a se medesma oltraggio,
13.8non riceve del sol l'amico raggio.
14.1Per questa va con torto piede immondo
14.2serpendo un rio che da' vicin luoghi esce,
14.3ch'a' riguardanti cela invido il fondo,
14.4né nutre in sen ninfa leggiadra o pesce.
14.5Forma poscia di sé lago ritondo,
14.6e tutte l'acque in un raccoglie e mesce.
14.7Di sterpi e pruni ha le sue rive ingombre,
14.8e sol tassi e ginebri a lui fanno ombre.
15.1Mirano i cavalier sospesi intorno,
15.2né cosa lieta lor s'offre a la vista;
15.3nulla di vago v'è, nulla d'adorno,
15.4ogni parte per sé gli occhi contrista.
15.5Qui sempre è fosco e tenebroso il giorno,
15.6sempre l'aria ad un modo oscura e trista,
15.7sempre orride le piante e torbo il rivo,
15.8sempre il terren di fiori e d'erbe privo.
16.1Mentre pur se 'n vann'oltra i giovinetti,
16.2veggion d'apresso un'alta sepoltura,
16.3e star intorno a quella in un ristretti
16.4molti guerrier con mesta faccia oscura,
16.5che si squarciano i crin, battonsi i petti,
16.6quasi grave gli ingombri acerba cura;
16.7e fan con novo ed angoscioso pianto
16.8tutt'intorno sonar la selva intanto.
17.1D'un così vivo sasso e trasparente
17.2era il sepolcro, che scopriva altrui,
17.3qual sottil vetro o rio puro e lucente,
17.4ciò che avea dentro più riposto in lui:
17.5sì che d'ambo i guerrier le luci intente
17.6penetrar tosto ne' secreti sui;
17.7e vi mirar, quasi incredibil cosa,
17.8donna leggiadra in vista ed amorosa.
18.1Ella era morta, e così morta ancora
18.2arder parea d'amor la terra e 'l cielo,
18.3e dal bel petto per la spalla fuora
18.4gli uscia pungente e sanguinoso telo;
18.5sembrava il volto suo neve ch'allora
18.6scuota Giunon da l'aghiacciato velo:
18.7gli occhi avea chiusi e, benché chiusi, in loro
18.8si scopriva d'Amor tutto il tesoro.
19.1Mentre i guerrieri a rimirar si stanno
19.2la bella donna che sepolta giace,
19.3un di color che cerchio a l'arca fanno,
19.4e più degli altri in pianto si disface,
19.5nel cor rinchiuso il suo gravoso affanno
19.6che s'ange più quando la lingua tace,
19.7s'armò la testa e in un cavallo ascese,
19.8ed in tal modo a ragionar lor prese:
20.1— Signor, quest'acqua che qui presso stagna,
20.2gustar convienvi, ed ella ha tal valore,
20.3ch'a qualunque uom le labbra indi si bagna,
20.4nuovo acerbo martir desta nel core;
20.5onde convien ch'a pianger qui rimagna
20.6questa estinta donzella a tutte l'ore:
20.7dunque senza tardar di lei bevete,
20.8o morir di mia man pur v'eleggete. —
21.1Rise Rinaldo in modo altero e disse:
21.2— Or su, vegniamo ormai, guerrier, a l'arme,
21.3ché se tu brami inimicizie e risse,
21.4ch'abbi trovato uomo a tua voglia parme;
21.5e se per le tue mani a me prescrisse
21.6il ciel la morte, or lei vien tosto a darme. —
21.7In questo dir voltaro ambo i destrieri,
21.8e corsero a ferirsi audaci e fieri.
22.1Segnano al petto l'un, l'altro a la testa
22.2i colpi, ed ambo quei vanno ad effetto;
22.3cadde Rinaldo a la percossa infesta
22.4che lo venne a ferir sovra l'elmetto:
22.5ma la lancia fatal ch'ei poscia arresta,
22.6all'altro cavalier traffigge il petto,
22.7e lo distende dal corsier lontano,
22.8tutto tremante e sanguinoso al piano.
23.1Rinaldo, d'ira e di furore acceso,
23.2leggierissimo s'alza e si solleva,
23.3né riposar mai vuol se chi l'ha offeso
23.4prima di vita con sua man non leva.
23.5Ma come vide quel meschin disteso,
23.6che nel suo sangue involto al pian giaceva,
23.7l'ira e 'l furor dal petto a lui fuggio,
23.8u' pietade in sua vece a por si gio.
24.1Sopra gli va, l'elmo gli cava e slaccia,
24.2perché torni ne' sensi ond'era uscito.
24.3Come da l'aria gli è t¢cca la faccia,
24.4aprendo gli occhi il cavalier ferito,
24.5un profondo sospir dal petto caccia,
24.6onde a Rinaldo è 'l cor più intenerito;
24.7gli chiede nondimen perché mantegna
24.8quel rio costume e quella usanza indegna.
25.1Ma quegli allor: — Perché servato or sia
25.2questo costume, a pien da me saprai,
25.3se concesso da morte egli mi fia
25.4che mi sovrasta e mi rapisce omai;
25.5e se pur ti parrà l'usanza ria,
25.6il mio crudel destin n'incolperai,
25.7che la prima cagion stata è del tutto,
25.8e m'ha fatto amator de l'altrui lutto.
26.1Signor, ne' miei primi anni ebbi la sorte,
26.2ma per mio mal, sì destra ai miei desiri,
26.3che tra mill'altre elesse in mia consorte
26.4questa dama ch'estinta or qui rimiri.
26.5Er'io per cavalier gagliardo e forte,
26.6ella diva parea de' sommi giri,
26.7non donna umana; e col leggiadro viso
26.8ogni selvaggio spirto avria conquiso.
27.1Non era alcun che gli occhi in lei volgesse
27.2senza infiammarsi d'amoroso ardore;
27.3alcun non era ancor ch'a lei piacesse
27.4fuor che sol'io che fisso avea nel core.
27.5Io d'altra parte, benché allor potesse
27.6goder di mille donne il dolce amore,
27.7lei solo amava, e in questo lieto stato
27.8ne vissi un tempo al mio parer beato.
28.1Ma venne, lasso! dal tartareo fondo,
28.2a turbar la mia pace e la mia gioia,
28.3quella peste crudel che suole al mondo
28.4recar sovente incomparabil noia,
28.5che 'l sereno d'amor stato giocondo
28.6tutto col suo velen turba ed annoia:
28.7gelosia venne, e in forme strane e false
28.8di Clizia la mia donna il petto assalse.
29.1Per usanza avev'io di gir sovente
29.2solo a cacciar per queste selve intorno;
29.3ma quando il sol feria con più cocente
29.4raggio, qui mi schermia dal caldo giorno.
29.5Quest'era un bosco allor diversamente
29.6d'alte vagghezze, d'ogni parte adorno,
29.7non già com'or che solo a prima vista
29.8con nuovo orror le menti altrui contrista.
30.1Solea meco ritrarsi in così vago
30.2bosco Ermilla, una ninfa anco talora,
30.3che non le tele, la conocchia e l'ago,
30.4ma l'arco e i dardi audace adopra ognora;
30.5e quando il cor di seguir Cinzia ha vago,
30.6tanto fugge la dea che Cipro onora.
30.7Ella è di belle membra e di bel viso:
30.8viso crudel, sì sua beltà m'ha ucciso.
31.1Ma come spesso avien che 'l falso uom crede,
31.2e quel che crede osa affermar per vero,
31.3è chi m'accusa di corrotta fede
31.4a Clizia, e di cor perfido e leggiero,
31.5dicendo ch'io le rendo aspra mercede
31.6in cambio del suo amor puro e sincero,
31.7perciò che Ermilla a' maggior caldi estivi
31.8meco si gode nei piacer lascivi.
32.1Clizia brama veder di ciò l'effetto,
32.2pria che meco ne muova altre parole;
32.3e perché sa che sempre il mio ricetto
32.4questo luogh'era al più cocente sole,
32.5molto prima vi viene, e nel più stretto
32.6bosco s'asconde, ov'aspettar mi vuole.
32.7Vi vengo io poscia e, già sudato e stanco,
32.8ne l'erboso terren distendo il fianco.
33.1Quinci non molto poi moversi io sento
33.2un non so che dove s'allaga l'onda:
33.3allor meschino acuto dardo avento,
33.4perché penso che fera ivi s'asconda.
33.5Il dardo se 'n va ratto e violento,
33.6e tiene il suo camin tra fronda e fronda,
33.7sì ch'a Clizia nel petto al fin si mise,
33.8e lui piagando ogni mio bene uccise.
34.1Cadde ella, ahi lassa! a la percossa atroce,
34.2solo un languido “ohimè!” mandando fuora.
34.3Mi penetra nel cor l'amata voce,
34.4non già però ch'io la cognosca allora.
34.5Là donde uscito è il suon corro veloce,
34.6e veggio, ahi! vista grave a l'alma ancora,
34.7la bella donna mia che debil langue,
34.8versando insieme con la vita il sangue.
35.1Ratto m'inchino a lei, la prendo in seno,
35.2e con le mie le care labra accosto;
35.3cerco di porre al sangue uscente freno,
35.4acciò ch'ella non mora almen sì tosto:
35.5pria che l'alma gli venga in tutto meno,
35.6di voler favellarle io son disposto,
35.7e fo sì ch'essa scopre i lumi alquanto,
35.8ed ode il mio parlar, vede il mio pianto.
36.1Vede il mio pianto che con larga vena
36.2più sempre par che 'l duol dagli occhi verse,
36.3del qual non men ch'io m'aggia, ella ripiena
36.4n'have la faccia e le palpebre asperse;
36.5ode questo parlar, al qual a pena
36.6ne l'uscir fuori stretta via s'aperse:
36.7“O cara, o dolce, o mia fedel compagna,
36.8qual da te rio destino or mi scompagna?
37.1Deh! vita mia, deh! non fuggire, aspetta,
37.2ché teco correr voglio ogn'aspra sorte;
37.3deh! non mi lasciar solo in sì gran fretta,
37.4empio ed odioso a me per la tua morte!
37.5Mirami almen, mira la tua vendetta,
37.6ch'io far voglio in me stesso e giusto e forte:
37.7non mi negar il sol degli occhi tuoi,
37.8se punirmi così forse non vuoi!”
38.1Ella tenendo il guardo in me converso,
38.2che passando per gli occhi al cor m'aggiunge,
38.3dice: “Ben mio, poiché destin perverso
38.4così rapidamente or ne disgiunge,
38.5non esser, prego, ai miei desiri averso:
38.6se pur di me qualche pietà ti punge,
38.7se l'amor mio premio sì degno or merta,
38.8fa' che di questo almen ne vada certa.
39.1Fa' ch'a l'inferno almen vada sicura,
39.2che dopo ch'io sarò fredda e di ghiaccio,
39.3Ermilla empia, cagion di mia sventura,
39.4non fia teco congiunta al sacro laccio.
39.5Fallo, ti prego, o dolce unica cura
39.6di questo core.” E qui stendendo il braccio,
39.7mi cinse il collo e chiuse i vaghi rai,
39.8per non gli aprir da poi, lasso! giamai.
40.1Grido io misero allor: “Vana temenza
40.2ti prese il core, o mia diletta moglie!
40.3Deh! ch'un vano sospetto, un timor senza
40.4dritta cagione alcuna or mi ti toglie,
40.5deh! ch'una sol falsissima credenza
40.6or mi porge cagion d'eterne doglie!
40.7Misera de' mortal vita fallace,
40.8s'ad ogni caso repentin soggiace!”
41.1Parve che l'aere fosco asserenasse
41.2pel volto suo, Clizia tai cose udendo,
41.3e che gioia e letizia alta mostrasse
41.4l'alma, da la prigion terrestre uscendo,
41.5quanto fallace error pria l'ingombrasse
41.6nel mio vero parlar or cognoscendo;
41.7ma de la morte sua tanto i' mi dolsi,
41.8che quasi a me l'odiata vita io tolsi.
42.1Pur ripensando poi che troppo leve
42.2fora pena cotale a tanto eccesso,
42.3e n'andrebbe impunito il fallo greve,
42.4ch'uccidendo il mio bene avea commesso,
42.5volsi che 'l duol, ch'in vita si riceve
42.6da chi vive inimico di se stesso,
42.7e la luce del sole aborre e sdegna
42.8fusse del mio fallir pena condegna.
43.1E perché il mio dolor sempre crescesse,
43.2vedendo la cagion di lui presente,
43.3oprai ch'un mago questa tomba fêsse
43.4di questo sasso vivo e trasparente;
43.5e l'estinta donzella entro ponesse,
43.6così trafitta da lo stral pungente,
43.7sì che non mai per raggirar di cielo
43.8si corrompesse in lei la carne o 'l pelo.
44.1Ma parendomi poi luogo difforme
44.2questo al mio duro stato ed angoscioso,
44.3fei che quel mago lo rendeo conforme,
44.4ed oscuro lo fece e tenebroso,
44.5togliendo a lui ciò che potea distôrme
44.6pur breve spazio dal pensier noioso,
44.7con gran poter ch'al suon de le parole
44.8muove la terra e 'l corso arresta al sole.
45.1Volsi poi, per aver ne l'aspra sorte
45.2compagno alcuno e ne le acerbe pene,
45.3e perché di costei la dura morte
45.4pianta ancor fusse quanto a lei conviene,
45.5ch'incantasse quest'acqua di tal sorte
45.6ch'a qualunque uomo a gustar mai ne viene,
45.7per la pietà di chi qui morta giace
45.8nel cor destasse duolo aspro e tenace;
46.1onde spinto da quel, fêsse soggiorno,
46.2meco piangendo la costei sventura,
46.3come or gli vedi a questo sasso intorno,
46.4che miran sempre entro la sepoltura.
46.5Io poi di stare ognor la notte e 'l giorno
46.6disposi in tutto in questa valle oscura,
46.7sforzando ogni guerrier che vi passasse
46.8che mai suo grado il rio liquor gustasse.
47.1Ma il nuovo incanto di quest'acqua insieme
47.2col duro viver mio fia terminato;
47.3ed ognun di costor che piagne e geme
47.4ritornarà nel suo primiero stato. —
47.5Così diss'egli, e le parole estreme
47.6non bene espresse col mancato fiato.
47.7Non molto dopo spirò l'alma, e quella
47.8s'alzò volando a la sua pari stella.
48.1Morto ch'ei fu, color che in mesti accenti
48.2disfogavano il duol chiuso nel petto,
48.3posero fine ai queruli lamenti,
48.4liberi ancor dal grave interno affetto.
48.5Alcun di lor non è che si ramenti
48.6a pien de la cagione ond'era astretto
48.7a lamentarsi, e l'un l'altro rimira
48.8dubio e sospeso, e 'l pensier volve e gira.
49.1Rinaldo, ch'era assai doglioso e tristo
49.2del caso occorso al miser cavaliero,
49.3molto si rallegrò com'ebbe visto
49.4liberi questi da l'incanto fiero;
49.5e del lor dubio e del sospetto avisto,
49.6conto e chiaro lor fece il caso intiero.
49.7Quei gli resero allor grazie infinite,
49.8e per l'obligo lor gli offrir le vite.
50.1Veggono, a dir mirabil cosa, intanto
50.2levarsi un gran sepolcro alto dal piano,
50.3e in un momento a quel primiero a canto
50.4esser poi messo da invisibil mano.
50.5Si maraviglia ognun del nuovo incanto,
50.6e gli par caso inusitato e strano;
50.7lo stupor crebbe, ché da lor fu scorto
50.8giacervi dentro il cavalier già morto.
51.1Scorsero ancor del trasparente vaso
51.2lettre intagliate in apparente parte,
51.3onde era esposto l'infelice caso
51.4de' duo miseri amanti a parte a parte.
51.5Ma già nessun nel bosco è più rimaso,
51.6già l'un da l'altro si divide e parte,
51.7fatte di qua di là molte parole
51.8di cortesia, come al partir si suole.
52.1Col gran figlio d'Amon sol vi rimane
52.2Florindo, a lui già d'amor sommo avinto;
52.3e come cerca l'odorante cane
52.4le fere ognor per naturale istinto,
52.5ne' cespugli, ne' vepri e ne le tane,
52.6così, da cura generosa spinto,
52.7cerca ognun di costor nova aventura
52.8or per monte, or per bosco, or per pianura.
53.1Il terzo giorno, allor ch'il sol lontano
53.2da l'orto e da l'occaso è parimente,
53.3videro il mar Tireno placido e piano
53.4il bel lito ferir tacitamente;
53.5e si trovaro in un fiorito piano
53.6di tanti e più color vago e ridente.
53.7Di quante grazie adorno è 'l caro viso
53.8che m'have l'alma e 'l cor d¢mo e conquiso.
54.1Quivi si vede il bel garzon ch'estinse
54.2spietato disco, onde tal forma prese,
54.3e quel cui folle errore a morte spinse,
54.4miser che di se stesso in van s'accese,
54.5e chi di dolce amor t'arse e t'avinse,
54.6o bella diva, il cor molle e cortese,
54.7per cui tu Marte e 'l tuo Vulcan lasciasti,
54.8e con le selve il terzo ciel cangiasti.
55.1Quivi il nardo, l'acanto, il giglio e 'l croco
55.2veggonsi il vago crin lieti spiegare,
55.3ed altri fior di cui null'altro luoco
55.4volle giamai l'alma Natura ornare;
55.5tra' quai con mormorar soave e roco
55.6se 'n va limpido rio serpendo al mare,
55.7pieno il bel corno di coralli e d'auro,
55.8onde Teti non ha maggior tesauro.
56.1Quivi non querci e pini, abeti o faggi,
56.2ma lauri, mirti e vaghi altri arbuscelli
56.3difendono il terren da' caldi raggi
56.4con gli odorati lor verdi capelli;
56.5quivi nei cor più duri e più selvaggi
56.6destan dolce pensier vezzosi augelli,
56.7che scherzando su' rami e su le fronde
56.8soavemente a l'un l'altro risponde.
57.1Mentre rimiran questi il luoco adorno,
57.2pensando che tal forse esser doveva
57.3il bel giardin dove già fêr soggiorno
57.4i gran nostri parenti Adamo ed Eva,
57.5sentir poco lontan sonar un corno
57.6che dolcemente l'aria percoteva,
57.7e vider poi venir due damigelle,
57.8vaghe, leggiadre, a maraviglia belle.
58.1Ha l'una i bei capelli al capo avolti,
58.2partiti in treccie in maestrevol modi,
58.3e poi gli tiene in sottil rete accolti,
58.4che di fin auro e perle ha sovra i nodi;
58.5l'altra ad arte ir gli fa negletti e sciolti,
58.6e quasi par ch'ivi se stessa annodi
58.7l'aura ch'or gli alza, or gli rincrespa e gira,
58.8e sempre in lor più dolcemente spira.
59.1Purpurea seta testa a gigli d'oro
59.2le belle membra a quella asconde e cela;
59.3gonna, ch'è del color del sacro alloro
59.4sparsa di gemme, a questa il corpo vela;
59.5ambo candidi sono i destrier loro,
59.6adorni sin ai piè d'argentea tela;
59.7tutti i loro scudieri a la divisa
59.8con vesti vanno d'un'istessa guisa.
60.1Giunte queste ai guerrieri, ad ambo pria
60.2fanno inchin riverente e grazioso;
60.3poi richieggiono un dono il qual non fia
60.4ad alcun di lor duo grave o noioso.
60.5Rinaldo allor: — Chi dono a voi potria
60.6negar, e sia quant'esser può dannoso?
60.7Vostro è, signore, il comandarne, e poi
60.8deggiam quel ch'imponete esseguir noi. —
61.1Ed elle a loro: — Il don che noi chiediamo,
61.2e che voi di concederne affermate,
61.3è che un nostro palagio ove alberghiamo
61.4de la vostra presenzia oggi degniate;
61.5indi, signor, non molto lungi siamo,
61.6ch'è quel che dirimpetto or rimirate
61.7là su la cima del piacevol colle,
61.8che vagheggiando intorno alto s'estolle. —
62.1Così dicendo ancor, si fêro scorta
62.2de' cavalier ch'a lor se 'n vanno a paro,
62.3i quai però quanto il dover comporta
62.4di tanta cortesia le ringraziaro.
62.5Prendon la strada ch'è più vaga e corta,
62.6sin che al colle vicin tosto arrivaro,
62.7al bel colle dipinto il tergo e 'l seno,
62.8cui lava i vaghi piedi il mar Tireno.
63.1Pausilippo quest'è, dove s'avanza
63.2natura ed ha de l'opre sue stupore,
63.3ove è di Clori la perpetua stanza,
63.4ov'ha Pomona il suo tesor maggiore;
63.5ove menan le Grazie eterna danza
63.6in compagnia di Venere e d'Amore,
63.7c'hanno l'antiquo Cipro in lui cangiato,
63.8come in più degno albergo e più pregiato.
64.1Come a la cima fur del vago monte,
64.2dolce sonar di nuovo un corno udiro.
64.3Indi calossi del palagio il ponte,
64.4onde molte donzelle insieme usciro.
64.5Han tutte vaghe membra, amabil fronte,
64.6abito eletto e d'artificio miro;
64.7cortesi in vista son, ma nel bel volto
64.8han virginal decoro insieme scolto.
65.1Una di loro, a cui la schiera bella
65.2tutta portar parea maggior rispetto,
65.3raccolse con benigna umil favella
65.4i cavalier e con cortese aspetto:
65.5e l'un con questa man, l'altro con quella
65.6preso, gli addusse dentro il real tetto,
65.7ricco e superbo per materia ed arte
65.8in ogni sua men degna e nobil parte.
66.1Giunsero, ascesa pria la regia scala
66.2ch'era di pietra alabastrina e viva,
66.3in spaziosa e ben formata sala,
66.4che scopre il piano e la tirena riva;
66.5quivi da più fenestre il fiato esala
66.6verso là dove il dì more o s'avviva,
66.7verso settentrione e verso dove
66.8cinto di pioggia i crini Austro si move.
67.1S'alza a punto nel mezo ornato altare,
67.2ricco d'oro e di gemme a maraviglia,
67.3ove di donna un bel ritratto appare
67.4che sol se stessa e null'altra simiglia;
67.5veggonsi in lei grazie divine e rare,
67.6sguard'uman, chiara fronte, allegre ciglia,
67.7aria gentil, benigno onesto riso,
67.8e par ch'accoglia ognun con grato viso.
68.1Tiene aperte le mani in modo tale
68.2che si mostra al donar pronta ed usata;
68.3l'attraversa per mezo un motto, il quale
68.4ha tal sentenza in lettre d'or segnata:
68.5“Tra le figlie di Dio nata immortale
68.6son io, non men d'ogni vertù pregiata:
68.7né senza aver di me ripieno il core
68.8ascender può mai l'uomo a vero onore.”
69.1Pendon dopoi da le pareti belle
69.2molte imagin ritratte in tutti i lati;
69.3di sesso e volto son diverse quelle,
69.4e gli abiti tra loro han variati;
69.5né so se tai le avria già fatte Apelle,
69.6o se tai le fêsse oggi il Salviati,
69.7che coi colori e col penello audace
69.8scorno a Natura, invidia agli altri face.
70.1Come nel bel de le dipinte carte
70.2la vista i cavalier hanno appagata,
70.3e de la regia sala a parte a parte
70.4la mirabil ricchezza ancor mirata,
70.5chiedono a lei che gli divide e parte,
70.6sendo tra l'uno e l'altro in mezo intrata,
70.7di chi l'imagin sia che rende adorno
70.8l'altare, e di chi l'altre appese intorno.
71.1L'esser suo chiedonle anco, e di coloro
71.2che fan seco dimora in compagnia,
71.3e come il feminil leggiadro coro
71.4così da' cavalier sevro si stia.
71.5Ella, a que' detti rispondendo loro,
71.6disse: — Il saprete allor che tempo ei fia. —
71.7Poscia in stanza men grande indi gli mena,
71.8ove apparata è la superba cena.
72.1Gareggia insieme il nobil drapelletto
72.2in far allor servigio a' duo baroni:
72.3chi scarca lor de la corazza il petto,
72.4chi di spade e pugnale ambi i galloni;
72.5altra l'elmo e lo scudo e 'l braccialetto,
72.6altra il resto lor trae fino agli sproni;
72.7altri le mani lor da vasi aurati
72.8sparge di liquor varii ed odorati.
73.1Vinti donzelle ne la mensa a canto
73.2s'assidono ai guerrier; vint'altre han cura
73.3di farla ricca e lieta, a pien di quanto
73.4produce grato al gusto uman natura.
73.5E spumante liquor di Bacco intanto
73.6meschian vint'altre ancor con acqua pura,
73.7ed altre tante ai lor vocali accenti
73.8rendon concordi i musici stromenti.
74.1Come coi cibi fu, come coi vini
74.2d¢ma la sete e l'importuna fame,
74.3e si scoprir, levati i bianchi lini,
74.4i bei tapeti adorni d'aureo stame,
74.5disse ver' lor, rivolta ai pellegrini
74.6baron, colei che fra quelle altre dame
74.7maggior sembrava: — Ora, signor, saprete
74.8quel che poco anzi a me voi chiesto avete.
75.1Di Napoli, città che 'n riva al mare
75.2siede quindi vicin, già resse il freno
75.3donna che fu de le più degne e rare
75.4virtuti adorna e copiosa a pieno,
75.5che sopra tutto non trovò mai pare
75.6in cortesia, sì n'ebbe il cor ripieno;
75.7ed in ciò vinse i più lodati essempi
75.8che giamai furo negli antiqui tempi.
76.1Costei, vaga d'oprar cosa ch'ognora
76.2la memoria di lei viva serbasse,
76.3tai che, sì come in vita, in morte ancora
76.4l'alta sua cortesia si celebrasse,
76.5fece con l'arte maga, ond'essa allora
76.6a pena ritrovò chi l'aguagliasse,
76.7questo palagio in cima a questo colle,
76.8ed a la cortesia sacrare il volle.
77.1Sendo a la cortesia poscia sacrato,
77.2chiamollo Albergo de la Cortesia,
77.3e l'imagin di lei sovra l'ornato
77.4altar drizzò, dove ad ogni or si stia;
77.5ritrasse poi ciascun che mai sia stato
77.6raro tra' più cortesi o che pur fia,
77.7ed i ritratti loro intorno appese,
77.8sì che il muro più vago indi si rese.
78.1Lascia da poi che in cortesia si spenda
78.2in questo albergo tanto argento ed oro,
78.3che ve 'n fia sempre, benché il sol risplenda
78.4mille volte or nel Cancro ed or nel Toro;
78.5né crederò ch'a cotal pregio ascenda
78.6altro cui re possegga ampio tesoro;
78.7e vuol che le ricchezze e 'l luoco istesso
78.8sia governato ognor dal nostro sesso:
79.1da donzelle però d'alti parenti
79.2ne l'Italia felice al mondo nate,
79.3le quali a note ed ad ignote genti
79.4non sol ricetto dar siano obligate,
79.5ma cercar anco co' pensieri intenti
79.6deggian ch'ad albergar sempre menate
79.7sian qui donne e donzelle e cavalieri,
79.8del paese così come stranieri.
80.1Vuol anco ch'ognor vada a questo effetto
80.2una copia di lor là presso il lito,
80.3la qual tenti condurre al suo ricetto
80.4ognun che passa con cortese invito.
80.5E perché non le punga al cor sospetto
80.6de l'onor suo, che non le sia rapito,
80.7incantò il monte e intorno ancor sei miglia
80.8con nuova ed incredibil meraviglia:
81.1che s'alcun donna ingiurioso offende
81.2ne l'aver, ne la vita o ne l'onore,
81.3d'invisibile ardor tutto s'accende,
81.4sì che miseramente al fin ne more.
81.5Ma sì come l'incanto ognor difende
81.6chi serva in fatto il virginal suo fiore,
81.7così qual donna il macchia e 'l tiene a vile
81.8quinci discaccia con perpetuo stile.
82.1Come il mar scaccia d'uom le membra estinte,
82.2come scaccia pastor le infette agnelle,
82.3così con forza non veduta spinte
82.4da questo spazio son le damigelle,
82.5che da l'amore o dal gran premio vinte
82.6misere furo al proprio onor rubelle;
82.7e quinci avien che i padri nostri poi
82.8non han, mentre stiam qui, cura di noi.
83.1Fe' da poi la regina, Alba nomata,
83.2per mostrarsi cortese in ogni cosa,
83.3e per farsi a coloro amica e grata
83.4che van cercando ogni ventura ascosa,
83.5una barca mirabile incantata
83.6ch'ella chiamò la barca aventurosa;
83.7perciò ch'ognun che in lei di gir si fida,
83.8sempre a qualche aventura in breve guida.
84.1Senza nocchier, sol da l'incanto scorta,
84.2se 'n va la barca per l'ondoso mare,
84.3e gli erranti guerrier securi porta
84.4là dove il lor ardir possin mostrare,
84.5come, se 'l vostro core a ciò v'essorta,
84.6voi potrete, signori, ancor provare,
84.7ché la barca tegniam quinci vicina,
84.8dove col nostro lito il mar confina.
85.1Or l'ordin che tra noi serbar sogliamo
85.2riman che sol vi dica, ed egli è questo,
85.3ch'ogn'anno tra noi tutte una eleggiamo,
85.4ch'abbia a regger poi l'altre il pensier desto.
85.5A quant'ella n'impon tutte obidiamo,
85.6pur che comandi il licito e l'onesto.
85.7Io che per nome Euridice son detta,
85.8al degno grado fui poco anzi eletta.
86.1Fu Guilante il leggiadro padre mio,
86.2e in Capua dominò mentre che visse. —
86.3Qui tacque alquanto, indi il parlar seguio,
86.4e de l'altre la stirpe e 'l nome disse.
86.5Ma perché tinta già d'oscuro oblio
86.6sorgea la notte, fe' ch'ognun si gisse
86.7a riposar su l'addagiate piume,
86.8sin ch'in ciel si mostrasse il nuovo lume.
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