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1.1La rondinella garula e legera
1.2era venuta, come venir suole,
1.3ambasciatrice di la primavera
1.4e già passava l'equinozio il sole
1.5renovando a la terra il vago manto
1.6recamato di rose e di vïole,
1.7quando a una valle dilettosa tanto
1.8quanto altra mai vedesse un giorno andai
1.9per esallare un mio angoscioso pianto:
1.10de pitti augelli gli amorosi lai
1.11resonavan per tutto il loco ameno
1.12tale armonia non udi' io già mai.
1.13Intrato in questo sito tutto pieno
1.14di pacifere olive, i' vidi un fonte
1.15qual gli sorgea naturalmente in seno;
1.16ma alzato poi un poco più la fronte,
1.17vidi doi passegiare in un bel prato
1.18il qual giacea fra la fontana e il monte,
1.19e come vòlse il mio benigno fato,
1.20poi ch'io fui fatto a questi dui vicino,
1.21li recognobbi, e quanto fummi grato,
1.22ch'uno era il dotto Curzio Lancino,
1.23l'altro Bartolomeo il Simoneta,
1.24non men greco erudito che latino.
1.25Però, se vene la mia mente lieta,
1.26non ti ammirar, ché la Natura raro
1.27simili amici dare è consueta.
1.28Erami il suo comerzio utile e caro,
1.29ché il lor dolce parlar già molte volte
1.30dal cor mi trasse ogni pensiero amaro;
1.31e così doppo le accoglienze molte
1.32insieme fatte, il terzio fui fra questi
1.33a passegiar sotto quelle ombre folte.
1.34Abiando di Fortuna sermon desti
1.35fra noi, disse il Lancin: – Se alcun la mente
1.36esercir vòl, convien col corpo resti,
1.37ché l'alma, reposando, è più prudente;
1.38però sediamo sotto l'olmo ombroso
1.39qual sopra il fonte si apre sì patente,
1.40perché sedendo sul bel prato erboso
1.41potrem più pronti insieme conferire,
1.42prendendo il corpo placido reposo;
1.43e se, Fregoso mio, vorren seguire
1.44il ragionar de l'impïa Fortuna,
1.45ognun di noi più aconzio potrà dire –.
1.46Venuti adonque tutti tre in quella una
1.47parte dil delettoso e bel destretto
1.48dove l'acqua parea per l'onda bruna,
1.49io comenzava pieno de dispetto,
1.50posto a sedere, a vomicare il tosco
1.51multiplicato nel sdegnato petto,
1.52e dissi: – O frati mei, chiaro cognosco
1.53che in questo vago loco non conviene
1.54parlar di tema tanto duro e fosco,
1.55ma credo 'verrà a me ch'a infermo avviene,
1.56che aeire mutando, spesso si resana,
1.57poi che purgato il fisico l'ha bene.
1.58Fortuna in la città sempre villana
1.59mi è stata, e forse in questi lochi aprici
1.60trovato ho l'aria e medicina sana:
1.61qui solitudin grata e fidi amici
1.62vedo, donque altro certo non mi resta
1.63se non scoprirvi i casi mei infelici.
1.64Quanto Fortuna a me sia stata infesta
1.65se esprimerlo saprò, non fia già poco
1.66e sua importunità far manifesta,
1.67ché da ch'io nacqui stato sempre un gioco
1.68sono di lei, e più che mai ancora
1.69la iniqua mi persegue in ogni loco;
1.70e se mi lassa pur possar talora,
1.71fa perché al parangon di quel reposo
1.72para magior la pena che mi accora,
1.73ché uno assueto al vivere noioso
1.74più facilmente assai tollera un male
1.75che quel che alcuna volta fu gioioso.
1.76E questo è pegio, che mia pena è tale,
1.77che esprimer non la posso, e un mal secreto
1.78a la fin spesse volte è poi mortale.
1.79Cercato ho sempre mai viver quïeto,
1.80cercato ha sempre quella la mia vita
1.81tenere in guerra e in amaro fleto,
1.82e una piaga a pena in me è guarita,
1.83che questa aparechiata è in uno istante
1.84per far nel petto mio nova ferita:
1.85ma vechie cicatrice sono tante
1.86in me che loco sano più non trova
1.87dal capo infelicissimo a le piante,
1.88né più può farmi una percossa nova;
1.89però ogni giorno a me cresce il dolore,
1.90ché bene il sa, chi l'ha provato o il prova,
1.91che colpo sopra a colpo è duol magiore –.
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