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1.1Vagliami il ver, Montano: i' so che parlo
1.2a chi di me più intende. Oscuri sempre
1.3sono assai più gli oracoli di quello
1.4ch'altri si crede, e le parole loro
1.5sono come il coltel, che, se tu 'l prendi
1.6in quella parte ove per uso umano
1.7la man s'adatta, a chi l'adopra è buono;
1.8ma chi 'l prende ove fere, è spesso morte.
1.9Ch'Amarillide mia, come argomenti,
1.10sia per alto destin dal cielo eletta
1.11a la salute universal d'Arcadia,
1.12chi più deve bramarlo e caro averlo
1.13di me, che le son padre? Ma, s'i' miro
1.14a quel che n'ha l'oracolo predetto,
1.15mal si confanno a la speranza i segni.
1.16S'unir li deve Amor, come fia questo,
1.17se fugge l'un? com'esser pòn gli stami
1.18d'amoroso ritegno odio e disprezzo?
1.19Mal si contrasta quel ch'ordina il cielo;
1.20e, se pur si contrasta, è chiaro segno
1.21che non l'ordina il cielo, a cui, se pure
1.22piacesse ch'Amarillide consorte
1.23fosse di Silvio tuo, più tosto amante
1.24lui fatto avria che cacciator di fère.
2.1Non vedi tu com'è fanciullo? ancora
2.2non ha fornito il diciottesim'anno.
2.3Ben sentirà col tempo anch'egli amore.
3.1E 'l può sentir di fèra e non di ninfa?
4.1A giovinetto cor più si conface.
5.1E non amor, ch'è naturale affetto?
6.1Ma senza gli anni è natural difetto.
7.1Sempre e' fiorisce alla stagion più verde.
8.1Può ben, forse, fiorir, ma senza frutto.
9.1Col fior, maturo ha sempre il frutto amore.
9.2Qui non venn'io né per garrir, Montano,
9.3né per contender teco, ché né posso
9.4né fare il debbo; ma son padre anch'io
9.5d'unica e cara e, se mi lece dirlo,
9.6meritevole figlia e, con tua pace,
9.7da molti chiesta e desiata ancora.
10.1Titiro, ancor che queste nozze in cielo
10.2non iscorgesse alto destìn, le scorge
10.3la fede in terra, e 'l violarla fôra
10.4un violar de la gran Cintia il nume
10.5a cui fu data; e tu sai pur quant'ella
10.6è disdegnosa e contra noi sdegnata.
10.7Ma, per quel ch'i' ne sento e quanto puote
10.8mente sacerdotal rapita al cielo
10.9spiar là su di que' consigli eterni,
10.10per man del Fato è questo nodo ordito;
10.11e tutti sortiranno, abbi pur fede,
10.12a suo tempo maturi anco i presagi.
10.13Più ti vo' dir, ché questa notte in sogno
10.14veduto ho cosa onde l'antica speme
10.15più che mai nel mio cor si rinnovella.
11.1Son i sogni alfin sogni. E che vedesti?
12.1Io credo ben ch'abbi memoria (e quale
12.2sì stupido è tra noi ch'oggi non l'abbia?)
12.3di quella notte lagrimosa, quando
12.4il tumido Ladon ruppe le sponde,
12.5sì che là dove avean gli augelli il nido,
12.6notâro i pesci, e in un medesmo corso
12.7gli uomini e gli animali
12.8e le mandre e gli armenti
12.9trasse l'onda rapace.
12.10In quella stessa notte
12.11(oh dolente memoria!) il cor perdei,
12.12anzi quel che del core
12.13m'era più caro assai,
12.14bambin tenero in fasce,
12.15unico figlio allora, e da me sempre
12.16e vivo e morto unicamente amato.
12.17Rapillo il fier torrente
12.18prima che noi potessimo, sepolti
12.19nel terror, ne le tenebre e nel sonno,
12.20provar di dargli alcun soccorso a tempo;
12.21né pur la culla stessa, in cui giacea,
12.22trovar potemmo, ed ho creduto sempre
12.23che la culla e 'l bambin, così com'era,
12.24una stessa voragine inghiottisse.
13.1Che altro si può credere? ben parmi
13.2d'aver inteso ancora, e da te, forse,
13.3di questa tua sciagura, veramente
13.4sciagura memorabile ed acerba;
13.5e puoi ben dir che di duo figli, l'uno
13.6generasti a le selve e l'altro a l'onde.
14.1Forse nel vivo il ciel pietoso ancora
14.2ristorerà la perdita del morto.
14.3Sperar ben si dé' sempre. Or tu m'ascolta.
14.4Era quell'ora a punto
14.5che, tra la notte e 'l dì, tenebre e lume
14.6col fosco raggio ancor l'alba confonde;
14.7quand'io, pur nel pensiero
14.8di queste nozze avendo
14.9vegghiata una gran parte della notte,
14.10alfin lunga stanchezza
14.11recò negli occhi miei placido sonno,
14.12e con quel sonno vision sì certa,
14.13che di vegghiar dormendo
14.14avrei potuto dire.
14.15Sopra la riva del famoso Alfeo
14.16seder pareami a l'ombra
14.17d'un platano frondoso,
14.18e con l'amo tentar ne l'onda i pesci,
14.19ed uscire in quel punto
14.20di mezzo 'l fiume un vecchio ignudo e grave,
14.21tutto stillante il crin, stillante il mento,
14.22e con ambe le mani
14.23benignamente porgermi un bambino
14.24ignudo e lagrimoso,
14.25dicendo: «Ecco 'l tuo figlio;
14.26guarda che non l'ancidi»;
14.27e, questo detto, tuffarsi ne l'onde.
14.28Indi tutto repente
14.29di foschi nembi il ciel turbarsi intorno
14.30e minacciarmi orribile procella,
14.31tal ch'io per la paura
14.32strinsi il bambino al seno,
14.33gridando. «Ah! dunque un'ora
14.34mel dona e mel ritoglie?».
14.35Ed in quel punto parve
14.36che d'ogn'intorno il ciel si serenasse,
14.37e cadesser nel fiume
14.38fulmini inceneriti
14.39ed archi e strali rotti a mille a mille;
14.40indi tremasse il tronco
14.41del platano e n'uscisse,
14.42formato in voce, spirito sottile
14.43che, stridendo, dicesse in sua favella:
14.44«Montano, Arcadia tua sarà ancor bella».
14.45E così m'è rimaso
14.46nel cor, negli occhi e ne la mente impressa
14.47l'imagine gentil di questo sogno,
14.48ch'i' l'ho sempre dinanzi;
14.49e sopra tutto il volto
14.50di quel cortese veglio,
14.51che mi par di vederlo.
14.52Per questo i' men venìa diritto al tempio,
14.53quando tu m'incontrasti,
14.54per quivi far col sacrificio santo
14.55de la mia vision l'augurio certo.
15.1Son veramente i sogni
15.2de le nostre speranze,
15.3più che de l'avvenir, vane sembianze,
15.4imagini del dì guaste e corrotte
15.5da l'ombra de la notte.
16.1Non è sempre co' sensi
16.2l'anima addormentata;
16.3anzi tanto è più desta,
16.4quanto men traviata
16.5da le fallaci forme
16.6del senso, allor che dorme.
17.1Insomma, quel che s'abbia il ciel disposto
17.2de' nostri figli, è troppo incerto a noi;
17.3ma certo è ben che 'l tuo sen fugge e contra
17.4la legge di natura amor non sente;
17.5e che la mia fin qui l'obbligo solo
17.6ha de la data fé, non la mercede.
17.7Né so già dir se senta amor; so bene
17.8ch'a molti il fa sentire,
17.9né possibil mi par ch'ella nol provi,
17.10se 'l fa provar altrui.
17.11Ben mi par di vederla
17.12più de l'usato suo cangiata in vista,
17.13ché ridente e festosa
17.14già tutta esser solea.
17.15Ma l'invaghir donzella
17.16senza nozze a le nozze, è grave offesa.
17.17Come in vago giardin rosa gentile,
17.18che ne le verdi sue tenere spoglie
17.19vpur dianzi era rinchiusa
17.20e sotto l'ombra del notturno velo
17.21incolta e sconosciuta
17.22stava posando in sul materno stelo,
17.23al subito apparir del primo raggio
17.24che spunti in oriente,
17.25si desta e si risente
17.26e scopre al sol, che la vagheggia e mira,
17.27il suo vermiglio ed odorato seno,
17.28dov'ape, susurrando,
17.29nei mattutini albori
17.30vola suggendo i rugiadosi umori;
17.31ma, s'allor non si coglie,
17.32sì che del mezzodì senta le fiamme,
17.33cade al cader del sole
17.34sì scolorita in su la siepe ombrosa,
17.35ch'a pena si può dir: «Questa fu rosa!»
17.36così la verginella,
17.37mentre cura materna
17.38la custodisce e chiude,
17.39chiude anch'ella il suo petto
17.40a l'amoroso affetto;
17.41ma, se lascivo sguardo
17.42di cupido amator vien che la miri,
17.43e n'oda ella i sospiri,
17.44gli apre subito il core
17.45e nel tenero sen riceve amore;
17.46e se vergogna il cela
17.47o temenza l'affrena,
17.48la misera, tacendo,
17.49per soverchio desio tutta si strugge.
17.50Così manca beltà, se 'l foco dura,
17.51e, perdendo stagion, perde ventura.
18.1Titiro, fa' buon core;
18.2non t'avvilir ne le temenze umane,
18.3ché bene inspira il cielo
18.4quel cor che bene spera;
18.5né può giunger là sù fiacca preghiera.
18.6E, s'ognun dé' pregare
18.7ove 'l bisogno sia
18.8e sperar negli dèi,
18.9quanto più ciò conviene
18.10a chi da lor deriva!
18.11Son pure i nostri figli
18.12propagini celesti:
18.13non spegnerà il suo seme
18.14chi fa crescer l'altrui.
18.15Andiam, Titiro, andiamo
18.16unitamente al tempio e sacreremo,
18.17tu il capro a Pane ed io
18.18ad Ercole il torello.
18.19Chi feconda l'armento,
18.20feconderà ben anche
18.21colui che con l'armento
18.22feconda i sacri altari.
18.23Tu va', fido Dameta:
18.24scegli tosto un torello,
18.25di quanti n'abbia la feconda mandra
18.26il più morbido e bello;
18.27e per la via del monte, assai più breve,
18.28fa ch'io l'abbia nel tempio, ov'io t'attendo.
19.1E da la greggia mia, caro Dameta,
19.2conduci un irco.
20.1I' farò l'uno e l'altro.
21.1Questo sogno, Montano,
21.2piaccia a l'alta bontà de' sommi dèi
21.3che fortunato sia quanto tu speri.
21.4So ben io, so ben io
21.5quant'esser può del tuo perduto figlio
21.6la rimembranza a te felice augurio.
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