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1.1Poi che la sacra e relucente diva
1.2ne ebbe introdutto nel suo car recetto,
1.3cui forma arò nel cor mentre ch'io viva,
1.4in un bel loco de espedito aspetto,
1.5che signoreggia il gran paese intorno,
1.6intrar ne fece pieni de diletto,
1.7e era il sole alzato a mezzo giorno,
1.8tal che veder poteasi chiaramente
1.9un vicin monte in vista tutto adorno
1.10qual parea a riguardar tanto eccellente,
1.11che obietto a gli occhi nostri mai sì grato
1.12non ebbe alcun de noi, né sì fulgente;
1.13e fu da la bellezza sua tirato
1.14il desio nostro tutto in quella parte,
1.15ché da quel lume l'occhio era ingannato.
1.16Un gran pallaggio di materia e arte
1.17maraviglioso sopra quel sedea,
1.18come io vi esprimerò qua in queste carte;
1.19e cognoscendo quella immortal dea
1.20noi già invaghiti di quel bel colore,
1.21dil nostro inganno tacita ridea,
1.22e poi sogionse: – Oh, longo e grave errore
1.23dil mondo ceco! come ognun di voi
1.24veder potrà, non passeran molte ore.
1.25Quanti son che consuman gli anni soi
1.26per ascendere il monte che vedete,
1.27e ch'hanno fatto quando s– son poi?
1.28Molti di' mei che furno ove voi sete,
1.29poi ch'ebber visto di Fortuna il gioco,
1.30la desprezzorno per aver quïete.
1.31Da questo mio così eminente loco,
1.32Epitteto, uno de i più cari mei,
1.33vide il bel monte e al fin lo stimò poco:
1.34stropiato e servo e oppresso da colei
1.35che tanto è invisa a ognun, Povertà detta,
1.36nondimeno stimosi caro a i dei
1.37e visse lieto in la mia dotta setta,
1.38né l'offese dil corpo machia alcuna,
1.39l'anima avendo immaculata e netta.
1.40E a ciò vediate come la Fortuna
1.41trastulla di voi miseri mortali
1.42e quanto sia fallace e importuna,
1.43darovi poi doi mei lucidi ochiali,
1.44ché ingannati non restan gli occhi vostri
1.45da gli ornamenti soi sì vani e frali.
1.46Così mirando quelli eccelsi chiostri
1.47sopra del monte, vederete chiaro
1.48sì come il falso per il ver vi mostri –.
1.49Così tutti tre noi a paro a paro,
1.50intenti stando a l'edifficio grande
1.51che a gli occhi umani par tanto preclaro,
1.52vedemmo una arbor che i bei rami spande
1.53sopra il castel piantata ne la corte,
1.54che frondi de smeraldo avea ammirande.
1.55Perché il muro intorno è molto alto e forte
1.56dil magno albergo, a la predetta pianta
1.57solo se gli può andar per quatro porte,
1.58e sono i pomi di bellezza tanta
1.59di l'arbore superba e tale in vista,
1.60come quei che restâr ferno Atalanta.
1.61A questa la mortal gente egra e trista
1.62per coglierne con tanto desio viene
1.63che par che in quelli ogni suo ben consista,
1.64e nondimeno assai più gravi pene
1.65che voluttà nei frutti dolci e amari
1.66certo si trovan, chi 'l considra bene.
1.67A piè dil tronco di quei rami cari
1.68per il suo ricco peso, un vecchio siede
1.69ceco e inculto come i vecchi avari,
1.70e se a la fama di costui si crede,
1.71de le divizie dio ciascuno il chiama:
1.72l'arbore bella questo sol possede,
1.73questo è quel Pluto quale ognun tanto ama,
1.74ognun l'ammira, ognuno il serve e adora,
1.75ognuno il cerca, ognun il segue e brama.
1.76Quando d'alcun Fortuna se inamora,
1.77a questo oppulentissimo il conduce,
1.78qual come piace a lei suo amante onora,
1.79e perché Pluto è privo de la luce,
1.80de i vaghi pomi a ognun quanto ella vòle
1.81gli dona, ché lei sola è la sua duce;
1.82e molte e molte volte menar suole
1.83avanti a quella gente vile e grossa
1.84che a pena quasi sa formar parole,
1.85ma per natura sì la vista ingrossa
1.86questo pregiato frutto a chi ne prende,
1.87che cognoscer e scerner par non possa;
1.88tanto el suo gran splendor gli umani offende
1.89che spesso caden poi per qualche caso
1.90qual ceco che la via non comprende,
1.91non vedendosi un dito avanti al naso.
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